1

CARATTERE

 

CARATTERE

Lo studio del c. è stato di notevole interesse per psicologi, pedagogisti ed educatori, anche se il concetto è rimasto sempre poco preciso e definito. Basterebbe un elenco di definizioni date nel tempo dagli studiosi per capire l’ampiezza entro cui esse si muovono e, in conseguenza, la poca precisione del termine. Si va da definizioni che puntano su caratteristiche quasi congenite e comunque fisse e stabilizzate, a caratteristiche legate al mondo dei​​ ​​ valori e delle​​ ​​ credenze del soggetto interessato.

1. Frequentemente il termine c. è associato a quello di temperamento, dando al primo un peso più «psicosociale» e legato all’educazione e all’ambiente, e al secondo un significato più «somatopsichico» e congenito. Il c., inoltre, ha frequentemente una connotazione morale, assente completamente nelle definizioni di temperamento. Volendo portare agli estremi le varie posizioni degli studiosi potremmo dire che, per alcuni, il c. è qualcosa di strutturale; per altri è qualcosa di reattivo pur garantendo un minimo di «coerenza»del comportamento.

2. Senza impegnarci in un’esegesi delle varie definizioni, ma allo scopo di confermare quanto fin qui detto, eccone alcune, storiche e contemporanee. Per F. R. Paulhan (1902) il c. è «ciò che fa che una persona sia se stessa e non un’altra». Per​​ ​​ Spranger (1927) «il c. è la diversa tipica attitudine assunta dalla persona, di fronte a valori quali quello estetico, economico, politico, sociale, religioso». Molto significativa, nella sua sinteticità, è la definizione di A. Niceforo (1953): «c. è l’io in società». Una delle definizioni che sembra più completa e convincente è quella di R. Diana. Per questo studioso, c. è «l’insieme delle disposizioni congenite e di quelle stabilmente acquisite che definiscono l’individuo nella sua completa attitudinalità psichica e lo rendono tipico nel modo di pensare e di agire». Questa definizione contiene due aspetti significativi della condotta dell’individuo: unità (modo di agire coerente) e stabilità (unità continuata nel tempo). In altre parole, il c. sarebbe una strutturazione psicologica di natura reattiva all’ambiente. Da queste definizioni si coglie bene l’interesse pedagogico della conoscenza del c. e l’attenzione prestata a questa realtà individuale da parte degli educatori di tutti i tempi: atteggiamento di fronte ai valori e disposizioni stabilmente acquisite sono due dimensioni di notevole portata formativa.

3. Nonostante ciò, la sua connotazione di staticità ha reso lo studio del c. meno attuale con il progredire della psicologia dinamica e della personalità (termine, quest’ultimo, molto più usato oggi al posto di c.), che, tuttavia, il termine c. lo ha sempre usato: basti ricordare Freud che, già nel 1908, fece il passaggio da «sintomo» nevrotico a «c.» nevrotivo, comprendendo che il sintomo era radicato nel c. dell’individuo e che l’azione terapeutica doveva essere rivolta al c. e non al sintomo.

Bibliografia

Paulhan F. R.,​​ Les caractères,​​ Paris, Alcan, 1902;​​ Spranger E.,​​ Lebensformen. Geisteswissenschaftliche Psychologie und Ethik der Persönlichkeit,​​ Halle, Niedermeyer,​​ 1927; Niceforo A.,​​ Avventure e disavventure della personalità e dell’uomo in società,​​ Milano, Bocca, 1953; Diana R.,​​ Guida alla conoscenza degli uomini. Tipologia caratterologica,​​ Roma, Paoline, 1964; Fedeli M.,​​ Temperamenti e personalità: profilo medico e psicologico,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1992; La Marca A.,​​ Educazione del c.​​ e personalizzazione educativa a scuola, Brescia, La Scuola, 2005.

M. Gutiérrez




COMPORTAMENTO

 

COMPORTAMENTO

Il c. è un modo di agire, una condotta, un contegno. Implica un aspetto sociologico in quanto gli effetti del c. interessano i rapporti interpersonali ed ambientali in genere, e un aspetto psicologico che riguarda le motivazioni del c. e le soddisfazioni o insoddisfazioni che derivano al soggetto dai c. attuati. Può riguardare inoltre il c. collettivo con tutti i risvolti psicosociali che ne derivano. Importante, in senso psicologico, è, come si è accennato sopra, lo studio delle motivazioni che inducono il c.

1.​​ Storia.​​ È noto che dopo gli studi di Thorndike sull’intelligenza animale,​​ ​​ Watson nei primi decenni del 1900 diede inizio ad una Scuola denominata «behaviorista» che si prefissava di studiare il c. umano come risposta ai vari stimoli che il soggetto può ricevere sia dall’interno che dall’esterno del proprio organismo. Con questa metodologia, analoga a quella usata da Pavlov per i riflessi condizionati, si aveva il vantaggio di poter misurare con sufficiente esattezza il numero e l’intensità degli stimoli e delle risposte, giacché erano tutte cose osservabili. Evidentemente venivano trascurate l’elaborazione interiore operata dalla psiche del soggetto e le motivazioni coscienti o inconsce che determinano le risposte, come pure l’intenzionalità e la progettazione che ciascun individuo può operare. Tuttavia i primi ricercatori in questa direzione, fra cui il rinomato​​ ​​ Skinner, insistettero molto sull’indispensabilità della quantificazione dell’osservabile, in modo da avere dati incontrovertibili e procedimenti scientificamente esatti. È chiaro però che si è resa sempre più imperiosa la necessità di studiare i processi cognitivi e soprattutto quelli emozionali con indagini anche intrapsichiche e con l’uso di test che dovrebbero rivelare le situazioni inconsce, in modo da avere accanto ai risultati quantificabili dei c. esterni, anche dei dati riferentisi ai processi intrapsichici. È vero che questi ultimi hanno bisogno di interpretazione e non garantiscono l’oggettività, però è anche vero che data la complessità della psiche non si può pretendere di sondarla con un’unica metodologia o con un solo tipo di strumenti, ma si deve fare uso di qualsiasi mezzo valido si abbia a disposizione per poter ottenere il massimo numero di dati attendibili.

2.​​ Situazione attuale.​​ Oggi si parla più volentieri di Scuole cognitivo-comportamentali che, come molte altre Scuole, non trascurano l’apporto di elementi provenienti da fonti diverse. Si va molto più volentieri verso l’interdisciplinarità, che si considera più efficiente e più sicura. Il c. rimane in molte circostanze il dato di partenza indispensabile per poter risalire poi a conoscenze più approfondite.

3.​​ Condizionatori del c.​​ Possono essere condizionatori biologici, psicologici e sociologici. Fra i condizionatori biologici: a) l’organismo nella sua globalità, in quanto a seconda della sua struttura di base, potrebbe essere (seguendo la nomenclatura di De Lisi): forte, celere, abile, agile; forte, lento, inabile, pesante; debole, celere, abile, agile; fiacco, lento, inabile, impacciato. Si possono riscontrare anche forme intermedie; b) la struttura e le funzioni del sistema nervoso, del sistema endocrino e di quello immunitario nelle loro particolarità. Fra i condizionatori psichici: l’immagine di sé che il soggetto si è formata; l’armonizzazione delle varie componenti della​​ ​​ personalità che si è determinata durante lo sviluppo; la governabilità delle pulsioni; le produzioni della fantasia; la gestione dell’​​ ​​ ansia. Fra i condizionatori sociali si ricordano: i sentimenti, gli atteggiamenti e i c. degli altri sia come singoli individui, sia come società, le condizioni fisiche ambientali.

Bibliografia

a)​​ I classici:​​ Watson J. B.,​​ Behaviorism,​​ New York, 1924; Tolman E. C.,​​ Purposive behavior in animals and men,​​ London, 1932; Russel E. S.,​​ The behaviorism of animals,​​ London, 1934. b)​​ I moderni:​​ Polizzi V.,​​ Psiche e soma,​​ Roma, LAS, 1976; Oliverio A.,​​ Biologia e c.,​​ Bologna, Zanichelli, 1982; Bruno F. J.,​​ Adjustment and personal growth,​​ New York, Wiley, 1983; Andreoli V.,​​ La norma e la scelta,​​ Milano, Mondadori, 1984; Arto A.,​​ Crescita e maturazione morale,​​ Roma, LAS, 1984; Polizzi V.,​​ L’identità dell’homo sapiens,​​ Ibid., 1986; Pancheri P. et al.,​​ Trattato italiano di psichiatria,​​ Milano, Masson, 1993; Renna L. (Ed.),​​ Neuroscienze e c.​​ umano, Roma, Vivere In, 2006.

V. Polizzi