ISTRUZIONE PROGRAMMATA

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ISTRUZIONE PROGRAMMATA

L’i.p. è una delle tecniche didattiche che hanno riscosso maggior successo a livello mondiale a partire dagli anni ’50. La letteratura sull’argomento è vastissima. L’i.p. è legata ai nomi di S. L. Pressey che, a partire dal 1924, inventò, insieme ai suoi collaboratori, un dispositivo di autoistruzione (teaching machines),​​ e di altri due statunitensi,​​ ​​ B. F. Skinner e N. Crowder. Essa, di difficile definizione, può essere considerata come una tecnica dell’autoapprendimento che comporta una programmazione strutturata, costruita cioè con particolari sequenze programmate in progressione logica e con massima graduazione delle difficoltà, che consentono allo studente di procedere secondo il proprio ritmo verificando immediatamente l’esattezza o meno delle risposte date. Le sequenze si distinguono in​​ lineari​​ e​​ ramificate​​ e possono presentarsi sotto forma di libro, fascicoli, schede, dischetti, quindi con supporto meccanico o elettronico.

1.​​ Skinner e i programmi «lineari».​​ Skinner è l’esponente del programma chiamato «lineare» che viene costruito in base a quattro principi: a) della partecipazione attiva per cui provoca una risposta da «costruire» da parte dell’alunno come completamento di un’informazione o un’asserzione; b) dei piccoli passi (step by step)​​ secondo cui ogni passo corrisponde a un riquadro (frame)​​ e ad una unità di contenuto ridottissima (item)​​ c) del​​ feedback continuo,​​ ossia della conoscenza immediata dei risultati mediante il confronto con la risposta-modello; d) del rispetto del ritmo di apprendimento di ciascun alunno. Skinner, secondo la teoria del rinforzo, crede che le risposte ripetutamente giuste rinforzino / gratifichino l’apprendimento e perciò, non volendo che l’alunno sia indotto in errore, i programmi devono essere costruiti in modo da assicurare almeno un successo del 90%.

2.​​ Crowder e i programmi «ramificati» o «intrinseci».​​ Crowder, pur accettando i principi della risposta attiva e della conferma immediata delle risposte giuste, propone, a differenza dei programmi lineari, un modello di programmazione articolata e flessibile, ossia programmi plurisequenziali chiamati «ramificati» (branching programs)​​ o «intrinseci» (intrinsic programs)​​ corrispondenti alle risposte scelte. L’individualizzazione avviene non solo secondo il ritmo di ciascuno, ma anche permettendo a ciascuno un percorso differenziato in base ai risultati che egli man mano consegue. Di qui il cosiddetto «libro mischiato» (scrambled book)​​ il quale, pur avendo la numerazione ordinaria delle pagine, prevede un ordine di lettura personale secondo la sequenza dipendente dalle proprie scelte. Infatti, in ogni​​ frame,​​ accanto alle alternative della scelta multipla, viene indicata la pagina del rinvio. A seconda del modo di indicare la risposta-modello si parla di​​ libri a programmi verticali,​​ cioè con la risposta esatta posta accanto all’unità successiva, o di​​ testo orizzontale,​​ che pone la risposta esatta nella pagina successiva.

3.​​ La tecnica.​​ La tecnica dell’i.p. non si presta allo stesso modo per tutte le materie di studio. I programmi skinneriani, di unisequenzialità assoluta, si prestano maggiormente per introdurre gli alunni negli argomenti nuovi, soprattutto elementari e fondamentali, quelli crowderiani per l’autoapprendimento delle conoscenze complesse, mentre quelli di Pressey, di linearità a scelta multipla, sono più indicati per il riepilogo, l’esercizio o il recupero e non come materiale di autoapprendimento vero e proprio. Il computer, di uso sempre più diffuso oggi, facilita enormemente la costruzione e l’impiego di tali programmi. La logica dell’i.p., con la sua rigorosa programmazione delle sequenze di apprendimento, è il prototipo della tecnologia dell’insegnamento, nel senso che per ogni unità si programmano minuziosamente i microelementi di​​ obiettivo,​​ contenuto,​​ strategia didattica,​​ controllo.​​ Tale tecnica, perciò, rappresenta una perfetta realizzazione di​​ ​​ algoritmi didattici: accertamento delle condizioni di ingresso, definizione dei compiti / obiettivi, riordinamento sequenziale dei contenuti, prove di verifica. La tecnica dell’i.p., senza dubbio, contribuisce alla strutturazione logica dei contenuti didattici, all’individualizzazione, ad una nuova concezione della valutazione, alla chiarezza e all’essenzialità dell’informazione fornita. Se ha riscosso tanto successo ciò è dovuto proprio a queste caratteristiche a cui la didattica deve prestare attenzione, pur non risolvendone tutti i problemi. Infatti lascia scoperte importanti aree: la promozione del pensiero divergente, la creatività, la socializzazione. Essa va quindi integrata con il metodo della ricerca (che incoraggia l’iniziativa culturale), con la creatività, con l’assunzione di responsabilità, ecc.

Bibliografia

Gavini G.,​​ Manuel de formation aux techniques de l’enseignement programmé,​​ Paris, 1965; Skinner B. F.,​​ The technology of teaching,​​ New York, 1968; Pocztar J.,​​ The theory and practice of programmed instruction.​​ A guide for teachers,​​ Paris, ESF, 1972; Vaccaroni F., «L’i.p.: aspetti, problemi, prospettive», in E. Bernacchi Cavallini et al.,​​ Il​​ modo nuovo di fare scuola,​​ Milano, Fabbri, 1978,141-193;​​ Ferrández A. - J. Sarramona - L. Tarín,​​ Tecnología didáctica. Teoría y práctica de la programación escolar,​​ Barcelona, CEAC,​​ 41979.

H.-C. A. Chang