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TIPOLOGIA

 

TIPOLOGIA

Sistema per la classificazione di individui in tipi.

1. Le t. sono classificazioni – della​​ ​​ personalità, degli​​ ​​ interessi, di particolari tipi di​​ ​​ comportamento (per es. di​​ ​​ stili educativi) – in cui ogni categoria viene definita in riferimento a un tipo, cioè a un individuo che abbia al massimo grado le caratteristiche che definiscono quella categoria e la differenziano dalle altre. Per es. nella t. della personalità di​​ ​​ Eysenck il tipo introverso si caratterizza per la presenza a livello elevato di tratti quali la tenacia, la rigidità, la labilità nervosa, la precisione, l’irritabilità e si distingue nettamente da altri tipi, quali l’estroverso e il nevrotico. Le t. si riferiscono a fenotipi, ossia a descrizioni del «comportamento di superficie», o a genotipi, ossia a interpretazioni delle strutture e delle dinamiche all’origine dell’insieme dei comportamenti rilevati. In rapporto ad alcune t. che tengono conto sia di caratteristiche fisiche strutturali sia di caratteristiche psicologiche (Kretschmer, Eysenck,​​ ​​ Jung, Heymans-Le Senne,​​ ​​ Sheldon, Pende) sono stati verificati effetti differenziali di diversi approcci educativi. Costituiscono una t. anche le diagnosi «categoriali» basate sui «criteri diagnostici» di DSM-IV e ICD-10, criticate dai molti che ritengono più valida la diagnosi «dimensionale» che valuta lungo un continuum anche le psicopatologie, come già da decenni si preferisce fare per i tratti normali di personalità.

2. Le t., rispetto alle valutazioni riferite a tratti, propongono una riduzione che comporta per la maggior parte degli individui una rappresentazione distorta della realtà: per es. i tipi estremi estroverso e introverso presumibilmente consentono di classificare esattamente non più del 30% delle persone, mentre il rimanente 70% presenta una «t. mista», ossia una copresenza delle caratteristiche salienti di ambedue i tipi, con accentuazione maggiore o minore dell’una o dell’altra. Per questo motivo varie t. propongono classificazioni articolate, che in qualche modo mediano fra la metodologia dei tratti e quella dei tipi (Sheldon, Heymans-Le Senne), anche se la teoria di riferimento originaria prevede solo una dicotomia (v. l’interpretazione pratica della t. di Jung data dal​​ Myers-Briggs type indicator).

Bibliografia

Allport G. W.,​​ Pattern and growth in personality, New York, Holt, 1965 (trad. it.​​ Psicologia della personalità, Zürich, PAS-Verlag, 1969); Boncori L.,​​ TALEIA-400A, Trento, Erickson, 2007.

L. Boncori




TIROCINIO

 

TIROCINIO

L’esigenza di orientarsi per una nuova professionalità o di «farne l’esperienza» richiede un periodo di esperienza guidata. A tale esigenza (progettualità professionale ed esercizio pratico di una nuova professionalità) si riferisce il termine t. visto spesso come sinonimo di pratica, esercitazione, laboratorio. La maggior parte degli studi sono compresi nelle decadi degli anni ’70 e ’80 del sec. scorso quando il tema venne analizzato e sperimentato nell’ambito del​​ microteaching. Le esperienze e gli studi realizzati hanno portato ad un rafforzamento della necessità di studiare le condizioni che rendono il t. una vera e propria pratica educativa o formativa nei confronti di chi lo sperimenta.

1.​​ Natura e metodologia.​​ Il suo significato può essere espresso globalmente in: esigenza di sperimentare se stessi (le proprie capacità, cognizioni, interessi e desideri) in un compito grazie ad un aiuto; possibilità di verificare nella realtà determinati principi o teorie appresi; formazione graduale alla capacità di intervento autonomo; assimilazione di metodi operativi grazie ad una esperienza pratica; verifica di una capacità richiesta dalla futura professione. Gli elementi chiamati in causa si riferiscono a: un quadro di riferimento professionale; alla persona che desidera orientarsi o sperimentarsi in esso. Il denominatore comune resta la verifica grazie all’esperienza diretta, ossia la riflessione sistematica su quanto si è appreso e sulla possibilità di realizzarsi in una professione, come consapevolezza di saper fare e di voler diventare. Ne consegue pure che: il t. suppone la guida e la verifica da parte di chi è già nella professione o nella istituzione che propone il t. e non può essere confuso con la pura esperienza o con frammenti casuali (attività isolate dal contesto o occasionali); inoltre segue alcuni criteri, vuole raggiungere degli obiettivi, richiede specifici contenuti, abilità tecniche, modalità e tempi. I risultati potrebbero essere: l’autoverifica del proprio orientamento personale; la maturazione della personalità attraverso l’integrazione di un’esperienza di vita e di lavoro; la presa di coscienza della flessibilità, plasticità e dinamicità di fondo del campo professionale.

2.​​ Impostazione del t.​​ Comporta, da parte di chi ne è incaricato, il tentativo continuo di chiarirsi: il quadro di riferimento, i criteri e le condizioni, i contenuti e le modalità. Nel quadro di riferimento vengono chiamate in causa contemporaneamente la progettualità professionale, la​​ ​​ ricerca, e l’innovazione. Tra i criteri da tener presente sembra fondamentale la gradualità, la sequenzialità delle esperienze proposte e la partecipazione alla vita reale che si svolge all’interno dell’istituzione. Non vanno trascurate le condizioni che permettono la realizzazione dell’esperienza nel tener presenti continuamente il collegamento e la gradualità nel passaggio dalla teoria alla pratica, la necessità (e la possibilità) di poter confrontare realtà diverse (come classi e stili di insegnamento), la programmazione, la socializzazione e la​​ ​​ valutazione dell’esperienza stessa. I contenuti da trasmettere possono riferirsi ad una chiarificazione del dove si svolgerà l’esperienza e quindi una pista di osservazione relativa all’ambiente con le sue caratteristiche e alle persone con cui si verrà a contatto, che cosa un tirocinante può e deve fare e quindi le abilità e le conoscenze richieste, come ci si inserisce, con quale atteggiamento e stile. La metodologia può riferirsi a tre tappe: la sensibilizzazione alla situazione in cui ci si inserisce attraverso l’osservazione che evita la molteplicità di stimoli, sceglie un oggetto specifico e prepara uno strumento; la collaborazione intesa come partecipazione ad alcuni momenti decisionali nella​​ ​​ programmazione, e l’aiuto concreto nello sviluppo di alcune attività; l’assunzione graduale di responsabilità come ad es. la preparazione di un progetto d’intervento, la sua realizzazione e concettualizzazione dell’esperienza (valutazione). La durata è in relazione diretta con lo specifico delle diverse professioni: è opinione comune che l’esercizio della professione stessa rafforzerà nel tempo alcune caratteristiche formative ed operative. Ciò non toglie un elemento insito nel t.: l’esigenza di un aggiornamento e di una formazione permanente (​​ educazione permanente).

Bibliografia

De Landsheere G.,​​ La formazione degli insegnanti domani, Roma, Armando, 1978; Ferry G.,​​ Le trajet de la formation, Paris, Dunod,​​ 1983;​​ Mencía de la Fuente E. (Ed.),​​ Pedagogía de las instituciones de formación del profesorado, Granada, Ave María,​​ 1986; Gatti R. - V. Gherardi,​​ Il t. didattico: teoria e pratica, Roma, Armando, 1988; Di Nubila R.,​​ Impariamo ad orientare​​ (progetto di formazione degli insegnanti), Rimini, Maggioli, 1990; Gagnè R. M. - L. J. Briggs,​​ Fondamenti di progettazione didattica, Torino, SEI, 1990; Mastromarino R.,​​ L’azione didattica. Qualità ed efficacia nella classe, Roma, Armando, 1991; Czerwinsky Domenis L.,​​ Nuovi contesti della formazione: pratica professionale e processi riflessivi nel t., Milano, Angeli, 2005.

M. G. Caputo




TITOLI DI STUDIO

 

TITOLI DI STUDIO

Il conseguimento di ogni t.d.s. prevede l’iscrizione e la frequenza di determinati corsi di studio ed il superamento di prove di​​ ​​ valutazione che possono condurre all’esame finale. Gli esami scolastici vengono istituiti nell’Europa del XVIII sec. ed è la Prussia che per prima introduce nel 1788 una prova d’esame per l’accesso agli studi universitari. In epoca napoleonica si divide la scuola in primaria e secondaria e si prevedono prove di passaggio relative. In Italia le prime regolamentazioni di ordinamento risalgono alle leggi Boncompagni (1848) e Casati (1859).

1.​​ Il caso italiano.​​ La legislazione scolastica it. si trova in una fase di transizione che ha recentemente inciso proprio sugli esami e sui t.d.s. obbligatori. Abolito l’esame di licenza elementare con la riforma del primo ciclo di istruzione, la L. 296 / 06 ed il successivo DM 139 / 07 hanno introdotto l’obbligo di istruzione per una durata di dieci anni, cioè comprensivo di un biennio successivo all’esame di stato previsto al termine della scuola secondaria di I grado. La conclusione dell’obbligo di istruzione, però, non coincide con alcun t.d.s. e prevede solo la certificazione dell’assolvimento dell’obbligo, anche se il percorso è dichiaratamente finalizzato al conseguimento di un t. di istruzione secondaria superiore (di durata quinquennale) o di un diploma di qualifica professionale di durata almeno triennale. Nell’istruzione superiore si può scegliere tra diploma universitario di laurea e diploma rilasciato da istituzioni come: le scuole dirette a fini speciali; l’istituto superiore di educazione fisica; le istituzioni artistiche. Fanno parte dell’istruzione postsecondaria anche i percorsi di Ifts (istruzione e formazione tecnica superiore) che intendono costituire un’alternativa alla più tradizionale e diffusa offerta formativa universitaria. Gli studi post-laurea in Italia prevedono: il dottorato di ricerca; il diploma di specializzazione; l’attestato di frequenza a corsi di perfezionamento anche a distanza. Ai vari t.d.s. corrispondono «qualifiche funzionali», un tempo «carriere degli impiegati civili dello Stato» (DPR 28.12.1970, n. 1077), con specifici livelli retributivi. La disposizione del DPR 31.05.1974, n. 420, art. 8 prevede l’accesso a carriere ausiliarie (prima e seconda qualifica funzionale) con il possesso della licenza elementare ed eventualmente di t. professionale. Enti pubblici e privati organizzano corsi differenziati a seconda dell’utenza e rilasciano certificati relativi a corsi di qualificazione, di specializzazione, di orientamento e cultura professionale. Dal punto di vista statistico nazionale il 40° Rapporto Censis registra il possesso dei seguenti t.d.s. tra la popolazione residente di almeno 15 anni d’età nel 2005: 27.7% licenza elementare o senza t.d.s; 31,3% licenza media; 5,4% qualifica professionale; 26,5% diploma 4-5 anni; 9,1% dottorato, laurea, laurea breve (Censis, 2006, p. 153). Va notato che sono in rapida crescita i t. più elevati.

2.​​ Abilitazioni per l’insegnamento in Italia.​​ Salvo casi richiedenti specifiche competenze tecniche, professionali, artistiche, il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, per t. ed esami, prevede una formazione universitaria completa (DPR 31.05.1974, n. 417, art. 7), che dopo la riforma degli ordinamenti universitari deve essere di durata quinquennale per qualsiasi ordine o grado di scuola.​​ 

3.​​ T.d.s. in Europa.​​ Negli Stati membri dell’Unione Europea sono previste prove di passaggio da un livello all’altro di scuola, le variazioni si riferiscono alla durata della scuola dell’obbligo, al sistema di valutazione, all’articolazione disciplinare della scuola secondaria. In tutti i casi l’accesso all’università prevede il possesso del certificato che attesta il superamento dell’esame di fine degli studi secondari di secondo ciclo. In Belgio anche le scuole speciali rilasciano i certificati previsti per il proseguimento degli studi nell’istruzione superiore ed i corsi per corrispondenza permettono di raggiungere i t. relativi all’istruzione di secondo e terzo livello. In Danimarca il ginnasio termina con l’esame «studentereksamen» e per chi sceglie l’indirizzo professionale dopo l’obbligo deve superare la «svendeprove». In Francia l’istruzione secondaria di primo ciclo termina con il «brevet des collèges» e quella di secondo ciclo con il «baccalauréat» oppure con il certificato di diploma a carattere tecnico-professionale, «diplôme national du brevet de technicien». Il «brevet» esiste anche in Lussemburgo ed è rilasciato agli insegnanti dei vari gradi di scuola: «brevet d’aptitude pédagogique», «brevet d’enseignement complémentaire», «brevet d’enseignement moyen».​​ In Germania si entra all’università se si possiede il t. di «Abitur» o «Reifeprüfung»; l’università termina con il diploma di «Magister Artium» e per il dottorato si deve acquisire il «Rigorosum»; mentre nei Paesi Bassi il più alto t. universitario è il «graad van doctor». In Grecia per i quindicenni vi è la licenza ginnasiale per l’accesso al «lykeio». Sia in Portogallo che in Spagna la scuola dell’obbligo termina con un certificato. In Spagna viene rilasciato il t. di «graduado escolar» che consente di proseguire nel «bachillerato» (scuola secondaria di secondo ciclo), oppure il «certificado de escolaridad» che permette l’ingresso nella formazione professionale. Nella scuola d’Irlanda vi sono certificati vari («day vocational certificate», «intermediate certificate», «leaving certificate») che scandiscono la progressione degli studi secondari. Nel Regno Unito vi è il t. che certifica il superamento dei livelli generale ed avanzato: «ordinary» (dopo cinque anni di secondaria) e «advanced» (altri due anni di studio).

4.​​ Politica europea.​​ L’adozione (15 giugno 1987) del Programma di Azione della Comunità Europea per la mobilità studentesca universitaria (Erasmus) agevola il riconoscimento reciproco di periodi e diplomi di studio tra i Paesi comunitari. Al fine di migliorare e potenziare l’equipollenza dei t.d.s. rilasciati negli Stati membri, la Comunità europea ha istituito la rete Naric (1984) dei Centri di informazione. In diversi casi i Centri fanno parte del Ministero della P.I., o comunque sono in contatto diretto con esso. In Italia opera il Cimea: Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche, Fondazione Rui. Il Trattato sull’Unione europea (Maastricht, 07.02.1992) avvalora il lavoro svolto in ambito Erasmus e riafferma che l’azione della Comunità è intesa «a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio» (art. 126). Il​​ ​​ processo di Bologna avviato dal 1999 per l’armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore prevede la creazione di uno spazio europeo della conoscenza con il riconoscimento di crediti formativi universitari (CFU) e t. superiori da spendere a livello mondiale. Gli Atenei possono attivare i corsi di laurea triennali (180 CFU); la laurea specialistica (120 CFU); la laurea specialistica a ciclo unico (5 o 6 anni con 300 o 360 CFU) per i corsi di medicina, odontoiatria, farmacia e veterinaria, in qualche caso architettura, disciplinati dalla normativa europea (d.m. 509 / 1999 e d. m. 270 / 2004).

Bibliografia

Ranucci C.,​​ La scuola nei Decreti delegati, vol. 3, Roma, Armando, 1983; Cives G. (Ed.),​​ La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1990; ISTAT,​​ Università e lavoro: statistiche per orientarsi,​​ Roma, 2004-2005; Alma Laurea,​​ Condizione occupazionale dei laureati. Pre e post riforma. VIII Indagine 2005, Bologna, 2006; Censis,​​ 40° Rapporto sulla situazione sociale del paese 2006, Milano, Angeli, 2006; Chistolini S.,​​ Pamphlet pedagogico. Elementi per una indagine nazionale sulla formazione universitaria degli insegnanti della scuola primaria, Lecce, Pensa MultiMedia, 2007.

S. Chistolini