VOLONTARIATO
Con questo termine si indicano oggi, specie dopo l’emanazione della «L. quadro» sul v. dell’11-08-1991 n. 266 (GU n. 196 / 1991), le organizzazioni di v. operanti in Italia, in una molteplicità di campi di intervento, delle quali «La Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione [...] come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento di attività di carattere sociale, civile, culturale» (art. 1.2).
l. Il v. nella legislazione e nella comunità civile. Tale «L. quadro» non regolamenta tutto il v. in considerazione del fatto che uno Stato democratico non può legiferare sulle libere scelte dei cittadini, quando esse non violano i diritti costituzionali né le sue disposizioni penali. Questa legge, infatti, si limita a «stabilire i principi cui le Regioni e le Province autonome devono attenersi nel disciplinare i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni di v., nonché i criteri cui debbono uniformarsi le amministrazioni statali e gli enti locali» (art. 1.2). Tale approccio è stato superato con la modifica del titolo V. della Costituzione, art. 118 ultimo comma (L. Cost. n. 3 / 2001) che legittima l’iniziativa di cittadini singoli e associati che si mobilitano per realizzare attività di interesse generale sulla base del principio di «sussidiarietà». In tal modo svolgono anch’essi una funzione «pubblica» e le istituzioni sono tenute a favorire tale azione prosociale dei cittadini singoli e organizzati rispettandone l’autonomia. Ciò rafforza il rapporto di reciprocità, ovvero la «sussidiarietà circolare» tra v. ed ente pubblico. La L. 266 esplicita che per attività di v. deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo, gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà» (art. 2.1). Dunque, lo Stato non prende in considerazione il v. del singolo, ma degli organismi in cui si inserisce. Con maggiore realismo, oggi, sarebbe più opportuno parlare del fenomeno sociale dei «volontariati», tanto diversi sono i soggetti, le forme, le strutture, i metodi, gli obiettivi e le motivazioni dell’azione gratuita che opera in molteplici campi, impegnata nella lotta alla povertà, all’emarginazione, al disagio esistenziale, all’esclusione sociale. Ma anche e sempre più nei nuovi campi della partecipazione civica (protezione civile, educazione permanente, tutela e valorizzazione dei beni culturali e del patrimonio ambientale e naturale) che si fanno carico dei «beni comuni» e permettono una migliore qualità della vita dei cittadini.
2. Le caratteristiche del v. moderno. Si indica con l’aggettivo «moderno», il v. sviluppatosi in Italia dopo il 1975, a seguito di una profonda revisione di carattere sociale e culturale condotta al suo interno, che ha consentito di rivisitarne il ruolo storico rispetto alla comunità civile. Si nota pertanto il passaggio da un v. di carattere sostanzialmente riparatorio, destinato ad un generoso contenimento delle sofferenze dei ceti deboli, non tutelati nei loro diritti di cittadinanza e, talvolta, neppure in quelli umani, ad un v. che assume, invece, nelle sue realizzazioni più mature, un carattere liberatorio. Ciò avviene concretamente quando i gruppi di azione gratuita, oltre a dare testimonianza dei propri valori di cittadinanza solidale e del proprio servizio per garantire aiuti tempestivi e qualificati ai cittadini in difficoltà come già avveniva nel passato uniscono a questa dimensione di altruismo, la dimensione politica di impegno nella rimozione delle cause della sofferenza, dell’ingiustizia, delle violazioni dei principi costituzionali, del degrado ambientale o dei beni comuni. Privilegia altresì la prevenzione del rischio, del disagio e del degrado e promuove l’autoprogettualità dei soggetti in stato di bisogno. In questo senso, dal punto di vista civico, le radici del v. e della sua cultura della → solidarietà, si trovano nel secondo articolo della Costituzione italiana. La sua dimensione politica trova piena legittimazione nel terzo articolo della stessa Costituzione, laddove si afferma: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3 e. 2). Quando il v. rinuncia alla dimensione politica diventa solo assistenza, beneficenza, perbenismo, opere di carità; tutti atteggiamenti eticamente positivi ma che v. non sono, nel senso pieno e moderno del termine. Questa dimensione politica, che cioè si fa carico delle relazioni umane e sociali sul territorio e punta al miglioramento concreto della loro qualità in interazione costante ed esigente con le istituzioni pubbliche, ha radici non solo civili, ma di fedi per coloro che si dichiarano credenti nelle varie Chiese e Religioni. Per il v. cattolico la fonte di riferimento è il Messaggio sociale della Chiesa, con particolare attenzione di approfondimento per quello sviluppatosi dal Concilio Vaticano II ad oggi. Il volontario moderno non è dunque un eroe, una figura carismatica ed eccezionale, ma un cittadino che vive solidalmente e attivamente la Costituzione. Egli applica questo stile di relazioni nell’arco di tutta la giornata, nel suo impegno personale, familiare, professionale, sociale e destina in modo particolare una parte del suo tempo, della sua preparazione, dei suoi mezzi, contribuendo all’operatività e alla qualificazione culturale di una libera organizzazione – da lui prescelta – che opera contro l’esclusione sociale o per lo sviluppo della sua comunità. È, dunque, un testimone di civismo ed altruismo. Deriva le sue motivazioni dal patrimonio etico laico o da quello delle fedi, in entrambi i casi «credente» nel servizio verso l’uomo.
3. La consistenza, la qualità del fenomeno e i problemi attuali. Con la crescita del fenomeno sono cresciuti anche i soggetti che lo osservano (compreso l’ISTAT dal 1995 con rilevazioni periodiche sulle organizzazioni iscritte ai registri pubblici del v.). Tra questi la Fondazione Italiana per il V. che ha creato nel 1993 una Banca dati, la prima in Italia a realizzare rilevazioni sistematiche e periodiche su tutto il territorio nazionale monitorando nel tempo circa 13 mila unità e identificando un universo di circa 30.000 organizzazioni in grado di mobilitare in modo continuativo circa 1 milione di cittadini (dati 2006). La crescita del fenomeno è costante nel tempo anche se si ravvisano fenomeni di assottigliamento delle unità per la riduzione del numero medio di componenti attivi, per la tendenziale «istituzionalizzazione» delle unità che gestiscono servizi per conto del Pubblico e quindi per la professionalizzazione che rende matura la transizione di una parte delle organizzazioni, quelle più mature (15% circa) verso l’impresa sociale, recentemente riconosciuta come altra veste giuridica oltre alla cooperativa sociale. Vi sono anche fenomeni che dimostrano un certo appannamento del principio di gratuità (concessione ai volontari di rimborsi spesa forfetari, prevalenza della componente remunerata, acquisizione di corrispettivi od induzione di «offerte» dagli utenti), che ha reso necessaria nell’anno internazionale dei volontari, il 2001, l’elaborazione della Carta dei Valori del V. – promossa dalla Fondazione Italiana per il V. e dal Gruppo Abele – vero e proprio manifesto culturale che richiama l’identità specifica e i connotati valoriali del v. Ciò significa distinguersi anche dalle altre forze del terzo settore di cui il v. è stato in larga parte generatore o promotore; in primis dall’ → associazionismo tradizionale e da quello della promozione sociale (L. 383 / 2000) che costituisce una libera aggregazione di cittadini «pro-sé», nel perseguimento degli obiettivi comuni prescelti, mentre l’azione gratuita organizzata, nasce «pro-alios» non per servirsi, ma per servire. E tanto più rispetto alle unità associative dove prevale o è decisivo il personale remunerato, pur se permeato di spirito di v. È assente, in questo caso, l’elemento della gratuità, del disinteresse, che sono fondamentali alla concezione dell’azione volontaria.
4. La formazione al e del v. Come afferma la Carta dei Valori del V. oggi l’azione gratuita organizzata pretende dai suoi membri, a tutela stessa del cittadino, una irrinunciabile formazione, cioè una preparazione di base, anche se non specialistica e professionale, che gli consenta di adempiere in modo qualificato ai servizi cui si dedica. Il processo formativo deve comunque prevedere quattro tempi di attuazione: una prima fase informativa, al termine della quale il cittadino resosi disponibile conosciuta l’identità del v., accetta o meno il suo personale coinvolgimento e lo decide; una seconda fase è destinata alla formazione di base, per l’approfondimento dei contenuti, dei metodi, dei servizi offerti dal v., dei suoi campi di azione, delle sue scelte in materia di politiche sociali; una terza fase serve ad acquisire gli elementi indispensabili della propria qualificazione operativa; una quarta fase, di carattere permanente, di continuo aggiornamento e verifica, è finalizzata al controllo degli obiettivi raggiunti dalla programmazione, per discutere criticamente l’evoluzione del settore in termini educativi, sociali, economici, politici. Proprio per aiutare il v. a qualificarsi e a svilupparsi la L. 266 istituiva anche i Centri di Servizio per il V., vale a dire associazioni di associazioni di v., attivati a partire dal 1997 e oggi funzionanti in tutte le regioni (77 sedi regionali o provinciali o subprovinciali). Essi sono dotati di risorse autonome garantite da una parte dei proventi delle fondazioni ex-bancarie e assegnati dai Comitati di Gestione regionali del Fondo speciali del v. che hanno anche il compito di controllarne il buon uso.
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L. Tavazza - R. Frisanco