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TEOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

 

TEOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

Per t.d.e. si intende lo studio sistematico dei problemi educativi alla luce della fede cristiana, costituitosi recentemente come nuova disciplina teologica con funzione integrativa della filosofia dell’educazione in istituzioni universitarie di pedagogia di orientamento cristiano.

1.​​ Origine.​​ È da appena una cinquantina d’anni che si parla di t.d.e. Tuttavia riflessioni occasionali o sistematiche sull’educazione e la formazione umana di natura teologica sono rintracciabili in diversi scritti dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali e moderni. Gli storici della pedagogia le collocano sotto la categoria generica di​​ ​​ pedagogia cristiana, ma non le qualificano normalmente come teologiche. Prima ancora che si parlasse di t.d.e., durante la prima metà di questo secolo, si affermò tra i pedagogisti cattolici di lingua tedesca, l’esigenza di una fondazione teologica della pedagogia cristiana, la quale, nel frattempo, era stata elevata da​​ ​​ Willmann​​ alla dignità di «scienza cristiana dell’educazione». Però, anche quando la t.d.e. altrove si era già affermata, ci furono sempre notevoli resistenze a dare il nome di t.d.e. a questa fondazione teologica della pedagogia cristiana, nonostante la proposta di qualche studioso sia cattolico (F. Pöggeler) che evangelico (H. Köhler). Sempre nell’area culturale tedesca ma nell’ambito della confessione evangelica, a partire dagli anni Venti / Trenta con l’affermarsi della rinascita luterana e della t. di K. Barth, apparvero vari studi di natura teologica sull’educazione, studi, però, che definivano in termini di opposizione dialettica i rapporti tra fede ed educazione e tra t. e pedagogia. Questi scritti, ripresi e approfonditi dopo la seconda guerra mondiale, ebbero un notevole influsso su diversi pedagogisti cattolici di lingua tedesca, i quali cominciarono a rivedere in modo critico le loro posizioni tradizionali, contestate tra l’altro anche dai rappresentanti della pedagogia scientifica per motivi di tipo epistemologico. Queste differenti concezioni della pedagogia cristiana e dei rapporti tra pedagogia e t., emerse in ambito cattolico ed evangelico nei Paesi di lingua tedesca, arrivarono, già a partire dagli anni Trenta / Quaranta, nei paesi latini e anglosassoni attraverso la mediazione del mondo culturale fiammingo e contribuirono, assieme ad altri fattori, alla nascita della t.d.e. come nuova disciplina teologica. In ambito cattolico si affermò anzitutto l’esigenza di una fondazione teologica della pedagogia cristiana. Infatti quando nel 1949, al Congresso Internazionale di Pedagogia di Santander (Spagna) per la prima volta si parlò ufficialmente di t.d.e., questa fu presentata come la concretizzazione di tale esigenza (​​ C. Leôncio da Silva). Altre circostanze contribuirono efficacemente ad un suo primo e progressivo affermarsi. Anzitutto l’invito rivolto ai teologi da G. Thils, di occuparsi anche delle «realtà terrestri» (tra queste l’educazione), creando nuove discipline teologiche accanto a quelle tradizionali. In secondo luogo la necessità di distinguere, per correttezza epistemologica, nell’ambito di una teoria generale dell’educazione di ispirazione cristiana, la prospettiva filosofica da quella teologica, arrivando conseguentemente alla creazione di due discipline distinte: la filosofia dell’educazione e la t.d.e. (J. Mortimer Adler e E. A. Fitzpatrick, 1950). Queste ed altre cause resero possibile, a partire dal 1945, la nascita della t.d.e. come disciplina universitaria all’interno dell’Istituto Superiore di Pedagogia dell’allora Pontificio Ateneo Salesiano. Attualmente essa fa parte, assieme alla filosofia dell’educazione, delle discipline comuni dei vari curricoli della Facoltà di Scienze dell’Educazione nell’Università Pontificia Salesiana. I primi progetti di t.d.e. appaiono nel 1950 per opera di C. Leôncio da Silva e di E. A. Fitzpatrick. Durante gli anni Sessanta e Settanta la t.d.e. diviene oggetto di ulteriori riflessioni, di consensi e di critiche (E. Murtas,​​ ​​ G. Corallo, P. Braido). Per quanto riguarda il mondo protestante anglicano, troviamo la t.d.e. presente nel curricolo di pedagogia, a partire dal 1972, nell’università di Birmingham (Regno Unito), dove dal 1977, nella nuova facoltà di pedagogia, è possibile conseguire un «Master of Education Degree» in «Theology and Education» (J. M. Hull, L. J. Francis e A. Thatcher, 1990).

2.​​ Crisi e trasformazione. Durante gli anni del postconcilio, in seguito alle profonde trasformazioni operatesi nell’ambito della t. cattolica ed evangelica e all’intensificarsi del dialogo tra le due confessioni cristiane e tra la t. e le scienze umane, la t.d.e. andò in crisi e sentì il bisogno di trasformarsi. Studiosi cattolici ed evangelici si preoccuparono di rivedere le loro posizioni sul senso di una t.d.e. intesa come t. delle realtà terrestri (R. Spaemann, 1964; I. G. Carrasco, 1969), sui rapporti tra fede ed educazione, tra t. e scienza / e dell’educazione (H. Bokelmann, 1969). Su quest’ultimo tema è doveroso ricordare a parte l’opera decisiva di H. Schilling (1970). Negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta del sec. scorso vengono pubblicati diversi studi di t.d.e., tra i quali il saggio di t. biblica dell’educazione di C. Bissoli (1981, 1983); le riflessioni critico-metodologiche di G. Colombo (1989) sulla natura della t.d.e.; le interessanti prospettive di G. Abbà (1989, 1991) per la costruzione di una teoria dell’educazione morale all’interno di un’etica della virtù, contenuta nella t. di s.​​ ​​ Tommaso d’Aquino; e una nostra indagine sull’origine, natura, compiti della t.d.e. (1991).

3.​​ Natura e metodo di una t.d.e. rinnovata. Utilizzando i risultati di questa indagine, vorremmo tentare un ripensamento della t.d.e., offrendo piste di soluzione a problemi rimasti ancora aperti. Riteniamo necessario, come prima cosa, ribadirne la natura «teologica». La t.d.e. non intende in alcun modo identificarsi né sostituire la pedagogia cristiana e neppure potrebbe essere considerata in senso stretto una «scienza dell’educazione». In quanto disciplina teologica, essa ha come suo oggetto proprio la Parola di Dio riguardante, direttamente o indirettamente, l’educazione in tutta la sua complessità. La Parola di Dio, però, è «incarnata» in una pluralità di eventi, di linguaggi (biblici, liturgici, magisteriali), di prassi e di istituzioni ecclesiali, il tutto profondamente connotato dalle culture nelle quali fu espresso e trasmesso; per conseguenza essa è raggiungibile solo attraverso la previa interpretazione delle mediazioni umane, soprattutto ma non unicamente linguistiche, che in qualche modo la contengono. Perciò il teologo deve, mediante un’indagine scientifica di tipo ermeneutico, tentare di scoprire, nei testi biblici, ciò che Dio volle dire all’uomo sull’educazione attraverso gli autori umani che li hanno redatti e, nei testi della tradizione, ciò che la Chiesa ha ritenuto come Parola di Dio sull’educazione, quindi supremamente normativa per la sua fede e la sua vita. Facendo questa ricerca, il teologo dovrebbe essere animato dalla convinzione che la Parola di Dio, anche se pronunciata nel passato e incarnata in determinate culture, non si identifica totalmente con le formule nelle quali fu espressa e tramandata, ma le supera immensamente. Perciò si chiede se siano possibili e legittime nuove interpretazioni della Parola di Dio sull’educazione, che permettano non solo di superare le formule e le prassi tradizionali, ma anche di costruirne di nuove, le quali, senza essere in contraddizione con quelle che la Chiesa ha «definito» nel passato, risultino più rispondenti alle esigenze della situazione culturale, nella quale le comunità cristiane devono confessare e testimoniare la loro fede. Al termine di questa indagine, il teologo dovrebbe essere in grado di formulare una sintesi dei contenuti della Parola di Dio sull’educazione nella sua complessità, non solo organizzando in modo sistematico e logicamente coerente le affermazioni bibliche e quelle della tradizione, ma anche mettendo in luce la rilevanza pedagogica dell’antropologia e della teleologia contenute nel sistema teologico al quale ha aderito o lui stesso si è costruito. Il teologo, però, costata che la Parola di Dio, pur con tutta la luce che gli apporta e le ispirazioni che gli può suggerire, non basta da sola a risolvere i problemi educativi concreti, dai quali tutta la ricerca teologica ha preso le mosse. Ciò è dovuto alle finalità essenzialmente (ma non esclusivamente) soteriologiche della Parola di Dio rivolta all’uomo nell’A. e nel N.T., anche nei casi in cui essa si occupa direttamente o indirettamente di educazione Inoltre questa Parola, a causa del suo stato di acculturazione, è necessariamente «datata», e quindi non può, da sola, offrire soluzioni «concrete» ai problemi sempre nuovi, che l’impatto della fede con la cultura genera in continuità in campo educativo. Tuttavia, proprio perché l’intenzione comunicativa di Dio supera sia le formulazioni linguistiche che la esprimono come pure le realizzazioni prassiche e istituzionali escogitate dalle comunità cristiane del passato per incarnarne gli imperativi pratici, il teologo si sente obbligato, in quanto uomo e in quanto cristiano, ad impegnare la sua ragione e tutto il suo sapere in una ricerca creativa di soluzioni concrete, che siano valide nel contesto culturale in cui egli vive, e, nello stesso tempo, compatibili coi contenuti essenziali e con gli orizzonti di significato della Parola di Dio nella sua totalità. Questo compito ulteriore, però, il teologo può realizzarlo solo mediante un dialogo interdisciplinare con il sapere pedagogico (​​ epistemologia pedagogica).

4.​​ Le funzioni della t.d.e. nel dialogo interdisciplinare con le scienze dell’educazione.​​ I tradizionali modelli di rapporto tra la t. e la pedagogia cristiana (modelli di tipo gerarchico o analogico), oggi, tendono a ristrutturarsi secondo i nuovi paradigmi dialogici di tipo multidisciplinare o interdisciplinare. Essi tengono conto dello sviluppo attuale della t.d.e. e della trasformazione della pedagogia in scienze dell’educazione. All’interno di questo dialogo la t.d.e. esercita nei confronti delle scienze dell’educazione una triplice funzione: critica, stimolatrice e integratrice. Anzitutto una funzione​​ critica. Si tratta di un atteggiamento critico sia verso la propria antropologia e teleologia che verso quella del partner. È necessario prima di tutto scoprire, all’interno della Parola di Dio, un’antropologia e una teleologia, che permettano una più profonda comprensione del mistero dell’uomo, delle sue strutture, della sua condizione esistenziale, dei suoi fini, entro cui interpretare la Parola di Dio sull’educazione. In secondo luogo l’atteggiamento critico è verso le antropologie e le teleologie sottese dalle diverse teorie pedagogiche, chiedendosi fin dove e in che modo la concezione dell’uomo, veicolata da queste teorie, sia in consonanza con la Parola di Dio. Nell’uno e nell’altro caso questo lavoro di revisione critica viene fatto in funzione di una eventuale collaborazione tra t.d.e. e scienze dell’educazione. In secondo luogo una funzione​​ stimolatrice. Lo studio sempre più approfondito della Parola di Dio sull’educazione offre al teologo la possibilità di scoprire prospettive inedite sull’educazione, che egli comunica ai cultori delle scienze dell’educazione in funzione della costruzione di nuove teorie pedagogiche. E infine una funzione​​ integratrice.​​ La t.d.e. è impegnata a ricavare dalla Parola di Dio sull’uomo e sul suo destino un valido orizzonte ultimo di senso per tutta l’attività umana, quindi anche per l’educazione. Inoltre la t.d.e., esercitando le due funzioni precedenti nei confronti delle scienze dell’educazione, può entrare in collaborazione con esse per la costruzione di teorie pedagogiche e strategie didattiche, che possano qualificarsi come cristiane, non perché diventano teologiche, ma perché studiano e progettano i processi di maturazione umana (in se stessi comuni a tutti gli uomini), all’interno dei processi di​​ ​​ conversione e di crescita cristiana.

5.​​ Compiti attuali della t.d.e.​​ Riteniamo che oggi la t.d.e. dovrebbe far fronte ai seguenti quattro impegni specifici. Con l’aiuto delle scienze dell’educazione, dovrebbe anzitutto recensire i principali problemi che le culture attuali pongono alla fede delle comunità cristiane in campo educativo e pedagogico. Dovrebbe in secondo luogo assumere con vivo senso critico le attese delle comunità cristiane circa la natura e i contenuti della salvezza cristiana (una salvezza liberatrice e promotrice di umanità), i problemi dell’autonomia – relativa – delle realtà e finalità temporali, il significato della funzione umanizzatrice dell’educazione. In terzo luogo la t.d.e. dovrebbe studiare a fondo i processi di conversione e di crescita cristiana, per comprendere in qual modo possano diventare contemporaneamente processi di autentica promozione e maturazione umana. E infine la t.d.e., sempre in collaborazione con le scienze dell’educazione, dovrebbe arrivare a tracciare i parametri fondamentali di un itinerario di crescita e maturazione umano-cristiana sia a livello personale che comunitario, definendo contemporaneamente le componenti essenziali dell’​​ ​​ educazione cristiana.

Bibliografia

Schilling H.,​​ T. e scienze dell’educazione. Problemi epistemologici. Introduzione di G. Groppo, Roma, Armando, 1974; Bissoli C.,​​ Bibbia e educazione. Contributo storico-critico ad una t.d.e.,​​ Roma, LAS, 1981; Colombo G., «Per una t.d.e.», in G. Saldarini (Ed.),​​ Il presbitero educatore,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme, 1989, 48-77; Francis L. J. - A. Thatcher (Edd.),​​ Christian perspectives for education, Leominster, Fowler Wright Books, 1990; Abbà G.,​​ Una filosofia morale per l’educazione alla vita buona, in «Salesianum» 53 (1991) 273-314; Groppo G.,​​ T.d.e. Origine identità compiti, Roma, LAS, 1991; Crump Miller R. (Ed.),​​ Theologies of religious education, Birmingham, Religious Education Press, 1995;​​ De la Tribouille A.,​​ L’éducation à la lumière de la Révélation, Paris, Mame / Cerf​​ 1996; Bissoli C.,​​ Il dibattito sulla pedagogia cristiana. Alcune puntualizzazioni, in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007) 357-368.

G. Groppo




TEORIA DEI SISTEMI

 

TEORIA DEI SISTEMI

L’approccio chiamato t.d.s., risalente alle intuizioni di L. von Bertalanffy, attinge alle scienze dell’ingegneria, della biologia, della psicologia della​​ ​​ Gestalt e specialmente della cibernetica e delle teorie dell’informazione. Esso tende alla ricerca di leggi e di principi generali che si possano applicare ai sistemi presenti in tutte le aree della scienza.

1. La t.d.s. sottolinea l’importanza delle funzioni di controllo e di regolazione (omeostasi), lo scambio di informazione con l’ambiente esterno, la necessità di un centro di governo dei sistemi, la capacità peculiare dei sistemi viventi, inclusi quelli sociali, di svilupparsi reagendo alle variazioni degli input provenienti dall’esterno, infine la presenza di processi che tendono continuamente a modificare la struttura e lo stato del sistema. Il modello sistemico intende esaminare un processo o un evento, come unitario e organico in se stesso non come fenomeno isolato, ma come parte correlata e interdipendente con altre componenti di una unità più complessa. Un sistema può essere a sua volta parte (sottosistema) di un sistema superiore, o includere in sé altri sottosistemi inferiori. Si parla quindi di «modello sistemico di lettura della realtà», quando essa viene percepita come un «sistema di sistemi», dove il concetto di sistema include tre leggi fondamentali: la interrelazione tra gli elementi, la loro unità globale e l’organizzazione delle interrelazioni tra di loro. I servizi possono essere aperti o chiusi, stabili o instabili, rigidamente deterministici o imprevedibili, coscienti o inconsci.

2. Tale approccio, in un tempo in cui tutto il mondo sta diventando un «sistema sociale unico» anche se variegato e complesso, offre il grande vantaggio di poter ragionare su oggetti di natura diversa e di porli sistematicamente in relazione, nel quadro di uno schema rigorosamente unitario. La t.d.s. aiuta a capire, a spiegare il disegno e le origini e a prevedere i possibili sviluppi della trama delle diverse interdipendenze. Risente però dei limiti di una visione piuttosto strutturalistica della realtà. Per l’educatore un «saper fare» sistemico significa comprensione e cambiamento non solo dell’individuo ma anche del contesto e quindi intervento non solo verso la persona, ma anche verso le reti primarie della stessa e i gruppi territoriali più ampi, come avviene nella pedagogia sociale e nelle politiche dei​​ ​​ servizi sociali.

Bibliografia

Gallino L.,​​ La società,​​ perché cambia e come funziona: un’introduzione sistemica alla sociologia, Torino, Paravia, 1980; Campanini A. M. - F. Luppi (Edd.),​​ Servizio sociale e modello sistemico, Roma, NIS, 1988; Collins R.,​​ Teorie sociologiche, Bologna, Il Mulino, 1992; Gavagnino G.,​​ Modello sistemico e analisi dei servizi, Roma, NIS, 1992;​​ Sanchis Llopis R.,​​ Problemas resueltos de teoría de sistemas,​​ Valencia, Publicacions de la Universitat Jaume I, Servei de Comunicació i Publicacions,​​ 2002; Addario N. (Ed.),​​ T.d.s. sociali e modernità, Roma, Carocci, 2003; Bertalanffy L. von,​​ T. generale d.s. Fondamenti,​​ sviluppo e applicazioni,​​ Milano, Mondadori, 2004.

R. Mion




teoria della INFORMAZIONE

 

INFORMAZIONE: teoria della

Nell’uso corrente l’i. si identifica con la trasmissione di notizie o di fatti. Con l’avvento della teoria dell’i. (Shannon-Weaver, 1949), con lo studio cioè della successione delle grandezze fisiche e misurabili che compongono un messaggio, il termine ha assunto un significato più ristretto, che non coincide con il contenuto di un messaggio, ma con il suo aspetto quantitativo, con il «carico», o il valore, che gli elementi linguistici acquistano, in relazione al grado di incertezza e di imprevedibilità della loro occorrenza nel contesto.

l. Così nella successione dei lessemi nella struttura frasale​​ la capitale d’Italia è...​​ il termine​​ Roma​​ è altamente prevedibile e pertanto di i. nulla. All’opposto, nel sintagma nominale​​ un bicchiere di...,​​ esistendo la possibilità di più occorrenze (acqua,​​ latte,​​ vino,​​ birra...),​​ l’elemento integrativo adnominale che vi compare sarà contrassegnato da un alto grado di i. Se ne evince che, quanto maggiore è la probabilità di occorrenza di un elemento linguistico, tanto minore è la quantità di i. che viene trasmessa; o, detto altrimenti, la quantità di i. è inversamente proporzionale alla probabilità di occorrenza di un determinato elemento. Il numero di possibili alternative, come nell’esempio del sintagma nominale​​ un bicchiere di...,​​ consente inoltre di quantificare il grado di i.: la scelta infatti di una fra due alternative ugualmente probabili determina l’unità di misura della quantità di i., unità chiamata​​ bit,​​ abbreviazione dall’ingl.​​ Bi(nary digi)t​​ («cifra binaria»).

2. Fra i testi altamente informativi figurano, per la specificità della loro natura, quelli poetico-letterari, in quanto dotati di una forte ambiguità; la parola poetica, infatti, passando dalla lingua di uso alla lingua di ri-uso, subisce una sorta di «straniamento», che la priva della sua trasparenza denotativa per renderla connotativamente «opaca» o ambigua, risemantizzandola sulla base dell’insieme compositivo in cui si colloca e delle interpretazioni che ne traggono i lettori. Vale anche in questo caso il principio già affermato: il grado di i. di un testo poetico è pari al suo grado di ambiguità e imprevedibilità. Si veda, per es., la brevissima lirica di G. Ungaretti​​ M’illumino / d’immenso,​​ dove «immenso» è informativamente ricco, per l’imprevedibilità di cui è connotato. Altrettanto si verifica nel testo di G. Caproni «Pensierino facile»:​​ Ecco cosa non bisogna / mai scordare: la sola / verità ammissibile / è una: la menzogna,​​ con l’inattesa «menzogna» della chiusa.

Bibliografia

Shannon C. E. - W. Weaver,​​ Mathematical theory of communication,​​ Urbana, University of Illinois Press, 1949; Miller G. A.,​​ Linguaggio e comunicazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1972; Beccaria G. L.,​​ L’autonomia del significante,​​ Torino, Einaudi, 1975; Jakobson R.,​​ Poetica e poesia,​​ Ibid., 1985; Angeleri E.,​​ I.: significato e universalità, Torino, UTET, 2000.

G. Proverbio