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SAGGEZZA

 

SAGGEZZA

Della s. occorre individuare esattamente il contenuto e il significato, se si vuole che diventi operabile dal punto di vista educativo: come fine del processo di crescita o come metodo o come qualità dell’educatore.

1. A questo scopo è, anzitutto, necessario distinguerla nettamente da due realtà contigue ben definite dal punto di vista teorico (filosofico-teologico) e operativo (etico): la​​ sapienza​​ o la ricerca-contemplazione del vero e del bene, che diventa in definitiva il Vero e il Bene (Dio) (la​​ sophía​​ e la​​ philosophía-theoría​​ greco-cristiana); e la​​ ​​ prudenza,​​ la virtù guida della vita morale. Dal punto di vista storico-pedagogico rimangono disponibili almeno tre tipi di s.:​​ scienza della vita​​ di stampo tradizionale e popolare; capacità di trasmissione di​​ abilità tecnico-pratiche; sapienza-prudenza depotenziata.

2. Nelle società di tipo tradizionale, affidate alla cultura orale, la s. (scienza di vita, morale e pratica) è prerogativa soprattutto degli anziani carichi di esperienza e di memorie (e vicini al «sacro»): «archivi viventi» («quando un vecchio muore è una biblioteca che brucia»), educatori, giudici e consiglieri (antico Oriente, civiltà Inca, Sparta, ebraismo, Africa). Un concentrato di tale s. sono spesso le massime, le sentenze, i proverbi.

3. A livello teorico, «intellettuale», ci si affida alla s. dell’anziano colto nelle società feudali greca e medievale. In​​ ​​ Omero appare Chirone che dà ad Achille (Iliade​​ XI 832) e ad altri venti eroi una integrale formazione fisica intellettuale e morale. Anche nella letteratura cavalleresca del​​ ​​ Medioevo europeo l’eroe, l’uomo di valore (in guerra, nella politica, nel comportamento quotidiano), è «saggio» in quanto è «abile», chiaroveggente, «sperimentato», all’altezza della situazione, dal sangue freddo, perspicace oltre che «pio» e «giusto».

4. Dal punto di vista storico, anche nello specifico campo pedagogico, si ricorre al concetto di s. quando, particolarmente nel Cinquecento francese, vengono messe in discussione la logica e la filosofia aristotelica, con l’approdo a posizioni scetticheggianti e moralistiche. Il binomio classico sapienza-prudenza perde il rigoroso significato originario, assumendone un altro pragmatico-vitale, guida ad una felicità «su misura d’uomo», chiuso nella sua individualità anziché supportato da un’antropologia vigorosamente metafisica aperta al trascendente. Nel saggio​​ De l’institution des enfants​​ ​​ Montaigne propugna la formazione di un uomo «abile» piuttosto che «sapiente», allenato nella filosofia intesa come arte di vita piuttosto che costruzione concettuale astratta (il sapere sillogistico degli «ergo», l’«ergotismo»): «la testa ben fatta più che ben piena», la s. del «saper ben vivere e del ben morire», attinta dalla frequentazione del mondo e degli uomini più che dai libri. Analoghi orientamenti si trovano nel​​ De la Sagesse​​ di Pierre Charron (1541-1603). Nell’educazione dei figli il padre (lib. III 14) dovrà tendere «più alla s. che alla scienza e all’arte», «più a formare il giudizio e per conseguenza la volontà e la coscienza che a riempire la memoria e accendere l’immaginazione». È «saggio chi nei desideri, nei pensieri, nelle opinioni, nelle parole, nei fatti, nei comportamenti si regola con misura ed equilibrio». Lo plasma una morale e una pedagogia del «ne quid nimis», regolata dal principio «surtout pas trop du zèle».

Bibliografia

Charron P.,​​ De la Sagesse,​​ Paris, Villery, 1635;​​ Montaigne M. de,​​ Essais,​​ par M. Rat, Paris, Granier, 1952, 154-192 (XXVI: «De institution des enfants»);​​ Gregory​​ T.,​​ La s. scettica di P. Charron,​​ in «De Homine» 6 (1967) 163-182; Bosco D.,​​ Charron moralista: temi e problemi «de la Sagesse»,​​ in «Rivista di Filosofia Neoscolastica» 69 (1977) 247-278;​​ Brucker Ch.,​​ Sage et sagesse au moyen âge​​ (XIIe et XIIIe siècles). Étude historique,​​ sémantique et stylistique,​​ Genève, Librairie Droz,​​ 1987; Minois G.,​​ Storia della vecchiaia dall’antichità al Rinascimento,​​ Bari, Laterza, 1988.

P. Braido