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TRANSFER DELL’APPRENDIMENTO

 

TRANSFER​​ DELL’APPRENDIMENTO

Il t.d.a. si definisce come l’acquisizione personale, senza intervento di un insegnamento, di un’attività o contenuto per effetto dell’apprendimento di altre attività o contenuti. L’interrogativo che sta sotto al t.d.a. si esprime così: quale influsso ha l’apprendimento di un’abilità sull’apprendimento o sulla performance di un’altra attività? Concretamente, si manifesta con il chiedersi se la conoscenza dell’italiano che ha una persona l’aiuterà ad apprendere lo spagnolo o il francese e se saper pattinare su ghiaccio può aiutare l’imparare a pattinare su ruote.

1.​​ Tipi di t.d.a.​​ Si conoscono tre tipi di t.: positivo, negativo e neutro. Il t. positivo dell’apprendimento avviene ad es. quando si insegna ad un gruppo di studenti un’abilità B che viene acquisita dopo 6 sessioni di pratica a differenza di quanto accade ad un altro gruppo di studenti che ha imparato in precedenza un’abilità A che acquisisce l’abilità B dopo 3 sessioni di pratica. Dato che il numero di sessioni di pratica è stato ridotto da 6 a 3, si ha un t. positivo (6 - 3 = +3). Il t. negativo si ha quando, contrariamente all’esempio dato, l’abilità A appresa in precedenza ha effetti deleteri sull’apprendimento dell’abilità B con il risultato (6 - 9 = -3). Il t. neutro (o t. zero) si ha invece quando il possesso di una data abilità ha un effetto minimo sull’apprendimento di un’altra abilità; esemplificando, l’apprendimento del lavoro a maglia non ha nessun effetto sull’apprendimento della grafica computerizzata (6 - 6 = 0).

2.​​ Aspetto psicologico del t.d.a.​​ Sebbene nella psicologia contemporanea il t.d.a. venga trattato come un argomento a parte con il proprio disegno sperimentale e le proprie procedure di misurazione, le sue implicazioni pervadono l’intera psicologia, dall’apprendimento condizionato allo sviluppo della personalità. Lo studio sperimentale del t.d.a. da parte degli psicologi non è facile dato che il carattere indeterminato ed ampio delle formulazioni teoretiche offerte rende difficile l’applicabilità nel vivo della classe. Per questo motivo, lo studio sperimentale si è concentrato in laboratorio. Questo ha permesso la scoperta di fenomeni legati al t.d.a. Il primo è la somiglianza stimolo-risposta. Il metodo di apprendimento di associazione di parole a due a due ha mostrato che quando all’apprendimento di una prima lista di parole segue l’apprendimento di una seconda lista avviene un t. negativo e che a maggiore somiglianza di elementi che costituiscono gli stimoli presenti nelle due liste, maggiore è il grado di t. negativo. Se si aumenta invece la somiglianza nei termini di risposta cresce il t. positivo. Collegati direttamente alla somiglianza stimolo-risposta sono i fenomeni chiamati inibizione retroattiva e proattiva. Se l’apprendimento di un nuovo compito interferisce con la produzione dell’abilità acquisita in precedenza, ha luogo una inibizione retroattiva. Ad es. i risultati forniti dopo l’apprendimento di una lista di vocaboli in lingua straniera da parte di due gruppi sono diversi se nell’intervallo tra l’apprendimento e la performance si chiede ad uno dei due gruppi d’imparare un’altra lista di vocaboli mentre all’altro si chiede di eseguire un compito molto diverso dal precedente. Se invece un’abilità appresa rende difficile la competenza in un’altra abilità appresa dopo si ha un’inibizione proattiva. Qui, contrariamente all’esempio precedente, l’apprendimento della seconda lista di parole avviene prima dell’apprendimento della lista che verrà poi valutata. Da questi due esperimenti è stato dedotto che a maggiore somiglianza delle liste di parole da apprendere corrisponde una minore ritenzione. Comunque, l’inibizione proattiva produce minore dimenticanza dell’inibizione retroattiva (​​ memoria). Un ulteriore fenomeno che testimonia del t.d.a. è la predifferenziazione dello stimolo. I film didattici possono essere considerati un esempio quotidiano di predifferenziazione dello stimolo perché gli studenti che li vedono ricevono un’informazione preliminare da utilizzare nei momenti successivi di apprendimento. La visione di un film sulla cellula prepara gli studenti ad acquisire meglio le abilità necessarie alla corretta visione delle cellule al microscopio. La predifferenziazione dello stimolo viene largamente sfruttata con i pacchetti multimediali (​​ multimedialità) e consente un miglior t.d.a. perché i risultati di un gran numero di sperimentazioni hanno mostrato che quando uno studente ha l’opportunità di entrare in un ambiente globale ritiene un numero di informazioni sui componenti incontrati che lo preparano ad intrattenersi senza difficoltà con il pacchetto di apprendimento. L’apprendimento contrapposto è l’ultimo fenomeno trattato nello studio del t.d.a. Il soggetto impara a discriminare tra due colori, ad es. il rosso e il blu in un insieme di oggetti colorati di rosso e di blu; deve poi operare la scelta corretta quando gli viene chiesto di indicare uno dei due colori e subito dopo gli viene chiesto di indicare l’altro colore. All’inizio trova difficoltà nello scegliere la seconda opzione dato che è influenzato dalla prima scelta corretta, poi, con l’esercizio, migliora e arriva a non commettere più errori. Nell’apprendimento extra-dimensionale il soggetto impara prima a discriminare, ad es. scegliendo un oggetto quadrato in un insieme di oggetti quadrati e rotondi, e poi a contrapporre la sua scelta scegliendo l’oggetto rotondo. Queste contrapposizioni sono difficili per molti studenti perché sono presenti effetti negativi dato che l’individuo tende a persistere nello scegliere l’oggetto quadrato che all’inizio era l’opzione corretta. Man mano che si eseguono prove, la tendenza a scegliere la prima opzione s’indebolisce e, con ulteriori prove, l’utente arriva al punto di non fare più errori.

3.​​ Aspetto pedagogico-didattico del t.d.a.​​ Tre modi di vedere il t.d.a. hanno dominato fin dall’epoca più antica: la disciplina formale, la presenza di elementi identici e la conoscenza di principi generali. Attraverso lo studio della geometria ci si aspettava di veder migliorare le abilità della ragione come attraverso lo studio del latino ci si aspettava di veder migliorare la memoria. Sebbene molti educatori abbiano creduto al potere della disciplina mentale, i test sperimentali l’hanno rifiutata perché le abilità di ragionamento di gruppi di studenti di matematica della scuola superiore, confrontati con altri studenti ugualmente capaci che non avevano però lo stesso esercizio in campo matematico non hanno mostrato nessuna differenza nel ragionamento logico. È stata postulata una teoria alternativa che afferma come il t. tra attività ha luogo solo se dette attività condividono gli stessi elementi. Da questa teoria deriva la predizione che l’abilità nell’addizionare aiuta notevolmente l’abilità nel moltiplicare dato che la moltiplicazione è un insieme di addizioni. La formulazione circa gli «elementi comuni» è stata scossa quando è stato sperimentalmente scoperto che è la comprensione di principi generali ad avere il maggiore effetto sul t.d.a. La disciplina formale, la presenza di elementi comuni e la conoscenza di principi generali più che teorie rigorosamente definite sono punti di vista che possono avviare ricerche e sperimentazioni. Ad es. si potrebbe ipotizzare che l’abilità in matematica non produce miglioramento nelle abilità di ragionamento forse perché l’insegnamento è svolto in modo tradizionale. Il t.d.a. resta da esplorare e deve essere un impegno di ogni insegnante / educatore per aiutare di più e meglio i propri studenti.

Bibliografia

Mestre J. (Ed.),​​ T. of learning: research and perspectives. From a modern multidisciplinary perspective, Greenwich (CT), Information Age, 2005; Singley M. K. - J. R. Anderson,​​ The t. of cognitive skill, Cambridge, London, Harvard University Press, 1989; De Beni M.,​​ Costruire l’apprendimento, Brescia, La Scuola, 1994;​​ Royer​​ J. M. (Ed.),​​ The cognitive revolution in educational psychology, Greenwich (CT), Information Age, 2005.

C. Cangià




TRANSFERT / CONTROTRANSFERT

 

TRANSFERT /​​ CONTROTRANSFERT

Il t. (o traslazione, come il termine compare nella ediz. it. delle​​ Opere complete​​ di​​ ​​ Freud) indica nella sua accezione più generale l’atteggiamento emotivo (positivo o negativo) del paziente nei confronti del proprio psicoanalista. In un’accezione più specifica viene definito come il processo mediante cui il paziente proietta sulla figura dello psicoanalista affetti, pensieri e condotte originariamente relativi a persone della propria esperienza precedente l’analisi e in particolare relativi a persone facenti parte del proprio nucleo familiare.

1. Per Freud, il t. non caratterizza esclusivamente la situazione analitica – si può infatti parlare di t. in diverse situazioni interpersonali quali quelle rappresentate dalla relazione tra medico e malato, fra maestro e allievo, tra ipnotizzatore e ipnotizzato ma è nella situazione analitica, e soltanto in essa che il t. viene interpretato e utilizzato come fondamentale strumento terapeutico. Diversamente da altri concetti cardine della​​ ​​ psicoanalisi, quello di t. è stato oggetto, da parte di Freud, di una elaborazione progressiva. Questo termine indica nei primi scritti freudiani soltanto una delle modalità di spostamento dell’affetto da una rappresentazione a un’altra, mentre dal 1912 (La dinamica della traslazione) e in gran parte come conseguenza della scoperta e sistematizzazione del complesso edipico, della riflessione sui problemi tecnici che i primi trattamenti psicoanalitici sollevavano nonché dei contributi dei primi allievi, quali ad es. Ferenczi, che già nel 1907 aveva mostrato come nell’analisi, ma anche nelle tecniche di suggestione e di ipnosi, il paziente inconsciamente facesse svolgere al medico il ruolo delle figure parentali amate o temute il t. diviene il principale strumento della tecnica psicoanalitica. Per Freud (che identifica nel t. sia una componente negativa, «l’arma più forte della resistenza», sia una componente positiva caratterizzata dall’emer-gere di sentimenti positivi nei confronti dell’analista, che consentono di «stabilire una relazione positiva con l’analista» e che viene quindi in parte a coincidere con la «alleanza terapeutica») la situazione psicoanalitica crea le premesse indispensabili per il sorgere della «nevrosi di t». Per Freud, dunque (che a più riprese, fino negli ultimi scritti, sottolinea la centralità del concetto di t. considerandolo, insieme alla teoria della rimozione e alla teoria pulsionale, «uno dei tre pilastri su cui si regge la dottrina psicoanalitica delle nevrosi») il t. crea «una provincia intermedia fra la malattia e la vita, attraverso la quale è possibile il passaggio dalla prima alla seconda». In questo senso il t., o meglio la nevrosi di t. (una sorta di «malattia artificiale completamente accessibile agli attacchi» dello psicoanalista) diventa il mezzo principale per «domare la coazione a ripetere». Diventa cioè una sorta di palestra in cui quest’ultima può espandersi in una «libertà quasi assoluta e dove le è prescritto di presentarci tutti gli elementi pulsionali patogeni che si nascondono nella vita psichica dell’analizzando». La nevrosi di t. (che svolge «l’inestimabile servizio di rendere attuali e manifesti gli impulsi amorosi, occulti e dimenticati dei malati») diventa così il principale strumento analitico, lo specifico terreno della cura analitica. Per Freud dunque il t., «che fa sì che il paziente scorga nel medico un ritorno di una persona importante del suo passato [...] e trasferisca quindi su di lui sentimenti e reazioni che spettavano a questo modello» si rivela come «un momento di insospettata importanza nel trattamento psicoanalitico». Da un lato dunque il t. è considerato «un mezzo ausiliare di valore inestimabile», dall’altra una fonte di seri pericoli. «La lotta tra il medico e il paziente [...] si svolge quasi esclusivamente nell’ambito dei fenomeni di t. È su questo terreno che deve essere vinta la battaglia e la vittoria si esprime nella guarigione definitiva della nevrosi» (Freud, 1912). Il concetto di t. ha assunto nei diversi autori un’estensione assai ampia fino ad abbracciare tutti i fenomeni inerenti alla relazione del paziente con lo psicoanalista; esso esprime quindi, più che qualsiasi altro concetto, la concezione di ciascun analista in merito alla cura, al suo oggetto, alla sua dinamica, alla sua tattica, ai suoi obiettivi.

2. Il c. (o controtraslazione) può essere definito come la risposta inconscia dello psicoanalista al paziente e più particolarmente al suo t. Il concetto di c. è stato scarsamente elaborato da Freud, che lo considera «l’effetto dell’influsso del malato sui sentimenti inconsci del medico». Freud dunque (che ritiene che «ogni psicoanalista procede esattamente fin dove glielo consentono i suoi complessi e le sue resistenze interne») utilizza il concetto di c. per indicare quei «difetti personali dell’analista che interferiscono con la sua capacità di dare un’esatta valutazione del paziente». In questo senso, e tenendo conto delle particolari condizioni in cui si svolge il lavoro analitico, Freud fa riferimento al c. quasi esclusivamente per sostenere in un primo tempo la necessità che l’analista, «riconoscendo in se stesso l’esistenza della controtraslazione», affianchi «alle proprie esperienze con i malati» l’approfondimento della propria autoanalisi e in un secondo momento per sostenere la necessità dell’analisi didattica, che metterebbe l’analista in grado di «imparare abbastanza dai suoi stessi errori e di superare i punti deboli della sua personalità». Il concetto di c. ha successivamente assunto una notevole importanza (tanto sul piano metodologico che sul piano teorico) nella psicoanalisi post-freudiana. La posizione dei diversi autori rispetto alla delimitazione di questo concetto non è univoca. Per alcuni infatti il c. riguarda tutti gli aspetti della personalità dell’analista che possono intervenire nella cura, mentre per altri esso si riferisce esclusivamente ai processi inconsci che il t. dell’analizzato induce nell’analista. Dal punto di vista tecnico si possono distinguere schematicamente tre orientamenti: a) ridurre il più possibile le manifestazioni di c. mediante l’analisi personale; b) utilizzare, senza perderne il controllo, le manifestazioni del c. nel lavoro analitico; c) orientarsi, per l’interpretazione stessa, sulle proprie reazioni di c., spesso assimilate, in questa prospettiva, alle emozioni che si sono provate. Tale atteggiamento postula che la risonanza «da inconscio a inconscio» costituisca la sola comunicazione autenticamente psicoanalitica.

Bibliografia

Nagera H.,​​ I concetti fondamentali della psicoanalisi, Torino, Bollati Boringhieri, 1974; Gill M. M.,​​ Teoria e tecnica dell’analisi del t., Roma, Astrolabio / Ubaldini, 1985; Semi C. A. (Ed.),​​ Trattato di psicoanalisi, Milano, Cortina, 1988; Etchegoyen R. H.,​​ I principi della tecnica psicoanalitica, Roma, Astrolabio / Ubaldini, 1990; Luborsky L.,​​ Capire il t., Milano, Cortina, 1992; Gill M. M.,​​ Psicoanalisi in transizione, Ibid., 1996; Langen D. - K. Mann,​​ Training autogeno, Milano, Red Edizioni, 2006.

F. Ortu - N. Dazzi