rappresentazione della CONOSCENZA

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CONOSCENZA:​​ rappresentazione della

Rispetto al passato, in cui prevaleva la ricerca di tipo filosofico sulla natura della c., gli studiosi contemporanei sembrano preferire la ricerca su come la c. sia rappresentabile, su come si trovi nella mente umana, su quanti e quali tipi di c. l’uomo disponga, su come la c. muti, si trasformi, venga acquisita o rimanga nella memoria a lungo termine. Possiamo immaginare la mente come la sede nella quale conserviamo, elaboriamo, organizziamo, inventiamo c. e informazioni. Nel 1972 Tulving ipotizzò un doppio archivio di c.:​​ episodiche​​ e​​ semantiche.​​ Le prime sarebbero c. che si riferiscono a esperienze personali spazialmente e temporalmente definite. Le seconde, di natura più astratta, esprimono l’essenza di qualcosa e su di esse si possono compiere operazioni logiche e inferenziali che non è possibile fare sulle prime. La distinzione di Tulving ha indotto gli studiosi ad analizzare altri tipi di c.

1.​​ Le c. dichiarative.​​ I vari tipi di c. riferentisi a «qualcosa» sono in genere indicati come c.​​ dichiarative.​​ Esse includono tutte le informazioni, sia sensoriali che semantiche che possediamo del mondo che ci circonda. Sono di diversa provenienza e di diverso livello di astrazione; possono appartenere ad un’identica area di significato o di oggetti ed essere in vario modo collegate tra loro o richiamarsi a vicenda. In ogni caso costituiscono la rappresentazione che abbiamo delle cose, degli eventi o delle situazioni del mondo e dell’ambiente nel quale viviamo. Hanno una importanza straordinaria perché ci permettono di muoverci velocemente nella grande complessità della realtà circostante, di categorizzare, di formulare ipotesi, di inferire, di comunicare, ecc. Paivio (Clark-Paivio, 1987) ha sostenuto che, oltre ad un archivio per le informazioni episodiche e semantiche, vi sia nella memoria anche un archivio di​​ immagini.​​ La sua tesi è sostenuta da varie ricerche, anche se non è mancato chi non ha condiviso questa posizione. L’esigenza di ipotizzare differenti processi ed archivi si è inizialmente fondata sulla constatazione che parole ed immagini hanno una realtà profondamente diversa. Le prime sono rappresentazioni simboliche di caratteristiche fonetiche; sono costituite da unità separabili e combinate secondo un ordine sequenziale. Il linguaggio verbale deve essere necessariamente sequenziale, pena la perdita di significato. Diverso è il codice visivo, dove le parti e le unità sono integrate, formano un continuo, sono analoghe agli oggetti reali, sono rappresentazioni olistiche e le varie parti non possono essere distinte, come invece accade per le lettere di una parola. L’uso di moderne metodologie di analisi ha fornito in questo campo dati di estremo interesse. Le rotazioni di immagini mentali hanno presentato caratteristiche assai simili a quelle che avvengono nella realtà. Il tempo necessario per esaminare un’immagine mentale si è dimostrato più o meno lungo a seconda della distanza dell’elemento da trovare dal punto di partenza. I processi connessi a compiti di immaginazione o percettivi, indagati mediante la tecnica del controllo del flusso ematico con emissione di positroni (PET) sembrano essere localizzati in specifiche parti della corteccia cerebrale (Kosslyn et al., 1993). Il movimento svolto o previsto è stato riscontrato corrispondente alla combinazione di vettori di cellule neuronali che indicano la direzione. In generale questo tipo di c. sembrerebbe globalmente possedere intrinsecamente le proprietà degli oggetti e degli eventi; avere una funzione importantissima per il riconoscimento di qualche cosa che viene percepito; mantenere informazioni che al momento dell’acquisizione possono essere riconosciute come poco importanti.

2.​​ Le c. semantiche.​​ Un secondo tipo di rappresentazione di c. è quella simbolica e riferibile all’area dei significati, ai contenuti semantici. La ricerca ha presentato molti modelli di rappresentazione semantica differenziantisi per l’ampiezza dell’unità che intendono rappresentare (parole, frasi, unità più complesse) e per il modo di rappresentarle. Tutti i modelli hanno la caratteristica comune di usare dei simboli: alcuni rappresentano le c. gerarchicamente a forma d’albero o di rete, altri attraverso un elenco a cui vengono associate procedure per la loro interpretazione. La proposizionale è stata la modalità più comune e diffusa. Questa modalità, rispetto a quella per immagini che mantiene «intrinsecamente» la struttura dell’oggetto rappresentato, usa un sistema arbitrario e simbolico e per questo mantiene «estrinsecamente» la struttura della c. rappresentata. A sostenere l’idea che la rappresentazione sia in grado di descrivere con una certa attendibilità le c. nella mente hanno contribuito diverse ricerche evidenziando come testi con lo stesso numero di parole richiedessero più tempo di lettura se contenevano un maggior numero di proposizioni oppure che il tempo di ricupero di parole lette in testi variasse a seconda che le parole si trovavano nella stessa proposizione o in proposizioni diverse. Questa modalità di rappresentazione ha avuto una grande diffusione sia nel campo della ricerca psicologica che educativa (costruzione delle mappe semantiche, educazione alla lettura e comprensione, apprendere da testo scritto), perché si è dimostrato un procedimento estremamente efficace e flessibile per rappresentare c. non riducibili a quelle concettuali, ma dotate di una complessità tale da essere assimilabili a quelle espresse in testi linguistici. La stessa linea di ricerca ha rilevato anche la presenza nella mente di c. complesse indicate con vari nomi:​​ script,​​ frame,​​ schemi,​​ mental model,​​ cognitive map.​​ Esse hanno in comune la particolarità di contenere le caratteristiche con cui un certo oggetto o evento abitualmente si presenta. Lo​​ script​​ ad es. rappresenta c. complesse costituite da una sequenza temporale di scene, il​​ frame​​ o lo schema rappresentano in genere scene (una stanza) che condividono elementi (muri, soffitto, pavimento, mobilio, quadri, luce, ecc.), forma (rettangolare o squadrata), grandezza (tra i 16 e i 25 mq.) ecc. I​​ mental model​​ rappresentano c. proposizionalmente descrivibili, ma per alcuni miste anche a rappresentazioni analogiche, varianti da persona a persona, da situazione a situazione, esperienze vissute.

3.​​ Le c. procedurali.​​ Dalle c. semantiche vanno distinte le c.​​ procedurali.​​ Esse riguardano azioni, cioè tutte quelle informazioni che una persona possiede relativamente al modo di fare qualcosa. Ad es., sono c. procedurali quelle suggerite da un insegnante ad un alunno perché impari ascrivere, a memorizzare, a calcolare. Le c.-azioni sono rappresentabili attraverso l’indicazione delle​​ procedure​​ che devono essere eseguite (Anderson, 1983). La ricerca su questo tipo di c. non è stata amplissima anche perché l’efficacia del suo uso è stata immediata e grandissima. Le evidenze più forti sono venute dall’osservazione delle persone affette da amnesia: esse perdono la memoria delle c. dichiarative, ma non di quelle procedurali. Anche gli errori commessi da studenti nelle prestazioni cognitive spesso rivelano un errore o un deficit nella c. procedurale che dovrebbe guidarli nella loro attività. La teoria della c. procedurale ha avuto anche una interessante applicazione nell’apprendimento di abilità. Secondo Anderson (1987) un’abilità verrebbe inizialmente appresa come dichiarativa e solo con l’esercizio e il transfer diventerebbe automatizzata e sarebbe archiviata nella memoria procedurale a lungo termine. L’automatizzazione nelle prestazioni spiegherebbe le differenze tra esperti e principianti. Gli esperti avendo automatizzato le c. dichiarative necessarie per l’esecuzione del compito possono attuare le loro prestazioni in modo più rapido alleggerendo il peso della memoria lavoro. Le conseguenze educative e le possibilità esplicative di molti comportamenti sono state amplissime. Nel campo educativo la teoria della c. procedurale offre un modello di riferimento per stabilire obiettivi di apprendimento, comprendere gli errori di prestazioni e suggerire come intervenire.

4.​​ La c. esplicita e la c. implicita.​​ Se invece di osservare le c. a partire dalla loro realtà, le si considera attraverso il modo in cui possono essere acquisite, esse si distinguono in esplicite e implicite. Le prime sono c. sia dichiarative che procedurali il cui momento di acquisizione è conscio e ricuperabile; le seconde, al contrario, sono quelle il cui ricordo non è posseduto dal soggetto anche se questi dimostra di possederle e di utilizzarle. Sebbene vi possa essere una relazione tra i due tipi di c., alcuni dati di ricerche sembrano dimostrare che esse sono mantenute in archivi diversi (Schacter, 1987; Schacter - Tulving, 1994).

5.​​ Conclusione.​​ La rappresentazione delle c. costituisce certamente la novità maggiore prodotta dalla ricerca cognitivista di questi ultimi decenni. Essa è anche al centro dell’interesse di un nuovo ambito di studi rappresentato dal connessionismo che invece di assumere come «paradigma» interpretativo la metafora del computer assume il cervello. Da questo punto di vista la c. è il prodotto di molte interazioni tra molti elementi semplici come i neuroni tali da formare delle «reti neurali».

Bibliografia

Tulving E. - W. Donaldson (Edd.),​​ Organization of memory,​​ New York, Academic Press, 1972;​​ Skill acquisition: compilation of weak-method problem solutions,​​ in «Psychological Review» 94 (1987) 192-210; Clark J. M. - A. Paivio, «A dual coding perspective on encoding processes», in M. A. McDaniel - M. Pressley (Edd.),​​ Imagery and related mnemonic processes: theories,​​ individual differences and applications,​​ New York, Springer-Verlag, 1987, 5-33; Schacter D. L.,​​ Implicit memory: history and current status,​​ in «Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition» 13 (1987) 501-518; Kosslyn S. M. et al.,​​ Visual mental imagery activates topographically organized visual cortex: PET investigations,​​ in «Journal of Cognitive Neuroscience» 5 (1993) 263-287; Schacter D. L. - E. Tulving (Edd.),​​ Memory systems 1994,​​ Cambridge, MIT Press, 1994.

M. Comoglio