INTELLIGENZA EMOTIVA
Il costrutto di i.e. deriva dai precedenti concetti di i. sociale e i. personale. Nel delineare la sua teoria dell’i. multiple, Gardner (1983) descrisse due forme di i. personale: l’i. intrapersonale, che è la capacità di accedere alla propria vita affettiva, e l’i. interpersonale, che è la capacità di leggere gli stati d’animo, le intenzioni e i desideri degli altri.
1. Queste abilità fondamentali dell’i. personale sono centrali nel costrutto di i.e., che Salovey e Mayer (1990) definirono originariamente come «la capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tale informazione per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni». Questa definizione implica l’idea che il sistema affettivo funziona in parte come sistema di elaborazione delle informazioni e delle percezioni. Salovey e Mayer affermarono infatti che i processi sottostanti l’i.e. vengono attivati quando l’informazione affettiva entra per prima nel sistema percettivo. Le emozioni in questo senso non solo non disturbano l’efficace approccio razionale alla risoluzione dei problemi, ma al contrario forniscono importanti conoscenze sulla relazione della persona con il mondo esterno. Possedere questa «sensibilità» consente di affrontare il quotidiano in modo più efficace. Essere emotivamente intelligenti quindi, aiuta a gestire al meglio la vita privata, il lavoro e più in generale i rapporti con gli altri. L’i.e. non è determinata geneticamente ma si apprende e può essere migliorata nel corso di tutta la vita. L’i.e. si può sviluppare attraverso un adeguato allenamento, diretto soprattutto a cogliere le emozioni e i sentimenti, propri e altrui. Oltre alla consapevolezza e all’apprezzamento dei propri sentimenti soggettivi, l’i.e. comprende la percezione e la considerazione dei comportamenti emotivi non-verbali, le sensazioni corporee evocate dall’attivazione emozionale. Vi sono però differenze individuali nella capacità delle persone di elaborare ed usare tali informazioni. Mayer e Salovey (2000) hanno sottolineato in maniera più decisa «la capacità di pensare sui sentimenti». Individui con elevati livelli di i.e. riescono facilmente ad identificare e descrivere i sentimenti in sé stessi e negli altri, a regolare efficacemente gli stati di attivazione emozionale in sé stessi e negli altri.
2. A partire dal 1995 D. Goleman ha reso popolare il concetto di i.e. descrivendola come un insieme di capacità: motivare sé stessi, persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare. D. Goleman (1999) ha enfatizzato soprattutto le differenze individuali degli aspetti psicologici e funzionali delle emozioni. Uno dei limiti di Goleman è costituito dal fatto che la sua rassegna scientifica, pur essendo piuttosto corposa, è confinata prevalentemente alle ricerche in ambito neuropsicologico e sociale, mentre trascura il vasto contributo delle scienze cognitive e comportamentali. Vengono infatti lasciati in un secondo piano gli importantissimi contributi di autori quali Bandura, Seligman, Lazarus e vengono completamente ignorati gli studi di A. Beck ed A. Ellis sui processi cognitivi e sul rapporto tra pensiero ed emozioni. Un altro limite riscontrato nella divulgazione che Goleman ha elaborato del concetto di i.e. sta nel fatto che non ne ha dato una chiara definizione mentre ha fatto solo una descrizione delle strategie atte a potenziarla. Tale mancanza di dettagli ha favorito il proliferare di programmi di formazione e «crescita personale» dove si trovano mescolati vari approcci che utilizzano l’etichetta di «i.e.», ma che sono ben lontani da ciò che P. Salovey e J. D. Mayer intendevano con tale espressione.
3. Le abilità che compongono l’i.e. sono indicate dai diversi autori con terminologie differenti. Il costrutto di Peter Salovey e John Mayer si articola in 16 abilità, raggruppabili in 4 categorie: percezione, valutazione ed espressione delle emozioni; uso delle emozioni per facilitare il pensiero; comprensione e analisi delle emozioni; regolazione consapevole delle emozioni per promuovere la crescita personale. Goleman distingue due principali categorie: le competenze personali, riferite alla capacità di cogliere i diversi aspetti della propria vita emozionale e le competenze sociali, relative alla maniera con cui comprendiamo gli altri e ci rapportiamo positivamente con essi. Entrambe sono caratterizzate da abilità specifiche.
Bibliografia
Gardner H., Frames of mind: The theory of multiple intelligences, New York, Basic, 1983; Salovey P. - J. D. Mayer, Emotional intelligence, in «Imagination, Cognition and Personality» (1990) 9, 185-211; Goleman D., Emotional intelligence: why it can matter more than IQ, New York, Bantam Books, 1995; Id., Working with emotional intelligence, London, Bloomsbury, 1998; Mayer J. D. - P. Salovey - D. R. Caruso, «Models of emotional intelligence», in R. J. Sternberg (Ed.), Handbook of intelligence, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, 396-420; Goleman D., Social intelligence: the new science of social relationships, New York, Bantam Books, 2006 (trad. it.: I. sociale, Milano, BUR, 2007); Waterhouse L., Multiple intelligences, the Mozart effect, and emotional intelligence: a critical review, in «Educational Psychologist» 41 (2006) 207-225.
A. La Marca