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TEAM TEACHING

 

TEAM TEACHING

Forma di​​ ​​ insegnamento nella quale un gruppo di insegnanti si prende carico congiuntamente dell’attività formativa da svolgere a favore di un gruppo di allievi. La proposta avanzata negli anni sessanta era diretta a rendere più flessibile l’attività formativa della scuola permettendo di organizzarla in forme diversificate e secondo modalità organizzative collaborative. Al​​ t., o squadra, degli insegnanti (t.t.) faceva riscontro il​​ t., o squadra, degli studenti (t. learning). Il gruppo, anche abbastanza vasto, degli allievi poteva essere riorganizzato secondo modalità diversificate: per gruppo totale, per gruppi più ristretti ma consistenti, per piccoli gruppi, per coppie, a seconda delle necessità e delle possibilità date dalle diverse attività didattiche previste. In Italia dalla riforma della scuola elementare del 1990 sono stati introdotti i moduli di insegnamento, forme di collaborazione e corresponsabilizzazione di più insegnanti nello svolgere i programmi didattici previsti.

Bibliografia

Bair M. - R. G. Woodward,​​ La pratica del t.t., Torino, Loescher, 1973; Lobb M. D.,​​ Aspetti pratici del t.t., Teramo, EIT, 1973; Shaplin T. - F. Olds,​​ T.t.: una nuova organizzazione del processo educativo, Torino, Loescher, 1973; Chamberlin L. J.,​​ T.t.: organizzazione e amministrazione, Roma, Armando, 1974; Dell’Aquila N.,​​ Insegnare per moduli nella scuola elementare, Teramo, Giunti e Lisciani, 1989; Marradi T.,​​ Dai programmi ai moduli, Roma, Anicia, 1993; Buckey F.J.,​​ T.t.: What,​​ why,​​ and how, London, Sage, 1999.

M. Pellerey




TEATRO

 

TEATRO

T., nel senso architettonico del termine, deriva dal gr.​​ theatron​​ (posto di visione). Nel senso di produzione invece, il termine è collegato agli aspetti di pianificazione, prove e rappresentazione di un lavoro. Dal punto di vista educativo, il t., a differenza della​​ ​​ drammatizzazione, si fonda sull’obiettivo di andare in scena raggiungendo i sottobiettivi legati agli aspetti: psico-sociologico (lavoro cooperativo, motivazione intrinseca, impegno e costanza, capacità di affrontare il pubblico e di esibirsi prefigurandosi il successo); cognitivo-comportamentale (affinamento delle abilità di comprensione, memorizzazione e dizione riguardo al testo e riguardo alla caratterizzazione da ricreare).

1.​​ Il t. educativo nella storia della pedagogia. La storia della pedagogia registra, fin dagli inizi, fatti che interessano l’ambito del t. educativo. T., musica e festa rientrano nella formula pedagogica dei​​ ​​ Gesuiti come parte integrante dell’attività di formazione dei giovani. Di grande apertura risulta la posizione di Giovanni​​ ​​ Bosco nei confronti del t. educativo. Asja Lacis e Natalia Saz – che apre a Mosca il primo, in assoluto, t. stabile per bambini – costituiscono un caso interessante per la sua innovatività e creano un modello di educazione estetico-proletaria basata sull’uso dei mezzi teatrali. In Gran Bretagna, il t. educativo, sostenuto dal pensiero e dalla pratica di Gavin Bolton, si connota con le caratteristiche proprie della drammatizzazione.

2.​​ Valenza educativo-didattica del t.​​ La riflessione sulla valenza educativo-didattica del t. percorre la strada dell’avanguardia pedagogica (​​ Dewey,​​ ​​ Makarenko, Bruner) e teatrale (Grotowski,​​ Living theatre) e, man mano che assume l’animazione come processo e come prodotto, collaudandola nell’attività diretta con i ragazzi della scuola e dei centri d’incontro sfocia, grazie all’impegno spontaneo dei ragazzi, in risultati molto simili a quelli ottenuti da alcuni insegnanti nello sforzo di rinnovare le metodologie didattiche. Nel t. dei ragazzi e per i ragazzi, l’azione teatrale e i contenuti che essa esplicita costituiscono l’espressione della stessa situazione del gruppo nei suoi aspetti più significativamente psicologici e culturali. Va attribuita una valenza formativa alle situazioni che si sciolgono, alle tensioni collettive che hanno una funzione genuinamente educativa. Il t. educativo non è solo un prodotto, ma un processo; è un’azione artistica in cui il rapporto con il ragazzo diventa il punto essenziale con l’intenzione di educarne il comportamento attraverso la riscoperta del gioco, dell’improvvisazione, del reale dialogo tra attori e pubblico. Numerose applicazioni, legate anche a campi specifici (apprendimento della lingua straniera ed educazione linguistica) provano la vitalità del t. educativo.

Bibliografia

Bernardi C.,​​ Il t. sociale.​​ L’arte tra disagio e cura, Roma, Carocci, 2004; Perissinotto L.,​​ Animazione teatrale: le idee,​​ i luoghi,​​ i protagonisti, Ibid., 2004; Patterson J. - D. McKenna-Crook - M. Swick,​​ Theatre in the secondary school classroom: methods and strategies for the beginning teacher,​​ New York (NY),​​ McGraw-Hill,​​ 2006; Gonzalez B.,​​ Temporary stages: departing from tradition in high school theatre education,​​ Portsmouth (NH), Heinemann,​​ 2006.

C. Cangià




TECNICHE DI INSEGNAMENTO

 

TECNICHE DI INSEGNAMENTO

Modalità d’azione o procedimenti operativi per insegnare che implicano o meno l’uso di apparati tecnologici particolari.

1. Lo studio e l’organizzazione razionale delle differenti t. didattiche è sviluppato dalla tecnologia didattica. Talora l’espressione t. didattiche si accosta a quella di metodo didattico (​​ tecnologia dell’educazione).​​ ​​ Freinet ha valorizzato l’uso di questa espressione per indicare sia specifiche metodologie di insegnamento che implicano l’uso di alcuni apparati tecnologici (ad es. un apparato tipografico nell’insegnare a scrivere), sia modalità procedurali che non li coinvolgono. Sulla sua scia altri hanno utilizzato la stessa espressione per sottolineare la materialità dell’approccio. Esempi significativi di uso di questa espressione sono B. Ciari (1972) in ambito didattico e R. Massa (1986) in ambito più propriamente pedagogico. In ambito anglosassone si intendono le forme attraverso le quali le informazioni sono presentate agli studenti.

2. Un uso più tecnologicamente segnato viene dalle t. di​​ ​​ istruzione programmata, di utilizzazione del computer e degli​​ ​​ audiovisivi nell’attività didattica e di apprendimento e di sviluppo di abilità professionali. In questi casi si può parlare di t. di progettazione di materiali didattici o di​​ ​​ software audiovisivo e informatico, di programmazione e di validazione, come di t. per il loro utilizzo nel contesto dell’insegnamento.

3. Con l’avvento della cosiddetta pedagogia per​​ ​​ obiettivi si è posto l’accento sulle t. proprie della​​ ​​ progettazione didattica, accentuandone quindi la componente tecnologica. Così sono state sviluppate t. specifiche per l’operazionalizzazione degli obiettivi didattici, per l’analisi dei contenuti sia di tipo concettuale che procedurale, per la costruzione, validazione e utilizzo di prove di valutazione oggettive.

Bibliografia

Freinet C,​​ Le mie t., Firenze, La Nuova Italia, 1969; Ciari B.,​​ Le nuove t. didattiche, Roma, Editori Riuniti, 1972; Mager R.,​​ Gli obiettivi didattici, Teramo, Lisciani e Zampetti,​​ 41978; Massa R.,​​ Le t. e i corpi, Milano, Unicopli, 1986; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica, Torino, SEI,​​ 21994;​​ Rieunier A.,​​ Les stratégies pédagogiques efficaces, Paris, ESF, 2001; Meirieu P.,​​ Faire l’école,​​ faire la classe, Ibid., 2004; Lang H. R. - B. N. Evans,​​ Models,​​ strategies and methods for effective teaching, Boston, Allyn and Bacon, 2005.

M. Pellerey




TECNICHE PROIETTIVE

 

TECNICHE PROIETTIVE

Strumenti psicodiagnostici particolarmente sensibili nel rilevare aspetti inconsci (desideri, motivazioni, ansie, stili, conflitti, meccanismi di difesa, ecc.) della personalità dell’individuo.

1.​​ Cenni storici. Le t.p. vengono introdotte nei primi decenni del ’900 in reazione, da parte degli psicologi clinici, ai test psicometrici, visti come inadeguati per fornire una diagnosi soddisfacente della personalità sia in senso idiografico (soggetto considerato nella sua individualità) che distico (soggetto considerato nella sua globalità). Il loro sviluppo è stato particolarmente favorito dai contributi teorici e clinici di numerosi psicoanalisti. Il primo serio tentativo di sintesi sulle t.p. è stato fatto da L. K. Frank nel 1939. Si può indicare come data d’inizio dell’uso delle t.p. il 1906 con l’introduzione da parte di​​ ​​ Jung del​​ test di associazione delle parole.​​ Altre tappe fondamentali sono la pubblicazione del Test di H. Rorschach nel 1921, del Thematic Apperception Test di H. A. Murray nel 1935, del Test di E. Wartegg nel 1939, delle Favole di L. Düss nel 1940, del Test di Frustrazione di S. Rosenzweig nel 1948, del Disegno della Figura Umana di K. Machover nel 1949, del Disegno dell’Albero di K. K. Koch nel 1949.

2.​​ Fondamenti teorici. Le basi teoriche su cui si fondano le t.p. sono fornite dalla psicologia della percezione e dalla psicoanalisi. La psicologia della percezione sottolinea che la risposta allo stimolo del test è determinata dal processo percettivo, il quale è la risultanza sia di fattori strutturali (quelli cioè derivati dalla natura stessa degli stimoli) che funzionali (quelli derivati dai bisogni, dagli stili cognitivi, dagli stati d’animo, dalle esperienze passate dell’individuo). La teoria psicoanalitica evidenzia che la risposta allo stimolo del test è determinata dal processo proiettivo, il quale fa emergere il mondo inconscio, inteso come un insieme di contenuti interni costituiti in gran parte da ciò che resta del passato, specie quello relativo alla prima infanzia, e che, pur non essendo presenti alla coscienza, agiscono in modo determinante sul pensiero, sul comportamento, sulle scelte e sulle relazioni dell’individuo. Sulla base di questi due processi, per molti versi tra loro assimilabili, si può quindi capire che l’individuo finisce per elaborare lo stimolo che gli viene presentato secondo la struttura della propria personalità, al punto da potere affermare l’esistenza in ogni essere umano di una tendenza di fondo a creare il mondo a propria immagine e somiglianza. Inoltre emerge che il materiale proiettivo prodotto dalle risposte allo stimolo non è il risultato di un puro caso, ma la conseguenza logica delle caratteristiche psichiche di base dell’individuo. Per cui, diversamente dai test psicometrici, non esistono risposte giuste e sbagliate, ogni risposta è sempre da considerarsi valida ai fini diagnostici, anche quando il soggetto per suoi motivi inconsci la dichiara sbagliata e desidera sostituirla con un’altra.

3.​​ Caratteristiche dello stimolo proiettivo. Innanzitutto, va chiarito che in senso largo, sono da considerarsi come stimolo proiettivo, oltre al test vero e proprio (per es. le tavole del Rorschach), lo stesso esaminatore e la situazione ambientale, in cui si svolge la somministrazione. In senso stretto per stimolo proiettivo s’intendono i singoli test. Per favorire l’emersione degli aspetti profondi ed inconsci della personalità di un individuo occorre che lo stimolo sia:​​ ambiguo,​​ non familiare​​ e​​ significativo. a) L’ambiguità dello stimolo è una delle caratteristiche fondamentali che differenzia le t.p. dai test psicometrici, dove invece lo stimolo deve essere ben definito. Uno stimolo può essere ambiguo, perché impoverito a livello fisico (es. riduzione del tempo di esposizione, riduzione dell’illuminazione, ecc.) oppure perché suscettibile di diverse decodificazioni da parte di differenti soggetti. Nelle t.p. si mira ad ottenere questo secondo tipo di ambiguità. L’ambiguità minimizza l’influsso dello stimolo, mentre massimizza l’influsso della personalità del percettore. Va tuttavia chiarito che non si deve confondere l’ambiguità dello stimolo con la sua scarsa strutturazione. Inoltre l’ambiguità non va assolutizzata, dal momento che non è senz’altro scontato che più lo stimolo è ambiguo e più c’è proiezione. b) La non familiarità dello stimolo comporta che esso sia sconosciuto al soggetto. Tale caratteristica insieme all’ambiguità suscita una situazione di ansia e di riflesso un processo di regressione. E cioè il soggetto ritorna indietro nel suo passato verso il «già conosciuto». In tal modo vengono fatti riaffiorare i contenuti e le modalità specifiche del mondo arcaico rimosso. c) La significatività dello stimolo consiste nel fatto che esso deve essere in rapporto a situazioni specifiche che il soggetto vive. Ad es., se si vuole conoscere come l’individuo si rapporta alle figure parentali si può ricorrere allo stimolo: «Disegna una famiglia di tua invenzione».

4.​​ Validazione.​​ La validazione delle t.p. poggia sui quattro requisiti fondamentali propri dei test psicometrici: oggettività (uguale situazione per tutti i soggetti sottoposti al test), sensibilità (finezza di discriminazione dei soggetti sottoposti al test), fedeltà (costanza della misura), validità (grado di precisione con cui il test misura una determinata caratteristica dell’individuo). Va tuttavia chiarito che tali requisiti, dal momento che si rifanno alla quantificazione dei dati e alla relativa elaborazione statistica, non sono rigidamente applicabili alle t.p. Queste infatti privilegiano un approccio idiografico (attento alle caratteristiche del singolo e non alla media di gruppo) ed olistico (attento alla globalità della personalità e quindi a molteplici variabili). Del resto, l’adozione di metodi prevalentemente fondati sulla quantificazione, e quindi l’accettazione di un approccio nomotetico dove dell’individuo si sa solo ciò che ha in comune con gli altri, comporterebbe la rinuncia alle caratteristiche e alle finalità proprie delle t.p.

Bibliografia

Rabin A.​​ I.​​ (Ed.),​​ Assessment with projective techniques.​​ A concise introduction, New York, Springer, 1981;​​ Anzieu D. - C. Chabert,​​ Les méthodes projectives, Paris, PUF,​​ 1983; Castellazzi V. L.,​​ Introduzione alle t.p., Roma, LAS,​​ 32000; Sola T.,​​ L’apporto dei metodi proiettivi nella psicodiagnosi clinica, Roma, Aracne, 2006; Chabert C.,​​ Psicoanalisi e metodi proiettivi, Roma, Borla, 2006.

V. L. Castellazzi




TECNOLOGIA

 

TECNOLOGIA

Per t. si intende, secondo la classica definizione del​​ Dizionario​​ di N. Tommaseo, una tecnica basata sulla scienza. Ciò è alluso dal termine​​ logia​​ incorporato al vocabolo composto.

1. La tecnica in genere è un​​ modus operandi, vale a dire una sequenza di operazioni tese alla produzione di un risultato. Come tale può essere il semplice effetto empirico di una esperienza ripetuta con esito vantaggioso, e trasmessa culturalmente, come avviene per le tecniche delle arti utili e delle arti belle, ossia rispettivamente delle arti d’artigiano e di quelle d’artista. Si può rammentare che le prime civiltà vennero descritte essenzialmente in base ad aspetti tecnici della loro cultura materiale, come le civiltà della pietra scheggiata e levigata, del rame, del bronzo e del ferro. Quando parecchie tecniche si collegano per la produzione di risultati importanti, sottentra la necessità di darsene ragione e di cercarne i fondamenti teorici. A quel punto avviene il passaggio alla t. Nel nostro tempo si è instaurata una civiltà tecnologica che si estende a tutte le attività economiche, ma soprattutto trova applicazione grazie all’impiego di grandi fonti di energia nei settori industriali e nei trasporti, nelle comunicazioni, nella sanità. Il passaggio alla automazione e informatizzazione ha determinato un ulteriore salto di qualità introducendo al settore «terziario avanzato» detto anche «quaternario».

2. L’educazione è condizionata dai cambiamenti nella cultura materiale e formale, e quindi è sollecitata da nuove sfide provenienti dalla diffusione e rapida accelerazione di tutti i processi tecnologici. In questo senso i programmi e curricoli scolastici devono prestare maggiore attenzione alle discipline d’insegnamento delle​​ ​​ scienze, alla​​ ​​ educazione tecnica e alla​​ ​​ formazione professionale. Esse devono essere intese non come un cumulo di prescrizioni empiriche e occasionali, ma come una concezione organica del lavoro umano, che è «lavoro pensato». In un altro senso i progressi tecnologici possono offrire alla educazione e alla scuola nuove opportunità, in quanto pongono nuovi mezzi al servizio del pensiero e della sua comunicazione. In particolare le t. della stampa hanno reso possibile la cultura del libro a buon mercato ed a larga diffusione; quelle della fotografia e poi del cinema hanno consentito progressi scientifici e illustrazioni efficaci; la radio e la televisione hanno diffuso la informazione, la cultura e lo spettacolo; la registrazione delle immagini e dei suoni hanno offerto condizioni alla cultura post-alfabetica; l’amplificazione permette la comunicazione simultanea a grandi uditori.

3. Sul piano didattico,​​ ​​ audiovisivi e informatica costituiscono i «media» tecnologici per antonomasia. Ma vanno altresì considerati tutti i mezzi che facilitano la registrazione, replica e diffusione dell’informazione e la comunicazione a distanza nello spazio o differita nel tempo. Ciò rende disponibili mezzi autodidattici in larga misura automatici (​​ istruzione programmata e / o assistita dal calcolatore) i cui programmi sono preregistrati, ma flessibili e interattivi con una pluralità di vie, o addirittura aperti a una libera «navigazione» tra contenuti conservati in «ipertesti». Una ulteriore possibilità offerta dalle t. è quella di somministrare​​ ​​ prove e test per la valutazione e per la sperimentazione, che vengono scrutinati con lettura ottica mediante​​ scanner​​ e resi immediatamente noti come​​ feedback​​ dell’apprendimento. La elaborazione statistica dei risultati necessaria alla​​ ​​ docimologia difficilmente oggi può farne a meno, soprattutto quando debbano essere valutate molte prove di migliaia di soggetti. La t. è il mezzo attraverso il quale l’insegnamento verifica l’apprendimento.

Bibliografia

Laeng M., «Pedagogia didattica t.», in R. Titone (Ed.),​​ Questioni di t. didattica, Brescia, La Scuola, 1974, 23-60; Id.,​​ L’educazione nella civiltà tecnologica, Roma, Armando, 1969 (2ª​​ ed. 1984); Ballanti G., «La t. dell’istruzione», in B. Vertecchi (Ed.),​​ Il secolo della scuola, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1995, 271-287; Devoti A. G.,​​ Educazione e t., Pisa, ETS, 2003; Calvani A.,​​ Manuale di t. dell’educazione, Ibid., 2004; Roszak T.,​​ El culto a la información: tratado sobre alta tecnología, inteligencia artificial y el verdadero arte de pensar, Barcelona, Gedisa, 2005.

M. Laeng




TECNOLOGIA DELLEDUCAZIONE

 

TECNOLOGIA​​ DELL’EDUCAZIONE

Il termine t., dal gr.​​ tékne​​ (tecnica) e​​ lógos​​ (studio), viene utilizzato in alcuni momenti per indicare tecniche, strumenti e in altri è considerato come un modo di affrontare la progettazione dei processi educativi.

1.​​ L’evoluzione tecnologica.​​ Il concetto di t. ha subito con l’avvento della società industriale una radicale trasformazione. Anche nel campo della t.d.e. si è prodotta parallelamente una evoluzione profonda, in parte derivante dagli studi di tipo psicologico, in parte dalle ricerche nel campo dell’organizzazione dei sistemi produttivi e dei processi informativi. La t. moderna introdotta dalla rivoluzione industriale e dal progresso scientifico ha caratteri essenzialmente diversi dalla t. antica dove i cambiamenti avevano finalità eminentemente pratiche ed immediate e dove il criterio di verifica e di controllo sul campo aveva il compito di dimostrare la bontà delle proposte. Una concezione moderna della t. che cerca di intervenire nei diversi settori del vivere umano in maniera sistematica ed organizzata per ottenere l’effetto voluto con il massimo di efficacia, è stata applicata sistematicamente nel mondo formativo in particolare a partire dalla fine degli anni quaranta, cioè subito dopo la seconda guerra mondiale. Questa opera è dovuta, almeno nelle sue fasi iniziali, alle ricerche ed all’azione di due pionieri: R. W. Tyler e Skinner che, seguiti poi da altri, hanno contribuito notevolmente a chiarire il concetto di t.d.e.

2.​​ La t.d.e.​​ In sede pedagogica ed educativa il termine assume il significato di una mentalità diversa, una mentalità tecnologica come a volte si usa dire, nell’affrontare i problemi legati al mondo educativo, in cui possono essere certamente incluse tecniche e strumenti, ma solo in quanto elementi di una pianificazione più generale e finalizzata al miglioramento degli interventi progettati. In tal senso oggi si parla molto di: progetto educativo, progettazione didattica, proposta formativa e t. didattiche. Ma tale impostazione richiede di entrare in un’ottica in cui l’attività formativa viene strutturata in momenti ben definiti che potrebbero essere sintetizzati come: un momento di analisi della situazione su cui si vuole intervenire; un momento in cui si elaborano obiettivi, si scelgono le attività e gli strumenti per intervenire, si prepara un piano d’azione; un momento in cui si controlla la qualità del prodotto e del processo per verificare l’efficacia e procedere ad eventuale revisione e riprogettazione.

3.​​ Diversi significati ed usi formativi.​​ Il termine t.d.e. può assumere dunque un primo significato quando lo si riferisce a tutto ciò che riguarda l’applicazione della scienza fisica e della t. ingegneristica allo studio e alla costruzione di strumenti meccanici o elettromeccanici che possono essere usati a scopi formativi. Questo è il significato principale in cui il termine è stato usato in particolare dai portavoce dell’istruzione con 1’audiovisivo e dall’industria delle comunicazioni elettroniche. In questo senso il riferimento riguarda solitamente l’uso di strumenti in un intervento formativo per renderlo più efficace. In tale contesto si preferisce parlare di t. didattica o t. didattiche. Un secondo significato di t.d.e. non si riferisce tanto allo strumento come tale, ma ad una t. in senso generico, come derivato o applicazione di una scienza. Il rapporto Perkins-McMurrin, elaborato da una commissione parlamentare negli Stati Uniti nel 1970, presenta due definizioni della t. didattica. Con la prima s’intendono i mezzi nati dalla rivoluzione delle comunicazioni: cioè i mezzi che possono essere usati a scopi didattici dall’insegnante, insieme con i libri di testo e il suo apporto personale. Con la seconda definizione, meno comune, per t. didattica si vuole intendere qualcosa di più che l’insieme delle sue componenti. Essa è vista come un modo sistematico di progettare, realizzare e valutare il processo globale dell’apprendimento e dell’insegnamento in termini di obiettivi specifici. La diffusa accettazione e applicazione di questa più ampia definizione esige un approccio sistematico ed estensivo, che può realmente contribuire all’avanzamento dell’educazione. L’uso dei prodotti delle t. moderne rientra nell’ambito di una t.d.e., ma solo in quanto componente di un sistema assai più vasto e comprensivo di procedimenti di un intervento formativo. Il significato quindi, più appropriato del termine t.d.e. sembra essere quello di trattamento sistematico di un’arte, in questo caso dell’arte dell’educazione. Il problema fondamentale di ogni intervento formativo è quello di organizzare in maniera efficace una serie di esperienze ed attività di apprendimento, e non tanto quello di usare questo o quel libro di testo, proiettare o meno un film, visitare un museo o usare un sistema multimediale. La t.d.e. diventa quindi una scienza pratica che permette la progettazione, la conduzione e la valutazione di un programma formativo. Essa potrebbe essere vista anche come una mentalità nuova da acquisire per poter progettare prima e realizzare poi, la programmazione didattica. La t.d.e. potrebbe dunque essere definita come lo sviluppo di un insieme delle tecniche sistematiche e delle conoscenze pratiche che le accompagnano, volte a progettare, verificare e gestire sia la pianificazione dell’intero sistema formativo, sia l’organizzazione dei diversi centri e scuole intesi come sistemi formativi, sia, infine, lo sviluppo delle singole lezioni o gruppi di lezioni scolastiche.

4.​​ Il supporto scientifico.​​ Certamente per concretizzare tutto questo verranno utilizzate tutte le risorse possibili e i contributi delle diverse scienze. Le scienze sociologiche ed antropologiche, per individuare le situazioni di partenza dal punto di vista culturale e sociale della popolazione scolastica, e i condizionamenti ambientali e per analizzare sistemi di valori e le tradizioni culturali presenti nell’ambiente esterno ed interno alla struttura formativa. La psicosociologia delle istituzioni, per favorire una analisi delle relazioni istituzionali presenti nella struttura formativa e della loro incidenza sul processo didattico. La psicologia dello sviluppo e dell’intelligenza, per aiutare i processi di​​ ​​ apprendimento, da cui si possono trarre alcuni parametri di riferimento fondamentali sulla conoscenza dell’allievo in generale e sui processi di sviluppo della sua maturazione conoscitiva e comportamentale. La​​ ​​ psicologia sociale per approfondire gli studi sui meccanismi umani relazionali che possono contribuire alla comprensione dei fenomeni di natura interattiva ed emozionale. La​​ ​​ psicologia differenziale che può aiutare ad individuare particolari situazioni di difficoltà e di disturbo. È appena da accennare al fatto che, tra i supporti, si dovrà pensare in primo luogo a quelli economici e di politica scolastica.

Bibliografia

Ceri,​​ Le nuove t. dell’informazione: una sfida per l’educazione, Roma, Armando, 1988;​​ Calvani A.,​​ Manuale di t.d.e.,​​ Pisa, ETS, 1999;​​ Scurati C. (Ed.),​​ Tecniche e significati: linee per una nuova didattica formativa,​​ Milano, Vita e Pensiero, 2000;​​ Aleandri G.,​​ Formazione e dinamiche sociali: la diffusione delle t. per lo sviluppo della qualità,​​ Roma, Armando, 2001; Calvani A.,​​ Educazione,​​ comunicazione e nuovi media, Torino, UTET, 2001; Regni R.,​​ Geopedagogia: l’educazione tra globalizzazione,​​ t. e consumo,​​ Roma, Armando, 2002.

N. Zanni




TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

 

TECNOLOGIE​​ DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

Il termine​​ Tecnologie dell’informazione e della comunicazione​​ (TIC) a volte indicato in inglese​​ Information and Communication Technology​​ (ICT) si riferisce ad un insieme di strumenti come il telefono, internet, computer, reti, radio, televisione; un insieme di servizi ed applicazioni ad essi associati come videoconferenza, formazione a distanza, banche dati e un insieme di programmi legati al mondo dell’informazione e comunicazione. È un termine che abbraccia tutte quelle forme di t. impiegate per creare, scambiare, utilizzare e immagazzinare l’informazione.

1. Lo sviluppo tecnologico negli ultimi decenni ha avuto una accelerazione molto forte in tutti i settori non escluso quello inerente il trattamento dell’informazione. In particolare la t. che si occupa della​​ gestione dati,​​ elementi di base dell’informazione, ha cercato di studiare modalità sempre più efficaci per velocizzare la loro trasmissione nelle diverse parti del mondo e facilitare una comunicazione più rapida e sicura. Le TIC sono diventate, ormai, un elemento molto importante nel nostro vissuto quotidiano. Esse stanno provocando una piccola rivoluzione nel gestire l’informazione e la comunicazione spingendo verso il cambiamento nel modo di lavorare e nella gestione del tempo libero. Il binomio «tempo» e «spazio» ha assunto in questo contesto sfumature diverse dal passato. La rivoluzione industriale si è sviluppata attraverso le t. legate ai sistemi di produzione e trasporto. La rivoluzione dell’informazione si sta sviluppando attraverso le nuove t. legate al reperimento, alla conservazione e trasmissione dei singoli elementi dell’informazione in modo sempre più rapido e meno costoso.

2. Sono t. che riguardano prevalentemente i settori legati all’informatica ed alle telecomunicazioni. Esse svolgono un ruolo importante in materia di crescita dell’innovazione, della creatività e della competitività in diversi settori industriali e dei servizi. Si tratta di t. che stanno rivoluzionando il mondo dei servizi, le strutture sociali, culturali ed economiche introducendo nuovi comportamenti nei confronti dell’informazione stessa, dello scambio delle conoscenze in generale e dell’attività professionale.

3. Essendo un insieme molto ampio che comprende diversi settori da quello informatico a quello delle telecomunicazioni e trasmissioni radiotelevisive, le TIC spesso vengono associate a contesti specifici, come le TIC nell’istruzione, nella ricerca, nella medicina, nella pubblica amministrazione, nell’industria. Le TIC in questi ultimi anni hanno subito una grande espansione sviluppando elementi poco presenti nelle t. tradizionali, come ad es. l’interattività e la multimedialità. Esse svolgono un ruolo fondamentale nella società attuale, molto segnata da forme nuove nel mondo dell’informazione e comunicazione, in materia di crescita delle innovazioni, della creatività e della competitività di tutti i settori industriali e dei servizi.

Bibliografia

Bentivegna S.,​​ Politica e nuove t. della comunicazione, Bari, Laterza, 2002; Beducci F.,​​ La democrazia e le nuove t. della comunicazione, Roma, P. Università Lateranense, 2003; Ingrosso M.,​​ Le nuove t. nella scuola dell’autonomia: immagini,​​ retoriche,​​ pratiche: un’indagine in Emilia Romagna, Milano, Angeli, 2004; Mammarella N. - C. Cornoldi - F. Pazzaglia,​​ Psicologia dell’apprendimento multimediale: e-learning e nuove t., Bologna, Il Mulino, 2005; Piattini Velthuis M. G.,​​ Gobierno de las tecnologías y los sistemas de información, Madrid, RA-MA, 2007.

N. Zanni




TEMPO

 

TEMPO

La variabile t. occupa nello studio dei processi educativi un posto centrale. Essa può essere esaminata da una molteplicità di punti di vista.

1. Il primo e più immediato riguarda la costruzione e l’uso del concetto stesso di t. La prima acquisizione della nozione di t. emerge verso i 7 / 8 anni e progressivamente si articola secondo i concetti di prima-dopo, durata, ritmo, t. istantaneo, contemporaneità, ecc. Successivamente è oggetto di studio il t. fisico, distinguendolo dal t. psicologico, fino a sviluppare la nozione di struttura spazio-temporale della realtà fisica. In ambito scolastico la questione del t. ha impegnato seriamente i pedagogisti e le amministrazioni scolastiche appena si è iniziato a parlare di​​ ​​ obbligo di istruzione. La prima considerazione ha riguardato proprio la durata dell’obbligo scolastico: prima di tre anni, poi di cinque, poi di otto, poi di nove-dieci, fino a dodici. Analogo problema concerneva l’età dell’inizio di tale obbligatorietà: sei anni, sette anni, cinque anni e, di conseguenza, il termine: quattordici anni, quindici anni, sedici anni, diciotto anni. Una volta definita la durata in anni, occorreva precisare la durata in giorni di scuola per anno e le ore di insegnamento per giorno: il cosiddetto calendario scolastico. Ogni riforma scolastica ha comportato attenti studi relativi alla durata dell’impegno degli studenti e dei docenti. La recente introduzione del concetto di credito universitario, in termini tecnici ECTS (European Credit Transfer System), lo ha definito come un periodo di impegno dello studente di circa 24-28 ore, a partire dalla considerazione di circa 1500 ore di impegno annuale a t. pieno. Di conseguenza i crediti annuali da assolvere diventano almeno 60.

2. In Italia negli ultimi decenni si è discusso spesso a proposito del t. scolastico, soprattutto a livello di scuola elementare, a causa del cosiddetto​​ t. pieno, intendendo con questa espressione un prolungamento del t. scolastico quotidiano oltre le quattro-cinque ore. Ciò comportava evidentemente una sua diversa organizzazione. A livello di scuola media è stato introdotto anche il cosiddetto​​ t. prolungato. D’altra parte, la storia della scuola ha visto prevalere una organizzazione della giornata secondo ore di scuola di circa cinquanta-sessanta minuti. Ciò anche in riferimento agli impegni di docenza degli insegnanti. Si tratta spesso di una forma abbastanza artificiosa e frammentata di strutturazione del t., assai poco funzionale, ad es., a svolgere attività di laboratorio. Tanto più che sulla base di questa articolazione vengono i definiti t. settimanali dedicati ai vari insegnamenti. L’orario scolastico diventa di conseguenza il quadro di riferimento fondamentale sia per gli studenti, sia per i docenti.

3. Contrapposto al t. scolastico si è spesso collocato il t. educativo sperimentato dai giovani nei differenti luoghi formativi e più in generale quello della vita. L’intreccio tra t. vissuto in famiglia, t. passato nella scuola, t. libero, t. dedicato alle attività associative, t. lavorativo, t. impegnato nella vita ecclesiale. Oggi, l’esperienza del virtuale e del digitale e l’uso del telefono cellulare o di e-mail e la frequentazione di internet produce modi nuovi di vivere e intendere lo spazio-t. Tutto ciò costituisce la base fondamentale nella quale si sviluppano le tre forme di apprendimento spesso evocate: formale, informale e non formale. Si può, infine, evocare, il concetto di​​ t. necessario​​ per l’apprendimento, t. assai differenziato a seconda dei differenti soggetti.

Bibliografia

Bellomo L. - S. Vegetti Finzi,​​ Bambini a t. pieno, Bologna, Il Mulino, 1978; Vertecchi B. (Ed.),​​ Il t. dei giovani, Napoli, Tecnodid, 1990; Ragazzini D.,​​ T. di scuola e t. di vita, Milano, B. Mondadori, 1997; Sue R.,​​ Il t. in frantumi, Bari, Dedalo, 2001.

M. Pellerey




TEMPO LIBERO

 

TEMPO LIBERO

Il termine viene messo in contrapposizione al t. «necessario» (comprensivo delle varie attività fisiologiche quali mangiare, dormire...), «obbligato» (il lavoro e la scuola, per chi ne ha l’obbligo), «impegnato» (nei confronti dei differenti compiti / ruoli che la vita porta ad assumere). J. Dumazedier (1985) considera il t.l. un insieme di occupazioni a cui l’individuo si dedica dopo aver disimpegnato gli obblighi professionali, familiari e sociali, e che riguardano attività alle quali ci si dispone volentieri, come il riposo, il divertimento, la formazione, lo sviluppo delle proprie abilità e conoscenze.

1.​​ La parabola del concetto di t.l.​​ Benché assai vicino al concetto latino di​​ otium​​ (t. per la riflessione, la meditazione, il gioco, la crescita e la cura del proprio essere, da contrapporre al t. speso nel fare​​ negotium), il t.l. se ne distingue per non rientrare negli schemi di un t. organizzato. Nell’ambito della ricerca sociale il t.l. viene quindi interpretato come un momento di mediazione fra l’individuale ed il sociale; momento considerato a sua volta decisivo per il conseguimento di una superiore qualità della vita. Prima ancora che presso i romani, il concetto di t.l. dagli impegni primari si è affermato nella​​ scholé​​ dei greci. Tanto​​ ​​ Aristotele (nell’Etica nicomachea) che​​ ​​ Platone (nelle​​ Leggi) individuano infatti il modo migliore di spendere una quota-t. della propria vita nell’attività contemplativa, nello studio, nella sfera dell’etica e nell’arte del filosofare. E tuttavia a partire dall’epoca greco-romana fino ai giorni nostri si è perso in pratica ogni traccia del concetto di t.l. Il suo recupero avviene nel sec. scorso ed è databile attorno agli anni ’60, quelli del «boom» economico, quando le società capitalistiche hanno riscoperto la peculiare dimensione dell’investimento del t. in funzione di sé e in forma alternativa alle differenti modalità di consumo. Ma non tutte le società e / o non tutte le classi sociali sono oggi in grado di usufruire dei vantaggi derivanti dall’uso del t.l. Limitatamente ai Paesi a sistema capitalistico avanzato, il t.l. si è affermato poco alla volta come una vera e propria «conquista» di massa, a fronte dell’alienazione indotta da un’ideologia che esalta la produttività fine a se stessa e reprime i valori umani. Con il diffondersi di forme sempre più sofisticate di industrializzazione, il lavoro umano viene sostituito dalla macchina e tende a non essere più l’unica fonte di realizzazione; di conseguenza l’asse degli interessi si sposta verso altri sistemi di significato. Oggi in particolare il consumo del t.l. fa sempre più riferimento e / o viene preferibilmente coniugato con i termini di vacanza e di turismo, e la ricostruzione storica del fenomeno fatta da Löfgren (2006), permette di evidenziare come entrambi abbiano influenzato / cambiato nel tempo il nostro modo di concepirlo e di organizzarlo. Il t.l. infatti è diventato poco alla volta la valvola di scarico delle tensioni accumulate da un lavoro parcellizzato e sempre più alienante, al punto da essere interpretato come un’attività svincolata da un certo tipo di produttività che appartiene al mondo capitalista. Tutto ciò induce ad evidenziare anche i suoi limiti: il concetto di un t. considerato «libero», infatti, non si è ancora diffuso nei paesi più poveri e / o in via di sviluppo, per i quali anzi la questione non si pone affatto o quasi. È questo uno dei motivi per cui oggi il t.l. continua ad essere interpretato come il prodotto di un sistema economico che scandisce il t. fra attività retribuite (il lavoro) e / o segnate da vincoli comunemente riconosciuti (la scuola, lo studio, le attività domestiche...) e quello «libero» da compiti / impegni prestabiliti. Tutto ciò presuppone una società governata da ritmi temporali alternati sulla base dell’assunzione di precisi impegni, orari, esigenze, prestazioni; una organizzazione che fa attribuire al t. una doppia «facciata»: di t. occupato e libero, di t. pieno e vuoto, di t. obbligato e da spendere a piacere.

2.​​ «Libero» da che cosa?​​ Parte di quelle ragioni che impediscono ai Paesi più poveri e / o alle classi sociali meno abbienti di porsi la questione del t.l., oggi si confermano più che mai valide anche per i Paesi ad economia capitalistica avanzata, a causa della crisi stessa che sta attraversando il loro sistema sociale. Il progressivo abbassamento della soglia delle 40 ore settimanali, i processi sempre più frequenti di espulsione dai tradizionali impegni e / o luoghi di produzione (che vanno sotto il nome di disoccupazione, cassaintegrazione, prepensionamento...), l’ingigantirsi dei processi informatici, il consumo dei prodotti audiovisivi, il parallelo accrescersi del consumo dei prodotti culturali / ricreativi / turistici di massa, hanno scatenato un’euforia edonistica che a lungo andare ha provocato processi di saturazione, al punto che il consumo di massa del t.l. ripropone problemi di alienazione molto simili negli effetti a quelli che si verificano sui luoghi stessi della produzione: in altre parole, il t. che viene tolto all’occupazione e agli impegni retribuiti rischia di divenire un «vuoto-a-perdere» e, quindi, non più «libero» ma da spendere in forma altrettanto alienante come nel lavoro. Sembrerebbe delinearsi in tal modo una ellissi storica del t.l. che, da attività produttiva di fonti alternative di realizzazione, regredisce fino a diventare esso stesso causa di quel «disagio interiore» contro il quale era nato come antidoto, perdendo così la sua funzione liberatrice. È questo il motivo per cui oggi si cerca di escogitare sempre nuove «evasioni» e modelli alternativi nel consumo del t.l., che siano in grado di allontanare la monotonia e l’anomia del quotidiano.

3.​​ Verso un t.l. «liberato»?​​ In considerazione della crescente distinzione tra t.l. e occupato, le ricerche più recenti tendono a superare tale dicotomia per introdurre un concetto di t. che si integri con il processo di​​ ​​ autorealizzazione e a cui concorrano fattori intervenienti di variegata estrazione, in funzione interattiva e non più semplicemente compensativa. È così che lo svago, il divertimento, ma anche la ricerca culturale, la contemplazione e / o «l’occupazione della mente» rappresentano una promessa di realizzazione individuale e collettiva insieme, un’apertura ad un diverso modo di esistere, per una migliore qualità della vita. Se considerato nell’ottica dell’autorealizzazione, infatti, tra t. occupato e «liberato» scorre una sotterranea continuità che rende indefinibili i due confini. In base a questo concetto il t. inteso nel senso di «libero» non può più essere definito in contrapposizione ad altre quote di t. soggette ad una coercizione esterna, ma è un tutt’uno con i vari t. del quotidiano, dal momento che essi vengono vissuti ed interpretati dall’individuo come parte integrante per la realizzazione globale del proprio sistema di significato esistenziale. Così facendo ci si riavvicina nuovamente a quello che per gli antichi era il concetto di​​ otium? Se così fosse si potrebbe asserire di assistere appunto ad una ellissi storica del concetto di «t.» dove per «libero» si intende non solo e non tanto la ricerca del riposo e / o dell’«effimero», ma piuttosto un «t. liberatorio», ossia uno «spazio-di-libertà» finalizzato alla riappropriazione di sé, all’autorealizzazione ed alla integrazione sociale, per una diversa interpretazione della qualità della vita. In altri termini si tratta quindi di uno spazio di t. da investire nella ricerca e nella costruzione di un’identità individuale e collettiva. In definitiva, un t.l. da rivisitare e / o «da-liberare» e forse in parte ancora da «re-inventare» nella sua funzione catartica e liberatoria.

Bibliografia

Dumazedier J.,​​ Sociologia del t.l., Milano, Angeli, 1985; Baratta G. - P. Raineri,​​ Prospettive delle attività del turismo e del t.l., Roma, Edizioni Lavoro, 2001; Martino V.,​​ Non solo media: scenari,​​ fonti e percorsi di ricerca sul t.l., Milano, Angeli, 2005; Canciani D. - P. Sartori,​​ Tutto il t. che va via.​​ Come il t.l. aiuta a crescere, Roma, Armando, 2005; Löfgren O.,​​ Storia delle vacanze, Milano, Mondadori, 2006.

V. Pieroni




TEOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

 

TEOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

Per t.d.e. si intende lo studio sistematico dei problemi educativi alla luce della fede cristiana, costituitosi recentemente come nuova disciplina teologica con funzione integrativa della filosofia dell’educazione in istituzioni universitarie di pedagogia di orientamento cristiano.

1.​​ Origine.​​ È da appena una cinquantina d’anni che si parla di t.d.e. Tuttavia riflessioni occasionali o sistematiche sull’educazione e la formazione umana di natura teologica sono rintracciabili in diversi scritti dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali e moderni. Gli storici della pedagogia le collocano sotto la categoria generica di​​ ​​ pedagogia cristiana, ma non le qualificano normalmente come teologiche. Prima ancora che si parlasse di t.d.e., durante la prima metà di questo secolo, si affermò tra i pedagogisti cattolici di lingua tedesca, l’esigenza di una fondazione teologica della pedagogia cristiana, la quale, nel frattempo, era stata elevata da​​ ​​ Willmann​​ alla dignità di «scienza cristiana dell’educazione». Però, anche quando la t.d.e. altrove si era già affermata, ci furono sempre notevoli resistenze a dare il nome di t.d.e. a questa fondazione teologica della pedagogia cristiana, nonostante la proposta di qualche studioso sia cattolico (F. Pöggeler) che evangelico (H. Köhler). Sempre nell’area culturale tedesca ma nell’ambito della confessione evangelica, a partire dagli anni Venti / Trenta con l’affermarsi della rinascita luterana e della t. di K. Barth, apparvero vari studi di natura teologica sull’educazione, studi, però, che definivano in termini di opposizione dialettica i rapporti tra fede ed educazione e tra t. e pedagogia. Questi scritti, ripresi e approfonditi dopo la seconda guerra mondiale, ebbero un notevole influsso su diversi pedagogisti cattolici di lingua tedesca, i quali cominciarono a rivedere in modo critico le loro posizioni tradizionali, contestate tra l’altro anche dai rappresentanti della pedagogia scientifica per motivi di tipo epistemologico. Queste differenti concezioni della pedagogia cristiana e dei rapporti tra pedagogia e t., emerse in ambito cattolico ed evangelico nei Paesi di lingua tedesca, arrivarono, già a partire dagli anni Trenta / Quaranta, nei paesi latini e anglosassoni attraverso la mediazione del mondo culturale fiammingo e contribuirono, assieme ad altri fattori, alla nascita della t.d.e. come nuova disciplina teologica. In ambito cattolico si affermò anzitutto l’esigenza di una fondazione teologica della pedagogia cristiana. Infatti quando nel 1949, al Congresso Internazionale di Pedagogia di Santander (Spagna) per la prima volta si parlò ufficialmente di t.d.e., questa fu presentata come la concretizzazione di tale esigenza (​​ C. Leôncio da Silva). Altre circostanze contribuirono efficacemente ad un suo primo e progressivo affermarsi. Anzitutto l’invito rivolto ai teologi da G. Thils, di occuparsi anche delle «realtà terrestri» (tra queste l’educazione), creando nuove discipline teologiche accanto a quelle tradizionali. In secondo luogo la necessità di distinguere, per correttezza epistemologica, nell’ambito di una teoria generale dell’educazione di ispirazione cristiana, la prospettiva filosofica da quella teologica, arrivando conseguentemente alla creazione di due discipline distinte: la filosofia dell’educazione e la t.d.e. (J. Mortimer Adler e E. A. Fitzpatrick, 1950). Queste ed altre cause resero possibile, a partire dal 1945, la nascita della t.d.e. come disciplina universitaria all’interno dell’Istituto Superiore di Pedagogia dell’allora Pontificio Ateneo Salesiano. Attualmente essa fa parte, assieme alla filosofia dell’educazione, delle discipline comuni dei vari curricoli della Facoltà di Scienze dell’Educazione nell’Università Pontificia Salesiana. I primi progetti di t.d.e. appaiono nel 1950 per opera di C. Leôncio da Silva e di E. A. Fitzpatrick. Durante gli anni Sessanta e Settanta la t.d.e. diviene oggetto di ulteriori riflessioni, di consensi e di critiche (E. Murtas,​​ ​​ G. Corallo, P. Braido). Per quanto riguarda il mondo protestante anglicano, troviamo la t.d.e. presente nel curricolo di pedagogia, a partire dal 1972, nell’università di Birmingham (Regno Unito), dove dal 1977, nella nuova facoltà di pedagogia, è possibile conseguire un «Master of Education Degree» in «Theology and Education» (J. M. Hull, L. J. Francis e A. Thatcher, 1990).

2.​​ Crisi e trasformazione. Durante gli anni del postconcilio, in seguito alle profonde trasformazioni operatesi nell’ambito della t. cattolica ed evangelica e all’intensificarsi del dialogo tra le due confessioni cristiane e tra la t. e le scienze umane, la t.d.e. andò in crisi e sentì il bisogno di trasformarsi. Studiosi cattolici ed evangelici si preoccuparono di rivedere le loro posizioni sul senso di una t.d.e. intesa come t. delle realtà terrestri (R. Spaemann, 1964; I. G. Carrasco, 1969), sui rapporti tra fede ed educazione, tra t. e scienza / e dell’educazione (H. Bokelmann, 1969). Su quest’ultimo tema è doveroso ricordare a parte l’opera decisiva di H. Schilling (1970). Negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta del sec. scorso vengono pubblicati diversi studi di t.d.e., tra i quali il saggio di t. biblica dell’educazione di C. Bissoli (1981, 1983); le riflessioni critico-metodologiche di G. Colombo (1989) sulla natura della t.d.e.; le interessanti prospettive di G. Abbà (1989, 1991) per la costruzione di una teoria dell’educazione morale all’interno di un’etica della virtù, contenuta nella t. di s.​​ ​​ Tommaso d’Aquino; e una nostra indagine sull’origine, natura, compiti della t.d.e. (1991).

3.​​ Natura e metodo di una t.d.e. rinnovata. Utilizzando i risultati di questa indagine, vorremmo tentare un ripensamento della t.d.e., offrendo piste di soluzione a problemi rimasti ancora aperti. Riteniamo necessario, come prima cosa, ribadirne la natura «teologica». La t.d.e. non intende in alcun modo identificarsi né sostituire la pedagogia cristiana e neppure potrebbe essere considerata in senso stretto una «scienza dell’educazione». In quanto disciplina teologica, essa ha come suo oggetto proprio la Parola di Dio riguardante, direttamente o indirettamente, l’educazione in tutta la sua complessità. La Parola di Dio, però, è «incarnata» in una pluralità di eventi, di linguaggi (biblici, liturgici, magisteriali), di prassi e di istituzioni ecclesiali, il tutto profondamente connotato dalle culture nelle quali fu espresso e trasmesso; per conseguenza essa è raggiungibile solo attraverso la previa interpretazione delle mediazioni umane, soprattutto ma non unicamente linguistiche, che in qualche modo la contengono. Perciò il teologo deve, mediante un’indagine scientifica di tipo ermeneutico, tentare di scoprire, nei testi biblici, ciò che Dio volle dire all’uomo sull’educazione attraverso gli autori umani che li hanno redatti e, nei testi della tradizione, ciò che la Chiesa ha ritenuto come Parola di Dio sull’educazione, quindi supremamente normativa per la sua fede e la sua vita. Facendo questa ricerca, il teologo dovrebbe essere animato dalla convinzione che la Parola di Dio, anche se pronunciata nel passato e incarnata in determinate culture, non si identifica totalmente con le formule nelle quali fu espressa e tramandata, ma le supera immensamente. Perciò si chiede se siano possibili e legittime nuove interpretazioni della Parola di Dio sull’educazione, che permettano non solo di superare le formule e le prassi tradizionali, ma anche di costruirne di nuove, le quali, senza essere in contraddizione con quelle che la Chiesa ha «definito» nel passato, risultino più rispondenti alle esigenze della situazione culturale, nella quale le comunità cristiane devono confessare e testimoniare la loro fede. Al termine di questa indagine, il teologo dovrebbe essere in grado di formulare una sintesi dei contenuti della Parola di Dio sull’educazione nella sua complessità, non solo organizzando in modo sistematico e logicamente coerente le affermazioni bibliche e quelle della tradizione, ma anche mettendo in luce la rilevanza pedagogica dell’antropologia e della teleologia contenute nel sistema teologico al quale ha aderito o lui stesso si è costruito. Il teologo, però, costata che la Parola di Dio, pur con tutta la luce che gli apporta e le ispirazioni che gli può suggerire, non basta da sola a risolvere i problemi educativi concreti, dai quali tutta la ricerca teologica ha preso le mosse. Ciò è dovuto alle finalità essenzialmente (ma non esclusivamente) soteriologiche della Parola di Dio rivolta all’uomo nell’A. e nel N.T., anche nei casi in cui essa si occupa direttamente o indirettamente di educazione Inoltre questa Parola, a causa del suo stato di acculturazione, è necessariamente «datata», e quindi non può, da sola, offrire soluzioni «concrete» ai problemi sempre nuovi, che l’impatto della fede con la cultura genera in continuità in campo educativo. Tuttavia, proprio perché l’intenzione comunicativa di Dio supera sia le formulazioni linguistiche che la esprimono come pure le realizzazioni prassiche e istituzionali escogitate dalle comunità cristiane del passato per incarnarne gli imperativi pratici, il teologo si sente obbligato, in quanto uomo e in quanto cristiano, ad impegnare la sua ragione e tutto il suo sapere in una ricerca creativa di soluzioni concrete, che siano valide nel contesto culturale in cui egli vive, e, nello stesso tempo, compatibili coi contenuti essenziali e con gli orizzonti di significato della Parola di Dio nella sua totalità. Questo compito ulteriore, però, il teologo può realizzarlo solo mediante un dialogo interdisciplinare con il sapere pedagogico (​​ epistemologia pedagogica).

4.​​ Le funzioni della t.d.e. nel dialogo interdisciplinare con le scienze dell’educazione.​​ I tradizionali modelli di rapporto tra la t. e la pedagogia cristiana (modelli di tipo gerarchico o analogico), oggi, tendono a ristrutturarsi secondo i nuovi paradigmi dialogici di tipo multidisciplinare o interdisciplinare. Essi tengono conto dello sviluppo attuale della t.d.e. e della trasformazione della pedagogia in scienze dell’educazione. All’interno di questo dialogo la t.d.e. esercita nei confronti delle scienze dell’educazione una triplice funzione: critica, stimolatrice e integratrice. Anzitutto una funzione​​ critica. Si tratta di un atteggiamento critico sia verso la propria antropologia e teleologia che verso quella del partner. È necessario prima di tutto scoprire, all’interno della Parola di Dio, un’antropologia e una teleologia, che permettano una più profonda comprensione del mistero dell’uomo, delle sue strutture, della sua condizione esistenziale, dei suoi fini, entro cui interpretare la Parola di Dio sull’educazione. In secondo luogo l’atteggiamento critico è verso le antropologie e le teleologie sottese dalle diverse teorie pedagogiche, chiedendosi fin dove e in che modo la concezione dell’uomo, veicolata da queste teorie, sia in consonanza con la Parola di Dio. Nell’uno e nell’altro caso questo lavoro di revisione critica viene fatto in funzione di una eventuale collaborazione tra t.d.e. e scienze dell’educazione. In secondo luogo una funzione​​ stimolatrice. Lo studio sempre più approfondito della Parola di Dio sull’educazione offre al teologo la possibilità di scoprire prospettive inedite sull’educazione, che egli comunica ai cultori delle scienze dell’educazione in funzione della costruzione di nuove teorie pedagogiche. E infine una funzione​​ integratrice.​​ La t.d.e. è impegnata a ricavare dalla Parola di Dio sull’uomo e sul suo destino un valido orizzonte ultimo di senso per tutta l’attività umana, quindi anche per l’educazione. Inoltre la t.d.e., esercitando le due funzioni precedenti nei confronti delle scienze dell’educazione, può entrare in collaborazione con esse per la costruzione di teorie pedagogiche e strategie didattiche, che possano qualificarsi come cristiane, non perché diventano teologiche, ma perché studiano e progettano i processi di maturazione umana (in se stessi comuni a tutti gli uomini), all’interno dei processi di​​ ​​ conversione e di crescita cristiana.

5.​​ Compiti attuali della t.d.e.​​ Riteniamo che oggi la t.d.e. dovrebbe far fronte ai seguenti quattro impegni specifici. Con l’aiuto delle scienze dell’educazione, dovrebbe anzitutto recensire i principali problemi che le culture attuali pongono alla fede delle comunità cristiane in campo educativo e pedagogico. Dovrebbe in secondo luogo assumere con vivo senso critico le attese delle comunità cristiane circa la natura e i contenuti della salvezza cristiana (una salvezza liberatrice e promotrice di umanità), i problemi dell’autonomia – relativa – delle realtà e finalità temporali, il significato della funzione umanizzatrice dell’educazione. In terzo luogo la t.d.e. dovrebbe studiare a fondo i processi di conversione e di crescita cristiana, per comprendere in qual modo possano diventare contemporaneamente processi di autentica promozione e maturazione umana. E infine la t.d.e., sempre in collaborazione con le scienze dell’educazione, dovrebbe arrivare a tracciare i parametri fondamentali di un itinerario di crescita e maturazione umano-cristiana sia a livello personale che comunitario, definendo contemporaneamente le componenti essenziali dell’​​ ​​ educazione cristiana.

Bibliografia

Schilling H.,​​ T. e scienze dell’educazione. Problemi epistemologici. Introduzione di G. Groppo, Roma, Armando, 1974; Bissoli C.,​​ Bibbia e educazione. Contributo storico-critico ad una t.d.e.,​​ Roma, LAS, 1981; Colombo G., «Per una t.d.e.», in G. Saldarini (Ed.),​​ Il presbitero educatore,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme, 1989, 48-77; Francis L. J. - A. Thatcher (Edd.),​​ Christian perspectives for education, Leominster, Fowler Wright Books, 1990; Abbà G.,​​ Una filosofia morale per l’educazione alla vita buona, in «Salesianum» 53 (1991) 273-314; Groppo G.,​​ T.d.e. Origine identità compiti, Roma, LAS, 1991; Crump Miller R. (Ed.),​​ Theologies of religious education, Birmingham, Religious Education Press, 1995;​​ De la Tribouille A.,​​ L’éducation à la lumière de la Révélation, Paris, Mame / Cerf​​ 1996; Bissoli C.,​​ Il dibattito sulla pedagogia cristiana. Alcune puntualizzazioni, in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007) 357-368.

G. Groppo