STRESS
Con il termine s. si intende una varietà di fenomeni vegetativo-emotivi, cognitivi e comportamentali che tendono a presentarsi congiuntamente (sebbene con differenze intra ed interindividuali di prevalenza dell’una o dell’altra categoria) quando un organismo è sottoposto ad un qualunque compito di natura adattiva.
1. Esso è considerato una reazione funzionale al mantenimento dello stato di equilibrio organismo-ambiente, reazione che si mobilita quando l’organismo si trova a fronteggiare particolari condizioni o eventi esterni che implicano richieste di tipo, qualità, intensità o durata diverse dal solito. Il termine ha finito per indicare una reazione che si stabilisce in presenza di uno squilibrio tra le richieste delle condizioni ambientali da una parte e le capacità e le risorse dell’organismo a farvi fronte dall’altra. Infatti, quando la reazione è sollecitata troppo a lungo o troppo intensamente, le capacità di adattamento finiscono con l’essere sopraffatte, nel senso che le energie sembrano esaurite, le strategie di → comportamento risultano inadeguate e il soggetto avverte una condizione di sgradevole tensione che difficilmente viene alleviata dal riposo. Il termine, su un piano più strettamente psicologico, esprime un fenomeno pervasivo della condizione umana che insorge quando l’equilibrio adattivo tra l’ambiente fisico e psicosociale e l’uomo va in crisi a sfavore di quest’ultimo, dando origine a fenomeni psicofisiologici e comportamentali di stretta rilevanza per la salute, il benessere psicoemotivo e il livello prestazionale individuale e collettivo.
2. Quando si parla di s. è inevitabile il riferimento al lavoro di H. Selye (1936, 1976), che più di ogni altro ha contribuito alla sua chiarificazione, fornendone una definizione ormai unanimemente accettata. L’A. usò per la prima volta il termine s. nel 1936 in una lettera inviata alla rivista scientifica inglese «Nature». In essa concettualizzava lo s. come stimolo nocivo, sottolineando come esperienze dannose (iniezioni di varie sostanze, scosse elettriche, stimoli dolorosi) potessero essere determinanti nell’insorgenza di disturbi somatici o di vere e proprie malattie. Successivamente, però, modificò questa prima formulazione del concetto, affermando che non solo gli eventi dolorosi o gli agenti nocivi erano in grado di produrre stati patologici o morbosi, ma anche fattori positivi di tipo emozionale (stati di felicità particolarmente intensi, gioia, eccitazione). L’attenzione restava comunque sempre sullo stimolo. Soltanto a partire dal 1950, Selye cominciò ad usare il termine s. come risposta e precisamente come risposta non specifica dell’organismo ad ogni richiesta proveniente dall’ambiente (Selye, 1976).
3. Tale cambio di prospettiva lo portò ad operare una distinzione tra stimolo e risposta. Quest’ultima, comprendente tutte le alterazioni fisiche che possono insorgere nell’organismo aggredito dagli stimoli, fu chiamata dall’A. (1976) Sindrome Generale di Adattamento (G.A.S. = General Adaptation Syndrome). In essa sono individuabili tre fasi tipiche: reazione di allarme, resistenza con adattamento ottimale, fase di esaurimento. Secondo Selye lo s. rappresenta un fenomeno inevitabile e, quando è contenuto entro certi limiti, ha una funzione importante. La mancanza totale di s., anche per periodi brevi, è incompatibile con la vita, proprio come quando lo s. è eccessivo. A partire dalle teorizzazioni di Selye si sono sviluppati tre filoni di ricerca indirizzati ad indagare, rispettivamente, gli effetti devastanti sia psicologici che somatici prodotti da situazioni estreme, i ruoli dei processi cognitivi ed emozionali nell’insorgenza e nella gestione dello s., lo s. prodotto da particolari richieste lavorative e da specifici contesti organizzativi. Le ricerche attuali tendono comunque ad orientare l’attenzione sulla dimensione soggettiva dello s., evidenziando come il valore stressogeno di una situazione sia intrinsecamente legato, oltre che alle caratteristiche di essa anche alle valenze, alle aspettative, alla percezione che l’individuo ha dei propri bisogni e delle proprie capacità.
4. Possiamo distinguere diversi tipi di s.: fisici (condizioni di rumore, inquinamento, temperature estreme, sforzi eccessivi), psicosociali (esigenze particolari poste dal contesto sociale dei rapporti umani in cui siamo inseriti oppure da noi stessi), acuti (avvenimenti improvvisi della vita più o meno gravi, che ci richiedono un sforzo di adattamento), cronici (condizioni persistenti che per intensità e durata che travalicano le nostre possibilità di fronteggiamento), negativi (situazioni nei confronti delle quali il giudizio del soggetto è negativo e che sono accompagnate da sensazioni soggettivamente spiacevoli), positivi (situazioni che richiedono un impegno maggiore del solito, ma che costituiscono per il soggetto una sfida, piuttosto che una minaccia al benessere personale). A nuocere sul nostro stato di salute sono soprattutto gli s. cronici fortemente correlati con le malattie cronico-degenerative. Esistono tuttavia importanti fattori di moderazione dello s. quali le strategie di coping e il sostegno sociale.
Bibliografia
Selye H., A syndrome produced by diverse nocious agents, in «Nature» (1936) 138, 32; Id., S. senza paura, Milano, Rizzoli, 1976; Del Rio G., S. e lavoro nei servizi: sintomi, cause e rimedi del burnout, Firenze, La Nuova Italia Scientifica, 1990; Farnè M., Lo s., Bologna, Il Mulino, 1999; Lazarus R. S., S. and emotion: a new synthesis, New York, Springer, 1999; Di Nuovo S. - L. Rispoli - E. Genta, Misurare lo s.: il test M.S.P. e altri strumenti per una valutazione integrata, Milano, Angeli, 2000; Mostofsky D. I. - D. H. Barlow (Edd.), The management of s. and anxiety in medical disorders, Boston, Allyn and Bacon, 2000; Dayhoff S. A., Come vincere l’ansia sociale: superare le difficoltà di relazione con gli altri e il senso di insicurezza, Trento, Erickson, 2000; Horowitz M. J., Sindromi di risposta allo s.: valutazione e trattamento, Milano, Cortina, 2004.
A. R. Colasanti