PEDAGOGISTA
È un termine di recente invenzione, non presente in molte lingue. Il suo significato, tuttora non univoco, si è venuto precisando, grosso modo, durante l’ultimo sec., con l’affermarsi della → pedagogia come scienza e i relativi problemi di ordine epistemologico.
1. Fin dall’antichità (e in qualche lingua è rimasto con il senso di p.) era usata la parola «pedagogo», per indicare chi si prendeva cura dei minori per istruirli e prepararli alla vita sociale. A poco a poco, l’interesse per questo impegno si è venuto amplificando, soprattutto con il diffondersi delle scuole, e, gradualmente, ha preso corpo l’esigenza di sviluppare una «scienza», che se ne occupasse. Ciò è avvenuto, nella prima metà del sec. XIX, soprattutto con → Herbart, il quale ha riconosciuto specifiche connotazioni a tale scienza e una sua particolare collocazione in rapporto alle altre. Da allora si è avviato un discorso epistemologico nei confronti della «pedagogia» (che dura tuttora) e si sono creati spazi per coloro che si dedicavano a un approfondimento teorico non solo sulla natura di tale scienza, ma, parallelamente, del suo oggetto e dei problemi che ne derivavano sui vari fronti, in cui l’educazione poteva aver luogo: dalla famiglia, alla scuola, ai più svariati raggruppamenti umani. A costoro, che come Herbart, non rifuggivano anche da tentativi pratici è stato dato il nome di p. Successivamente però e, in specie, in questi ultimi decenni, con l’articolarsi della pedagogia nelle «scienze dell’educazione» e degli impegni educativi in ambienti nuovi ed eterogenei rispetto ai tradizionali (comunità terapeutiche, luoghi di lavoro...), si è utilizzato il termine p. in un senso più ristretto, distinguendo all’interno delle funzioni, che si erano ritenute proprie di quell’unica figura, altre competenze specifiche (come quella didattica, tecnologica, storica, per i diversamente abili...), che, un tempo, erano gestite in modo unitario dal professore di «pedagogia», nei limiti della loro emergenza.
2. Oggi si tende pertanto a chiamare p. più propriamente colui che si dedica alla riflessione teorico-critica sulla natura della scienza pedagogica dell’educazione (o «pedagogia»), che ne è l’oggetto, dei fattori e agenti che vi contribuiscono, in una parola, su tutto ciò che ne costituisce la problematica. Infatti, su questo piano, più ancora che su quello operativo, non esiste a tutt’oggi un consenso (cosa peraltro difficile anche in altri campi, nella prospettiva teorica), soprattutto da quando si è venuta rivendicando un’autonomia dall’onnicomprensiva «pedagogia» di un tempo, a una → filosofia, a una → metodologia e, persino, a una → teologia dell’educazione. D’altronde, a complicare il discorso, si sono venute affiancando al p., al didatta, allo storico della «pedagogia», ai docenti universitari insomma, e agli insegnanti e educatori, in genere, altre figure, come l’operatore pedagogico, colui che si impegna in interventi educativi organici in situazioni definite, al quale si attribuisce e si richiede anche una preparazione teorica specifica, ma che resterebbe comunque connotato prioritariamente dalla sua azione sul campo, a costui taluni attribuiscono la denominazione di p. pratico. Non sembra tuttavia, come già accennato all’inizio, che esista, in merito, un’unanimità di opinioni, anzi la discussione continua su riviste e pubblicazioni varie.
Bibliografia
Braido P., La teoria dell’educazione e i suoi problemi, Roma, LAS, 1968; Cambi F., Il congegno del discorso pedagogico, Bologna, CLUEB, 1986; Nanni C., Educazione e scienze dell’educazione, Roma, LAS, 1986; Granese A. (Ed.), Destinazione pedagogia, Pisa, Giardini Editori, 1986; Bertolini P., L’esistere pedagogico, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1988; Medina Rivilla A., La formación práctica del educador social, del pedagogo y del psicopedagogo, Madrid, UNED, 2005.
B. A. Bellerate