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SOCIALIZZAZIONE

 

SOCIALIZZAZIONE

L’elemento specifico e caratterizzante di ogni​​ ​​ società umana è la presenza della​​ ​​ cultura. Essa trasforma l’individualità biologica in individualità sociale, non per via ereditaria e meccanicistica, ma con un’azione intenzionale dei soggetti sociali che predispongono un ambiente e mettono in atto un processo di trasmissione di valori e di comportamenti, definito processo di s.​​ 

1.​​ Dalla natura alla cultura: l’apporto delle scienze sociali.​​ Gli animali sono guidati da un’eredità genetica, l’uomo oltre che da questo, soprattutto da un patrimonio di elementi culturali frutto di apprendimento diretto. Se quindi la cultura è il contenuto della conoscenza, la s. è​​ il processo​​ mediante cui essa viene appresa dall’individuo, che da essere esclusivamente biologico diventa membro di un determinato gruppo sociale e quindi capace di occuparvi precise posizioni. Tale processo però non è né deterministico, né automatico, né orientato al semplice e passivo conformistico​​ adattamento​​ della persona alla società. Vi è sempre infatti una dinamica intrinseca legata alla particolare natura dell’uomo, che per la sua razionalità e libertà è capace di protagonismo e di inserimento​​ critico​​ nella vita sociale. Per le sue molteplici dimensioni la s. è quindi​​ oggetto di studio di diverse scienze sociali,​​ come l’antropologia, la psicologia, la storia. La​​ storia​​ ne analizza le pratiche educative sviluppatesi lungo i secoli attraverso lo studio dei vari tipi di «cultura dell’infanzia» e della sua immagine nelle diverse epoche (Ariès, Duby, Le Goff). La​​ sociologia​​ (sociologia dell’educazione) ne studia i condizionamenti sociali relativi al doppio versante della società e della persona. L’accentuazione di uno dei due aspetti caratterizza quindi anche le contrapposte prospettive teoriche: quella struttural-funzionalista (​​ Parsons) e conflittualista (​​ Scuola di Francoforte) sul versante della società, quella interazionista ed evolutiva (Stryker, Gecas) sul versante della formazione dell’identità e dell’evoluzione personale.

2.​​ Concetti e definizioni.​​ Sotto il profilo sociologico, il processo di s. è stato oggetto di numerosi studi, ricerche, interpretazioni teoriche e quindi di altrettante definizioni (Sturman). Secondo L. Gallino le diverse teorie della s. si possono utilmente raggruppare in​​ tre categorie:​​ a)​​ Le teorie che la definiscono come apprendimento di ruoli,​​ così da rendere possibile un comportamento conforme alle norme dominanti in una società o in una parte di essa, nella supposizione che ciò sia gratificante anche per l’individuo (ed è la posizione di​​ ​​ Durkheim, di Parsons e del funzionalismo). b)​​ Le teorie che la definiscono come riduzione,​​ specificazione e canalizzazione delle infinite potenzialità umane​​ ad un campo più ristretto e preciso di prestazioni. c)​​ Le teorie che la definiscono come capacità di stimolare l’attività personale del socializzando​​ verso la realizzazione di un proprio modello di comportamento sociale rilevante e coerente con certe attese di ruolo. In conclusione, costitutivo del concetto di s. è la sua natura di legame fondamentale tra la cultura di un gruppo e i suoi membri attraverso un processo di apprendimento, che si svolge a diversi livelli a seconda delle agenzie di s., che ne fanno da soggetto e da contesto. Non è un processo deterministico, per la possibile resistenza alle norme che il soggetto può manifestare, lasciando perciò spazio a comportamenti anche devianti in una dinamica che si esprime tra adattamento, conformità alle norme sociali ed enfasi sullo sviluppo autonomo, distinto e autoassertivo dell’individuo.

3.​​ La s. come apprendimento di ruoli.​​ Poiché la s. è un processo di apprendimento di norme e di ruoli, è indispensabile per conoscerne la natura fare ricorso alle teorie che ne approfondiscono i costitutivi essenziali. In sintesi le possiamo indicare nelle cinque seguenti: a)​​ La teoria del rinforzo sociale,​​ sviluppata da​​ ​​ Thorndike, Guthrie,​​ ​​ Eysenck,​​ ​​ Skinner, si riferisce fondamentalmente alle premesse del comportamentismo e attribuisce al soggetto un ruolo essenzialmente passivo. b)​​ La teoria dell’imitazione della condotta e / o dell’identificazione con la persona​​ (Whiting e Winch), secondo cui l’apprendimento delle norme avviene mediante l’osservazione e per riproduzione interiore di un modello legittimato da vari fattori, come dal potere sociale, dal prestigio, dalla ricchezza, dalle qualità umane, dalla familiarità, dall’affetto. Il modello percepito nella sua globalità risponde a sua volta a bisogni di significato, di stima, di affetto, di appartenenza del socializzando stesso. c)​​ La teoria psicoanalitica:​​ soprattutto in​​ ​​ Freud, per il quale si apprende quando si accetta il principio della realtà come correttivo del principio del piacere e come canalizzazione delle energie dell’Io, secondo le esigenze del Super-Io. La s. è considerata quindi lo strumento principale per il controllo e per 1’organizzazione della società. d)​​ La teoria dello sviluppo cognitivo:​​ elaborata soprattutto da​​ ​​ Piaget, da​​ ​​ Lewin e dagli psicologi della​​ ​​ Gestalt, attribuisce al soggetto l’attività di simbolizzazione e di integrazione delle rappresentazioni mentali in un prioritario quadro complessivo di significati, che si viene formando progressivamente nelle diverse fasi dello sviluppo cognitivo del bambino. e)​​ La teoria dell’interazionismo simbolico:​​ sviluppata tra il 1930 e il 1960 da Cooley, Mead, Gerth, Wright Mills e dalla scuola di Chicago. L’assunto di base è che l’uomo costruisce attivamente la realtà sociale («la realtà come costruzione sociale» di Berger e Kellner) e l’immagine di sé, trasmessagli dagli​​ altri significativi​​ (le persone importanti per il soggetto) in una dinamica interattiva sul cui sfondo rimangono gli​​ altri generici.​​ Non tutte le teorie psicologiche dell’apprendimento sottolineano la funzione attiva del soggetto nel processo di s. Alcune infatti lo considerano sostanzialmente «passivo», sulla linea di molte affermazioni della sociologia positivista e neo-positivista, che però è giustamente criticata dall’interazionismo simbolico e dalle sociologie critiche, che tendono ad evidenziare la dimensione proattiva del soggetto. Considerare infine la​​ s. come apprendimento​​ significa quindi presupporre sempre un «insegnamento» o la «trasmissione» di qualcosa in modo sia formale che informale.

4.​​ Forme e tipi di s.​​ Nella prospettiva più sopra analizzata, la s. accompagna tutte le diverse fasi della vita. Però è possibile individuarne qualcuna particolarmente critica, in cui essa riveste maggiore importanza, come nell’infanzia e nell’adolescenza. Un ulteriore criterio di classificazione viene generalmente ricavato a partire dagli effetti della società complessa e cioè della differenziazione sociale e della specificazione settoriale, in termini sia di specializzazione o​​ segmentazione dei contenuti​​ sia per​​ ambiti delle agenzie educative.​​ Nel primo caso si tratta allora di s. politica, di s. religiosa, di s. morale, di s. alla pace, di s. alla legalità, di s. alla solidarietà, di s. all’interculturalità, di s. alla mondialità, ecc. Nel secondo caso si parla di s. familiare, s. scolastica, s. parrocchiale, s. di gruppo o associativa, s. massmediale. La letteratura distingue infine tra​​ s. primaria,​​ s. secondaria,​​ e​​ s. terziaria.​​ a) Si definisce​​ s. primaria,​​ la s. che viene impartita ad un soggetto che si inserisce per la prima volta in una società. È dunque sinonimo di s. di base e si riferisce all’interiorizzazione dei valori fondamentali, generalmente costitutivi della personalità e più resistenti al cambiamento. Per alcuni antropologi culturali il termine è sinonimo di «inculturazione»​​ cioè di interiorizzazione di una «prima» cultura, a cui altre potranno aggiungersi in seguito. b)​​ S. secondaria​​ è quella che completa e modifica la precedente. Viene impartita generalmente non nella famiglia ma nelle istituzioni della società come la scuola, la chiesa e i vari tipi di gruppi (dal gruppo dei pari a quelli dell’associazionismo formale, ai vari movimenti e istituzioni). Essa consiste nell’interiorizzazione dei diversi ruoli ed ambiti esistenziali, ciascuno dei quali assicura la divisione del lavoro nella società. Per alcuni la s. secondaria inizierebbe con l’adolescenza, però oggi nella società moderna il bambino trova già una serie di stimoli perfino dalla scuola materna che vengono a sovrapporsi a quelli della famiglia, così da diventare essi stessi fonte di s. anche primaria. È così che i confini tra le due si configurano incerti e problematici, tanto da suggerire l’ipotesi che il rapporto reciproco si stia modificando, nel senso di una forte contrazione della s. primaria, a vantaggio di quella secondaria, e ciò a causa della pluralità e differenziazione dei ruoli sociali che l’individuo è chiamato a ricoprire, oltre che a motivo della sovraesposizione massiccia ai mezzi di comunicazione sociale cui ogni persona è sottoposta. In ogni caso la s. primaria termina quando anche l’«altro generalizzato» si è fissato nella coscienza individuale. In questa prospettiva diventa più difficile parlare di s. primaria e / o secondaria in termini di tempi e di fasi. c) Oggi più che nel passato, le più frequenti situazioni di disagio giovanile e i vari processi di disadattamento chiamano in causa un terzo tipo di s., quella che viene definita​​ terziaria.​​ È un processo di ri-s., tipico dei soggetti che hanno subito un processo di de-s. o che comunque non hanno raggiunto livelli soddisfacenti di s. (ipo-s.). Si può forse definirla anche come «educazione correttiva» (Edel e Hellner), come «educazione di reinserimento degli a-sociali» (Sack e Harbordt), come «recupero della de-s.» (Rossner).

5.​​ Modelli correnti di s.​​ Sono derivati da specifici quadri teorici, che sinteticamente si possono individuare in tre diversi tipi (Besozzi). a)​​ Il​​ modello integrazionista o funzionalista.​​ La s. è considerata come un processo volto all’integrazione del soggetto nel gruppo sociale di appartenenza, con una accentuazione della sua dimensione​​ funzionale e normativo-coercitiva​​ sul versante della società e di quella​​ adattativa​​ sul versante del soggetto. Tale modello pone l’accento sul ruolo e la​​ conformità​​ ad esso, perché avviene attraverso il processo della​​ trasmissione​​ di un patrimonio consolidato e condiviso di valori, di norme, e di conoscenze. Le agenzie di s. operano secondo una linea di​​ continuità,​​ pur nella specificità, gradualità e coerenza dei compiti. b)​​ Il​​ modello conflittualista.​​ Assume il conflitto e la lotta per il dominio sociale come categorie fondamentali di descrizione dei rapporti societari. Suo presupposto è l’ideale emancipatorio della persona contro ogni forma di condizionamento e di riproduzione sociale (Althusser e Bowles) o culturale (Bourdieu e Passeron). Un ulteriore sviluppo di queste teorie è dato dalla​​ teoria della resistenza​​ (Giroux e Apple), che tenta di superare il determinismo insito nelle analisi dei condizionamenti sociali e culturali. c)​​ Il modello comunicazionale.​​ Nasce dalla sfiducia rispetto ai valori ultimi, per cui la s. è un processo cognitivo di costruzione del sapere e degli stessi orientamenti di valore sulla base delle diverse contingenze sociali. Ciò che spinge all’agire non è tanto l’imposizione e la norma quanto il creare e lo scoprire nuove motivazioni.

6.​​ Problemi aperti.​​ Il modello della s.​​ come comunicazione​​ valorizza il soggetto in termini di percorso individuale, di esplorazione, di progettualità, di ricerca e di negoziazione, ma lascia sul campo una serie di interrogativi, che riguardano prima di tutto la sua generale «debolezza» e flessibilità. Ciò comporta il rischio di iposocializzazione, di narcisismo e di fragilità dell’io. In secondo luogo viene enfatizzata l’«eterodirezionalità», dove l’obiettivo non è più il conseguimento dell’interiorizzazione dei fini, ma la cura delle relazioni sociali. In terzo luogo, nello spirito assai diffuso della flessibilità non è risolta l’aporia della relazione tra dualità e reciprocità dell’individuo e della società, tra soggettività / oggettività e socialità. È tutta da esplorare la possibilità di fondare solidarietà e identità sociale, su basi puramente comunicative. Infine rimane aperto il problema di fonte illuministica, se sia sufficiente «conoscere» per «essere​​ socialmente e individualmente», se cioè sia sufficiente possedere una o più mappe cognitive per governare adeguatamente il proprio percorso di vita, o non piuttosto sia necessario possedere anche delle capacità, attitudini, virtù personali che (oltre alla conoscenza) permettono il raggiungimento di certi obiettivi e non soltanto un adeguamento alle contingenze del momento. Si profila quindi in alternativa l’ipotesi di un​​ modello di s. a carattere relazionale,​​ dove la s. non è più intesa come controllo sociale, né come comunicazione «tout court», ma inverata nella relazione sociale (Donati) sulla base di contenuti che sono gli orientamenti e stili di vita, i progetti e i valori.

Bibliografia

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R. Mion