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TRADIZIONALISMO

 

TRADIZIONALISMO

Il t. in educazione ha molti significati: statico (conservazione di qualcosa che si trasmette per generazione), dinamico (filo conduttore che unisce gli avvenimenti dando loro unità), polemico (impegno nella razionalizzazione delle forme irrazionali della vita), storico-pedagogico (caratteristica comune a tutti i popoli dell’Antico Oriente con la nota finalità di mantenere invariate le credenze religiose, la struttura politica e l’organizzazione sociale), e storico-critico (mantenere ciò che vi è di buono nel passato, aggiungere ciò che vi è di meglio nel presente e guardare al futuro).

1. Etimologicamente il termine deriva dal lat.​​ tradere​​ (trasmettere). Quando si tratta di una trasmissione spontanea dei beni culturali e nazionali da una generazione ad un’altra si parla dei presupposti della​​ ​​ cultura e dell’educazione di ogni popolo (si comunica il linguaggio, la religione, i costumi). In ambienti religiosi e confessionali, la tradizione è elemento e criterio di prim’ordine per l’«ortodossia» della pratica religiosa. Se in questo presupposto non interviene l’educazione il t. sarà statico e regressivo; se l’educazione interviene adeguatamente esso sarà dinamico e progressivo. Se si intende il t. in senso politico-pedagogico (ristagno in un’epoca passata, con la pretesa di farla rivivere, come successe a V. Trotzendorf riguardo alla Repubblica Romana o a certi t. cattolici), si nega automaticamente tutto il progresso educativo; in questo caso, l’educazione consiste nell’«inculcare»; il soggetto dell’educazione deve attenersi al programma e gli viene negata ogni creatività.

2. Il t. come reazione all’​​ ​​ Illuminismo, al razionalismo e alla rivoluzione presuppone la fine dell’ottimismo razionalista. In Francia lo incarnano L. de Bonald (1754-1840), J. de Maistre (1753-1821) e H.-F. R. de Lamennais (1782-1854); in Italia G. Ventura (1792-1861); in Spagna J. Donoso Cortés (1809-1853) e J. M. Ortí Lara (1826-1904). Con costoro il t. diventa una vera e propria ideologia, una visione globale della vita politica. In pedagogia si avvicina a queste posizioni il​​ ​​ perennnialismo. La negazione pratica di ogni t. (come in Neill e nella pedagogia libertaria) è presente in pochi educatori delle​​ ​​ Scuole Nuove mentre lo hanno criticato tutti coloro che si sono allineati a questa corrente o hanno scritto su di essa.

Bibliografia

Gambra R.,​​ El concepto de tradición en la filosofía actual,​​ in «Arbor» 9 (1945) 545-573; Agazzi A.,​​ Problemi e maestri del pensiero e dell’educazione, 3 voll., Brescia, La Scuola, 1955-1959; Ravera M.,​​ Introduzione al t. francese, Roma / Bari, Laterza, 1991.

V. Faubell




TRADIZIONE

 

TRADIZIONE

Chiamiamo t. «il complesso delle memorie, notizie e testimonianze trasmesse da una generazione ad un’altra» (Devoto-Oli). Dato il valore vitale che riveste in quanto affermazione di continuità nella mutevolezza, la t. è fatta oggetto di scienze molteplici, segnatamente la storia, la religione, l’antropologia culturale e certamente la pedagogia. In ambito educativo, la t. (e le t. che la codificano, segnatamente le t. popolari o folkloriche) viene considerata nel suo doppio senso di contenuto e di forma di trasmissione.

1. Così nell’educazione familiare, scolastica e religiosa la t. rappresenta teoricamente​​ i contenuti formativi nelle loro radici storiche, carichi dunque di esperienzialità e di saggezza, per cui rinunciando alla t. si sperpera un’eredità ricevuta. Uno snodo educativo delicato riguarda il rapporto intergenerazionale, tra anziani e giovani. Squilibri demografici ed ancor più culturali oggi nelle società occidentali determinano sovente un reciproco «muro del silenzio» e quindi fatalmente l’impoverimento del senso della vita, carente di storia.

2. È vero però che talora la t. riveste un​​ peso eccessivo​​ rispetto al futuro e all’innovazione, per cui l’educazione rischia il​​ ​​ tradizionalismo e la conservazione. Nello stesso rischio cade una educazione che realizza la trasmissione dei valori della t. affidandosi prevalentemente a forme di socializzazione e di imitazione materiale. Il pericolo consiste nel non discernere la giusta validità di quanto si trasmette, conferendogli valore normativo indebito e quindi generando per opposizione ribellione e rifiuto.

3. È corretto il cammino educativo se la​​ t. rimane «un atto tra vivi», si stabilisce una reciprocità tra passato e presente, per cui quanto viene ricevuto si trova a sua volta arricchito. Purtroppo questo non è facile né scontato. L’approccio carismatico o quello meramente riproduttivo si contendono scorrettamente il campo e tradiscono la t. come insieme di beni tramandati da assumere creativamente.

4. Può essere​​ paradigmatico l’ambito cristiano​​ (​​ educazione cristiana). Ivi la t., a differenza della S. Scrittura, che è momento codificato e rigido degli avvenimenti fondatori, rappresenta il credo religioso, con i suoi riti ed istituzioni, nel loro essere vissuti da comunità di persone, che tengono viva la t. mediante la personale partecipazione. L’educazione alla t. vivente si ha nella​​ ​​ Chiesa pienamente soltanto attraverso un processo di iniziazione, ossia di vitale inserimento in quanto viene notificato nella catechesi e celebrato nel rito. È lecito affermare che ha senso l’educazione alla t. (nel significato vitale del termine) e che essa deve andare oltre la fase istruttiva, nozionale, a favore di un cammino formativo culturale ed esistenziale insieme. In tale cammino è indispensabile abilitare all’esercizio critico delle tante t. che pullulano, ora legittimamente, ora no, nel corso dei secoli.

Bibliografia

Benedetti M. V.,​​ T. educazione società, Salerno, Libreria Editrice Internazionale, 1970; Centro di Studi Filosofici di Gallarate, «T.», in​​ Dizionario delle idee, Firenze, Sansoni, 1977; Prandi C., «T.», in E. Pace (Ed.),​​ Dizionario di sociologia e antropologia culturale, Assisi, Cittadella, 1984, 600-604.

C. Bissoli




TRAINING AUTOGENO

 

TRAINING AUTOGENO

Metodo sistematico di allenamento graduale per raggiungere attraverso esercizi di concentrazione psichica ed autoregolazione uno stato di distensione.

1. Il neurologo J. H. Schultz (1884-1972), interessatosi al movimento psicoanalitico, si dedicò poi a ricerche ed esperienze nel campo dell’ipnosi, cercando di correlare funzioni somatopsichiche. Nel 1932 con​​ Das Autogene T., Schultz presentò l’elaborazione scientifica dei fondamenti teorici e le modalità di svolgimento del t.a. La tecnica è applicabile in trattamenti individuali e di gruppo a scopi preventivi e terapeutici, in soggetti interessati e con sufficiente autonomia psichica; il t.a. è sconsigliato con bambini fino ai cinque anni e nei casi di severi disturbi mentali ed emotivi. Il t.a. si pone due obiettivi generali: il miglioramento e / o l’eliminazione di disturbi in funzioni neuropsichiche, conseguenti a modifiche ottenibili con la concentrazione e la distensione. Il complesso fenomeno della commutazione biopsichica, analoga a quella del sonno fisiologico, comprende la totalità dell’individuo (aspetti dinamici, relazionali e simbolici). È necessario perciò che la persona che impiega a scopi terapeutici e / o insegna il t.a. abbia una profonda conoscenza del metodo, della dinamica psicologica e dei meccanismi neurofisiologici dell’essere umano.

2. Gli esercizi fondamentali riguardano: la sensazione di peso (distensione muscolare), la sensazione di calore (distensione vascolare), la regolazione del battito cardiaco e del ritmo respiratorio, la sensazione di fresco alla fronte ed, infine, la sensazione di calore nella zona del plesso solare. Tali esercizi hanno lo scopo di modificare funzioni neurofisiologiche e stati emozionali (tensione, ansia, aggressività) attraverso l’esperienza di distensione che costituisce l’essenza stessa del t.a. Agli esercizi segue una fase di ripresa, necessaria per ripristinare lo stato di coscienza vigile e di attività neuromuscolare. Gli esercizi superiori riguardano piuttosto la sfera della personalità: attraverso esperienze immaginative guidate e libere (es. visualizzazione di colori, formulazione di proponimenti) è possibile far emergere vissuti interiori che possono essere utilizzati a scopo terapeutico e / o come mezzo di sviluppo e di crescita individuale.

3. Oltre che in campo clinico, il t.a. trova un suo impiego in una pedagogia razionale dove assume una funzione preventiva, nella prospettiva di una educazione della tensione (Schultz, 1966). L’obiettivo tende a favorire lo sviluppo autentico ed armonico degli individui, in base ad un’adeguata conoscenza della propria unità biopsichica e delle proprie potenzialità psicosomatiche. Il t.a. viene impiegato, infine, nello sport e nel lavoro; nel primo caso permette, attraverso la distensione e la concentrazione, migliori prestazioni, nel secondo caso favorisce l’eliminazione dello stress ed il recupero di energie psicofisiche in tempi brevi.

Bibliografia

Schultz J. H.,​​ Das Autogene T.​​ Konzentrative Selbstentspannug; Versuch einer klinisch-praktischen Darstellung, Stuttgart, Thieme, 1966 (trad. it. 1983); Id.,​​ Übungsheft für das autogene​​ T., Ibid., 1980 (trad. it.:​​ Quaderno di esercizi per il t.a., Milano, Feltrinelli, 1982); De Vita F.,​​ Il t.a. nell’ansia adolescenziale. Un manuale teorico-pratico per operatori psicopedagogici e sociali dell’età evolutiva, Roma, Armando, 1993; Albisetti V.,​​ Il t.a. per la quiete psicosomatica, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1997.

G. Giordanella Perilli




TRANSFER DELL’APPRENDIMENTO

 

TRANSFER​​ DELL’APPRENDIMENTO

Il t.d.a. si definisce come l’acquisizione personale, senza intervento di un insegnamento, di un’attività o contenuto per effetto dell’apprendimento di altre attività o contenuti. L’interrogativo che sta sotto al t.d.a. si esprime così: quale influsso ha l’apprendimento di un’abilità sull’apprendimento o sulla performance di un’altra attività? Concretamente, si manifesta con il chiedersi se la conoscenza dell’italiano che ha una persona l’aiuterà ad apprendere lo spagnolo o il francese e se saper pattinare su ghiaccio può aiutare l’imparare a pattinare su ruote.

1.​​ Tipi di t.d.a.​​ Si conoscono tre tipi di t.: positivo, negativo e neutro. Il t. positivo dell’apprendimento avviene ad es. quando si insegna ad un gruppo di studenti un’abilità B che viene acquisita dopo 6 sessioni di pratica a differenza di quanto accade ad un altro gruppo di studenti che ha imparato in precedenza un’abilità A che acquisisce l’abilità B dopo 3 sessioni di pratica. Dato che il numero di sessioni di pratica è stato ridotto da 6 a 3, si ha un t. positivo (6 - 3 = +3). Il t. negativo si ha quando, contrariamente all’esempio dato, l’abilità A appresa in precedenza ha effetti deleteri sull’apprendimento dell’abilità B con il risultato (6 - 9 = -3). Il t. neutro (o t. zero) si ha invece quando il possesso di una data abilità ha un effetto minimo sull’apprendimento di un’altra abilità; esemplificando, l’apprendimento del lavoro a maglia non ha nessun effetto sull’apprendimento della grafica computerizzata (6 - 6 = 0).

2.​​ Aspetto psicologico del t.d.a.​​ Sebbene nella psicologia contemporanea il t.d.a. venga trattato come un argomento a parte con il proprio disegno sperimentale e le proprie procedure di misurazione, le sue implicazioni pervadono l’intera psicologia, dall’apprendimento condizionato allo sviluppo della personalità. Lo studio sperimentale del t.d.a. da parte degli psicologi non è facile dato che il carattere indeterminato ed ampio delle formulazioni teoretiche offerte rende difficile l’applicabilità nel vivo della classe. Per questo motivo, lo studio sperimentale si è concentrato in laboratorio. Questo ha permesso la scoperta di fenomeni legati al t.d.a. Il primo è la somiglianza stimolo-risposta. Il metodo di apprendimento di associazione di parole a due a due ha mostrato che quando all’apprendimento di una prima lista di parole segue l’apprendimento di una seconda lista avviene un t. negativo e che a maggiore somiglianza di elementi che costituiscono gli stimoli presenti nelle due liste, maggiore è il grado di t. negativo. Se si aumenta invece la somiglianza nei termini di risposta cresce il t. positivo. Collegati direttamente alla somiglianza stimolo-risposta sono i fenomeni chiamati inibizione retroattiva e proattiva. Se l’apprendimento di un nuovo compito interferisce con la produzione dell’abilità acquisita in precedenza, ha luogo una inibizione retroattiva. Ad es. i risultati forniti dopo l’apprendimento di una lista di vocaboli in lingua straniera da parte di due gruppi sono diversi se nell’intervallo tra l’apprendimento e la performance si chiede ad uno dei due gruppi d’imparare un’altra lista di vocaboli mentre all’altro si chiede di eseguire un compito molto diverso dal precedente. Se invece un’abilità appresa rende difficile la competenza in un’altra abilità appresa dopo si ha un’inibizione proattiva. Qui, contrariamente all’esempio precedente, l’apprendimento della seconda lista di parole avviene prima dell’apprendimento della lista che verrà poi valutata. Da questi due esperimenti è stato dedotto che a maggiore somiglianza delle liste di parole da apprendere corrisponde una minore ritenzione. Comunque, l’inibizione proattiva produce minore dimenticanza dell’inibizione retroattiva (​​ memoria). Un ulteriore fenomeno che testimonia del t.d.a. è la predifferenziazione dello stimolo. I film didattici possono essere considerati un esempio quotidiano di predifferenziazione dello stimolo perché gli studenti che li vedono ricevono un’informazione preliminare da utilizzare nei momenti successivi di apprendimento. La visione di un film sulla cellula prepara gli studenti ad acquisire meglio le abilità necessarie alla corretta visione delle cellule al microscopio. La predifferenziazione dello stimolo viene largamente sfruttata con i pacchetti multimediali (​​ multimedialità) e consente un miglior t.d.a. perché i risultati di un gran numero di sperimentazioni hanno mostrato che quando uno studente ha l’opportunità di entrare in un ambiente globale ritiene un numero di informazioni sui componenti incontrati che lo preparano ad intrattenersi senza difficoltà con il pacchetto di apprendimento. L’apprendimento contrapposto è l’ultimo fenomeno trattato nello studio del t.d.a. Il soggetto impara a discriminare tra due colori, ad es. il rosso e il blu in un insieme di oggetti colorati di rosso e di blu; deve poi operare la scelta corretta quando gli viene chiesto di indicare uno dei due colori e subito dopo gli viene chiesto di indicare l’altro colore. All’inizio trova difficoltà nello scegliere la seconda opzione dato che è influenzato dalla prima scelta corretta, poi, con l’esercizio, migliora e arriva a non commettere più errori. Nell’apprendimento extra-dimensionale il soggetto impara prima a discriminare, ad es. scegliendo un oggetto quadrato in un insieme di oggetti quadrati e rotondi, e poi a contrapporre la sua scelta scegliendo l’oggetto rotondo. Queste contrapposizioni sono difficili per molti studenti perché sono presenti effetti negativi dato che l’individuo tende a persistere nello scegliere l’oggetto quadrato che all’inizio era l’opzione corretta. Man mano che si eseguono prove, la tendenza a scegliere la prima opzione s’indebolisce e, con ulteriori prove, l’utente arriva al punto di non fare più errori.

3.​​ Aspetto pedagogico-didattico del t.d.a.​​ Tre modi di vedere il t.d.a. hanno dominato fin dall’epoca più antica: la disciplina formale, la presenza di elementi identici e la conoscenza di principi generali. Attraverso lo studio della geometria ci si aspettava di veder migliorare le abilità della ragione come attraverso lo studio del latino ci si aspettava di veder migliorare la memoria. Sebbene molti educatori abbiano creduto al potere della disciplina mentale, i test sperimentali l’hanno rifiutata perché le abilità di ragionamento di gruppi di studenti di matematica della scuola superiore, confrontati con altri studenti ugualmente capaci che non avevano però lo stesso esercizio in campo matematico non hanno mostrato nessuna differenza nel ragionamento logico. È stata postulata una teoria alternativa che afferma come il t. tra attività ha luogo solo se dette attività condividono gli stessi elementi. Da questa teoria deriva la predizione che l’abilità nell’addizionare aiuta notevolmente l’abilità nel moltiplicare dato che la moltiplicazione è un insieme di addizioni. La formulazione circa gli «elementi comuni» è stata scossa quando è stato sperimentalmente scoperto che è la comprensione di principi generali ad avere il maggiore effetto sul t.d.a. La disciplina formale, la presenza di elementi comuni e la conoscenza di principi generali più che teorie rigorosamente definite sono punti di vista che possono avviare ricerche e sperimentazioni. Ad es. si potrebbe ipotizzare che l’abilità in matematica non produce miglioramento nelle abilità di ragionamento forse perché l’insegnamento è svolto in modo tradizionale. Il t.d.a. resta da esplorare e deve essere un impegno di ogni insegnante / educatore per aiutare di più e meglio i propri studenti.

Bibliografia

Mestre J. (Ed.),​​ T. of learning: research and perspectives. From a modern multidisciplinary perspective, Greenwich (CT), Information Age, 2005; Singley M. K. - J. R. Anderson,​​ The t. of cognitive skill, Cambridge, London, Harvard University Press, 1989; De Beni M.,​​ Costruire l’apprendimento, Brescia, La Scuola, 1994;​​ Royer​​ J. M. (Ed.),​​ The cognitive revolution in educational psychology, Greenwich (CT), Information Age, 2005.

C. Cangià




TRANSFERT / CONTROTRANSFERT

 

TRANSFERT /​​ CONTROTRANSFERT

Il t. (o traslazione, come il termine compare nella ediz. it. delle​​ Opere complete​​ di​​ ​​ Freud) indica nella sua accezione più generale l’atteggiamento emotivo (positivo o negativo) del paziente nei confronti del proprio psicoanalista. In un’accezione più specifica viene definito come il processo mediante cui il paziente proietta sulla figura dello psicoanalista affetti, pensieri e condotte originariamente relativi a persone della propria esperienza precedente l’analisi e in particolare relativi a persone facenti parte del proprio nucleo familiare.

1. Per Freud, il t. non caratterizza esclusivamente la situazione analitica – si può infatti parlare di t. in diverse situazioni interpersonali quali quelle rappresentate dalla relazione tra medico e malato, fra maestro e allievo, tra ipnotizzatore e ipnotizzato ma è nella situazione analitica, e soltanto in essa che il t. viene interpretato e utilizzato come fondamentale strumento terapeutico. Diversamente da altri concetti cardine della​​ ​​ psicoanalisi, quello di t. è stato oggetto, da parte di Freud, di una elaborazione progressiva. Questo termine indica nei primi scritti freudiani soltanto una delle modalità di spostamento dell’affetto da una rappresentazione a un’altra, mentre dal 1912 (La dinamica della traslazione) e in gran parte come conseguenza della scoperta e sistematizzazione del complesso edipico, della riflessione sui problemi tecnici che i primi trattamenti psicoanalitici sollevavano nonché dei contributi dei primi allievi, quali ad es. Ferenczi, che già nel 1907 aveva mostrato come nell’analisi, ma anche nelle tecniche di suggestione e di ipnosi, il paziente inconsciamente facesse svolgere al medico il ruolo delle figure parentali amate o temute il t. diviene il principale strumento della tecnica psicoanalitica. Per Freud (che identifica nel t. sia una componente negativa, «l’arma più forte della resistenza», sia una componente positiva caratterizzata dall’emer-gere di sentimenti positivi nei confronti dell’analista, che consentono di «stabilire una relazione positiva con l’analista» e che viene quindi in parte a coincidere con la «alleanza terapeutica») la situazione psicoanalitica crea le premesse indispensabili per il sorgere della «nevrosi di t». Per Freud, dunque (che a più riprese, fino negli ultimi scritti, sottolinea la centralità del concetto di t. considerandolo, insieme alla teoria della rimozione e alla teoria pulsionale, «uno dei tre pilastri su cui si regge la dottrina psicoanalitica delle nevrosi») il t. crea «una provincia intermedia fra la malattia e la vita, attraverso la quale è possibile il passaggio dalla prima alla seconda». In questo senso il t., o meglio la nevrosi di t. (una sorta di «malattia artificiale completamente accessibile agli attacchi» dello psicoanalista) diventa il mezzo principale per «domare la coazione a ripetere». Diventa cioè una sorta di palestra in cui quest’ultima può espandersi in una «libertà quasi assoluta e dove le è prescritto di presentarci tutti gli elementi pulsionali patogeni che si nascondono nella vita psichica dell’analizzando». La nevrosi di t. (che svolge «l’inestimabile servizio di rendere attuali e manifesti gli impulsi amorosi, occulti e dimenticati dei malati») diventa così il principale strumento analitico, lo specifico terreno della cura analitica. Per Freud dunque il t., «che fa sì che il paziente scorga nel medico un ritorno di una persona importante del suo passato [...] e trasferisca quindi su di lui sentimenti e reazioni che spettavano a questo modello» si rivela come «un momento di insospettata importanza nel trattamento psicoanalitico». Da un lato dunque il t. è considerato «un mezzo ausiliare di valore inestimabile», dall’altra una fonte di seri pericoli. «La lotta tra il medico e il paziente [...] si svolge quasi esclusivamente nell’ambito dei fenomeni di t. È su questo terreno che deve essere vinta la battaglia e la vittoria si esprime nella guarigione definitiva della nevrosi» (Freud, 1912). Il concetto di t. ha assunto nei diversi autori un’estensione assai ampia fino ad abbracciare tutti i fenomeni inerenti alla relazione del paziente con lo psicoanalista; esso esprime quindi, più che qualsiasi altro concetto, la concezione di ciascun analista in merito alla cura, al suo oggetto, alla sua dinamica, alla sua tattica, ai suoi obiettivi.

2. Il c. (o controtraslazione) può essere definito come la risposta inconscia dello psicoanalista al paziente e più particolarmente al suo t. Il concetto di c. è stato scarsamente elaborato da Freud, che lo considera «l’effetto dell’influsso del malato sui sentimenti inconsci del medico». Freud dunque (che ritiene che «ogni psicoanalista procede esattamente fin dove glielo consentono i suoi complessi e le sue resistenze interne») utilizza il concetto di c. per indicare quei «difetti personali dell’analista che interferiscono con la sua capacità di dare un’esatta valutazione del paziente». In questo senso, e tenendo conto delle particolari condizioni in cui si svolge il lavoro analitico, Freud fa riferimento al c. quasi esclusivamente per sostenere in un primo tempo la necessità che l’analista, «riconoscendo in se stesso l’esistenza della controtraslazione», affianchi «alle proprie esperienze con i malati» l’approfondimento della propria autoanalisi e in un secondo momento per sostenere la necessità dell’analisi didattica, che metterebbe l’analista in grado di «imparare abbastanza dai suoi stessi errori e di superare i punti deboli della sua personalità». Il concetto di c. ha successivamente assunto una notevole importanza (tanto sul piano metodologico che sul piano teorico) nella psicoanalisi post-freudiana. La posizione dei diversi autori rispetto alla delimitazione di questo concetto non è univoca. Per alcuni infatti il c. riguarda tutti gli aspetti della personalità dell’analista che possono intervenire nella cura, mentre per altri esso si riferisce esclusivamente ai processi inconsci che il t. dell’analizzato induce nell’analista. Dal punto di vista tecnico si possono distinguere schematicamente tre orientamenti: a) ridurre il più possibile le manifestazioni di c. mediante l’analisi personale; b) utilizzare, senza perderne il controllo, le manifestazioni del c. nel lavoro analitico; c) orientarsi, per l’interpretazione stessa, sulle proprie reazioni di c., spesso assimilate, in questa prospettiva, alle emozioni che si sono provate. Tale atteggiamento postula che la risonanza «da inconscio a inconscio» costituisca la sola comunicazione autenticamente psicoanalitica.

Bibliografia

Nagera H.,​​ I concetti fondamentali della psicoanalisi, Torino, Bollati Boringhieri, 1974; Gill M. M.,​​ Teoria e tecnica dell’analisi del t., Roma, Astrolabio / Ubaldini, 1985; Semi C. A. (Ed.),​​ Trattato di psicoanalisi, Milano, Cortina, 1988; Etchegoyen R. H.,​​ I principi della tecnica psicoanalitica, Roma, Astrolabio / Ubaldini, 1990; Luborsky L.,​​ Capire il t., Milano, Cortina, 1992; Gill M. M.,​​ Psicoanalisi in transizione, Ibid., 1996; Langen D. - K. Mann,​​ Training autogeno, Milano, Red Edizioni, 2006.

F. Ortu - N. Dazzi




TRATTI DELLA PERSONALITÀ

 

TRATTI DELLA PERSONALITÀ

I t. sono una caratteristica duratura (ad es. «cordiale», «onesta») per mezzo della quale le persone si differenziano l’una dall’altra; essi si manifestano in modo consistente in varie situazioni e sono molto numerosi. Da alcuni decenni vari ricercatori hanno pensato che la saggezza popolare insita nei t. potrebbe essere un punto di partenza per la descrizione scientifica della personalità. Ma questo richiede previamente di riordinare i molteplici numerosi t. e ridurli ad un ragionevole numero. Questa operazione è stata fatta da alcuni autori dopo un’attenta riflessione: sono infatti stati eliminati i sinonimi con il procedimento dell’analisi fattoriale (​​ ricerca).

1.​​ Struttura.​​ I t. così vagliati sono stati considerati dei fattori costitutivi della personalità ma sul loro numero per descriverla per mezzo dei questionari ci sono ancora notevoli incertezze in quanto esso oscilla da un massimo di 58 ad un minimo di 3. I t. non descrivono la personalità in modo esauriente in quanto componenti importanti come valori non sono colti dai t. e i t. stessi non includono necessariamente le competenze (Matthews e Deary, 1998). I t. sono disposti in una struttura gerarchica, formata da un numero di t. indipendente (cosiddetto 1° strato) e da quelli combinati tra loro che formano il 2° strato. I t. del 1° strato vengono chiamati anche t. di sorgente in quanto sono costitutivi della personalità, mentre quelli che non appartengono a tale strato si chiamano t. di superficie in quanto integrano la descrizione della medesima (Teglasi, Simcox e Kim, 2007). Ogni t. ha il suo opposto con cui forma la specifica dimensione della personalità. Il t. si manifesta in una determinata situazione, senza cui esso è solo una disposizione latente. Il t. sotto un unico termine riassume vari comportamenti che si manifestano in differenti situazioni; i comportamenti sono dei segni o degli indici da cui viene fatta un’inferenza al rispettivo t. latente. Per poter valutare l’intensità di un t. occorre osservare il soggetto in varie situazioni; lo stesso t. può inoltre manifestarsi nelle medesime situazioni in modo differente. I t. si formano nell’interazione del soggetto con il suo ambiente e tale formazione è influenzata in modo rilevante dai fattori genetici. Infatti, i figli della stessa famiglia, nonostante la relativa uniformità del clima formativo dei genitori, presentano una grande variazione in numerosi t. I t. vengono utilizzati in tre grandi aree per diagnosticare o per descrivere la personalità: nel differenziale semantico, nei costrutti personali e nei​​ ​​ questionari di personalità.

2.​​ Critica ai t.​​ Nel 1968, W. Mischel (1968) ha sostenuto che i t. non sono altro che delle schematizzazioni di colui che osserva il comportamento altrui e quindi inesistenti nel soggetto osservato (Rogers, 1995, 619). Il​​ ​​ comportamento umano, di conseguenza, è dovuto alla situazione, i t. sono solo debolmente correlati con i criteri e hanno quindi una scarsa utilità pratica. L’opera di Mischel ha avuto notevole eco e ha contribuito a rinvigorire il neocomportamentismo nel suo aspetto di diagnosi comportamentale, basata sull’osservazione diretta del comportamento. Ai segni del t. è stato sostituito il campione di comportamento. L’obiettivo della diagnosi non è più rappresentato dalla stabilità del comportamento ma dalla sua fluttuazione, dovuta alla situazione e l’attenzione è stata spostata dalle differenze interindividuali a quelle intraindividuali. Volutamente sono state ignorate le cause remote del comportamento mentre l’attenzione veniva rivolta all’apprendimento precedente del soggetto, al suo ambiente attuale e alle conseguenze del comportamento prodotto in una specifica situazione. In quanto ai mezzi diagnostici non sono stati considerati importanti i requisiti tradizionali come la validità di criterio (concorrente e predittiva) e la validità di costrutto. L’unico tipo di validità richiesto per tali mezzi è stato quello della validità di contenuto. La critica di Mischel ha avuto un effetto benefico sui t. in quanto alcune sue affermazioni sono state sottoposte ad una accurata verifica. È stata constatata una grande variazione nei coefficienti per gruppi e t.; alcuni gruppi sono risultati molto consistenti, altri meno consistenti e la stessa cosa valeva per i t. Anche i coefficienti di correlazione considerati bassi da Mischel confermavano in molti casi la loro utilità pratica. Vari t. inoltre risultavano correlati in modo rilevante con alcuni criteri sociali importanti, come per es. l’aggressività infantile con la delinquenza nell’adolescenza. Nella polemica sono stati disattesi i dati ottenuti sui gemelli monozigoti i quali, pur avendo vissuto in ambienti diversi si rassomigliavano notevolmente in numerosi t. L’effetto più importante però consisteva nella combinazione del t. con la situazione e nella riscoperta dell’interazionismo: è stato infatti ampiamente riconosciuto che il comportamento è dovuto sia al t. che alla situazione. Attualmente vari metodi, come la «psicostoria» e la «psicobiografia» hanno confermato che i t. sono molto stabili lungo tutto l’arco della vita umana. Come reazione alla critica sono stati elaborati nuovi questionari con le metodologie più avanzate.

3. Una domanda ineludibile è quella del rapporto dei t. con i disturbi di personalità. Dato che i t. sono positivi e negativi si potrebbe supporre che i primi descrivono il soggetto sano mentre quelli negativi definiscono il soggetto disturbato. In realtà tanto i primi quanto i secondi sono utili per entrambi tipi di soggetti, ma differente è la distribuzione delle frequenze dei medesimi per le due categorie (sana e disturbata). Livesley e Jang (2005), sostengono che i t. (positivi e negativi) dei soggetti affetti da patologia occupano posizioni estreme della distribuzione normale, essendo solo bassi o alti. Inoltre, tali soggetti in determinati t. risultano rigidi in quanto reagiscono a differenti situazioni in modo uguale (un paranoide si sentirà minacciato in ogni situazione e da ogni persona). Ostendorf e Riemann (2005) riportano i dati di alcuni studi secondo i quali la corrispondenza tra il DSM-IV (disordini della personalità) e il Five-Factor Model of Personality - FFM (cinque t. positivi) quanto alla varianza è stata soltanto di 52-70% il che indica da un lato un discreto accordo tra i due procedimenti diagnostici e dall’altro una significativa differenza cogliendo le due situazioni della salute psichica. Di conseguenza Ostendorf e Riemann sostengono che il FFM può diagnosticare i disordini della personalità in modo attendibile e valido.

4.​​ L’utilizzazione educativa.​​ I t., essendo modificabili, si prestano al potenziamento e alla correzione con opportuni interventi educativi. Data la loro notevole stabilità lungo tutta la vita umana, essi offrono la possibilità di prevedere l’evolversi di alcuni comportamenti socialmente indesiderabili (aggressività-delinquenza), e quindi possono costituire interventi di prevenzione già in tenera età. La distinzione tra t. di sorgente e t. di superficie può essere di guida nell’educazione poiché offre una realistica possibilità di prevedere l’efficacia di un intervento in quanto i primi sono più resistenti al cambiamento dei secondi. Infine i t. danno la possibilità di prevedere (ed anche prevenire) l’esito dell’interazione tra il soggetto e la situazione specifica nell’adattamento scolastico, professionale e sociale (​​ orientamento, teoria di Holland).

Bibliografia

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K. Poláček