PREGIUDIZIO
In senso filosofico p., specie dopo la fenomenologia e l’ermeneutica, è venuto a significare il mondo delle conoscenze previe, spesso allo stato di ovvietà, che precedono la presa di coscienza o la categorizzazione concettuale e con cui partiamo a «leggere» e «comprendere» la realtà, i fatti, gli eventi e le persone. In senso comune tuttavia il p. è un’immagine mentale con connotazioni affettive di segno negativo verso un gruppo o una persona esterna fondato sugli stereotipi o immagini che ognuno si fa nella propria mente di persone e gruppi. Dai p. possono derivare dei modi di agire particolari non desiderati dalle persone e gruppi; a questi modi di agire viene dato il nome di discriminazioni. Quando i p. non riflettono né le capacità e i meriti individuali né i comportamenti di persone o gruppi specifici, allora sfociano in attività discriminatorie che negano ai gruppi e alle persone la parità di trattamento e diventano strumenti di incomprensione, di divisione e di conflitto.
1. Origine dei p. Secondo le teorie coercitive i p. deriverebbero da processi di competizione tra i gruppi a causa della scarsezza di risorse (Campbell, 1965; Sherif, 1967); la minaccia esterna nei riguardi delle risorse disponibili avrebbe l’effetto di potenziare la solidarietà del gruppo o della persona minacciata. Altri sostengono che i processi di discriminazione dovuti ai p. potrebbero sorgere anche nella completa assenza di conflitto e conseguente coercizione: lo → status del gruppo di appartenenza sarebbe uno strumento importante per l’attuazione e il mantenimento dell’identità sociale. Quindi si attuerebbero processi di p. per fuggire dai gruppi di basso status e di rafforzamento dello status dei gruppi accettati. I favoritismi verso il proprio gruppo d’identificazione aiuterebbero ad operare appropriate differenziazioni dal gruppo esterno. Il denaro disponibile potrebbe essere una dimensione importante per il confronto tra i gruppi. Secondo le teorie dell’apprendimento sociale i p. sarebbero il risultato di → apprendimento, di effettiva osservazione di ruoli e differenze presenti nei gruppi o derivanti da influenze di mass media, della scuola, dei genitori e dei coetanei. A queste spiegazioni interpersonali si possono contrapporre o aggiungere spiegazioni intrapersonali di natura psicologica. Secondo le teorie psicodinamiche, che danno peso agli aspetti motivazionali, il p. e quindi lo stereotipo, sarebbe il risultato di conflitti e di disadattamento nella psiche della persona; e pertanto rappresenterebbe il sintomo di profondi conflitti di personalità. Ad es. secondo la teoria del capro espiatorio, l’aggressività verso il gruppo esterno, sarebbe uno spostamento dell’aggressività da un frustratore potente, una fantasia dentro la mente, verso un inerme gruppo minoritario. Le teorie cognitiviste danno maggiore importanza alla limitatezza della mente umana a gestire i processi informativi. Tali limiti provocano fallimenti in ambito percettivo e cognitivo e quindi valutazioni errate dei fatti. Di qui nascerebbero correlazioni illusorie, cioè il vedere coincidenze tra particolari caratteristiche visibili perché sono meno comuni. Ad es. sarebbero particolarmente visibili i comportamenti negativi rispetto a quelli positivi o i gruppi minoritari rispetto ai gruppi di maggioranza; per cui più facilmente si attribuirebbero ai gruppi minoritari le caratteristiche negative. Secondo un modello di categorizzazione-individuazione le persone si formerebbero delle impressioni partendo da categorizzazioni sommarie per allargarle poi muovendosi lungo un continuo che va verso il reperimento di informazioni individuanti che permettono maggiori distinzioni. Gli aspetti referenziali usati per creare le impressioni di partenza, che servono per definire e organizzare gli altri attributi, costituiscono l’etichetta categoriale; gli altri aspetti referenziali costituiscono gli attributi. L’etichetta richiamerebbe dalla memoria caratteristiche con essa collegate e influenzerebbe in modo sproporzionato il processo di formazione delle impressioni prima ancora che si abbiano informazioni specifiche sulle persone e sui gruppi. Di tali modalità e processualità si avrebbe cospicua espressione nell’etichettamento di una persona, «bollata» ad es. come deviante, tossicodipendente, contestatrice, «bastian contraria». Secondo la teoria della congruenza dei valori e delle convinzioni, i membri dei gruppi esterni sarebbero discriminati e rifiutati non sulla base della presenza di convinzioni e atteggiamenti e valori diversi o in disaccordo con i propri. Secondo questo modo di vedere, il p., e poi la discriminazione, sarebbero una derivazione abbastanza diretta degli stereotipi. L’assenza di certi valori, o profonde diversità nella gerarchizzazione dei valori, porterebbe alla delegittimazione di persone o gruppi fino al punto di considerarli non più umani e quindi non più meritevoli di essere trattati come tali.
2. P. e intervento educativo. Secondo le teorie cognitive sembrerebbe che un intervento correttivo per attutire le conseguenze negative del p. richiede di informare, perché alla base delle tensioni tra gruppi e persone ci sono gli stereotipi causati soprattutto dall’ignoranza e dalla disinformazione. Una condizione necessaria per generare comprensione e valutazione positiva tra i gruppi è che i membri di essi capiscano le reciproche caratteristiche culturali attraverso un’adeguata informazione, soprattutto con l’aiuto dei mezzi di comunicazione di massa e del sistema educativo. Altri ritengono che l’approccio informativo sia insufficiente e che sia importante tener conto dei modelli di apprendimento diretto attraverso il contatto e l’incontro per conoscersi e capirsi (Allport, 1954). Dalle concezioni psicodinamiche il correttivo deriverebbe dall’affrontare sistematicamente nelle persone i conflitti intrapsichici e quindi occorrerebbe presentare programmi per raggiungere l’obiettivo di cambiare le persone nel loro mondo psichico attraverso la comprensione di se stessi e della propria mentalità; strumenti importanti sarebbero la → psicoterapia e i gruppi di formazione. Le teorie coercitive infine presuppongono un correttivo attraverso l’attuazione della giustizia sociale.
Bibliografia
Allport G. W., The nature of prejudice, Reading, Addison Wesley, 1954; Campbell D. T., «Ethnocentric and other altruistic motives», in D. Levine (Ed.), Symposium on motivation, Lincoln, University of Nebraska Press, 1965; Sherif M., Group conflict and cooperation, London, Routledge and Kegan, 1967; Schwartz S. H. - N. Struch, «Values, stereotypes, and intergroup antagonism», in D. Bar-Tal et al. (Edd.), Stereotyping and prejudice: Changing conceptions, New York, Springer, 1989; Scilligo P., «L’incontro tra persone e gruppi: aperture e barriere», in C. Nanni (Ed.), Intolleranza, p. e educazione alla solidarietà, Roma, LAS, 1991; De Caroli E., Categorizzazione sociale e costruzione del p., Milano, Angeli, 2005.
P. Scilligo