MEDIATORE INTERCULTURALE
Non è possibile definire in modo rigido la figura professionale del m.i. La stessa denominazione, infatti, è messa in discussione da quanti preferiscono parlare di «m. culturale» o definirlo in altro modo, sottolineando aspetti diversi del suo ruolo e profilo professionale. Per comprendere la sua identità cercheremo di precisare i vari elementi che ne specificano la figura professionale. Possiamo anzitutto dire che si è cominciato ad avvertirne la necessità con il cambiare delle condizioni e dei progetti degli immigrati: stabilizzandosi nel territorio nazionale hanno bisogno di essere riconosciuti come interlocutori delle istituzioni e come soggetti di cui vanno rispettati i diritti e riconosciuta la diversità etnica, culturale e religiosa.
1. Il m.i. può essere visto, pertanto, come una risposta istituzionale, in una società che di fatto si riconosce come multietnica, e che incontra difficoltà di accoglienza, di inclusione sociale e di capacità di risposta ai bisogni delle persone immigrate per difficoltà di relazione, di comprensione e di comunicazione. Vi è quindi bisogno di un operatore sociale che sia capace di fare da m. in situazioni di specifiche prestazioni da parte dei servizi per agevolarne l’accesso e l’uso da parte degli immigrati; di facilitare la comunicazione e comprensione tra gli operatori istituzionali e gli stessi immigrati per favorire il riconoscimento e l’accoglienza dei bisogni, aiutando a gestire eventuali conflitti; di facilitare i contatti, incoraggiare l’interazione e lo scambio, aiutando a riconoscere le differenze e le specificità culturali, linguistiche e religiose.
2. Il m.i., pertanto, presta la sua opera a livello concreto orientando gli immigrati ai servizi pubblici e privati di cui hanno necessità e facilitandone l’accesso; facilita le relazioni e rimuove barriere di incomprensione attraverso la sua competenza linguistica e culturale; cerca di superare distanze e precomprensioni attraverso un’opera di negoziazione e interscambio tra identità culturali diverse. Per poter fare tutto questo deve avere un’ottima competenza linguistica sia in riferimento all’italiano che ad un’altra lingua; deve essere anche un buon comunicatore ed avere capacità di gestione di eventuali conflitti e tensioni che possono nascere a motivo dell’incomprensione e / o della difficoltà di accettazioni di regole che possono contrastare con abitudini e patrimonio culturali del luogo di origine; conoscere ed essere aggiornato circa l’ordinamento istituzionale della nazione che accoglie.
3. Secondo Massimiliano Tarozzi (1998) gli ambiti fondamentali nei quali il m.i. può intervenire efficacemente sono i seguenti: 1) Situazioni di emergenza, nelle quali è necessario facilitare l’accesso a un servizio, aiutare a interpretare una situazione, a facilitare un inserimento scolastico più adeguato. Tutti questi sono interventi legati all’emergenza e quindi a termine; 2) Funzione di back office, come consulenza e supporto ai responsabili di servizio pubblico e privato per tutto quello che può essere utile per l’espletamento del loro servizio rispettoso della condizione degli immigrati; 3) Animazione interculturale; superata l’emergenza, sarà importante l’attenzione alla diversità delle culture per essere in grado di valorizzare le differenze come risorse per il bene comune.
4. Per un compito così importante e delicato il m.i. ha bisogno di un’adeguata formazione. Oltre ai corsi che si svolgono a livello locale (per es. le province di Roma e di Reggio Emilia) alcune università (Trieste, Padova, Venezia) hanno istituito dei corsi di laurea per consentire una preparazione adeguata a questa professione.
Bibliografia
Tarozzi M., La mediazione educativa. «M. culturali» tra uguaglianza e differenza, Padova, CLUEB, 1998; Belpiede A. (Ed.), Mediazione culturale. Esperienze e percorsi formativi, Torino, UTET, 2002; Beccatelli Gurrieri G., Mediare culture. Nuove riflessioni tra comunicazione e intervento, Roma, Carocci, 2003; Petilli S. et al., M.i. Un’esperienza formativa, Roma, Sinnos, 2004.
V. Orlando