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TRATTI DELLA PERSONALITÀ

 

TRATTI DELLA PERSONALITÀ

I t. sono una caratteristica duratura (ad es. «cordiale», «onesta») per mezzo della quale le persone si differenziano l’una dall’altra; essi si manifestano in modo consistente in varie situazioni e sono molto numerosi. Da alcuni decenni vari ricercatori hanno pensato che la saggezza popolare insita nei t. potrebbe essere un punto di partenza per la descrizione scientifica della personalità. Ma questo richiede previamente di riordinare i molteplici numerosi t. e ridurli ad un ragionevole numero. Questa operazione è stata fatta da alcuni autori dopo un’attenta riflessione: sono infatti stati eliminati i sinonimi con il procedimento dell’analisi fattoriale (​​ ricerca).

1.​​ Struttura.​​ I t. così vagliati sono stati considerati dei fattori costitutivi della personalità ma sul loro numero per descriverla per mezzo dei questionari ci sono ancora notevoli incertezze in quanto esso oscilla da un massimo di 58 ad un minimo di 3. I t. non descrivono la personalità in modo esauriente in quanto componenti importanti come valori non sono colti dai t. e i t. stessi non includono necessariamente le competenze (Matthews e Deary, 1998). I t. sono disposti in una struttura gerarchica, formata da un numero di t. indipendente (cosiddetto 1° strato) e da quelli combinati tra loro che formano il 2° strato. I t. del 1° strato vengono chiamati anche t. di sorgente in quanto sono costitutivi della personalità, mentre quelli che non appartengono a tale strato si chiamano t. di superficie in quanto integrano la descrizione della medesima (Teglasi, Simcox e Kim, 2007). Ogni t. ha il suo opposto con cui forma la specifica dimensione della personalità. Il t. si manifesta in una determinata situazione, senza cui esso è solo una disposizione latente. Il t. sotto un unico termine riassume vari comportamenti che si manifestano in differenti situazioni; i comportamenti sono dei segni o degli indici da cui viene fatta un’inferenza al rispettivo t. latente. Per poter valutare l’intensità di un t. occorre osservare il soggetto in varie situazioni; lo stesso t. può inoltre manifestarsi nelle medesime situazioni in modo differente. I t. si formano nell’interazione del soggetto con il suo ambiente e tale formazione è influenzata in modo rilevante dai fattori genetici. Infatti, i figli della stessa famiglia, nonostante la relativa uniformità del clima formativo dei genitori, presentano una grande variazione in numerosi t. I t. vengono utilizzati in tre grandi aree per diagnosticare o per descrivere la personalità: nel differenziale semantico, nei costrutti personali e nei​​ ​​ questionari di personalità.

2.​​ Critica ai t.​​ Nel 1968, W. Mischel (1968) ha sostenuto che i t. non sono altro che delle schematizzazioni di colui che osserva il comportamento altrui e quindi inesistenti nel soggetto osservato (Rogers, 1995, 619). Il​​ ​​ comportamento umano, di conseguenza, è dovuto alla situazione, i t. sono solo debolmente correlati con i criteri e hanno quindi una scarsa utilità pratica. L’opera di Mischel ha avuto notevole eco e ha contribuito a rinvigorire il neocomportamentismo nel suo aspetto di diagnosi comportamentale, basata sull’osservazione diretta del comportamento. Ai segni del t. è stato sostituito il campione di comportamento. L’obiettivo della diagnosi non è più rappresentato dalla stabilità del comportamento ma dalla sua fluttuazione, dovuta alla situazione e l’attenzione è stata spostata dalle differenze interindividuali a quelle intraindividuali. Volutamente sono state ignorate le cause remote del comportamento mentre l’attenzione veniva rivolta all’apprendimento precedente del soggetto, al suo ambiente attuale e alle conseguenze del comportamento prodotto in una specifica situazione. In quanto ai mezzi diagnostici non sono stati considerati importanti i requisiti tradizionali come la validità di criterio (concorrente e predittiva) e la validità di costrutto. L’unico tipo di validità richiesto per tali mezzi è stato quello della validità di contenuto. La critica di Mischel ha avuto un effetto benefico sui t. in quanto alcune sue affermazioni sono state sottoposte ad una accurata verifica. È stata constatata una grande variazione nei coefficienti per gruppi e t.; alcuni gruppi sono risultati molto consistenti, altri meno consistenti e la stessa cosa valeva per i t. Anche i coefficienti di correlazione considerati bassi da Mischel confermavano in molti casi la loro utilità pratica. Vari t. inoltre risultavano correlati in modo rilevante con alcuni criteri sociali importanti, come per es. l’aggressività infantile con la delinquenza nell’adolescenza. Nella polemica sono stati disattesi i dati ottenuti sui gemelli monozigoti i quali, pur avendo vissuto in ambienti diversi si rassomigliavano notevolmente in numerosi t. L’effetto più importante però consisteva nella combinazione del t. con la situazione e nella riscoperta dell’interazionismo: è stato infatti ampiamente riconosciuto che il comportamento è dovuto sia al t. che alla situazione. Attualmente vari metodi, come la «psicostoria» e la «psicobiografia» hanno confermato che i t. sono molto stabili lungo tutto l’arco della vita umana. Come reazione alla critica sono stati elaborati nuovi questionari con le metodologie più avanzate.

3. Una domanda ineludibile è quella del rapporto dei t. con i disturbi di personalità. Dato che i t. sono positivi e negativi si potrebbe supporre che i primi descrivono il soggetto sano mentre quelli negativi definiscono il soggetto disturbato. In realtà tanto i primi quanto i secondi sono utili per entrambi tipi di soggetti, ma differente è la distribuzione delle frequenze dei medesimi per le due categorie (sana e disturbata). Livesley e Jang (2005), sostengono che i t. (positivi e negativi) dei soggetti affetti da patologia occupano posizioni estreme della distribuzione normale, essendo solo bassi o alti. Inoltre, tali soggetti in determinati t. risultano rigidi in quanto reagiscono a differenti situazioni in modo uguale (un paranoide si sentirà minacciato in ogni situazione e da ogni persona). Ostendorf e Riemann (2005) riportano i dati di alcuni studi secondo i quali la corrispondenza tra il DSM-IV (disordini della personalità) e il Five-Factor Model of Personality - FFM (cinque t. positivi) quanto alla varianza è stata soltanto di 52-70% il che indica da un lato un discreto accordo tra i due procedimenti diagnostici e dall’altro una significativa differenza cogliendo le due situazioni della salute psichica. Di conseguenza Ostendorf e Riemann sostengono che il FFM può diagnosticare i disordini della personalità in modo attendibile e valido.

4.​​ L’utilizzazione educativa.​​ I t., essendo modificabili, si prestano al potenziamento e alla correzione con opportuni interventi educativi. Data la loro notevole stabilità lungo tutta la vita umana, essi offrono la possibilità di prevedere l’evolversi di alcuni comportamenti socialmente indesiderabili (aggressività-delinquenza), e quindi possono costituire interventi di prevenzione già in tenera età. La distinzione tra t. di sorgente e t. di superficie può essere di guida nell’educazione poiché offre una realistica possibilità di prevedere l’efficacia di un intervento in quanto i primi sono più resistenti al cambiamento dei secondi. Infine i t. danno la possibilità di prevedere (ed anche prevenire) l’esito dell’interazione tra il soggetto e la situazione specifica nell’adattamento scolastico, professionale e sociale (​​ orientamento, teoria di Holland).

Bibliografia

Mischel W.,​​ Personality and assessment, New York, Wiley, 1968; Rogers T. B.,​​ The psychological testing enterprise: an introduction, Pacific Grove, Brooks / Cole, 1995; Matthews G. - I. J. Deary,​​ Personality traits, Cambridge, Cambridge University Press, 1998; Ostendorf F.- R. Riemann,​​ Personality and personality disorders: introduction to the special issue, in «European Journal of Personality» 19 (2005) 249-256; Livesley W. J. - K. L. Jang,​​ Differentiating normal,​​ abnormal,​​ and disorder personality, in «European Journal of Personality» 19 (2005), 257-268; Teglasi H. - A. G. Simcox - N. Y. Kim,​​ Personality constructs and measures, in «Psychology in the Schools» 44 (2007) 215-228.

K. Poláček




TUTORE

 

TUTORE

Dal lat.​​ tutor​​ (protettore, custode, difensore), giuridicamente il t. è preposto alla difesa dei diritti di un minore, di un incapace o di un interdetto. Nel linguaggio pedagogico t. sta ad indicare la figura e il ruolo di chi sostiene in modo personalizzato 1’​​ ​​ apprendimento degli alunni, affiancando l’opera educativa dell’insegnante.

1. La pratica del tutorato trova i suoi precedenti storici nell’azione dei precettori dei giovani nobili e nelle forme di​​ tutoring​​ dei collegi aristocratici inglesi (che in ciò riprendevano tradizioni di scuole monastiche o episcopali). In alcuni Paesi la figura e il ruolo del t. è stata giuridicamente prevista per tutti gli alunni nel contesto di processi di apprendimento scolastico ed universitario. Il t. si distingue dal​​ counselor​​ e dall’orientatore in virtù di una sua più intensa e diretta attività formativa.

2. Mentre l’insegnante conduce la sua attività di istruzione e di formazione sull’intera classe, il t. aiuta i singoli alunni nell’apprendimento e nel superamento delle difficoltà di adattamento generale. Secondo le necessità individuali egli rivede i loro lavori scritti, suggerisce metodi di apprendimento più efficaci, li sostiene nelle crisi e li aiuta nelle decisioni scolastiche ed esistenziali. Il suo ruolo è espresso bene anche con i tre seguenti termini: guida, consigliere ed amico. Nel compito del t. vi è una «estensione» dell’opera educativa dei genitori dell’alunno, poiché egli contribuisce sia alla sua formazione intellettuale sia a quella etico-morale.

3. Diversamente dagli altri Paesi europei in Italia il t. è stato introdotto nella scuola solo recentemente (2003). La Marca (2005) ha elaborato un dettagliato quadro teorico-pratico per la formazione degli insegnanti-tutor ai loro compiti. L’autrice, in sostanza, riprende e amplia i compiti del t. riportati al n. 2 articolandoli nei seguenti argomenti: analisi delle caratteristiche sulle quali si fonda la professionalità del t., diversamente la capacità di dialogo, relazione empatica nei confronti dei destinatari della sua attività professionale e cioè verso gli alunni e i loro genitori. Particolarmente importante è la relazione con i genitori perché il suo compito è quello di stabilire un collegamento tra famiglia e scuola e fondare in tal modo l’unità di criteri dell’azione educativa. L’autrice poi, seguendo alcuni autori stranieri, definisce le competenze dell’insegnante tutor «riflessivo» raggruppate in cinque campi sotto i titoli: competenze legate alla vita della classe; competenze individuate nel rapporto con gli alunni e con le loro particolarità; competenze connesse con le discipline insegnate; competenze relative all’ambiente sociale e infine competenze inerenti alla persona. Vengono poi dati validi consigli su come condurre il colloquio con gli alunni di vari livelli di scolarità. C’è solo da augurarsi che la valida proposta per la formazione dei tutor della autrice possa trovare la piena realizzazione nella scuola di ogni ordine e grado della scuola italiana.

4. Nei Paesi in cui il t. svolge la sua attività nella scuola, da vari decenni è stato possibile verificare l’effetto sugli alunni di interventi programmati e svolti collegialmente. Secondo alcune ricerche riassunte da Cohen, Kulik e Kulik (1982), il risultato è stato molto positivo: gli alunni che hanno partecipato ai vari programmi hanno migliorato il rendimento, hanno potenziato il concetto e la stima di sé ed hanno pure migliorato l’atteggiamento verso le discipline scolastiche.

Bibliografia

Artigot Ramos M.,​​ La tutoría,​​ Madrid, Universidad Complutense,​​ 1973; Cohen P. A. - J. A. Kulik - C. L. Kulik,​​ Educational outcomes of tutoring: a meta-analysis of findings,​​ in «American Educational Research Journal» 19 (1982) 237-248; La Marca A.,​​ La funzione educativa dell’insegnante-tutor,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 52 (2005) 835-857.

K. Poláček