KANT Immanuel
n. a Königsberg nel 1724 - m. ivi nel 1804, filosofo e professore di pedagogia tedesco.
1. Dopo una fase influenzata dalla filosofia del razionalismo leibniziano-wolffiano (periodo pre-critico), a partire dal 1770 K. sviluppò la sua originale filosofia (periodo critico), nell’intento di rispondere a tre principali domande: a) che cosa possiamo sapere; b) che cosa dobbiamo volere; c) che cosa possiamo sperare. Ad esse rispondono le tre Critiche (della Ragion pura, della Ragion pratica, del Giudizio), stabilendo che la nostra conoscenza è limitata al mondo dei fenomeni, ma che il nostro dovere ci fa soggetti di un regno dei fini che va oltre di essi. I postulati della ragion pratica (Libertà, immortalità, Dio) ci permettono di asserire valori oltre la sfera empirica giudizi sul bello e sui fini ci fanno intravedere quali possano essere questi valori.
2. Dalla sua filosofia K. ricava un’impronta fortemente morale alla concezione educativa, che non è permissiva bensì centrata sul senso del dovere come obbedienza alla legge autonoma della ragione. Questa non consiste nel piegarsi a un legislatore esterno (fosse pure presentato come divinità), ma nello svolgere la legge intrinseca della ragione, che pone l’esigenza di «universalizzare» la condotta, vale a dire di assumere come regola dell’agire quella che si vorrebbe come legislazione universale. Il principio «fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te» è una interpretazione fedele della legge.
3. A differenza di → Rousseau, di cui pure ammira l’acutezza, K. ritiene che il fanciullo non sia «naturalmente buono», e condivide piuttosto le tesi luterane sulla persistenza di tracce di un «male radicale»; perciò il fanciullo non può essere lasciato allo spontaneo sviluppo delle sue tendenze. Al contrario, queste devono essere disciplinate. L’educazione è necessaria affinché l’uomo passi dalla natura alla cultura, dall’animalità all’umanità. Oltre ad assimilare «regole dell’abilità» e «consigli della prudenza» necessari alla vita adulta, ma basati su imperativi «ipotetici» o strumentali, l’educando deve essere avviato ad obbedire alla voce della → coscienza che detta il dovere morale, che invece è incondizionato, in quanto è imperativo categorico. Nelle sue lezioni di Pedagogia, trascritte da un discepolo, egli insiste soprattutto sulle virtù della sincerità e della lealtà, ed è ostile agli accomodamenti e ai compromessi con la coscienza, che deve essere libera e intemerata.
4. Tuttavia, K. è uno studioso della psicologia del suo tempo e si occupa degli aspetti dello sviluppo e dei temperamenti nella sua Antropologia prammatica e in alcuni paragrafi della Metafisica dei costumi; perciò si rende conto che un rigorismo assoluto potrebbe avere effetti controproducenti, e in via transitoria ammette che il rispetto rettamente inteso verso l’autorità dei genitori e degli educatori, e in ultima istanza di Dio, possa avviare alla moralità. In questo senso nell’opera La religione nei limiti della pura ragione egli dà un’interpretazione razionale del cristianesimo e del luteranesimo, mostrando la congruenza di questo con i dettami della ragione. In queste opere egli tiene conto dei dati empirici e storici che possono in certi casi contrastare, ma in altri favorire l’educazione al dovere. Personalmente, egli era stato allevato nell’osservanza luterana di indirizzo pietistico nel Collegio Fridericianum, e per qualche tempo aveva avuto esperienze di insegnamento come precettore, prima di essere per lunghi anni docente universitario, non solo di logica e metafisica, ma anche di matematica e geografia fisica.
Bibliografia
Campo M. - V. Mathieu (Edd.), Questioni di storiografìa filosofica, vol. 3, Brescia, La Scuola, 1974, 9-132; Rigobello A., «K. pedagogista», in Nuove questioni di storia della pedagogia, Ibid., 1977, 207-239; Kauder P., I.K. über Pädagogik: Studien, Baltmannsweiler, Hohengehren, Schneider-Verlag, 1999; Bianchi M. L., Commento alla Critica della facoltà di giudizio di K., Firenze, Le Monnier, 2005.
M. Laeng