PSICOSI
Disturbo psichico caratterizzato da una massiccia regressione dell’Io con conseguente grave disorganizzazione della personalità, per cui viene perduta la capacità dell’esame di realtà. Attualmente, con il termine p. ci si riferisce ad un quadro patologico piuttosto vasto ed articolato. Esso comprende tutta una gamma di disturbi mentali che vanno dalle sindromi cerebrali, alla schizofrenia, agli stati paranoidi, alle p. maniaco-depressive.
1. Cenni storici. Il termine p. viene usato per la prima volta verso la metà del XIX sec. da parte di E.V. Feuchtersleben (1845). È comunque E. Kraepelin (1883) a fornire i primi contributi significativi. Egli sostiene che esiste un disturbo psichico, da lui denominato p. endogena, causato da fattori genetico-costituzionali e non invece da una lesione cerebrale dimostrabile, da un agente tossico-chimico o da disturbi metabolici e ormonali. La p. endogena a sua volta è suddivisa in dementia praecox e in p. maniaco-depressiva. Secondo Kraepelin, e di riflesso secondo la psichiatria classica, tale patologia ha come conseguenza il deterioramento fatale della personalità dell’individuo, per cui non sono possibili interventi terapeutici. L’unica soluzione rimane il ricovero definitivo nell’ospedale psichiatrico. E. Bleuler (1911) suggerisce di sostituire il termine dementia praecox con il termine schizofrenia (dal gr. schizein = dividere e phrén = mente), poiché esso mette meglio in evidenza le caratteristiche della malattia ed in particolare l’azione del meccanismo della scissione. Bleuler inoltre, diversamente da Kraepelin, ipotizza una base psicodinamica del disturbo psicotico. Determinante al riguardo è poi il contributo di S. → Freud. Egli mette in evidenza una sostanziale unità tra i processi psichici della p. e della → nevrosi, senza tuttavia trascurare le notevoli differenze tra i due tipi di patologia. In Nevrosi e p. (1923) egli afferma che mentre la nevrosi è il risultato di un conflitto tra l’Io e l’Es, la p. rappresenta l’analogo esito di un perturbamento nei rapporti tra Io e mondo esterno. Più precisamente, mentre nella nevrosi l’Io, avendo a che fare con pulsioni avvertite come angoscianti, perché disapprovate dal Super-Io, finisce per porsi a servizio del Super-Io e della realtà, nella p. invece, restando in balia dell’Es e in parte del Super-Io, esso perde gravemente i contatti con la realtà e, attraverso il delirio, giunge alla costruzione di una nuova realtà e di un nuovo mondo interno. Diversamente dalla nevrosi, dove è presente la rimozione delle pulsioni ed il ritorno di esse in forma distorta (formazione del sintomo), la p. comporta un disinvestimento dalla realtà ed un successivo tentativo di riguadagnare il senso perduto di essa. Inoltre, mentre nella nevrosi l’Io è cosciente del suo conflitto e lo vive a livello di compromesso con la realtà, nella p. invece non tollera la negoziazione, per cui lavora contro il conflitto e cerca di espellerlo dalla psiche attraverso i → meccanismi di difesa della scissione, della negazione e della proiezione. La conseguenza è l’assenza di coscienza della situazione conflittuale, la perdita dell’esame di realtà e la distruzione delle strutture fondamentali dell’ordine simbolico. Secondo l’ottica freudiana la p. non è considerata accessibile al trattamento psicoterapeutico e ciò a causa della presenza di disordini narcisistici che impediscono al paziente di vivere il transfert. Successivamente i contributi fondamentali di → Klein sulla genesi delle p., collocata nel primo anno di vita, gettano una nuova luce sulla comprensione e sulla curabilità dei disturbi psicotici. La Klein sostiene che oltre ad un transfert nevrotico, esiste un transfert psicotico, su cui è possibile agire. In particolare, sottolinea che alla base della schizofrenia e della paranoia c’è un non adeguato superamento della posizione schizo-paranoide, che il bambino sperimenta nei primi mesi di vita, mentre la genesi della depressione psicotica va individuata nella fissazione alla posizione maniaco-depressiva, propria della seconda parte del primo anno di vita.
2. Nosografia. Abitualmente viene posta la distinzione tra p. organiche, derivanti da una qualche lesione o disfunzione fisica, specie cerebrale, e p. funzionali. Tra quest’ultime sono da segnalare la depressione maniaco-depressiva, la schizofrenia e gli stati paranoidi.
3. Sintomi. I sintomi generali più significativi della p. sono: a) grave distorsione percettiva della realtà (deliri, allucinazioni) e quindi perdita dell’esame di realtà; b) rapporto non efficace con la realtà o ritiro massiccio da essa (appiattimento affettivo, comportamenti catatonici, chiusura sociale); c) regressione a stati narcisistici primitivi; d) netta prevalenza del processo primario su quello secondario e quindi dominanza del pensiero irrazionale su quello razionale (discorso bizzarro, pensiero magico); e) ricorso alla scissione dell’Io e dell’oggetto; f) proiezione di proprie parti «cattive» nell’oggetto e relativa identificazione con esso; g) assenza di autocritica; h) annullamento dei confini tra il Sé e il non-Sé e quindi negazione dell’alterità; i) confusione tra l’immaginario e il reale, tra il mondo interno ed il mondo esterno; l) irrequietezza motoria; m) comportamento eccentrico; n) depressione con idee suicidarie; o) ipocondria.
4. Eziologia. Circa le cause della p. esistono diverse posizioni teoriche. Alcuni insistono di più sui fattori organici, altri su quelli ambientali. Per un chiarimento si rimanda a quanto detto alla voce → psicopatologia.
Bibliografia
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V. L. Castellazzi