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SUICIDIO

 

SUICIDIO

Atto volontario e / o desiderio cosciente o deliberato dell’individuo di togliersi la vita.

1. Non esiste un accordo sostanziale sull’accezione comune del termine. Le definizioni di s. attualmente esistenti possono essere suddivise in due categorie. Alla prima appartengono quelle che limitano il termine s. alle «uccisioni di sé» volontarie; alla seconda quelle che includono nel termine s. anche le morti in cui è presente un impulso inconscio a uccidersi. Tra le due definizioni è presente, comunque, una certa contraddittorietà. Le prime, che si fondano sul criterio dell’intenzionalità per stabilire se parlare o meno di s., pongono il problema delle possibilità e delle modalità per individuare la volontarietà dell’atto. Infatti, tranne i casi in cui il soggetto lascia per iscritto una spiegazione del gesto suicida, non è facile risalire alla sua motivazione conscia, perché spesso è presente un’ambivalenza tra desiderio di vivere e desiderio di morire. Le definizioni appartenenti alla seconda categoria, invece, abolendo l’intenzionalità, comprendono anche quegli atti in cui il desiderio di togliersi la vita, pur non raggiungendo il livello della consapevolezza, traspare dalle varie azioni del soggetto. In tal modo si rischia però di includere nella categoria degli atti suicidi anche dei presumibili atti autodistruttivi inconsci, come incidenti, automutilazioni e turbe psichiche che portano all’autodistruzione corporea (anoressia mentale e tossicomania).​​ 

2. Vista l’assenza di soddisfacenti definizioni di s., è necessario stabilire che l’oggetto di indagine è rappresentato da una vasta gamma di comportamenti autolesivi che vanno da atti ben definiti (es. incidente stradale per eccessiva velocità, impiccagione, avvelenamento per respirazione di gas di scarico, ecc.) a modalità esistenziali in cui il soggetto si lascia morire (es. anoressia mentale). Dal punto di vista psicologico, all’inizio di questo secolo il s. era considerato il sintomo di una malattia mentale. Attualmente si riconosce l’influenza di diversi fattori (sociali, culturali, individuali, familiari, ecc.) sul soggetto suicida, ma non si esclude il ruolo fondamentale dell’orientamento verso pseudovalori che, favorendo la concentrazione sul conseguimento del​​ ​​ benessere o del successo, oppure sulla gratificazione esasperata di​​ ​​ bisogni, fanno piombare la persona nella frustrazione e nel vuoto esistenziale.

3. Pur essendo un fenomeno non molto frequente nell’infanzia, il s. del bambino non è solo frutto di incoscienza e di fantasie di onnipotenza, ma può anche essere l’espressione della consapevolezza dei dolori che accompagnano l’esistenza e dell’incapacità di trovare una soluzione soddisfacente. Nell’adolescenza il s. appare legato alla difficoltà di controllare ed equilibrare i cambiamenti psicofisici e istintuali, mentre nella «fascia oscura» dell’età di mezzo (dai 25 ai 64 anni) sembrano prevalere le mille preoccupazioni del lavoro, della vita affettiva, della salute, della solitudine. Nella vecchiaia, invece, giocano un ruolo decisivo il declino dell’intero organismo, le frequenti e profonde esperienze di lutto, la cessazione del lavoro e della partecipazione alla produttività sociale.

4. Una​​ ​​ prevenzione dal volto umano supera il concetto del puro contenimento del rischio del s. e chiede di fare riferimento alla persona e alla società, di operare sul territorio concreto, sulle istituzioni, sui processi e sulle interazioni umane, di effettuare interventi multilaterali e differenziati nella sfera del pubblico, del sociale, del giuridico, dell’economico, del sanitario, dell’etico e del religioso, di promuovere e qualificare la dimensione partecipativa e relazionale di ogni esistenza, di riconoscere l’esigenza di mobilitare un continuo processo di anticipazione delle patologie sociali. Fondamentalmente, la prevenzione primaria si configura come educazione al senso della vita; la prevenzione secondaria si rivolge alla famiglia, al gruppo dei pari, alla scuola e al quartiere per individuare i fattori predisponenti e per cercare di neutralizzarli; la prevenzione terziaria presuppone la piena rieducabilità del soggetto e si orienta sia verso il superamento dell’illusione della centralità egocentrica che verso la maturazione di un orientamento autotrascendente.

Bibliografia

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E. Fizzotti