TRANSFERT / CONTROTRANSFERT
TRANSFERT / CONTROTRANSFERT
Il t. (o traslazione, come il termine compare nella ediz. it. delle Opere complete di → Freud) indica nella sua accezione più generale l’atteggiamento emotivo (positivo o negativo) del paziente nei confronti del proprio psicoanalista. In un’accezione più specifica viene definito come il processo mediante cui il paziente proietta sulla figura dello psicoanalista affetti, pensieri e condotte originariamente relativi a persone della propria esperienza precedente l’analisi e in particolare relativi a persone facenti parte del proprio nucleo familiare.
1. Per Freud, il t. non caratterizza esclusivamente la situazione analitica – si può infatti parlare di t. in diverse situazioni interpersonali quali quelle rappresentate dalla relazione tra medico e malato, fra maestro e allievo, tra ipnotizzatore e ipnotizzato ma è nella situazione analitica, e soltanto in essa che il t. viene interpretato e utilizzato come fondamentale strumento terapeutico. Diversamente da altri concetti cardine della → psicoanalisi, quello di t. è stato oggetto, da parte di Freud, di una elaborazione progressiva. Questo termine indica nei primi scritti freudiani soltanto una delle modalità di spostamento dell’affetto da una rappresentazione a un’altra, mentre dal 1912 (La dinamica della traslazione) e in gran parte come conseguenza della scoperta e sistematizzazione del complesso edipico, della riflessione sui problemi tecnici che i primi trattamenti psicoanalitici sollevavano nonché dei contributi dei primi allievi, quali ad es. Ferenczi, che già nel 1907 aveva mostrato come nell’analisi, ma anche nelle tecniche di suggestione e di ipnosi, il paziente inconsciamente facesse svolgere al medico il ruolo delle figure parentali amate o temute il t. diviene il principale strumento della tecnica psicoanalitica. Per Freud (che identifica nel t. sia una componente negativa, «l’arma più forte della resistenza», sia una componente positiva caratterizzata dall’emer-gere di sentimenti positivi nei confronti dell’analista, che consentono di «stabilire una relazione positiva con l’analista» e che viene quindi in parte a coincidere con la «alleanza terapeutica») la situazione psicoanalitica crea le premesse indispensabili per il sorgere della «nevrosi di t». Per Freud, dunque (che a più riprese, fino negli ultimi scritti, sottolinea la centralità del concetto di t. considerandolo, insieme alla teoria della rimozione e alla teoria pulsionale, «uno dei tre pilastri su cui si regge la dottrina psicoanalitica delle nevrosi») il t. crea «una provincia intermedia fra la malattia e la vita, attraverso la quale è possibile il passaggio dalla prima alla seconda». In questo senso il t., o meglio la nevrosi di t. (una sorta di «malattia artificiale completamente accessibile agli attacchi» dello psicoanalista) diventa il mezzo principale per «domare la coazione a ripetere». Diventa cioè una sorta di palestra in cui quest’ultima può espandersi in una «libertà quasi assoluta e dove le è prescritto di presentarci tutti gli elementi pulsionali patogeni che si nascondono nella vita psichica dell’analizzando». La nevrosi di t. (che svolge «l’inestimabile servizio di rendere attuali e manifesti gli impulsi amorosi, occulti e dimenticati dei malati») diventa così il principale strumento analitico, lo specifico terreno della cura analitica. Per Freud dunque il t., «che fa sì che il paziente scorga nel medico un ritorno di una persona importante del suo passato [...] e trasferisca quindi su di lui sentimenti e reazioni che spettavano a questo modello» si rivela come «un momento di insospettata importanza nel trattamento psicoanalitico». Da un lato dunque il t. è considerato «un mezzo ausiliare di valore inestimabile», dall’altra una fonte di seri pericoli. «La lotta tra il medico e il paziente [...] si svolge quasi esclusivamente nell’ambito dei fenomeni di t. È su questo terreno che deve essere vinta la battaglia e la vittoria si esprime nella guarigione definitiva della nevrosi» (Freud, 1912). Il concetto di t. ha assunto nei diversi autori un’estensione assai ampia fino ad abbracciare tutti i fenomeni inerenti alla relazione del paziente con lo psicoanalista; esso esprime quindi, più che qualsiasi altro concetto, la concezione di ciascun analista in merito alla cura, al suo oggetto, alla sua dinamica, alla sua tattica, ai suoi obiettivi.
2. Il c. (o controtraslazione) può essere definito come la risposta inconscia dello psicoanalista al paziente e più particolarmente al suo t. Il concetto di c. è stato scarsamente elaborato da Freud, che lo considera «l’effetto dell’influsso del malato sui sentimenti inconsci del medico». Freud dunque (che ritiene che «ogni psicoanalista procede esattamente fin dove glielo consentono i suoi complessi e le sue resistenze interne») utilizza il concetto di c. per indicare quei «difetti personali dell’analista che interferiscono con la sua capacità di dare un’esatta valutazione del paziente». In questo senso, e tenendo conto delle particolari condizioni in cui si svolge il lavoro analitico, Freud fa riferimento al c. quasi esclusivamente per sostenere in un primo tempo la necessità che l’analista, «riconoscendo in se stesso l’esistenza della controtraslazione», affianchi «alle proprie esperienze con i malati» l’approfondimento della propria autoanalisi e in un secondo momento per sostenere la necessità dell’analisi didattica, che metterebbe l’analista in grado di «imparare abbastanza dai suoi stessi errori e di superare i punti deboli della sua personalità». Il concetto di c. ha successivamente assunto una notevole importanza (tanto sul piano metodologico che sul piano teorico) nella psicoanalisi post-freudiana. La posizione dei diversi autori rispetto alla delimitazione di questo concetto non è univoca. Per alcuni infatti il c. riguarda tutti gli aspetti della personalità dell’analista che possono intervenire nella cura, mentre per altri esso si riferisce esclusivamente ai processi inconsci che il t. dell’analizzato induce nell’analista. Dal punto di vista tecnico si possono distinguere schematicamente tre orientamenti: a) ridurre il più possibile le manifestazioni di c. mediante l’analisi personale; b) utilizzare, senza perderne il controllo, le manifestazioni del c. nel lavoro analitico; c) orientarsi, per l’interpretazione stessa, sulle proprie reazioni di c., spesso assimilate, in questa prospettiva, alle emozioni che si sono provate. Tale atteggiamento postula che la risonanza «da inconscio a inconscio» costituisca la sola comunicazione autenticamente psicoanalitica.
Bibliografia
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F. Ortu - N. Dazzi