La c. non è certamente di moda, e viene sempre meno presa in considerazione dagli studiosi delle differenze (individuali e di gruppo) del → comportamento. Il calo di interesse per la c. è indubbiamente legato ai limiti intrinseci che essa presenta nel suo intento classificatorio e nella sua staticità, ma è contemporaneamente legato allo sviluppo della psicologia dinamica e della personalità, anche se questa non ha mancato di prendere in considerazione sia l’aspetto classificatorio del carattere che la possibilità di collegare questa tipologia a specifici interventi psicoterapeutici: basti ricordare quanto scritto nella voce «carattere» sul pensiero di Freud e, più recentemente e solo a titolo di esempio, gli studi di Bioenergetica.
1. Lo studio del → carattere nella sua struttura, nei suoi elementi costitutivi, nei fattori che lo influenzano (c. generale) e nei suoi tentativi classificatori in base a elementi comuni (c. speciale) ha comunque costituito un valido tentativo di avvicinamento al singolo individuo, mettendo in risalto elementi caratterizzanti ma paragonabili con altri. Senza addentrarci in approfondite analisi si può dire che le principali scuole caratterologiche hanno avuto alla base dei loro tentativi di classificazione o il tipo (→ tipologia) o il tratto (→ tratti di personalità), considerati isolatamente, in rapporto tra essi, con maggiore o minore intensità di presenza.
2. Sono stati molti i criteri in base ai quali le varie scuole hanno costruito le loro classificazioni. Ad es., tratti caratterologici legati a strutture biologiche (bilioso, sanguigno, linfatico, ecc.); ad atteggiamenti generali di approccio alla realtà (introverso, estroverso; oggettivo, soggettivo); alla morfologia (macrosomico, microsomico; endomorfo, mesomorfo, ectomorfo; leptosomico, atletico, picnico); alla patologia mentale (schizotimico, ciclotimico). Qualsiasi caratteristica psicologica, per essere presa in considerazione per una classificazione tipologica, dovrebbe possedere alcuni requisiti: essere di rilievo e bene definita; avere un’altra caratteristica antagonista; indicare qualcosa di sufficientemente stabile; essere un centro nodale con altre caratteristiche ad essa collegate e da essa, in qualche modo, dipendenti.
3. Nonostante i limiti che presenta qualunque tentativo di «classificare» una persona, non si può negare che le varie scuole caratterologiche abbiano dato un notevole contributo allo sviluppo della → psicologia differenziale e abbiano dato un prezioso apporto agli educatori aiutandoli a cogliere almeno alcune caratteristiche significative dei loro educandi e ad impostare azioni educative che tenessero conto di particolari esigenze individuali (Roldán). L’individuazione dei soggetti «più tipici»; la possibilità di avere uno schema di osservazione uguale per tutti, favorendo i confronti; la possibilità di arrivare alla conoscenza di caratteristiche «nascoste» attraverso quelle più facilmente rilevabili, sono tutti elementi che costituiscono un aiuto per l’educatore nella sua azione di orientamento e indirizzo.
Bibliografia
Bertin G. M., La c., Milano, Bocca, 1951; Lorenzini G., Lineamenti di c. e tipologia applicate all’educazione, Torino, SEI, 1954; Allers R., Psicologia e pedagogia del carattere, Ibid., 1960; Roldán A., Introducción a la ascética diferencial, Madrid, Razón y Fe, 1960; Rohracher H., Elementi di c., Firenze, Giunti Barbera, 1970; Lowen A., Il linguaggio del corpo, Milano, Feltrinelli, 2006.
M. Gutiérrez