UOMO immagine / modelli
UOMO: immagine / modelli
All’u. e a ciò che è tipico dell’u., l’«umano», oggi si tende a riferirsi, al di là delle differenze culturali ed ideologiche (→ diritti umani), come in passato allo Spirito, all’Idea, al Progresso, alla Scienza, alla Società, all’Ideologia.
1. Agli inizi del sec. XX, L. → Laberthonnière scriveva: «L’idea che ci si fa dell’educazione e del compito dell’educatore dipende evidentemente dall’idea che ci si fa dell’u. e del suo destino» (Laberthonnière, 1958, 3). La vita e la crescita umana sono individuate, per tanti versi irripetibili e singolari, all’interno di comunità e di processi storici datati. Peraltro esse si aprono a forme partecipate di comune umanità (esprimibile ad es. in termini di corporeità, razionalità, libertà, spiritualità, amore, comunione, soggettività storica, intersoggettività, socialità, apertura alla trascendenza). Tali aspetti indicherebbero il perimetro delle possibilità soggettive e relazionali ed insieme gli aspetti universali dell’individuo, da portare a congruo livello nei processi di sviluppo attraverso l’educazione
2. Ma il significato di u. e di umano dipende molto dalle idee (cioè dai concetti, dalle immagini, dalle rappresentazione mentali, dalle visioni, dalle prospettive) che si hanno a riguardo, individualmente e socialmente. Con esse indichiamo ciò che crediamo l’u. sia e debba essere, ma insieme anche ciò che vogliamo che sia. Spesso sono più a livello implicito che esplicito. Molte volte sono cariche di pregiudizi etnocentrici. In molta letteratura antropologica (relativa allo studio sull’u.) l’umanità è ancora misurata sull’u. maschio, bianco, adulto, moderno e civilizzato, sano, ricco e di successo. L’età moderna ha accentuato la centralità e le capacità di trasformazione dell’u. nel cosmo e nella storia, grazie alla sua razionalità scientifico-tecnica e all’azione economico-politica. Oggi queste prospettive sono piuttosto in crisi. Si parla per questo di «fine della modernità» e di → «post-modernità». Ma non c’è troppo consenso in proposito.
3. Peraltro il dibattito attuale sottolinea, a suo modo, la complessità, contraddittorietà, unità, storicità e trascendenza, che l’u. e l’umano manifestano; e di cui possono essere espressione i diversi tentativi di determinazione per aspetti complementari (io / me; essere / coscienza; oggettività / soggettività; essenza / esistenza; u. / universo; individuo / società; libertà / necessità; materia / spirito; temporalità / eternità; anima / corpo, problema / mistero, immanenza / trascendenza, ecc.). Ne segue la legittimità del pluralismo delle affermazioni antropologiche (specie per ciò che riguarda i «modelli» d’u., vale a dire le costruzioni teoriche, organizzate attorno ad un’idea-chiave o ad un valore centrale o secondo una specifica prospettiva sull’u.); come pure il limite del → riduzionismo antropologico. Ciò è particolarmente vero in sede educativa, dove ad una concezione riduttiva dell’u. è facile che faccia da corrispettivo una concezione ristretta della formazione e dell’educazione.
4. All’interno del pluralismo delle immagini e dei modelli d’u., si pongono quelle prospettive antropologiche, esse stesse pluralistiche, che danno particolare risalto alla dimensione spirituale e religiosa. Pur nella diversità delle indicazioni, esse sottolineano per un verso il senso del limite e della fragilità umana (la «canna pensante» di B. Pascal), ma per altro verso evidenziano una profonda aspirazione ad «essere di più» (Mounier), e, in chiave cristiana, ad una vita vissuta sotto l’azione vivificante e trasformante dello Spirito di Dio. Esso è sentito presente ed operante nel mondo e visto come principio ed energia vitale che spinge a vivere «secondo Dio», come esseri in relazione personalissima con Dio, ma anche come comunità di credenti e come popolo sacerdotale e profetico, chiamato a rendere visibile nel mondo l’amore creante e redentore di Dio; a ricreare il proprio io secondo lo Spirito di Dio (s. Tomm. d’Aq., De virtutibus, q. 1, a. 10); a ricercare «prima di tutto» il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6, 25-33), nell’«attesa di cieli nuovi e terra nuova in cui abiterà definitivamente la giustizia» (2 Pt 3,13). In tale prospettiva, la stessa vita morale, prima che una adeguazione a norme o principi o alla ricerca comportamentale del «dovere per il dovere», viene ad essere in primo luogo un vivere profondamente la relazione con Dio e nella luce di essa ricercare il giusto rapporto con gli altri, con le cose, con il mondo, con il tempo, adeguando il proprio amore all’essere di ciascuna realtà. Nella consapevolezza di essere partner di un’«alleanza con Dio» e cristianamente di essere «figli nel Figlio», l’impegno, la celebrazione, la → liturgia, la preghiera, l’invocazione, l’ascesi, le «opere di misericordia» (come si esprime la tradizione caritativa cristiana) diventano le forme con cui l’u. spirituale esprime la sua esistenza. Essa è fortemente segnata dalla «sacramentalità», vale a dire dalla costante coniugazione di visibilità e di mistero, di concretezza e di idealità, di impegno e di invocazione, di inserzione storica e di apertura all’eterno. Un certo divario rispetto alla stessa storia cristiana, manifesta subito il carattere ideal-utopico ma anche decisamente critico, di tali prospettive rispetto a pratiche e modelli concreti di vita, di cultura, di civiltà: a cominciare da quella occidentale moderna e contemporanea, laica e ecclesiale-cristiana.
5. Per parte sua l’approccio pedagogico mette in particolare rilievo il divenire del mondo e dell’u., l’emergenza della libertà pur tra determinismi e accidentalità o casualità; come pure la radicale capacità di costruttività dell’u. nell’interazione con l’ambiente e nei confronti della sua stessa esistenza, che secondo una pedagogia religiosamente e cristianamente ispirata, si apre anche ad una vasta relazionalità con Dio che risignifica la stessa vita personale e quella associata. In tal senso si può parlare di una → antropologia pedagogica, cioè di un modo specifico di pensare l’u. a partire dalla fondamentalità dello sviluppo e della formazione umana, insieme dato e compito, fatto naturale ed evento storico entro quadri spazio-temporali, di insostituibile individualità e di apertura universalistica. A questo scopo non è probabilmente sufficiente riferirsi e utilizzare solo approcci di tipo scientifico e teoretico, ma anche altri di tipo biografico-storico; ed allo stesso tempo occorrerà tener conto anche delle indicazioni che si possono ricavare dall’esperienza comune e diretta, dalla tradizione socio-culturale: proprio ed in quanto sono per tanti versi più vicine all’u. «vivente», a cui si rivolge l’educazione. In effetti, dal punto di vista pedagogico il referente ultimo è l’«u. reale» (l’u. come effettivamente, storicamente e contestualmente è), anzi normalmente il ragazzo reale, non in primo luogo l’idea di u. e neppure la natura umana o l’u. in generale: queste diventano piuttosto l’orizzonte di senso e l’istanza critica entro cui si dovrà muovere l’azione educativa. In questa linea sembra che sia possibile affermare che l’approccio pedagogico, mentre privilegia la dimensione evolutiva e relazionale dell’esistenza, spinge anche a porsi in una prospettiva dinamica ed impegnativa della vita umana. È su questa base che, a partire dalle situazioni storico-concrete, sarà possibile mostrare la «necessità morale» di interventi educativi per una promozione, formazione e qualificazione umanamente degna, nella diversità delle differenze individuali, delle diverse età della vita e delle molteplici situazioni vitali, specie oggi in un mondo multiculturale e globalizzato.
Bibliografia
Laberthonnière L., Teoria dell’educazione, Brescia, La Scuola. 1958 (orig.: 1901); Cassirer E., Saggio sull’u., Roma, Armando, 1972; Gevaert J., Il problema dell’u., Leumann (TO), Elle Di Ci, 1978; Gehlen A., L’u., Milano, Feltrinelli, 1990; Nanni C., II mistero dell’u., Bologna, Dehoniane, 1988; Id., Antropologia pedagogica, Roma, LAS, 2002; A; Petagine A., Profili dell’umano, Milano, Angeli, 2006; Cassese A., I diritti umani oggi, Roma / Bari, Laterza, 2007.
C. Nanni