SENECA Lucio Anneo

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SENECA Lucio Anneo

n. a Cordova nel 4 a.C. - m. a Roma nel 65, filosofo romano di origine ispana.

1.​​ Vita.​​ Compì gli studi a Roma con retori e filosofi stoici. Fu introdotto ancora giovane alla corte di Caligola sotto il quale cominciò la carriera forense ed il​​ cursus honorum,​​ ma nel 39 un suo discorso lo fece cadere in disgrazia presso l’imperatore, che lo avrebbe condannato se una sua cortigiana non gli avesse consigliato di risparmiarlo perché la natura lo avrebbe presto ucciso per consunzione. Fu esiliato in Corsica da Claudio per uno scandalo di corte suscitato da Messalina, ma venne poi richiamato da Agrippina minore che lo nominò maestro di suo figlio Domizio, il futuro Nerone. Quando il nuovo imperatore uccise il fratello Britannico e la stessa madre, S. si ritirò dalla vita pubblica ma nel 65 fu coinvolto nella congiura di Pisone, a cui partecipava anche suo nipote Lucano; fu costretto ad uccidersi per ordine di Nerone nel 65. Con Epitteto e Marco Aurelio, S. appartiene al gruppo dei filosofi della​​ stoà​​ imperiale, definiti «maestri di morale». In ogni epoca il valore pedagogico della sua opera è stato riconosciuto per la penetrante esperienza umana, per la fine intuizione delle relazioni umane e per il nuovo senso di intimità di cui è permeata.​​ 

2.​​ L’antropologia pedagogica.​​ L’ideale del saggio formulato da S. in stretta aderenza alla​​ stoà​​ non deve indurre in errore. Anche nel​​ De constantia sapientis,​​ il suo umanesimo si applica all’uomo corrente: «Anche se vi circondano nemici da ogni parte, mantenete il posto che vi è stato assegnato dalla natura. Qual è questo posto? quello di uomo». Non si tratta però di un uomo astratto. Il realismo dell’antropologia pedagogica di S. riflette le difficoltà dei suoi contemporanei, che devono vivere in un’epoca in degrado, caratterizzata dai disordini della tirannia, in piena crisi della società, della politica e dei costumi. Sullo sfondo della Roma imperiale, S. vuole ridare all’uomo la propria coscienza di uomo –​​ la sua libertà​​ – di fronte al suo​​ destino,​​ alla sua​​ vita​​ e alla sua​​ morte.

3.​​ La pedagogia di S.​​ Le due correnti della​​ paideia​​ greca, quella retorica e quella filosofica, persistono nella​​ humanitas​​ romana, che aveva avuto in Cicerone il suo massimo rappresentante. S. si pone nella corrente filosofica quando proclama l’autonomia della​​ ragione​​ come condizione imprescindibile dell’umanesimo. A questa corrente molto eteroclita, seguita soprattutto dagli stoici, S. dà un apporto personale; le caratteristiche principali sono: lo scarso valore formativo che attribuisce alle​​ ​​ arti liberali​​ in sé; l’esercizio della filosofia​​ inteso come ascesi verso la perfezione umana e l’assoggettamento definitivo della filosofia alla​​ saggezza.​​ a)​​ Le arti liberali.​​ Nell’humanitas​​ romana contemporanea a S., sono prevalenti i contenuti che l’epoca ellenistica aveva indicato come​​ encyclios paideia​​ e che Roma aveva denominato​​ artes liberales.​​ S. si occupa di esse soprattutto nel documento emblematico del carattere filosofico della sua pedagogia, l’epistola 88 delle​​ Epistulae morales ad Lucilium.​​ Le arti liberali non meritano grande considerazione perché, né per il contenuto né per gli scopi di coloro che le professano, hanno relazione con la perfezione umana; non spianano il cammino verso la virtù. «A cosa mi serve saper dividere un campicello, se non lo so dividere con mio fratello?» (Ep.,​​ 88). Le arti liberali non si integrano con la filosofia e con la saggezza in un’unità simile a quelle delle parti del corpo umano, unità che S. auspica per ogni sapere. Semplicemente strumentali, orientate all’utilità immediata, si perdono in futilità nonostante si chiamino liberali, e sono solo degne dell’uomo libero, per il loro valore propedeutico. In sintesi, «Non dobbiamo apprenderle, bensì averle apprese» (Ep.,​​ 88). b)​​ L’esercizio della filosofia e i gradi di perfezione.​​ «Che cosa è il meglio nell’uomo? La ragione, per la quale supera gli animali ed imita gli dei: la ragione perfetta è, quindi, il bene proprio dell’uomo» (Ep.,​​ 86). La meta del sapere è insostituibile, ma l’esercizio della filosofia, dal punto di vista pedagogico, è centrato nel sapere in se stesso. Cercare di condurre la propria vita d’accordo con il bene morale: la filosofia di S. trascende lo spazio della teoria ed insegna a vivere. «La filosofia insegna a praticare, non a parlare, ed esige che tutti vivano conformemente alle sue leggi, che la vita non dissenta dall’insegnamento, né si contraddica» (Ep.,​​ 20). c)​​ La saggezza.​​ La filosofia, vera morale in atto, è subordinata alla saggezza: questa «è il massimo della perfezione dell’essere umano; la filosofia si avvia al punto in cui essa è già arrivata» (Ep.,​​ 84). La saggezza è il bene proprio del saggio. Come la filosofia, si riferisce ad un contenuto di carattere teoretico, però quella di S. non è una filosofia intellettualistica, dato che «una sola cosa completa la perfezione dell’animo: l’immutabile scienza del bene e del male» (Ep.,​​ 88). La saggezza senechiana implica la perfezione suprema dell’essere umano, cioè la morale. «La saggezza è l’abito dell’anima perfetta» (Ep.,​​ 117), perché saggezza e virtù sono per lui strettamente unite tra loro, tanto da costituire due aspetti della stessa pienezza umana.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ L.A.S.,​​ Diálogos sobre la providencia. Sobre la firmeza del sabio. Sobre la ira. Sobre la vida feliz. Sobre el ocio. Sobre la tranquilidad del Espíritu. Sobre la brevedad de la vida,​​ trad. di V. García Yebra, Madrid, Gredos,​​ 2001. b)​​ Studi: Cid Luna P.,​​ L.A.S.,​​ Madrid,​​ Clásicos, 2003;​​ Padilla M. A. (Ed.),​​ S.,​​ la práctica de la filosofía: fragmentos escogidos, Madrid, Nueva Acrópolis, 2004; Pociña Pérez A.,​​ Bibliografía española sobre Séneca (s. XX),​​ in «Estudios de la Antigüedad Clásica» 17 (2006) 359-410.​​ 

Á. Galino - Á. del Valle