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TEMPO

 

TEMPO

La variabile t. occupa nello studio dei processi educativi un posto centrale. Essa può essere esaminata da una molteplicità di punti di vista.

1. Il primo e più immediato riguarda la costruzione e l’uso del concetto stesso di t. La prima acquisizione della nozione di t. emerge verso i 7 / 8 anni e progressivamente si articola secondo i concetti di prima-dopo, durata, ritmo, t. istantaneo, contemporaneità, ecc. Successivamente è oggetto di studio il t. fisico, distinguendolo dal t. psicologico, fino a sviluppare la nozione di struttura spazio-temporale della realtà fisica. In ambito scolastico la questione del t. ha impegnato seriamente i pedagogisti e le amministrazioni scolastiche appena si è iniziato a parlare di​​ ​​ obbligo di istruzione. La prima considerazione ha riguardato proprio la durata dell’obbligo scolastico: prima di tre anni, poi di cinque, poi di otto, poi di nove-dieci, fino a dodici. Analogo problema concerneva l’età dell’inizio di tale obbligatorietà: sei anni, sette anni, cinque anni e, di conseguenza, il termine: quattordici anni, quindici anni, sedici anni, diciotto anni. Una volta definita la durata in anni, occorreva precisare la durata in giorni di scuola per anno e le ore di insegnamento per giorno: il cosiddetto calendario scolastico. Ogni riforma scolastica ha comportato attenti studi relativi alla durata dell’impegno degli studenti e dei docenti. La recente introduzione del concetto di credito universitario, in termini tecnici ECTS (European Credit Transfer System), lo ha definito come un periodo di impegno dello studente di circa 24-28 ore, a partire dalla considerazione di circa 1500 ore di impegno annuale a t. pieno. Di conseguenza i crediti annuali da assolvere diventano almeno 60.

2. In Italia negli ultimi decenni si è discusso spesso a proposito del t. scolastico, soprattutto a livello di scuola elementare, a causa del cosiddetto​​ t. pieno, intendendo con questa espressione un prolungamento del t. scolastico quotidiano oltre le quattro-cinque ore. Ciò comportava evidentemente una sua diversa organizzazione. A livello di scuola media è stato introdotto anche il cosiddetto​​ t. prolungato. D’altra parte, la storia della scuola ha visto prevalere una organizzazione della giornata secondo ore di scuola di circa cinquanta-sessanta minuti. Ciò anche in riferimento agli impegni di docenza degli insegnanti. Si tratta spesso di una forma abbastanza artificiosa e frammentata di strutturazione del t., assai poco funzionale, ad es., a svolgere attività di laboratorio. Tanto più che sulla base di questa articolazione vengono i definiti t. settimanali dedicati ai vari insegnamenti. L’orario scolastico diventa di conseguenza il quadro di riferimento fondamentale sia per gli studenti, sia per i docenti.

3. Contrapposto al t. scolastico si è spesso collocato il t. educativo sperimentato dai giovani nei differenti luoghi formativi e più in generale quello della vita. L’intreccio tra t. vissuto in famiglia, t. passato nella scuola, t. libero, t. dedicato alle attività associative, t. lavorativo, t. impegnato nella vita ecclesiale. Oggi, l’esperienza del virtuale e del digitale e l’uso del telefono cellulare o di e-mail e la frequentazione di internet produce modi nuovi di vivere e intendere lo spazio-t. Tutto ciò costituisce la base fondamentale nella quale si sviluppano le tre forme di apprendimento spesso evocate: formale, informale e non formale. Si può, infine, evocare, il concetto di​​ t. necessario​​ per l’apprendimento, t. assai differenziato a seconda dei differenti soggetti.

Bibliografia

Bellomo L. - S. Vegetti Finzi,​​ Bambini a t. pieno, Bologna, Il Mulino, 1978; Vertecchi B. (Ed.),​​ Il t. dei giovani, Napoli, Tecnodid, 1990; Ragazzini D.,​​ T. di scuola e t. di vita, Milano, B. Mondadori, 1997; Sue R.,​​ Il t. in frantumi, Bari, Dedalo, 2001.

M. Pellerey




TEMPO LIBERO

 

TEMPO LIBERO

Il termine viene messo in contrapposizione al t. «necessario» (comprensivo delle varie attività fisiologiche quali mangiare, dormire...), «obbligato» (il lavoro e la scuola, per chi ne ha l’obbligo), «impegnato» (nei confronti dei differenti compiti / ruoli che la vita porta ad assumere). J. Dumazedier (1985) considera il t.l. un insieme di occupazioni a cui l’individuo si dedica dopo aver disimpegnato gli obblighi professionali, familiari e sociali, e che riguardano attività alle quali ci si dispone volentieri, come il riposo, il divertimento, la formazione, lo sviluppo delle proprie abilità e conoscenze.

1.​​ La parabola del concetto di t.l.​​ Benché assai vicino al concetto latino di​​ otium​​ (t. per la riflessione, la meditazione, il gioco, la crescita e la cura del proprio essere, da contrapporre al t. speso nel fare​​ negotium), il t.l. se ne distingue per non rientrare negli schemi di un t. organizzato. Nell’ambito della ricerca sociale il t.l. viene quindi interpretato come un momento di mediazione fra l’individuale ed il sociale; momento considerato a sua volta decisivo per il conseguimento di una superiore qualità della vita. Prima ancora che presso i romani, il concetto di t.l. dagli impegni primari si è affermato nella​​ scholé​​ dei greci. Tanto​​ ​​ Aristotele (nell’Etica nicomachea) che​​ ​​ Platone (nelle​​ Leggi) individuano infatti il modo migliore di spendere una quota-t. della propria vita nell’attività contemplativa, nello studio, nella sfera dell’etica e nell’arte del filosofare. E tuttavia a partire dall’epoca greco-romana fino ai giorni nostri si è perso in pratica ogni traccia del concetto di t.l. Il suo recupero avviene nel sec. scorso ed è databile attorno agli anni ’60, quelli del «boom» economico, quando le società capitalistiche hanno riscoperto la peculiare dimensione dell’investimento del t. in funzione di sé e in forma alternativa alle differenti modalità di consumo. Ma non tutte le società e / o non tutte le classi sociali sono oggi in grado di usufruire dei vantaggi derivanti dall’uso del t.l. Limitatamente ai Paesi a sistema capitalistico avanzato, il t.l. si è affermato poco alla volta come una vera e propria «conquista» di massa, a fronte dell’alienazione indotta da un’ideologia che esalta la produttività fine a se stessa e reprime i valori umani. Con il diffondersi di forme sempre più sofisticate di industrializzazione, il lavoro umano viene sostituito dalla macchina e tende a non essere più l’unica fonte di realizzazione; di conseguenza l’asse degli interessi si sposta verso altri sistemi di significato. Oggi in particolare il consumo del t.l. fa sempre più riferimento e / o viene preferibilmente coniugato con i termini di vacanza e di turismo, e la ricostruzione storica del fenomeno fatta da Löfgren (2006), permette di evidenziare come entrambi abbiano influenzato / cambiato nel tempo il nostro modo di concepirlo e di organizzarlo. Il t.l. infatti è diventato poco alla volta la valvola di scarico delle tensioni accumulate da un lavoro parcellizzato e sempre più alienante, al punto da essere interpretato come un’attività svincolata da un certo tipo di produttività che appartiene al mondo capitalista. Tutto ciò induce ad evidenziare anche i suoi limiti: il concetto di un t. considerato «libero», infatti, non si è ancora diffuso nei paesi più poveri e / o in via di sviluppo, per i quali anzi la questione non si pone affatto o quasi. È questo uno dei motivi per cui oggi il t.l. continua ad essere interpretato come il prodotto di un sistema economico che scandisce il t. fra attività retribuite (il lavoro) e / o segnate da vincoli comunemente riconosciuti (la scuola, lo studio, le attività domestiche...) e quello «libero» da compiti / impegni prestabiliti. Tutto ciò presuppone una società governata da ritmi temporali alternati sulla base dell’assunzione di precisi impegni, orari, esigenze, prestazioni; una organizzazione che fa attribuire al t. una doppia «facciata»: di t. occupato e libero, di t. pieno e vuoto, di t. obbligato e da spendere a piacere.

2.​​ «Libero» da che cosa?​​ Parte di quelle ragioni che impediscono ai Paesi più poveri e / o alle classi sociali meno abbienti di porsi la questione del t.l., oggi si confermano più che mai valide anche per i Paesi ad economia capitalistica avanzata, a causa della crisi stessa che sta attraversando il loro sistema sociale. Il progressivo abbassamento della soglia delle 40 ore settimanali, i processi sempre più frequenti di espulsione dai tradizionali impegni e / o luoghi di produzione (che vanno sotto il nome di disoccupazione, cassaintegrazione, prepensionamento...), l’ingigantirsi dei processi informatici, il consumo dei prodotti audiovisivi, il parallelo accrescersi del consumo dei prodotti culturali / ricreativi / turistici di massa, hanno scatenato un’euforia edonistica che a lungo andare ha provocato processi di saturazione, al punto che il consumo di massa del t.l. ripropone problemi di alienazione molto simili negli effetti a quelli che si verificano sui luoghi stessi della produzione: in altre parole, il t. che viene tolto all’occupazione e agli impegni retribuiti rischia di divenire un «vuoto-a-perdere» e, quindi, non più «libero» ma da spendere in forma altrettanto alienante come nel lavoro. Sembrerebbe delinearsi in tal modo una ellissi storica del t.l. che, da attività produttiva di fonti alternative di realizzazione, regredisce fino a diventare esso stesso causa di quel «disagio interiore» contro il quale era nato come antidoto, perdendo così la sua funzione liberatrice. È questo il motivo per cui oggi si cerca di escogitare sempre nuove «evasioni» e modelli alternativi nel consumo del t.l., che siano in grado di allontanare la monotonia e l’anomia del quotidiano.

3.​​ Verso un t.l. «liberato»?​​ In considerazione della crescente distinzione tra t.l. e occupato, le ricerche più recenti tendono a superare tale dicotomia per introdurre un concetto di t. che si integri con il processo di​​ ​​ autorealizzazione e a cui concorrano fattori intervenienti di variegata estrazione, in funzione interattiva e non più semplicemente compensativa. È così che lo svago, il divertimento, ma anche la ricerca culturale, la contemplazione e / o «l’occupazione della mente» rappresentano una promessa di realizzazione individuale e collettiva insieme, un’apertura ad un diverso modo di esistere, per una migliore qualità della vita. Se considerato nell’ottica dell’autorealizzazione, infatti, tra t. occupato e «liberato» scorre una sotterranea continuità che rende indefinibili i due confini. In base a questo concetto il t. inteso nel senso di «libero» non può più essere definito in contrapposizione ad altre quote di t. soggette ad una coercizione esterna, ma è un tutt’uno con i vari t. del quotidiano, dal momento che essi vengono vissuti ed interpretati dall’individuo come parte integrante per la realizzazione globale del proprio sistema di significato esistenziale. Così facendo ci si riavvicina nuovamente a quello che per gli antichi era il concetto di​​ otium? Se così fosse si potrebbe asserire di assistere appunto ad una ellissi storica del concetto di «t.» dove per «libero» si intende non solo e non tanto la ricerca del riposo e / o dell’«effimero», ma piuttosto un «t. liberatorio», ossia uno «spazio-di-libertà» finalizzato alla riappropriazione di sé, all’autorealizzazione ed alla integrazione sociale, per una diversa interpretazione della qualità della vita. In altri termini si tratta quindi di uno spazio di t. da investire nella ricerca e nella costruzione di un’identità individuale e collettiva. In definitiva, un t.l. da rivisitare e / o «da-liberare» e forse in parte ancora da «re-inventare» nella sua funzione catartica e liberatoria.

Bibliografia

Dumazedier J.,​​ Sociologia del t.l., Milano, Angeli, 1985; Baratta G. - P. Raineri,​​ Prospettive delle attività del turismo e del t.l., Roma, Edizioni Lavoro, 2001; Martino V.,​​ Non solo media: scenari,​​ fonti e percorsi di ricerca sul t.l., Milano, Angeli, 2005; Canciani D. - P. Sartori,​​ Tutto il t. che va via.​​ Come il t.l. aiuta a crescere, Roma, Armando, 2005; Löfgren O.,​​ Storia delle vacanze, Milano, Mondadori, 2006.

V. Pieroni