TECNICHE PROIETTIVE

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TECNICHE PROIETTIVE

Strumenti psicodiagnostici particolarmente sensibili nel rilevare aspetti inconsci (desideri, motivazioni, ansie, stili, conflitti, meccanismi di difesa, ecc.) della personalità dell’individuo.

1.​​ Cenni storici. Le t.p. vengono introdotte nei primi decenni del ’900 in reazione, da parte degli psicologi clinici, ai test psicometrici, visti come inadeguati per fornire una diagnosi soddisfacente della personalità sia in senso idiografico (soggetto considerato nella sua individualità) che distico (soggetto considerato nella sua globalità). Il loro sviluppo è stato particolarmente favorito dai contributi teorici e clinici di numerosi psicoanalisti. Il primo serio tentativo di sintesi sulle t.p. è stato fatto da L. K. Frank nel 1939. Si può indicare come data d’inizio dell’uso delle t.p. il 1906 con l’introduzione da parte di​​ ​​ Jung del​​ test di associazione delle parole.​​ Altre tappe fondamentali sono la pubblicazione del Test di H. Rorschach nel 1921, del Thematic Apperception Test di H. A. Murray nel 1935, del Test di E. Wartegg nel 1939, delle Favole di L. Düss nel 1940, del Test di Frustrazione di S. Rosenzweig nel 1948, del Disegno della Figura Umana di K. Machover nel 1949, del Disegno dell’Albero di K. K. Koch nel 1949.

2.​​ Fondamenti teorici. Le basi teoriche su cui si fondano le t.p. sono fornite dalla psicologia della percezione e dalla psicoanalisi. La psicologia della percezione sottolinea che la risposta allo stimolo del test è determinata dal processo percettivo, il quale è la risultanza sia di fattori strutturali (quelli cioè derivati dalla natura stessa degli stimoli) che funzionali (quelli derivati dai bisogni, dagli stili cognitivi, dagli stati d’animo, dalle esperienze passate dell’individuo). La teoria psicoanalitica evidenzia che la risposta allo stimolo del test è determinata dal processo proiettivo, il quale fa emergere il mondo inconscio, inteso come un insieme di contenuti interni costituiti in gran parte da ciò che resta del passato, specie quello relativo alla prima infanzia, e che, pur non essendo presenti alla coscienza, agiscono in modo determinante sul pensiero, sul comportamento, sulle scelte e sulle relazioni dell’individuo. Sulla base di questi due processi, per molti versi tra loro assimilabili, si può quindi capire che l’individuo finisce per elaborare lo stimolo che gli viene presentato secondo la struttura della propria personalità, al punto da potere affermare l’esistenza in ogni essere umano di una tendenza di fondo a creare il mondo a propria immagine e somiglianza. Inoltre emerge che il materiale proiettivo prodotto dalle risposte allo stimolo non è il risultato di un puro caso, ma la conseguenza logica delle caratteristiche psichiche di base dell’individuo. Per cui, diversamente dai test psicometrici, non esistono risposte giuste e sbagliate, ogni risposta è sempre da considerarsi valida ai fini diagnostici, anche quando il soggetto per suoi motivi inconsci la dichiara sbagliata e desidera sostituirla con un’altra.

3.​​ Caratteristiche dello stimolo proiettivo. Innanzitutto, va chiarito che in senso largo, sono da considerarsi come stimolo proiettivo, oltre al test vero e proprio (per es. le tavole del Rorschach), lo stesso esaminatore e la situazione ambientale, in cui si svolge la somministrazione. In senso stretto per stimolo proiettivo s’intendono i singoli test. Per favorire l’emersione degli aspetti profondi ed inconsci della personalità di un individuo occorre che lo stimolo sia:​​ ambiguo,​​ non familiare​​ e​​ significativo. a) L’ambiguità dello stimolo è una delle caratteristiche fondamentali che differenzia le t.p. dai test psicometrici, dove invece lo stimolo deve essere ben definito. Uno stimolo può essere ambiguo, perché impoverito a livello fisico (es. riduzione del tempo di esposizione, riduzione dell’illuminazione, ecc.) oppure perché suscettibile di diverse decodificazioni da parte di differenti soggetti. Nelle t.p. si mira ad ottenere questo secondo tipo di ambiguità. L’ambiguità minimizza l’influsso dello stimolo, mentre massimizza l’influsso della personalità del percettore. Va tuttavia chiarito che non si deve confondere l’ambiguità dello stimolo con la sua scarsa strutturazione. Inoltre l’ambiguità non va assolutizzata, dal momento che non è senz’altro scontato che più lo stimolo è ambiguo e più c’è proiezione. b) La non familiarità dello stimolo comporta che esso sia sconosciuto al soggetto. Tale caratteristica insieme all’ambiguità suscita una situazione di ansia e di riflesso un processo di regressione. E cioè il soggetto ritorna indietro nel suo passato verso il «già conosciuto». In tal modo vengono fatti riaffiorare i contenuti e le modalità specifiche del mondo arcaico rimosso. c) La significatività dello stimolo consiste nel fatto che esso deve essere in rapporto a situazioni specifiche che il soggetto vive. Ad es., se si vuole conoscere come l’individuo si rapporta alle figure parentali si può ricorrere allo stimolo: «Disegna una famiglia di tua invenzione».

4.​​ Validazione.​​ La validazione delle t.p. poggia sui quattro requisiti fondamentali propri dei test psicometrici: oggettività (uguale situazione per tutti i soggetti sottoposti al test), sensibilità (finezza di discriminazione dei soggetti sottoposti al test), fedeltà (costanza della misura), validità (grado di precisione con cui il test misura una determinata caratteristica dell’individuo). Va tuttavia chiarito che tali requisiti, dal momento che si rifanno alla quantificazione dei dati e alla relativa elaborazione statistica, non sono rigidamente applicabili alle t.p. Queste infatti privilegiano un approccio idiografico (attento alle caratteristiche del singolo e non alla media di gruppo) ed olistico (attento alla globalità della personalità e quindi a molteplici variabili). Del resto, l’adozione di metodi prevalentemente fondati sulla quantificazione, e quindi l’accettazione di un approccio nomotetico dove dell’individuo si sa solo ciò che ha in comune con gli altri, comporterebbe la rinuncia alle caratteristiche e alle finalità proprie delle t.p.

Bibliografia

Rabin A.​​ I.​​ (Ed.),​​ Assessment with projective techniques.​​ A concise introduction, New York, Springer, 1981;​​ Anzieu D. - C. Chabert,​​ Les méthodes projectives, Paris, PUF,​​ 1983; Castellazzi V. L.,​​ Introduzione alle t.p., Roma, LAS,​​ 32000; Sola T.,​​ L’apporto dei metodi proiettivi nella psicodiagnosi clinica, Roma, Aracne, 2006; Chabert C.,​​ Psicoanalisi e metodi proiettivi, Roma, Borla, 2006.

V. L. Castellazzi