TOLLERANZA

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TOLLERANZA

Il termine deriva dalla stessa radice del lat.​​ tollere, nel senso di «portare un peso». Si è diffuso, specie a partire dal XVII sec., col significato di disponibilità a lasciare esprimere e diffondere posizioni religiose o filosofiche anche profondamente diverse dalle proprie.

1. Benché nell’antichità greco-romana l’individuo tendesse ad essere assorbito nello Stato e la religione apparisse, in genere, legata alla politica e ridotta all’adempimento di riti, furono anche esaltate eroine come Antigone, fedeli, prima che alle leggi umane, alle leggi «non scritte ma incrollabili» e non mancarono uomini come Socrate che, pur nel rispetto delle leggi, testimoniarono la fedeltà a valori più alti, maturati nel profondo della coscienza. È col​​ ​​ Cristianesimo però che si afferma la convinzione che la libertà di coscienza non sia un privilegio di pochi, ma un diritto di ogni persona, di qualsiasi ceto sociale. «Cristo​​ ​​ scriveva nel II sec. Giustino (II​​ Apologia​​ 10, 6)​​ ​​ non ha come Socrate solo filosofi e filologi per discepoli, ma anche operai e uomini senza cultura» e, mezzo secolo dopo, Clemente Alessandrino osserva (Stromata​​ I, 20, 99) che «quasi tutti i cristiani, senza aver seguito il ciclo della​​ ​​ paideia​​ e senza saper di lettere... attraverso la fede, giungono a Dio, istruiti interiormente della vera sapienza». In particolare, «non si può imporre ad alcuno di adorare ciò che non vuole», poiché la libertà, prima ancora di essere un diritto della persona, fa parte dell’essenza della religione (Tertulliano,​​ A Scapula​​ 2, 1-2 o Lattanzio,​​ Divine Istituzioni​​ V, 19, 11-14 e 20-23).

2. Con il IV sec. la libertà più che come dimensione costitutiva dell’atto religioso della singola persona diventa un fatto istituzionale (Libertas Ecclesiae), a cui sempre più spesso verrà sacrificata la​​ ​​ libertà individuale. Si ponevano così i presupposti di fenomeni di apostasia pratica dal Vangelo, come furono in buona parte le Crociate e le varie Inquisizioni, anche se non mancarono cristiani che ribadirono scelte di nonviolenza e di t., come Francesco d’Assisi. Tali scelte vennero riprese e sviluppate da alcuni grandi umanisti cattolici come​​ ​​ Erasmo e​​ ​​ More e da vari settori della Riforma, sia cattolica che protestante, ma per ricadere ben presto in nuovi intolleranti dogmatismi da una parte e dall’altra. A tener vive le ragioni della t. civile furono specialmente i Sociniani che anticiparono posizioni proprie dei moderni teorici della t.,​​ ​​ Locke, Spinoza e lo stesso Voltaire, che ama rifarsi a motivi della tradizione evangelica. Questi motivi, del resto, per quanto riguarda i rapporti fra gli uomini, possono essere sintetizzati proprio con gli «immortali principi» della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fraternità, come intesero sensibili uomini di chiesa quali il futuro papa Pio VI (Giuntella, 1990, 274-290).

3. A partire dall’Ottocento si è affermato un concetto più ricco e profondo di t., non come benevola concessione da parte di chi si ritiene comunque superiore, ma come riconoscimento della trascendenza di ogni grande verità e del rispetto dovuto ad ogni persona e ai suoi cammini di ricerca, come per un momento aveva colto anche il pagano Simmaco nella sua polemica con Ambrogio, a cui aveva ricordato che «ad un così grande segreto non era possibile arrivare per una sola strada» (Relatio​​ III, 10 e la risposta di Ambrogio,​​ Lettere​​ 73, 8). Anche la Chiesa cattolica, specie con il Concilio Vaticano II, è giunta a considerare la libertà non come un male inevitabile da «tollerare», ma come espressione della dignità dell’uomo, come suo diritto fondamentale che «perdura anche in chi non soddisfa all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa» (DU, 2). Negativa semmai è l’attuale tendenza ad una t. intesa come «lasciar fare», come reale indifferenza di fronte ad ogni verità, accompagnata pure ad un malcelato timore per il «diverso».

4. Per educare alla t. occorrerà allora aiutare a superare la paura del diverso e del​​ ​​ conflitto, facendo considerare quest’ultimo come un potenziale fattore di crescita e il «diverso da sé» come risorsa, piuttosto che come pericolo per le proprie sicurezze. La capacità di proposta dei propri valori poi, oltre ad essere segno di buona autostima, non indica mancanza di rispetto degli altri ma piuttosto fiducia nella loro vitalità e apertura. Occorrerà anche educare alla serietà, al rigore, all’approfondimento continuo delle proprie posizioni, contrastando la tendenza alle semplificazioni e ai riduttivismi, insegnando a «tollerare» il complesso, ad accettare le faticose mediazioni, per meglio cogliere la diversità delle culture e dei linguaggi. Sarà infine da evitare, accanto al pericolo del fanatismo e dello spirito di ghetto, quello, altrettanto infecondo, del sincretismo e di un assoluto relativismo, aiutando semmai a raggiungere un sano senso di relatività nei confronti di tutte le assolutizzazioni umane e di ricerca dell’essenziale.

Bibliografia

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E. Butturini