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SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

 

SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

La s.d.e. è tendenzialmente finalizzata a descrivere e a interpretare la complessa gamma dei fenomeni e dei soggetti che attengono al campo della​​ ​​ socializzazione, e a porli in relazione con la società nella sua globalità e nei suoi sottosistemi. Fa parte quindi delle cosiddette​​ s. specifiche o applicate,​​ il cui campo specifico di interessi è quello dell’educazione. Partecipa così di una doppia natura: quella della teoria sociologica generale, di cui condivide i metodi, gli obiettivi, le vicende storiche di un determinato approccio teoretico; e quella della specifica parte del sociale relativa ai suoi​​ oggetti propri​​ come i processi di​​ ​​ formazione, i significati della​​ ​​ scuola e dell’​​ ​​ istruzione, i rapporti tra le diverse componenti di un sistema educativo e la società.

1.​​ Le origini.​​ La s.d.e. nasce da​​ due diverse matrici​​ che finiranno poi per congiungersi, ma solo dopo alcuni decenni e non senza contrasti, e cioè la teoria sociologica generale e la natura della s.d.e. il cui obiettivo è di fare da supporto alle decisioni pedagogiche. Nel primo caso l’inserimento dei nuovi membri nella società e quindi il modo con cui essa si riproduce e i suoi processi educativi come condizione di sopravvivenza dei sistemi sociali, sono stati al centro delle grandi tradizioni sociologiche (​​ Durkheim, Weber, Marx). Esse, pur differenziandosi, hanno in comune tre punti, per cui considerano l’educazione un’istituzione sociale macrosociologica, ritengono centrali nella struttura sociale l’educazione e le sue interfacce con altre istituzioni, e vedono l’origine del cambiamento sociale nelle relazioni tra il sistema educativo e gli altri sistemi sociali, politici ed economici. Nel secondo caso, la convinzione ambivalente presso i sociologi che il sistema educativo è per gli uni determinato dalle strutture sociali mentre per altri ne è determinante, spinge la s.d.e. a specializzarsi in corrispondenza dei bisogni sociali e a proporsi come supporto alle decisioni pedagogiche, offrendo alla politica dell’educazione una serie di indicazioni empiricamente fondate.

2.​​ S.d.e. come scienza delle istituzioni e dei processi formativi.​​ Nel contesto di questo nodo centrale costituito dal rapporto educazione / società, la tradizione sociologica classica considera l’educazione come variabile dipendente dalla società. Mentre Durkheim si limita ad affermarne una dipendenza generica, Weber la precisa come dipendente dalle strutture del potere e Marx dai condizionamenti dei rapporti di produzione. Nella s. contemporanea le analisi a livello macro consentono così di individuare tre filoni: l’approccio del neomarxismo, quello del neo-funzionalismo e quello neo-weberiano. Con riferimento al neo-marxismo, anche i contributi più recenti continuano a considerare l’educazione in termini sovrastrutturali e deterministici. Le stesse teorie della riproduzione sociale (Althusser e Poulantzas) e della riproduzione culturale (Bourdieu, Passeron e Bernstein) non riescono a cogliere ciò che realmente avviene all’interno del sistema educativo, considerato ancora una passiva «cinghia di trasmissione». Il neo-funzionalismo non ha ancora trovato la soluzione all’antinomia tra funzionalità del sistema sociale e autonomia del sistema educativo. È problematica la questione dell’integrazione funzionale (Gouldner, Etzioni, Eisenstadt) che cerca una soluzione anche in termini di approccio sistemico (Buckley). Infine la s. neo-weberiana è il filone oggi meno esplorato. Esso però si propone il tentativo di individuare una rete delle «mappe subculturali della conoscenza». Collins evidenzia il significato dell’istruzione in termini di cultura di ceto, mentre Archer sollecita la necessità di procedere ad un’analisi dei sistemi educativi declinando tra di loro struttura e cultura, avviando così ad un​​ quarto approccio a livello micro​​ che trova i propri punti di riferimento teorico nella fenomenologia, nell’interazionismo simbolico e nell’etnometodologia. Oggi la s.d.e. nella sua globalità è riconosciuta unanimemente come una branca specialistica della s., che con il suo fuoco di analisi nello studio delle istituzioni e dei processi formativi è capace di dare incremento alla conoscenza sociologica. Nel passato, sempre nel tentativo di definire meglio la s.d.e., vi è stato un dibattito assai vivace attorno alla distinzione tra contesto americano (s.d.e. estranea alla s. mentre si avvicina di più alla pratica pedagogica e didattica) e contesto inglese (s.d.e. come studio sociologico dell’istruzione). Il dibattito si concentrava su una precisazione di non poco rilievo in quanto distingueva tra s. educativa (educational sociology)​​ e s.d.e. (sociology of education).​​ La prima infatti era essenzialmente una teoria normativa volta all’azione pratica con imperativi metodologici e didattici, come mezzo di controllo dei processi educativi. La seconda per contro sviluppava una teoria in grado di approfondire la conoscenza dei fenomeni educativi lungo una linea di descrizione-spiegazione-comprensione tipica della riflessione sociologica, collocandosi perciò a monte di qualsiasi intervento pratico, didattico e politico nel ruolo, pur non esclusivo, di aiuto ai decisori. Col tempo è stata la seconda accezione a prevalere.

3.​​ Il​​ rapporto educazione / società.​​ Esso è al centro del dibattito sulla natura della s.d.e., che analizzato secondo una prospettiva tematica e comparativa (Moscati, 1989) può articolarsi in​​ tre fasi.​​ Nella prima fase, comune agli altri Paesi occidentali, centrale è il​​ problema del cambiamento,​​ considerato sotto il profilo della ricostituzione dell’ordine e dell’adeguamento della società alle nuove direzioni e ai nuovi ritmi di evoluzione indotti dall’industrializzazione e dall’accelerazione dello sviluppo economico. L’istruzione allora assume un ruolo sempre più centrale come mezzo di sviluppo equilibrato dei singoli individui o come elemento unificante sul piano dei valori e dei modelli di comportamento. Emerge in primo piano la figura dell’insegnante che in Italia è stata analizzata dalle ricerche di Cesareo e di Barbagli e Dei.​​ La seconda fase​​ corrisponde all’accentuarsi dentro ai processi di modernizzazione del rapporto tra istruzione, stratificazione e mobilità sociale, che viene sempre più legata alla carriera professionale, in cui l’istruzione svolge un ruolo cruciale. L’esame di questo nesso importante enfatizza il tema dell’uguaglianza delle opportunità di fronte all’istruzione, sia rispetto alle condizioni iniziali di partenza sia rispetto agli esiti scolastici. Gli anni ’70 infatti sono caratterizzati dal dibattito sul rapporto tra origine sociale e riuscita scolastica e professionale, spostando così l’ottica verso un’attenzione ai soggetti e ai loro percorsi individuali e differenziati. I giovani acquistano «visibilità» così da stimolare lo sviluppo di numerose ricerche sulla condizione giovanile, in misura esponenziale rispetto al passato.​​ La terza fase​​ di sviluppo della s.d.e. corrisponde ad un sempre più attento ricupero del ruolo dei soggetti all’interno delle dinamiche formative, per cui si pone attenzione ai processi che avvengono all’interno dei gruppi, come la classe scolastica e gli attori in essa coinvolti. Si colgono il disagio degli studenti e l’incertezza degli insegnanti sul proprio ruolo. Si sviluppa un policentrismo formativo tanto nella domanda che nell’offerta di formazione.

4.​​ I​​ temi di studio e di ricerca della s.d.e.​​ Tentativi di individuare e differenziare specifiche e più precise aree tematiche e oggetti pertinenti di studio della s.d.e. sono stati compiuti a più riprese. Brookover (1964) individuava 4 aree di studio della s.d.e.: l’analisi delle relazioni del sistema educativo con gli altri aspetti della società; lo studio delle relazioni psicologiche e istituzionali dentro la scuola; l’analisi dell’influenza della scuola sul comportamento e sulla personalità dei suoi membri specie dell’insegnante; l’influenza della comunità e delle diverse agenzie di socializzazione sull’organizzazione scolastica. Floud e Halsey qualche anno dopo hanno fatto il medesimo tentativo sulla base di un’ampia bibliografia ragionata, giungendo a risultati quasi identici e, secondo Cesareo, sovrapponibili. Anch’essi avevano individuato alcuni ambiti corrispondenti, e cioè lo studio del sistema formativo in rapporto alla più ampia struttura sociale (sistemi di valori, demografia, economia, politica); l’esame delle relazioni tra le varie attività educative; gli influssi educativi esercitati dall’ambiente su studenti e insegnanti. Infine in una sistematizzazione più organica e razionale, Ribolzi (1988) è giunta a definire come ormai classici nella s.d.e. i temi seguenti: lo studio della funzione sociale dell’istruzione e in particolare della scuola; l’analisi dei soggetti istituzionali del sistema educativo (specie insegnanti e allievi); lo sviluppo dei processi di socializzazione (contesto anche extrascolastico); l’analisi delle macrorelazioni tra sistema formativo, sistema di classe e sistemi economici, politici, culturali. Volendo completare la panoramica anche in prospettiva di futuro è indispensabile tuttavia includere e approfondire altre cinque aree di studio oggi particolarmente urgenti, come il rapporto tra scuola e mercato del lavoro in relazione ai nuovi bisogni di professionalità e di internazionalizzazione, ma anche attento al rischio di un nuovo efficientismo produttivistico a scapito delle componenti affettive e socializzanti dell’adolescente; le nuove tecnologie nella ricerca educativa; la struttura organizzativa del sistema formativo e delle politiche sociali per i giovani; il confronto internazionale sui sistemi scolastici; la valutazione in efficacia ed efficienza dei processi formativi contro ogni forma di sprechi; la formazione diffusa, cioè quella rete articolata di opportunità formative che va progressivamente ad integrare la scuola e la formazione permanente degli adulti.

5.​​ Gli sviluppi della s.d.e. in Italia.​​ Anche se già dagli anni ’50 lo Svimez aveva avviato le prime analisi riguardanti i rapporti tra sviluppo economico e fabbisogni formativi, è solo a partire dagli anni ’60 che la s.d.e. acquista in Italia una fisionomia disciplinare autonoma nei confronti sia di materie affini come la pedagogia e la psicologia, sia della s. generale. Pur sorta in ritardo rispetto ad altri Paesi, ha seguito le tendenze prevalenti nel panorama internazionale. In particolare sull’onda dei movimenti studenteschi sorti originariamente negli Stati Uniti e copiati nei vari Paesi europei, la nuova s.d.e. ha voluto studiare i rapporti tra struttura di classe ed educazione. In ogni caso il filo conduttore del suo evolversi rimane sempre la riflessione sul rapporto educazione / società variamente interpretato dalle diverse posizioni teoriche. I due approcci «classici»: funzionalista e conflittualista, sono entrambi presenti nella s.d.e. italiana con una certa prevalenza del primo nell’epoca iniziale, e del secondo attorno agli anni ’70. Infatti in coincidenza con la fase della contestazione studentesca e più in generale con la «caduta dell’ottimismo sociale», si rafforza l’orientamento conflittualista di indirizzo marxista piuttosto che quello weberiano. In tempi più recenti, però, gli operatori tendono a rifiutare la concezione rigidamente althusseriana della scuola riproduttrice dei rapporti di classe, in quanto essa nega valore all’azione pedagogica e condanna la scuola all’immobilismo. Ancora scarsamente presente nel nostro Paese è l’empirismo metodologico, che trascurando una sistematizzazione in precise categorie concettuali, cerca la propria legittimazione nell’adozione di tecniche di misurazione sempre più sofisticate. Nella seconda metà degli anni ’80 la s.d.e. raggiunge una relativa maturità rappresentata dallo svilupparsi in parallelo di diversi indirizzi e tematiche di approfondimento, come le trasformazioni degli studi universitari, la selezione scolastica, la mobilità attraverso l’istruzione, il dibattito su scuola statale e non statale, l’analisi comparativa delle politiche formative. Il già ricordato «ritorno del soggetto» sulla scena della riflessione sociologica ha aiutato a controbilanciare la precedente enfasi su strutture, sistemi e istituzioni sociali, rivalutando l’intenzionalità soggettiva contro i determinismi sociologici, così da proporre alla macrosociologia una fondazione anche di tipo microsociologico. Ciò comporta lo sviluppo di nuove categorie per lo studio della realtà sociale, come i concetti di​​ interdipendenza,​​ interpenetrazione e multidimensionalità.​​ Su queste basi, consolidate da numerose analisi di ricerca, si sta stabilizzando una sistematica revisione e razionalizzazione della s.d.e. in Italia, secondo una identità abbastanza definita.

6.​​ Problemi aperti della s.d.e. in Italia.​​ Se la s.d.e. in Italia ha trovato difficoltà a costruirsi uno statuto epistemologico autonomo in relazione alle teorie di carattere generale, non le è stato neppure facile collegarsi alla riflessione scientifica internazionale in termini di modelli teorici e di problematiche. Gran parte delle difficoltà sono infatti legate al crescere dell’importanza delle zone di confine. In particolare i fenomeni inerenti al sistema formativo non possono più essere circoscritti come oggetto di uno studio disciplinare specifico, ma per il loro carattere trans-disciplinare richiedono un approccio più complesso. La sempre maggiore importanza del rapporto educazione / società sta infatti suscitando nuovi problemi, a motivo delle esigenze poste dalle modalità di sviluppo dei processi sociali, quelle cioè dell’integrazione e dell’ordine sociale in una società pluralista, complessa e multiculturale.

Bibliografia

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R. Mion