PSICOSOMATICA
PSICOSOMATICA
Il termine p. sostanzialmente sta a sottolineare il rapporto strettissimo tra emozioni e malattia. In senso più largo sottolinea l’interconnessione tra psiche e soma che formano un’unità strutturale e funzionale con evidente influenza reciproca. Da ciò deriva la considerazione che qualsiasi fenomeno psichico, cosciente o inconscio, ha delle inevitabili ripercussioni sulla componente somatica e viceversa; questo sia in situazione normale che patologica. La situazione normale spiegherebbe come un buon funzionamento organico può dare sensazioni di benessere psichico e viceversa; mentre la situazione patologica ci spiegherebbe come conflitti psichici possano provocare disfunzioni o danni organici e viceversa.
1. Cenni storici. Sembra che il termine sia stato coniato dal poeta, filosofo e drammaturgo inglese S.T. Coleridge verso il 1790. In medicina però è stato introdotto da psichiatri, abbastanza orientati in senso psicoanalitico, nel 1930, ma alcuni anni prima la dottoressa Flanders Dunbar aveva trattato diffusamente l’argomento. Nel 1932 F. Alexander fondò il Chicago Institute for Psychoanalysis e con i suoi collaboratori condusse approfondite indagini psicoanalitiche sui pazienti fisicamente malati. Erano del parere che tutti i pazienti psicosomatici presentino conflitti relativi alla dipendenza. Nel 1939 è stata fondata la rivista «Psychosomatic Medicine» e all’inizio degli anni ’40 l’American Psychosomatic Society. Oggi mentre alcuni medici vorrebbero non usare questo termine o perché convinti che ogni malattia ha una causa organica o perché convinti che in molte malattie la psiche viene comunque coinvolta, si va facendo sempre più strada la teoria della causalità multipla almeno per molte malattie. Numerosi sono gli psicologi propensi a mantenere la terminologia p. in quanto valida e significativa.
2. Premesse teoriche. Possiamo distinguere tre principali posizioni teoriche a questo riguardo. Una prima posizione identifica l’Io con il proprio soma, quindi i disturbi psichiatrici di qualunque tipo sono disturbi cerebrali e non si fa distinzione tra somatico e psichico. Una seconda considera il somatico e lo psichico come due aspetti della stessa realtà, come due versanti della stessa struttura, quindi si può usare una terminologia diversa per ognuno di essi, tenendo però presente che non si tratta di realtà diverse. Una terza posizione li considera invece come realtà diverse ma così ben armonizzate da costituire una realtà unica: «Homo sapiens». Si deve usare allora terminologia diversa e trattamento differenziato ma complementare. A queste differenti premesse antropologiche conseguono modi differenti di accostamento psicologico e psicoterapeutico. Qualsiasi medico o psicologo o psicoterapeuta ha una sua visione antropologica che implicitamente o esplicitamente è presente nei suoi rapporti con se stesso, con gli altri e in particolare con i pazienti.
3. Uso di tecniche. Quanto all’uso delle tecniche, l’antropologia ha un ruolo molto più secondario che non nella scelta di esse per cui tutto dipende dall’abilità di chi le impiega e anche dalla scuola che segue.
4. Conclusioni. Si potrebbe rapidamente concludere che al momento attuale conviene distinguere: malattie in cui la preponderanza diagnostica e terapeutica è decisamente medica e il contributo dello psicologo, semmai, è di appoggio soltanto; disturbi in cui il ruolo dello psicologo è primario e quello farmacologico è accessorio; forme miste in cui la collaborazione degli specialisti è indispensabile. A quest’ultima categoria appartengono le cosiddette malattie psicosomatiche, fra cui classiche: l’ulcera peptica, in cui bisogna tener conto della presenza dell’Helyco Bacter; l’asma bronchiale; l’artrite reumatoide; l’ipertensione essenziale; la colite ulcerosa; le neurodermatiti e forse alcune forme di cancro. Col progredire degli studi certamente si chiariranno tanti particolari ancora non ben definiti e si potrà offrire un aiuto più consistente ai sofferenti di tali disturbi.
Bibliografia
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V. Polizzi