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TRADIZIONALISMO

 

TRADIZIONALISMO

Il t. in educazione ha molti significati: statico (conservazione di qualcosa che si trasmette per generazione), dinamico (filo conduttore che unisce gli avvenimenti dando loro unità), polemico (impegno nella razionalizzazione delle forme irrazionali della vita), storico-pedagogico (caratteristica comune a tutti i popoli dell’Antico Oriente con la nota finalità di mantenere invariate le credenze religiose, la struttura politica e l’organizzazione sociale), e storico-critico (mantenere ciò che vi è di buono nel passato, aggiungere ciò che vi è di meglio nel presente e guardare al futuro).

1. Etimologicamente il termine deriva dal lat.​​ tradere​​ (trasmettere). Quando si tratta di una trasmissione spontanea dei beni culturali e nazionali da una generazione ad un’altra si parla dei presupposti della​​ ​​ cultura e dell’educazione di ogni popolo (si comunica il linguaggio, la religione, i costumi). In ambienti religiosi e confessionali, la tradizione è elemento e criterio di prim’ordine per l’«ortodossia» della pratica religiosa. Se in questo presupposto non interviene l’educazione il t. sarà statico e regressivo; se l’educazione interviene adeguatamente esso sarà dinamico e progressivo. Se si intende il t. in senso politico-pedagogico (ristagno in un’epoca passata, con la pretesa di farla rivivere, come successe a V. Trotzendorf riguardo alla Repubblica Romana o a certi t. cattolici), si nega automaticamente tutto il progresso educativo; in questo caso, l’educazione consiste nell’«inculcare»; il soggetto dell’educazione deve attenersi al programma e gli viene negata ogni creatività.

2. Il t. come reazione all’​​ ​​ Illuminismo, al razionalismo e alla rivoluzione presuppone la fine dell’ottimismo razionalista. In Francia lo incarnano L. de Bonald (1754-1840), J. de Maistre (1753-1821) e H.-F. R. de Lamennais (1782-1854); in Italia G. Ventura (1792-1861); in Spagna J. Donoso Cortés (1809-1853) e J. M. Ortí Lara (1826-1904). Con costoro il t. diventa una vera e propria ideologia, una visione globale della vita politica. In pedagogia si avvicina a queste posizioni il​​ ​​ perennnialismo. La negazione pratica di ogni t. (come in Neill e nella pedagogia libertaria) è presente in pochi educatori delle​​ ​​ Scuole Nuove mentre lo hanno criticato tutti coloro che si sono allineati a questa corrente o hanno scritto su di essa.

Bibliografia

Gambra R.,​​ El concepto de tradición en la filosofía actual,​​ in «Arbor» 9 (1945) 545-573; Agazzi A.,​​ Problemi e maestri del pensiero e dell’educazione, 3 voll., Brescia, La Scuola, 1955-1959; Ravera M.,​​ Introduzione al t. francese, Roma / Bari, Laterza, 1991.

V. Faubell




TRADIZIONE

 

TRADIZIONE

Chiamiamo t. «il complesso delle memorie, notizie e testimonianze trasmesse da una generazione ad un’altra» (Devoto-Oli). Dato il valore vitale che riveste in quanto affermazione di continuità nella mutevolezza, la t. è fatta oggetto di scienze molteplici, segnatamente la storia, la religione, l’antropologia culturale e certamente la pedagogia. In ambito educativo, la t. (e le t. che la codificano, segnatamente le t. popolari o folkloriche) viene considerata nel suo doppio senso di contenuto e di forma di trasmissione.

1. Così nell’educazione familiare, scolastica e religiosa la t. rappresenta teoricamente​​ i contenuti formativi nelle loro radici storiche, carichi dunque di esperienzialità e di saggezza, per cui rinunciando alla t. si sperpera un’eredità ricevuta. Uno snodo educativo delicato riguarda il rapporto intergenerazionale, tra anziani e giovani. Squilibri demografici ed ancor più culturali oggi nelle società occidentali determinano sovente un reciproco «muro del silenzio» e quindi fatalmente l’impoverimento del senso della vita, carente di storia.

2. È vero però che talora la t. riveste un​​ peso eccessivo​​ rispetto al futuro e all’innovazione, per cui l’educazione rischia il​​ ​​ tradizionalismo e la conservazione. Nello stesso rischio cade una educazione che realizza la trasmissione dei valori della t. affidandosi prevalentemente a forme di socializzazione e di imitazione materiale. Il pericolo consiste nel non discernere la giusta validità di quanto si trasmette, conferendogli valore normativo indebito e quindi generando per opposizione ribellione e rifiuto.

3. È corretto il cammino educativo se la​​ t. rimane «un atto tra vivi», si stabilisce una reciprocità tra passato e presente, per cui quanto viene ricevuto si trova a sua volta arricchito. Purtroppo questo non è facile né scontato. L’approccio carismatico o quello meramente riproduttivo si contendono scorrettamente il campo e tradiscono la t. come insieme di beni tramandati da assumere creativamente.

4. Può essere​​ paradigmatico l’ambito cristiano​​ (​​ educazione cristiana). Ivi la t., a differenza della S. Scrittura, che è momento codificato e rigido degli avvenimenti fondatori, rappresenta il credo religioso, con i suoi riti ed istituzioni, nel loro essere vissuti da comunità di persone, che tengono viva la t. mediante la personale partecipazione. L’educazione alla t. vivente si ha nella​​ ​​ Chiesa pienamente soltanto attraverso un processo di iniziazione, ossia di vitale inserimento in quanto viene notificato nella catechesi e celebrato nel rito. È lecito affermare che ha senso l’educazione alla t. (nel significato vitale del termine) e che essa deve andare oltre la fase istruttiva, nozionale, a favore di un cammino formativo culturale ed esistenziale insieme. In tale cammino è indispensabile abilitare all’esercizio critico delle tante t. che pullulano, ora legittimamente, ora no, nel corso dei secoli.

Bibliografia

Benedetti M. V.,​​ T. educazione società, Salerno, Libreria Editrice Internazionale, 1970; Centro di Studi Filosofici di Gallarate, «T.», in​​ Dizionario delle idee, Firenze, Sansoni, 1977; Prandi C., «T.», in E. Pace (Ed.),​​ Dizionario di sociologia e antropologia culturale, Assisi, Cittadella, 1984, 600-604.

C. Bissoli