STUPORE

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STUPORE

Il termine s. (dal lat.​​ stupere,​​ sbalordire, dalla radice indoeuropea​​ [s]teup,​​ battere) indica lo stato di grande​​ ​​ meraviglia che colpisce e lascia attonito il soggetto. Per​​ ​​ Kant lo s. è «l’effetto prodotto dalla novità superiore all’attesa» (Kant, 1974, 126).

1. In genere lo s. viene assimilato alla meraviglia perché anche quest’ultima è un’emozione prodotta dalla novità. Ma dopo la definizione kantiana dello s. come sentimento del sublime non è più possibile operare questo scambio. Se si assumono infatti come riferimento gli studi di Kant, è possibile operare una distinzione tra s. e meraviglia, qualificando il primo come un sentimento estetico-morale che predispone all’azione; la seconda come un sentimento cognitivo che sfocia in curiosità e favorisce l’apprendimento. Ma già​​ ​​ Platone considerava lo s. (thaumàzein)​​ un sentimento da filosofo (Platone, 1974,182): una sensibilità che afferisce più alla ragione che al sentimento. Allo stesso modo fa Kant, che tuttavia media il collegamento tra ragione e sentimento attraverso la dimensione estetica. Il filosofo tedesco distingue, infatti, il giudizio estetico in bello e sublime. Ma la loro natura è il sentimento; il primo si basa sull’attrazione, il piacere della forma; il secondo su di un senso di ripulsa e di attrazione, disorientamento e riconoscimento, che si risolvono nella commozione dello s. «Lo s. nasce quando l’animo urta nell’impossibilità di conciliare una rappresentazione e la regola data da questa, coi principi che in esso sono fondamentali, in modo che gli nasce il dubbio se abbia ben visto e giudicato» (Kant, 1974, 232). Lo stesso sentimento ambivalente di spavento e sorpresa accompagna anche in Pascal l’annaspare del pensiero che tende a proiettarsi in dimensioni oltre lo spazio ed il tempo terreni (Pascal, 1995, 28). Per capire la qualificazione kantiana dello s. (sentimento etico in quanto estetico) bisogna riferirsi al fondamento universale di questo sentimento soggettivo. Esso si basa su un a-priori dato dal nostro sentimento morale. Sicché lo s. che si prova di fronte ad uno spettacolo sublime non è in realtà prodotto dall’oggetto, perché esso è un’affezione tutta interna al soggetto, determinata dalla constatazione della rispondenza della natura alla nostra modalità di rappresentazione estetica. S. è commozione nel sentirsi confermati come soggetti morali, sicché oggetto di vero s. rimane «il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me» (Kant, 1982, 197).

2. La dinamica dello s. è in relazione alla sua natura estetica, di piacere disinteressato, legato alla forma. Si genera in noi dalla semplice presa d’atto dell’oggetto in virtù della conservazione di uno sguardo ingenuo,​​ naïf,​​ «come fanno i poeti, secondo ciò che ci mostra la vista» (Kant, 1974, 124). Rispetto all’attrazione del bello che si sviluppa «dalla finalità soggettiva nella rappresentazione di un oggetto, senza nessun fine» (Kant, 1974, 65), lo s. consiste nella commozione di una scoperta ulteriore che non è la finalità di una semplice forma naturale, ma della natura nella sua totalità. Questa possibilità di comprensione oltre il sensibile che si consegue con l’aiuto della ragione in concomitanza di aspetti naturali smisurati, eccessivi, apparentemente disformi è ciò che fa dello s. un sentimento di livello superiore, che eleva al razionale, al disvelamento della purezza della legge morale.

3. L’importanza della cultura di questo sentimento sotto il profilo educativo è evidente. Esso prelude alle aperture della ragione, alle possibilità di una comprensione ultrasensibile e, negli sviluppi kantiani, rappresenta il livello più alto del sentimento morale e, per questo, esso occupa un posto privilegiato in una formazione morale che parta dal sentimento, dal movente piuttosto che dal motivo morale, come in genere si tende a fare. Un’educazione del sentimento dello s. inizia dalla natura, da quella vista ingenua che deve essere conservata come via di conoscenza peculiare rispetto al metodologismo della scienza. Favorisce lo s. ciò che in natura si dà come grande, potente, illimitato, oltre le nostre possibilità di misura: «le rocce che sporgono audaci e quasi minacciose, le nuvole di temporale che si ammassano in cielo tra lampi e tuoni, i vulcani che scatenano tutta la loro potenza distruttrice, e gli uragani che si lasciano dietro la devastazione, l’immenso oceano sconvolto dalla tempesta, la cataratta di un gran fiume, ecc.» (Kant, 1974, 122). Ma suscita commozione e s. anche la bellezza morale. Perciò una via ancor più efficace di educazione del sentimento morale nella direzione dello s. sono gli esempi, che rappresentano azioni, comportamenti ispirati ad un alto senso della dignità umana. Di fronte a tali esempi «il giovane ascoltatore verrà elevato gradatamente dalla semplice approvazione alla meraviglia, da questa allo s., finalmente alla più grande venerazione e a un vivo desiderio di poter anche lui essere un uomo simile» (Kant, 1982, 187).​​ 

Bibliografia

Kant I.,​​ Critica del giudizio,​​ Bari, Laterza, 1974; Platone, «Teeteto», in G. Pugliese Carratelli (Ed.),​​ Tutte le opere,​​ Firenze, Sansoni, 1974; Kant I.,​​ Critica della ragion pratica,​​ Bari, Laterza, 1982; Arendt H.,​​ La vita della mente,​​ Bologna, Il Mulino, 1987; Kant I.,​​ Lezioni di etica,​​ Bari, Laterza,​​ 21991; Id.,​​ Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime,​​ Milano, Rizzoli,​​ 21993; Pascal B.,​​ Pensieri,​​ Trento, Orsa Maggiore, 1995; Xodo C.,​​ S. e conoscenza,​​ in «Scuola e Didattica» 17 (1995) 50-64.

C. Xodo