RELATIVISMO ETICO

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RELATIVISMO ETICO

Un certo​​ pluralismo etico​​ è sempre esistito nel mondo dell’uomo. Spesso si radica in un più vasto pluralismo culturale e, dati gli inevitabili rapporti esistenti tra etica e religione, si accompagna a un certo pluralismo religioso che non raramente è sfociato nel passato (ma in parte tuttora) in forme di conflittualità e pratiche di imperialismo religioso. Forse anche per evitare queste forme di conflitto, si sta diffondendo l’idea che ogni forma di convinzione morale debba avere uguale diritto di presenza nella società globale in cui viviamo. Questa tolleranza sbocca facilmente in un vero e proprio r.e.

1. La diversità delle opinioni etiche non è più vista come un​​ minor male, magari superabile solo parzialmente e lentamente, attraverso un dialogo franco e sereno, ma addirittura come una ricchezza e quindi come un valore. È facile vedere come questa tendenza, mentre sottolinea il ruolo della coscienza e delle convinzioni personali nel vissuto etico e religioso, minaccia la serietà del vissuto etico: se tutte le forme di pensiero morale, per quanto diverse e perfino contraddittorie, fossero ugualmente valide, nessuna di esse potrebbe arrogarsi il privilegio della verità; sarebbe come dire che tutti le affermazioni morali sono sempre discutibili e rifiutabili. Mentre il pluralismo etico invita alla ricerca e al dialogo, fosse pure animoso, il r.e. abbatte le fondamenta stesse del pensiero morale.

2. Ed è facile vedere come il r.e. si riveli minaccioso, in un mondo in cui l’umanità può, con una possibile guerra nucleare totale, o anche solo con il saccheggio della natura, distruggere la sua stessa sopravvivenza. Nelle sue forme estreme, il r. morale finisce per negare serietà e carattere obbligante a qualsiasi affermazione etica. Per questo, non sono mancati pensatori che hanno cercato di elaborare un’etica dotata di validità universale, capace perciò di essere accettata da tutti. E, poiché alla radice di o almeno collegato con il pluralismo etico si trova spesso il pluralismo delle religioni, una simile forma di pensiero morale dovrebbe essere valida a prescindere da ogni riferimento al mondo del divino, e fondarsi quindi solo su principi di ragione per sé evidenti e perciò, almeno potenzialmente, universali. Una simile forma di pensiero morale vorrebbe essere, ad es., quella fondata sul cosiddetto​​ principio di reciprocità,​​ che impegna il soggetto a comportarsi con gli altri come egli vorrebbe che essi si comportassero con lui. Questo principio (già presente peraltro nell’evangelico «ama il prossimo tuo come te stesso») è il contenuto del cosiddetto «imperativo categorico» che sta alla base dell’etica kantiana e che è stato ancora recentemente ripreso nella «teoria della giustizia» di J. Rawls e nell’«Etica della comunicazione» di J. Habermas e O. Apel, come fondamento di un’etica universale. Altri tentativi recenti di dare fondamento stabile a un’etica universale tendono a privilegiare l’urgenza di salvare la vita sulla terra dal pericolo incombente di una catastrofe ambientale: così ad es.​​ Il principio responsabilità​​ di H. Jonas.

3. Si noti come nelle diverse «teorie della società» ideale che, dall’Illuminismo in poi, attraversano non solo la storia del pensiero ma anche la prassi politica del nostro tempo, sia sempre inclusa, se pure magari non esplicitata, una qualche forma di pensiero morale che aspira a un consenso universale. Il credente guarda con interesse a queste forme di pensiero morale, riconoscendo in esse una risposta al bisogno di certezze etiche, che nasce dal cuore dell’uomo e dalle stesse esigenze della convivenza sociale, a livello mondiale. E tuttavia non ci si può nascondere la radicale insufficienza di tutti questi tentativi. Essi sono infatti privi di una vera efficacia motivante. La loro attuazione pratica esigerebbe quel supplemento di motivazione che solo qualcosa di equivalente a una fede religiosa potrebbe dare. Ora una tale unanimità motivazionale non appare ancora all’orizzonte dell’umanità.

4. Per il cristiano, una realtà così complessa e contraddittoria rappresenta una sfida: egli ritiene infatti di possedere un insieme di certezze che possono costituire il nucleo portante di un’etica universale. Per questo egli si sente chiamato ad attuare nella propria vita l’impegno morale del Vangelo, in tutta la sua serietà, e perciò in maniera esemplare e contagiosa, così come esigito dalla sua fede. Compito dell’educazione morale cristiana, attuata sia nella famiglia credente, che attraverso l’azione diretta della Chiesa è proprio anche quello di creare nell’educando credente una simile percezione di responsabilità, in certo modo universale.

Bibliografia

Gründel J.,​​ Mutabile e immutabile nella teologia​​ morale, Brescia, Morcelliana, 1976;​​ Rippe K. P.,​​ Ethischer Relativismus,​​ seine Grenzen,​​ seine Geltung, Paderborn, Schöning,​​ 1993; Harnan G.,​​ Moral relativism and moral obiectivity, Cambridge Mass., Blackwell, 1996; Corbi E.,​​ La verità negata. Riflessioni pedagogiche sul r.e., Milano, Angeli, 2005.

G. Gatti