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VALORI

 

VALORI

Il discorso dei v. è tra quelli più comunemente assegnati ad una​​ ​​ filosofia dell’educazione o ad una meta-teoria di essa (​​ pedagogia), nel loro riflettere sul quadro di riferimento ideale dell’agire educativo in genere e sul senso dell’istruzione pubblica in particolare. Nel contesto attuale, segnato dal pluralismo, dall’innovazione, dalla secolarizzazione, dalla crisi, dal​​ ​​ relativismo, dalla perdita di​​ ​​ senso e di oscuramento dei sistemi di significato, dalla ripresa di posizioni fondamentalistiche, c’è una rinnovata attenzione al discorso dei v. e dell’educazione ad essi.

1.​​ Il v. e i v.​​ Il termine v. proviene dal mondo economico, dove sta ad indicare il prezzo dovuto all’uso, al potere di scambio, al lavoro, alle materie prime, ecc. (cfr. il termine gr.​​ axía​​ = prezzo, costo). In senso derivato viene riferito all’ambito della morale (l’etica, il bene, il fine ultimo dell’azione). Ma il termine è diventato di uso comune, nel corso del XX sec., con la cosiddetta «filosofia dei v.» ad opera di autori come H. Rickert, F. Nietzsche,​​ ​​ Weber, M. Scheler, N. Hartmann. Con esso si viene per solito ad intendere: a) la qualità di una persona o cosa in quanto oggetto di apprezzamento («aver v.»); b) persona o cosa o categoria astratta che è degna di apprezzamento («essere un v.»); c) una dignità ed eccellenza che si pone come una sorta di ideale assoluto. In quest’ultimo significato, v. viene ad essere non solo principio di giudizio, ma anche fonte di emozione e principio di azione. Allo stesso tempo richiama un’idea, suscita un impegno, spinge ad agire (cfr. l’aggettivo gr.​​ áxios, degno, stimabile: da cui il termine «assiologia», e «assiologico» detto per tutto ciò che concerne lo studio relativo al mondo dei v.). Al plurale sta per ideali, per idee-forza, che si propongono come umanamente degni in sé ed umanizzanti nella loro attuazione.

2.​​ Per una concezione pedagogica del v.​​ Il v. può essere considerato da quattro versanti (o polarità): a) in sé e per sé, come eccellenza astratta (ad es., amicizia, amore, bellezza, utilità, verità, giustizia); b) come realtà valida (i cosiddetti «beni», ad es. un’opera d’arte, un atto di giustizia, un’affermazione vera); c) come preferenza soggettiva (aspirazioni, bisogni, desideri soggettivi per qualcosa che si considera buono, bello, grande, vero); d) come determinazione storico-culturale di v. (i cosiddetti sistemi di significato o quadri di v. propri di un gruppo, di un popolo o di una determinata epoca storica). Le diverse classificazioni dei v. costituiscono un tentativo di chiarire il panorama vasto e non facilmente generalizzabile del mondo dei v., proprio perché si accentua o l’uno o l’altro versante o polarità o perché nel momento dell’attuazione vengono a conflitto l’uno con l’altro. In rapporto all’educazione può essere interessante considerare la questione in una prospettiva relazionale-dinamica. Secondo questo modo di vedere, il luogo del v. è il rapporto interattivo e storico tra un soggetto ed altri soggetti; tra persone e cose; tra individualità ed ambiente; tra passato, presente e futuro; tra mondo soggettivo e mondo oggettivo; tra naturale e culturale; tra fattuale e possibile; tra attuale e futuribile; tra immanente e trascendente. Si viene a parlare propriamente di v. quando questa relazione innanzitutto è avvertita e più o meno coscientemente è accolta e giudicata «significativa», cioè denotativa di qualcosa che si fa apprezzare perché corrisponde alle esigenze ed alle possibilità di «un di più di umanità» per tutte le parti che entrano nella relazione. All’alba del v. ci sarebbe, infatti, la sensazione, vissuta o cosciente, che nell’apertura agli altri, nel mondo e nella storia, e magari all’Altro (presente e trascendente il mondo e la storia) sia dato intravedere la possibilità di realizzare un di più di umanità, per sé e per tutti, e una riqualificazione del mondo e della storia stessa. Dal punto di vista dei soggetti il v. indicherebbe la possibilità di qualificare umanamente e dare un​​ ​​ senso alla propria esistenza. Parimenti, nella luce del v., si mostrerebbe il ruolo attivo, ricostruttivo e creativo che il soggetto ha nella vita dell’universo, e d’altra parte il ruolo che il mondo storico, fisico e sociale, ha nei confronti del soggetto in ordine al realizzarsi di qualcosa che va oltre il loro attuale incontrarsi e stimolarsi. In tal modo c’è nell’affermazione del v. un aspetto che è sia trans-soggettivo sia trans-oggettivo, pur qualificando l’uno e l’altro e la relazione storica stessa. Con ciò si spiega lo scarto tra fatto e v.; ma anche il fatto che l’esperienza di v. si pone più nell’ordine della scoperta che dell’invenzione. Di per sé, nel giudizio di v. non c’è iscritta l’attuazione concreta. C’è però un appello di realizzazione, sotto il segno della reciprocità e responsabilità relazionale. Così è in particolare in ambito educativo. Perché si realizzi la crescita personale e comunitaria, e la buona qualità della vita personale, che sono i v. supremi dell’educazione, si richiede una «decisione per» ed un impegno da parte di tutti coloro che sono all’interno del processo formativo. Ma prima ancora occorre darsi da fare perché si diano la «piattaforma della comunicazione educativa», i supporti e le strategie medianti e facilitanti il gioco dinamico del​​ ​​ rapporto educativo, lavorando sui mezzi in vista di ciò che si pone come fine.

3.​​ Il v. della formazione. Secondo alcuni la​​ ​​ formazione, l’​​ educazione, l’​​ ​​ insegnamento, l’​​ ​​ addestramento sarebbero intrinsecamente un v., in quanto volti a sviluppare e promuovere uno stato desiderabile in coloro che sono in formazione. L’​​ ​​ apprendimento non è un fatto meccanico. La​​ ​​ comunicazione per essere efficace richiede che sia colta come significativa, vale a dire rispondente ad esigenze di sviluppo intellettuale, culturale e globalmente personale. Nell’insegnamento l’informazione è sorretta dalla motivazione e fa appello alla libertà dell’alunno perché, cogliendo la validità dell’informazione, comprenda che vale la pena d’impegnarsi ad interiorizzarla e a farla propria. La formazione culturale e professionale acquista il suo significato nel contesto di un’integrale umanizzazione personale e non si riduce ad un apprendimento specialistico o ad un addestramento puramente tecnico ed abilitativo. Infatti l’esperienza della formazione mostra in sé non solo la richiesta d’informazioni utili o l’acquisizione di abilità consolidate o di competenze di ruolo, ma anche l’istanza di sostegno alla crescita personale in libertà, responsabilità e solidarietà, l’attesa di relazioni significative, l’aspettativa di un vivace inserimento nel mondo sociale e professionale, nella prospettiva di una cura permanente di sé e del mondo in cui si vive. In tal senso l’educazione nella sua globalità si esprime come un’iniziazione a conoscenze, abilità, atteggiamenti, forme di vita che si considerano intrinsecamente valide e protese verso livelli superiori di completezza umana. Ma non tutti sono d’accordo su tale intrinseca validità dell’educazione. Non solo essa può essere strumentalizzata, ma può anche mortificare irrimediabilmente la spontaneità e la creatività personale. Inoltre la trasmissione di contenuti di v. potrebbe non sottrarsi a forme di ideologizzazione sottomissiva ed alienante. Per tal motivo nella tradizione pedagogica ad un’educazione «materiale» (vale a dire un’educazione focalizzata su quelli che erano considerati i contenuti di verità e di v. del patrimonio sociale di cultura) si contrapponeva un’educazione «formale» (vale a dire un’educazione focalizzata sulla formazione delle capacità, degli atteggiamenti, delle abilità, del senso critico). Ma forse, queste contrapposizioni manifestano più che altro le difficoltà concrete ed intrinseche all’educazione, e mettono in luce le diverse concezioni di​​ ​​ uomo e di​​ ​​ libertà, che si hanno di fronte nell’educare. In tutti i casi resta il v. promozionale e umanizzante della formazione.

4.​​ La scuola e i v.​​ Una tale problematica valoriale si riflette in modo specifico in ambito scolastico. Le questioni sono fondamentalmente di due tipi: la prima, se la scuola debba educare ai v.; la seconda, quali ne debbano essere le forme curricolari, le strategie di insegnamento e di apprendimento. C’è chi considera l’introduzione dei v. nella scuola una turbativa dell’apprendimento ed una forma di indottrinamento e perciò chiede che siano tenuti lontani da essa in nome della libertà degli alunni, della laicità della scuola, della rigorosità ed efficacia dell’apprendimento, del pluralismo sociale. La scuola dovrebbe limitarsi ad una solida istruzione, vale a dire ad una formazione intellettuale basata sulla trasmissione e l’acquisizione competente degli aspetti più universali del conoscere e della cultura. Per converso altri evidenziano il fatto che la neutralità educativa della scuola è illusoria. I v. sono presenti almeno a livello di «curricolo nascosto». La cultura scolastica è già di per sé una selezione del patrimonio sociale di cultura secondo criteri di validità, pertinenza, adeguatezza e significatività formativa. Le compromissioni che si riscontrano nei programmi e nelle iniziative legislative sulla scuola sono, a loro modo, conseguenze delle diverse immagini d’uomo, dei progetti-società e delle concezioni di umanità e di civiltà che i legislatori hanno in mente. In tal senso si può dire che sullo sfondo delle discussioni e delle decisioni di politica scolastica c’è sempre, almeno implicitamente, una referenza valoriale, seppure diversificata. Allo stesso modo si afferma che non si può schivare la responsabilità educativa della docenza e della scuola come istituzione sociale: nel bene e nel male. L’​​ ​​ indottrinamento sarà evitato se l’insegnamento sarà realmente tale, cioè offerta chiara, motivata e critica di quel tanto di informazioni e strategie d’apprendimento che permettano non solo di apprendere, ma anche di continuare a ricercare e ad istruirsi da sé in libertà. Inoltre si ribadisce che i pericoli non vengono solo dalla «dottrina», ma anche dall’assenza d’insegnamento, che lascia la gente in balia dei propri pregiudizi o di un falso sapere; oppure viene da un insegnamento troppo rapido o troppo specializzato, che abbandona la formazione dello spirito per limitarsi a selezionare e a fabbricare degli «attrezzi» umani, abili in prestazioni meccaniche e tecniche, ma poveri di quella competenza umana che permette di partecipare a pieno diritto e con tutti i titoli alla vita comunitaria. Più specificamente in questi ultimi anni alla scuola si è chiesto di fare opera di iniziazione soprattutto a quelli che sono detti «i nuovi v.»: lo sviluppo, l’ecologia, i diritti umani, la mondialità, l’internazionalità, la cooperazione, la solidarietà, la pace, la salute, ecc. In particolare si è posta come finalità peculiare della scuola l’educazione alla convivenza civile democratica, al fine di porre le basi conoscitive, emotive e comportamentali di una «morale pubblica» in un quadro di pluralismo, di complessità e di cambio socio-culturale. Anche in molte altre nazioni occidentali a regime liberale democratico, in alternativa o indipendentemente dall’insegnamento scolastico della religione, sono proposte forme di educazione morale e / o di educazione ai v., sotto forma di disciplina autonoma o di moduli didattici disciplinari e interdisciplinari, magari sostenute da attività formative extra-curricolari. In ambienti anglosassoni si sono pure sviluppate metodologie che hanno avuto un certo seguito. Tra esse giova ricordare la metodologia del​​ Set-of-Values, corrispondente ad un’educazione sociale attraverso l’insegnamento, lo stile dell’insegnamento, l’organizzazione e il clima scolastico di quei v. comunitariamente condivisi e considerati essenziali alla vita sociale (come il primato e la protezione della vita umana, la difesa della sopravvivenza umana, il rispetto della diversità culturale, la tutela dell’ambiente, la giustizia, la libertà, l’uguaglianza). Una seconda è quella denominata​​ Value analysis, che si serve del ragionamento, della riflessione e della discussione di gruppo per evidenziare le implicazioni possibili di differenti scelte pratiche. Entrambe diventano problematiche quando si voglia arrivare a consensi generalizzati e ad indicazioni di v. o di norme in qualche modo universali. In questa linea qualche decennio fa ebbe una certa diffusione, negli ambienti di lingua inglese, la cosiddetta​​ Value clarification, che non pretende questo orientamento normativo, ma solo abituare gli alunni ad esplicitare i criteri personali di giudizio che stanno alla base delle scelte personali. Ma il​​ ​​ relativismo valoriale e morale non viene superato; per tal motivo altri si sono rifatti alla teoria dello sviluppo morale di​​ ​​ Kohlberg per aiutare gli alunni a passare da giudizi morali eteronomi e particolaristici ad altri autonomi ed universalistici. Ma anch’essa non sembra essere esente da questioni più generali che vengono a riflettersi in questa sede: la concezione della libertà e della vita associata, il relativismo culturale e l’universalismo morale, l’ipoteticità e la normatività del conoscere in genere e di quello scientifico in particolare. A livello operativo può essere interessante il riferimento ai principi e ai v. che si ispirano e / o sono espressi nelle Costituzioni nazionali, nelle Dichiarazioni internazionali sui diritti dell’uomo e del fanciullo, in quanto permettono la condivisone ideale e la convergenza pratica nel pluralismo delle giustificazioni teoriche, delle concezioni filosofiche, dei credo ideologici o religiosi particolari o di gruppo (e conseguentemente nel dialogo / dibattito attorno ad essi).

Bibliografia

Peters R. S.,​​ Etica e educazione, Roma, Silva e Ciarrapico, 1973; Sloan D. (Ed.),​​ Education and values, New York, Teachers Coll.​​ Press, 1980; Morin L. - A. Adan (Edd.),​​ L’école et les valeurs, Quebec, Fleury, 1981; Massa R.,​​ Educare o istruire?, Milano, Unicopli, 1987; Cummings W. - Y. Tomod (Edd.),​​ Values education, London, Pergamon Press, 1988; Galli N. (Ed.),​​ Quali v. nella scuola di Stato, Brescia, La Scuola, 1989; Santelli Beccegato L. (Ed.),​​ Bisogno di v., Ibid., 1991; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ Fine e v., Roma, Armando, 1992;​​ Houssaye J.,​​ Les valeurs à l’école. L’éducation aux temps de la sécularisation, Paris,​​ PUF, 1992; Reboul O.,​​ I v. dell’educazione, Milano, Ancora, 1995; Boudon R.,​​ Declino della morale? Declino dei v.?, Bologna, Il Mulino, 2003; Mapelli B.,​​ Nuove virtù, Milano, Guerini, 2004; Andreoli V.,​​ Principia. La caduta delle certezze, Milano, Rizzoli, 2007.

C. Nanni




VALORI PROFESSIONALI

 

VALORI PROFESSIONALI

I v.p. sono un’applicazione dei​​ ​​ v. generali alla professione.

1. Ogni persona sente la necessità di dare un senso alla propria esistenza e raggiunge tale finalità realizzando alcuni v. Anche l’attività lavorativa impegna le persone in un lungo periodo della vita e offre loro la possibilità di realizzare alcuni v., che sono propriamente i v.p. I v. sono motivanti per definizione e si manifestano nella realizzazione di un bene. Il v. quindi è un elevato obiettivo che il soggetto si prefigge e che diventa per lui un ideale. Il numero e la denominazione dei v.p. sono fluttuanti; a titolo esemplificativo possono essere raggruppati nelle seguenti categorie: a) affermazione sociale (appartenenza, prestigio e soddisfazione personale); b) modalità (retribuzione, sicurezza e qualifica); c) espressione di sé (creatività, rischio, perfezionamento e autorealizzazione).

2. I v. sono​​ intrinseci​​ ed​​ estrinseci​​ in rapporto ad un’area professionale o ad una specifica attività lavorativa; tale è la creatività per l’area artistica e la retribuzione per tutte le occupazioni. Il v. intrinseco indica l’autentica motivazione e contribuisce alla stabilità occupazionale. Anche la distinzione tra v.​​ finali​​ (creatività e perfezionamento) e v.​​ strumentali​​ (sicurezza e qualificazione) può essere utile per comprendere le vere motivazioni del soggetto. I v. maturano nella giovinezza e possono essere rilevati con alcuni questionari tra i quali uno bene elaborato va sotto il titolo «Scala dei v. p.» di Trentini, Bellotto e Bolla (1999). La scala è formata da 63 item dai quali si ottengono 21 v. tra i quali Avanzamento, Altruismo, Autonomia, Prestigio, Rischio ed altri. Questi danno origine a 5 orientamenti (materialistico, al sé, agli altri, all’indipendenza, alla sfida) e a 6 tipi (creativo, tranquillo, rampante, duro, autonomo, sociale). I tre tipi di informazioni complementari si prestano ad un articolato e proficuo colloquio tra l’operatore e l’utente dell’orientamento. Come gli​​ ​​ interessi professionali anche i v. contribuiscono alla scelta scolastica e professionale, alla soddisfazione nel lavoro e alla stabilità della scelta occupazionale (Dawis, 1991).

Bibliografia

Dawis R. V., «Vocational interests, values, and preferences», in M. D. Dunnette - L. M. Eough (Edd.),​​ Handbook of industrial and organizational psychology, vol. 2, Palo Alto, Consulting Psychologists Press,​​ 21991; Trentini G. - M. Bellotto - M. C. Bolla,​​ Scala dei v.p., Firenze, OS, 1999.

K. Poláček




VALUTAZIONE

 

VALUTAZIONE

La v. è un processo attraverso il quale si attribuisce un valore ad un prodotto, a un’azione, ad una competenza, ad una prestazione, ad un sistema complesso… Consta di più fasi: inizia con la definizione dell’oggetto da valutare, prosegue con l’identificazione di un modello di riferimento, per passare poi alla rilevazione delle caratteristiche del prodotto in esame, che vengono confrontate con quelle attese, per poter esprimere un giudizio sul grado di adeguatezza delle stesse ed assumere quindi delle decisioni. La v. può avere una funzione​​ formativa,​​ diagnostica,​​ predittiva,​​ sommativa,​​ certificativa​​ o​​ selettiva. In ambito scolastico la v. può riguardare il profitto o altre caratteristiche degli allievi (attitudini, condotte, capacità relazionali…).

1.​​ Storia degli studi sulla v. A partire dalla fine dell’Ottocento è emersa la presenza di incongruenze di vario genere nelle v. scolastiche (​​ docimologia). Studi sistematici, ricerche internazionali di ampio respiro, hanno messo rispettivamente in luce la scarsa attendibilità dei correttori, tra loro e con se stessi. Il rimedio a cui si è ricorsi è stata la standardizzazione degli strumenti valutativi, cioè la creazione di test di profitto, di​​ ​​ scale per la v. dei prodotti scolastici, di prove diagnostiche. Tale risposta è stata elaborata dagli studiosi del​​ Measurement​​ assumendo come modello le prove per misurare l’intelligenza e le attitudini. R. Tyler ha sostenuto in seguito la necessità di introdurre un approccio più articolato alla v. dei prodotti scolastici (Evaluation) che si propone di chiarire anzitutto gli obiettivi che s’intendono raggiungere, di estendere la rilevazione ad aspetti importanti della personalità e dell’ambiente di appartenenza, di variare i criteri di confronto. Se anche prima si ricorreva a prove diagnostiche e, sull’esito di queste, a un’opera di recupero (remedial teaching), con Tyler la v. diventa sempre più un mezzo ordinario per il monitoraggio delle strategie didattiche ed educative adottate e per il loro miglioramento. Si parla dunque progressivamente con più insistenza di​​ v. formativa, nel senso di regolativa dei processi di insegnamento-apprendimento. Con questa accezione viene proposta nel​​ mastery learning, che utilizza la verifica sistematica per regolare il progredire degli studenti in unità didattiche successive. In seguito, con gli apporti della psicoanalisi (Sandler), della psicologia sociale e della personalità (​​ Franta) si comincia a parlare di v. formativa, in riferimento all’azione che la stessa esercita su caratteristiche emotivo-affettive degli studenti. I docenti esprimono infatti in continuazione v. sui loro alunni durante il rapporto scolastico, non solo con atti formali, ma anche con cenni, richiami, con incoraggiamenti, con segni di disinteresse, mostrando di apprezzare o meno i loro sforzi, ecc. Questa sequenza quotidiana incide non solo sulla motivazione, ma anche sul concetto di sé che si sta formando in ognuno di loro, sulla fiducia in sé, sul progetto di sé. Vari autori (Bandura per es.) hanno cercato di studiare i meccanismi e gli esiti di questi processi che hanno un peso rilevante nella strutturazione della​​ ​​ personalità degli alunni. In questa linea si è constatato inoltre che la v. non è solo regolazione dell’​​ ​​ apprendimento, inteso come crescita culturale e sviluppo delle abilità cognitive, ma deve estendersi a tutti gli aspetti essenziali del processo educativo, al quadro di valori che si dovrebbe andar formando e alle strutture che assicurano solidità e equilibrio alla personalità. Le attuali istanze degli studi sulla v., specie di ispirazione americana, vanno nella direzione della​​ v. autentica, introdotta a metà degli anni ’80 del ’900 da studiosi come Wiggins. Si tratta di una v. che ricorre in ambienti di apprendimento significativi e si riferisce ad esperienze di apprendimento reale. È stata proposta in USA in contrapposizione all’uso massificante e indiscriminato dei test standardizzati di profitto che avevano impoverito le abilità, specie verbali, degli studenti. Si serve di strumenti di v. complessi, come il​​ ​​ portfolio, in grado di evidenziare i processi e l’acquisizione di vere e proprie​​ ​​ competenze, che possono essere descritte analiticamente (rubriche di v.).

2.​​ Problemi fondamentali. Negli studi sulla v., a volte, ci si è preoccupati di seguire mode piuttosto che affrontare problemi di sostanza. Le ricerche sulla v. possono essere invece feconde per le riflessioni di carattere etico, politico, pedagogico e didattico che ne susseguono. Richiameremo alcune questioni senza preoccupazioni di tipo cronologico. a) A proposito dei traguardi da raggiungere con l’apprendimento, si ritiene oggi che questi non vadano descritti come cumulo di nozioni, ma piuttosto in termini di modifiche delle condotte e dei significati delle stesse, in coerenza con la concezione d’una scuola che educa, che fa progredire culturalmente, che non si preoccupa solo delle informazioni ma anche dell’acquisizione di atteggiamenti, di interessi, di abitudini, di metodo. b) Alcuni studiosi seguendo più o meno letteralmente le istanze del comportamentismo, altri le richieste per una scienza formalmente corretta, si sono sforzati di precisare gli​​ ​​ obiettivi attraverso definizioni operative, cercando cioè di enumerare quello che l’alunno sa fare in relazione alla programmazione predisposta. Altri più recentemente hanno tradotto i traguardi da raggiungere in termini di competenze. L’esplicitazione di tali mete aiuta ad uscire dal vago, migliora l’affidabilità delle rilevazioni e delle comunicazioni. c) Lo studio degli svantaggiati e dell’emarginazione ha attirato l’attenzione sul curricolo implicito nelle v. di molti insegnanti e sul disaccordo tra gli obiettivi dichiarati e quelli effettivi. Ci può essere incoerenza tra le intenzioni e le prassi adottate anche a proposito della v. d) A seguito delle preoccupazioni di equità si è molto studiato l’eventuale peso negativo esercitato dalla v. nella​​ ​​ selezione e nell’emarginazione che può aver luogo in una scuola che privilegia il verbale, che può essere discriminante nelle scelte programmatiche e metodologiche. e) Nella v. si può adottare come termine di confronto sia il punto di partenza di ciascun soggetto (e constatare così i progressi compiuti), sia il profitto medio degli altri componenti di un gruppo con caratteristiche omogenee e confrontabili, sia gli​​ ​​ standard d’un livello scolastico, d’una professione, d’un settore culturale. La scelta d’un criterio, a preferenza di altri, poggia su ragioni teoriche ed ha conseguenze pratiche ben diverse. Usando prove tipificate si fa sovente ricorso a «norme», cioè a risultati paradigmatici raccolti sul gruppo a cui il soggetto appartiene o con cui è confrontabile; questo viene attuato anche prescindendo dall’utilità che una tale v. può avere ai fini delle scelte d’orientamento o per giudicare il grado di sviluppo delle attitudini. La v. fatta assumendo come riferimento il grado di padronanza di un’area culturale o un profilo di abilità comporta vari problemi per la costruzione di prove idonee e la scelta di metodi soddisfacenti per definire i criteri. Il problema s’è allargato quando si sono voluti definire gli standard minimi anche per un livello scolastico. La v. delle competenze pone inoltre il problema della validazione delle acquisizioni derivanti da contesti non formali.

3.​​ V. dell’apprendimento degli studenti e i suoi strumenti. Per non pochi, tra docenti e famiglie, i risultati scolastici sono da considerare in relazione prevalente, se non quasi esclusiva, con le attitudini (disposizioni naturali) e l’impegno dell’alunno. Oggi però, grazie anche agli stimoli provenienti da vari ambiti di studio (sociologia dell’educazione, pedagogia speciale, psicologia cognitiva) si è andato esplicitando il nesso tra programmazione, azione didattica e v. Quest’ultima ha ampliato così gli oggetti di rilevazione, cioè si è impegnata nella raccolta attendibile dei fatti concernenti l’apprendimento e in genere lo​​ ​​ sviluppo dell’alunno, per dar modo a chi è impegnato nella guida della crescita di avere elementi per intervenire opportunamente. Si è cercato così di valutare il peso dei vari fattori intervenienti e concomitanti e non solo degli esiti dell’alunno (v. sistemica). Sono cambiati i ritmi della v.: si parte da una rilevazione iniziale o conoscenza dell’alunno,​​ in ingresso, per censire lacune e risorse e individualizzare il piano di studio; si insiste su una​​ v. continua, per riaggiustare la programmazione e gli interventi lungo l’anno scolastico; ad essa segue una​​ v. complessiva​​ staticamente costatativa, cioè fatta per rendersi conto degli esiti. Questa concezione regolativa della v. propone, in modo molto diverso, il problema del recupero o del sostegno. Chi si preoccupa della misura del​​ ​​ profitto cerca d’individuare i punti essenziali dell’apprendimento ed effettua confronti tra studenti, tra classi, tra scuole e sistemi scolastici. I confronti esigono molta attenzione sul piano metodologico per essere corretti e possono dare origine a pseudomotivazioni, cioè alla ricerca del successo per se stesso. Non vanno però esclusi in modo preconcetto, perché possono servire per evitare illusioni nei docenti come negli alunni. Il confronto può esser fatto a scopo di cooperazione e usato come stimolo per la creatività e l’arricchimento. Può servire a scopi migliorativi, se valorizza le buone pratiche nell’autovalutazione d’istituto o gli esiti di eccellenza, se offre risultati medi come avviene nelle indagini promosse dagli Istituti Nazionali per la V. dei risultati scolastici. L’uso degli strumenti tecnici per la v., anche quando è legittimo, può richiedere una preparazione adeguata. È però alla portata della professionalità del docente, oltre che proficuo, riprendere una serie d’indicazioni della​​ ​​ psicometria per migliorare le proprie v. Per es., il concetto di validità, cioè la coerenza che ci dev’essere tra obiettivi da valutare e i relativi strumenti, deve diventare preoccupazione abituale di chi valuta. Così pure i diversi modi operativi per verificarla. Lo stesso dicasi per l’«affidabilità», che deve essere garantita dalla stabilità con cui un docente apprezza la prestazione di un medesimo studente in tempi diversi o dall’accordo con cui più docenti giudicano lo stesso compito. Andranno a tal fine controllati gli effetti distorcenti indicati in letteratura, come l’ordine con cui si correggono i compiti, gli aspetti formali delle prestazioni, gli effetti di ancoraggio, di alone (ovvero la pervasività di un unico aspetto che condiziona l’intero giudizio), le proiezioni… Questi originano interferenze nella v., per l’intrusione delle interazioni emotive nei giudizi, per il peso di circostanze esteriori negli esiti delle prove ecc. Per garantire validità e affidabilità sono state messe a punto procedure per standardizzare i processi valutativi ed evitare gli effetti distorcenti. Sono stati regolati i diversi passaggi di costruzione degli strumenti: a partire dalla selezione degli scopi degli stessi; fino al campionamento della materia da indagare; alle norme per la redazione dei quesiti e la loro disposizione nella prova; alle forme di controllo della corrispondenza tra obiettivi e item; alla scelta dei criteri di correzione e di attribuzione dei punteggi; alle norme di somministrazione; al controllo delle caratteristiche metriche che consentono di verificare se la difficoltà è adeguata e se la capacità selettiva è tale da evidenziare chi è preparato (capacità di discriminazione); ai procedimenti di formulazione dei giudizi e alla costituzione di profili. Gli studi evidenziano, infatti, la necessità di un’adeguata revisione degli strumenti tradizionali della v. (interrogazione, saggi, problemi) e di un uso attento e rigoroso di quelli nuovi (mappe concettuali, scale, discussione in gruppo). Uno strumento che aiuta gli insegnanti a utilizzare il tipo d’indicazioni prima citate sono le «guide per la v.». Possono esser preparate da esperti per l’uso quotidiano dei docenti o costruite da questi ultimi in base a opportune indicazioni e a un congruo esercizio. La «guida di v.» enuclea le dimensioni d’un costrutto attitudinale (per es., della​​ ​​ creatività, del pensiero critico) o culturale; determina gli indicatori o descrittori reperibili nelle prestazioni scolastiche; dà indicazioni sul modo d’arrivare a una sintesi; si correda dei consigli per l’uso didattico delle conclusioni raggiunte. Esiste anche una letteratura considerevole sulla conduzione rigorosa del​​ ​​ colloquio, le cui tecniche sono state affinate prevalentemente dalla ricerca psicologica e sociale. Le acquisizioni della ricerca dovrebbero rappresentare utili stimoli per il miglioramento degli strumenti di v. abituale dei docenti, elevando la consapevolezza metacognitiva che deve accompagnare sempre più consciamente la prassi corrente. L’attenzione ai mezzi non deve far dimenticare però che essa sarebbe insufficiente se i docenti e quanti guidano il processo educativo non si sforzassero di perfezionare la loro motivazione. Una v. formativa comporta per i docenti un impegno considerevole e una sottrazione di tempo alla didattica.

4.​​ V. dell’azione didattica e della qualità d’istituto.​​ La v. può riguardare anche gli insegnanti e in particolare la loro azione didattica. Quest’ultimo tipo di v. è stata oggetto di discussioni che hanno favorito la transizione da modelli che si centravano sulla persona del docente, a modelli analitici, che si focalizzavano su microaspetti relazionali e comunicativi, fino a quelli più recenti, che spostano il focus sulle prassi didattiche, contestualizzandole all’interno della situazione concreta in cui si manifestano. Tali v. diventano un elemento per apprezzare più in generale la qualità dell’intero istituto (autovalutazione d’istituto), che va pensata inserita a sua volta in relazione alla qualità del sistema formativo.

Bibliografia

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L. Calonghi - C. Coggi