SIMBOLO
SIMBOLO
Il s. nell’interpretazione tradizionale, proposta da → Aristotele e seguita nell’epoca classica (syn-ballo: getto, metto assieme, unisco) faceva riferimento alla percezione interiore e alla sua manifestazione in suoni e in parole. → Agostino porta l’attenzione sul fatto che i segni sono propri o trasposti; rileva quindi una dilatazione possibile – trasposizione – ad altra realtà significata attraverso il s.
1. Fino ad epoca recente l’interpretazione del s. era legata alla concezione del → linguaggio, inteso come «strumento» di comunicazione del pensiero, deputato a lasciar trasparire la «conformità» fra pensiero e realtà – adaeguatio intellectus et rei –. In questo senso la distinzione fra segno e s. era irrilevante. La riflessione recente e contemporanea ha visto nel linguaggio un’area privilegiata di ricerca: «Mi sembra che oggi vi sia un’area in cui tutte le ricerche si incrociano reciprocamente: quella del linguaggio» (Ricoeur, 1965, 13).
2. Il linguaggio è l’orizzonte stesso del pensiero e del processo interpretativo della realtà. La divaricazione si delinea netta nella riflessione heideggeriana. Per la tradizione l’uomo ha la capacità di conoscere – logon ekon –, per Heidegger invece l’uomo è in quanto conosce. La comprensione non è una funzione conoscitiva, è il modo stesso di essere dell’uomo (Heidegger, 1969). Il s. assurge ad elemento qualificante e rivelativo della forza del linguaggio, viene analizzato da varie discipline e reca l’accentuazione specifica che le caratterizza; ad es. nell’ambito della psicanalisi come espressione del subconscio (P. Diel); o come manifestazione di archetipi (→ Jung).
3. Singolare attenzione vi è dedicata dall’ → antropologia. Per J. Lacan il s. consente al singolo di organizzare una comprensione unitaria e organica del mondo che gli è proprio; Lévy-Strauss a sua volta raccoglie l’intera visione culturale sotto i segni simbolici che la rendono significativa. Con Cassirer il s. viene situato a perno dell’interpretazione della stessa cultura (Cassirer, 1971). In ambito religioso l’analisi del s. consente un’autentica reinterpretazione delle varie manifestazioni della religione (J. Ries).
4. Sotto il profilo educativo si può assegnare al s. una triplice funzione: a) consente a colui che lo emette o lo riceve di articolare il proprio mondo culturale e quindi di mettersi in comunicazione con altri che partecipano della stessa cultura; b) più che designare le caratteristiche di un oggetto tende a far parlare il mondo dei significati di cui la realtà espressa è portatrice e mediatrice: in un certo senso si può dire che il s. dà voce alla realtà e la trasferisce dalla sua rudimentale fattualità all’orizzonte di significato; c) il s. si può quindi opportunamente distinguere dal segno che invece designa una realtà precisa nelle sue specifiche e concrete connotazioni.
Bibliografia
Lévy-Strauss C., Les structures élémentaires de la parenté, Paris, PUF, 1949; Ortigues E., Le discours et le symbole, Paris, Aubier-Montaigne, 1962; Ricoeur P., De l’interprétation, Paris, Seuil, 1965; Heidegger M., Essere e tempo: l’essenza del fondamento, Torino, UTET, 1969; Cassirer E., Saggio sull’uomo, Roma, Armando, 1971; Eliade M., Trattato di storia delle religioni, Torino, Bollati Boringhieri, 1972; Di Nola A. M., «S.», in Enciclopedia delle religioni, Firenze, Vallecchi, 1973; Chauvet L. M., Linguaggio e s. Saggio sui sacramenti, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1982; Ladrière J., L’articulation du sens, Paris, Cerf, 1984; Pieretti A., «S.», in M. Laeng (Ed.), Enciclopedia pedagogica, vol. VI, Brescia, La Scuola, 1994, 10724-10731.
Z. Trenti