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TEMPO LIBERO

 

TEMPO LIBERO

Il termine viene messo in contrapposizione al t. «necessario» (comprensivo delle varie attività fisiologiche quali mangiare, dormire...), «obbligato» (il lavoro e la scuola, per chi ne ha l’obbligo), «impegnato» (nei confronti dei differenti compiti / ruoli che la vita porta ad assumere). J. Dumazedier (1985) considera il t.l. un insieme di occupazioni a cui l’individuo si dedica dopo aver disimpegnato gli obblighi professionali, familiari e sociali, e che riguardano attività alle quali ci si dispone volentieri, come il riposo, il divertimento, la formazione, lo sviluppo delle proprie abilità e conoscenze.

1.​​ La parabola del concetto di t.l.​​ Benché assai vicino al concetto latino di​​ otium​​ (t. per la riflessione, la meditazione, il gioco, la crescita e la cura del proprio essere, da contrapporre al t. speso nel fare​​ negotium), il t.l. se ne distingue per non rientrare negli schemi di un t. organizzato. Nell’ambito della ricerca sociale il t.l. viene quindi interpretato come un momento di mediazione fra l’individuale ed il sociale; momento considerato a sua volta decisivo per il conseguimento di una superiore qualità della vita. Prima ancora che presso i romani, il concetto di t.l. dagli impegni primari si è affermato nella​​ scholé​​ dei greci. Tanto​​ ​​ Aristotele (nell’Etica nicomachea) che​​ ​​ Platone (nelle​​ Leggi) individuano infatti il modo migliore di spendere una quota-t. della propria vita nell’attività contemplativa, nello studio, nella sfera dell’etica e nell’arte del filosofare. E tuttavia a partire dall’epoca greco-romana fino ai giorni nostri si è perso in pratica ogni traccia del concetto di t.l. Il suo recupero avviene nel sec. scorso ed è databile attorno agli anni ’60, quelli del «boom» economico, quando le società capitalistiche hanno riscoperto la peculiare dimensione dell’investimento del t. in funzione di sé e in forma alternativa alle differenti modalità di consumo. Ma non tutte le società e / o non tutte le classi sociali sono oggi in grado di usufruire dei vantaggi derivanti dall’uso del t.l. Limitatamente ai Paesi a sistema capitalistico avanzato, il t.l. si è affermato poco alla volta come una vera e propria «conquista» di massa, a fronte dell’alienazione indotta da un’ideologia che esalta la produttività fine a se stessa e reprime i valori umani. Con il diffondersi di forme sempre più sofisticate di industrializzazione, il lavoro umano viene sostituito dalla macchina e tende a non essere più l’unica fonte di realizzazione; di conseguenza l’asse degli interessi si sposta verso altri sistemi di significato. Oggi in particolare il consumo del t.l. fa sempre più riferimento e / o viene preferibilmente coniugato con i termini di vacanza e di turismo, e la ricostruzione storica del fenomeno fatta da Löfgren (2006), permette di evidenziare come entrambi abbiano influenzato / cambiato nel tempo il nostro modo di concepirlo e di organizzarlo. Il t.l. infatti è diventato poco alla volta la valvola di scarico delle tensioni accumulate da un lavoro parcellizzato e sempre più alienante, al punto da essere interpretato come un’attività svincolata da un certo tipo di produttività che appartiene al mondo capitalista. Tutto ciò induce ad evidenziare anche i suoi limiti: il concetto di un t. considerato «libero», infatti, non si è ancora diffuso nei paesi più poveri e / o in via di sviluppo, per i quali anzi la questione non si pone affatto o quasi. È questo uno dei motivi per cui oggi il t.l. continua ad essere interpretato come il prodotto di un sistema economico che scandisce il t. fra attività retribuite (il lavoro) e / o segnate da vincoli comunemente riconosciuti (la scuola, lo studio, le attività domestiche...) e quello «libero» da compiti / impegni prestabiliti. Tutto ciò presuppone una società governata da ritmi temporali alternati sulla base dell’assunzione di precisi impegni, orari, esigenze, prestazioni; una organizzazione che fa attribuire al t. una doppia «facciata»: di t. occupato e libero, di t. pieno e vuoto, di t. obbligato e da spendere a piacere.

2.​​ «Libero» da che cosa?​​ Parte di quelle ragioni che impediscono ai Paesi più poveri e / o alle classi sociali meno abbienti di porsi la questione del t.l., oggi si confermano più che mai valide anche per i Paesi ad economia capitalistica avanzata, a causa della crisi stessa che sta attraversando il loro sistema sociale. Il progressivo abbassamento della soglia delle 40 ore settimanali, i processi sempre più frequenti di espulsione dai tradizionali impegni e / o luoghi di produzione (che vanno sotto il nome di disoccupazione, cassaintegrazione, prepensionamento...), l’ingigantirsi dei processi informatici, il consumo dei prodotti audiovisivi, il parallelo accrescersi del consumo dei prodotti culturali / ricreativi / turistici di massa, hanno scatenato un’euforia edonistica che a lungo andare ha provocato processi di saturazione, al punto che il consumo di massa del t.l. ripropone problemi di alienazione molto simili negli effetti a quelli che si verificano sui luoghi stessi della produzione: in altre parole, il t. che viene tolto all’occupazione e agli impegni retribuiti rischia di divenire un «vuoto-a-perdere» e, quindi, non più «libero» ma da spendere in forma altrettanto alienante come nel lavoro. Sembrerebbe delinearsi in tal modo una ellissi storica del t.l. che, da attività produttiva di fonti alternative di realizzazione, regredisce fino a diventare esso stesso causa di quel «disagio interiore» contro il quale era nato come antidoto, perdendo così la sua funzione liberatrice. È questo il motivo per cui oggi si cerca di escogitare sempre nuove «evasioni» e modelli alternativi nel consumo del t.l., che siano in grado di allontanare la monotonia e l’anomia del quotidiano.

3.​​ Verso un t.l. «liberato»?​​ In considerazione della crescente distinzione tra t.l. e occupato, le ricerche più recenti tendono a superare tale dicotomia per introdurre un concetto di t. che si integri con il processo di​​ ​​ autorealizzazione e a cui concorrano fattori intervenienti di variegata estrazione, in funzione interattiva e non più semplicemente compensativa. È così che lo svago, il divertimento, ma anche la ricerca culturale, la contemplazione e / o «l’occupazione della mente» rappresentano una promessa di realizzazione individuale e collettiva insieme, un’apertura ad un diverso modo di esistere, per una migliore qualità della vita. Se considerato nell’ottica dell’autorealizzazione, infatti, tra t. occupato e «liberato» scorre una sotterranea continuità che rende indefinibili i due confini. In base a questo concetto il t. inteso nel senso di «libero» non può più essere definito in contrapposizione ad altre quote di t. soggette ad una coercizione esterna, ma è un tutt’uno con i vari t. del quotidiano, dal momento che essi vengono vissuti ed interpretati dall’individuo come parte integrante per la realizzazione globale del proprio sistema di significato esistenziale. Così facendo ci si riavvicina nuovamente a quello che per gli antichi era il concetto di​​ otium? Se così fosse si potrebbe asserire di assistere appunto ad una ellissi storica del concetto di «t.» dove per «libero» si intende non solo e non tanto la ricerca del riposo e / o dell’«effimero», ma piuttosto un «t. liberatorio», ossia uno «spazio-di-libertà» finalizzato alla riappropriazione di sé, all’autorealizzazione ed alla integrazione sociale, per una diversa interpretazione della qualità della vita. In altri termini si tratta quindi di uno spazio di t. da investire nella ricerca e nella costruzione di un’identità individuale e collettiva. In definitiva, un t.l. da rivisitare e / o «da-liberare» e forse in parte ancora da «re-inventare» nella sua funzione catartica e liberatoria.

Bibliografia

Dumazedier J.,​​ Sociologia del t.l., Milano, Angeli, 1985; Baratta G. - P. Raineri,​​ Prospettive delle attività del turismo e del t.l., Roma, Edizioni Lavoro, 2001; Martino V.,​​ Non solo media: scenari,​​ fonti e percorsi di ricerca sul t.l., Milano, Angeli, 2005; Canciani D. - P. Sartori,​​ Tutto il t. che va via.​​ Come il t.l. aiuta a crescere, Roma, Armando, 2005; Löfgren O.,​​ Storia delle vacanze, Milano, Mondadori, 2006.

V. Pieroni




TEOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

 

TEOLOGIA DELL’EDUCAZIONE

Per t.d.e. si intende lo studio sistematico dei problemi educativi alla luce della fede cristiana, costituitosi recentemente come nuova disciplina teologica con funzione integrativa della filosofia dell’educazione in istituzioni universitarie di pedagogia di orientamento cristiano.

1.​​ Origine.​​ È da appena una cinquantina d’anni che si parla di t.d.e. Tuttavia riflessioni occasionali o sistematiche sull’educazione e la formazione umana di natura teologica sono rintracciabili in diversi scritti dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali e moderni. Gli storici della pedagogia le collocano sotto la categoria generica di​​ ​​ pedagogia cristiana, ma non le qualificano normalmente come teologiche. Prima ancora che si parlasse di t.d.e., durante la prima metà di questo secolo, si affermò tra i pedagogisti cattolici di lingua tedesca, l’esigenza di una fondazione teologica della pedagogia cristiana, la quale, nel frattempo, era stata elevata da​​ ​​ Willmann​​ alla dignità di «scienza cristiana dell’educazione». Però, anche quando la t.d.e. altrove si era già affermata, ci furono sempre notevoli resistenze a dare il nome di t.d.e. a questa fondazione teologica della pedagogia cristiana, nonostante la proposta di qualche studioso sia cattolico (F. Pöggeler) che evangelico (H. Köhler). Sempre nell’area culturale tedesca ma nell’ambito della confessione evangelica, a partire dagli anni Venti / Trenta con l’affermarsi della rinascita luterana e della t. di K. Barth, apparvero vari studi di natura teologica sull’educazione, studi, però, che definivano in termini di opposizione dialettica i rapporti tra fede ed educazione e tra t. e pedagogia. Questi scritti, ripresi e approfonditi dopo la seconda guerra mondiale, ebbero un notevole influsso su diversi pedagogisti cattolici di lingua tedesca, i quali cominciarono a rivedere in modo critico le loro posizioni tradizionali, contestate tra l’altro anche dai rappresentanti della pedagogia scientifica per motivi di tipo epistemologico. Queste differenti concezioni della pedagogia cristiana e dei rapporti tra pedagogia e t., emerse in ambito cattolico ed evangelico nei Paesi di lingua tedesca, arrivarono, già a partire dagli anni Trenta / Quaranta, nei paesi latini e anglosassoni attraverso la mediazione del mondo culturale fiammingo e contribuirono, assieme ad altri fattori, alla nascita della t.d.e. come nuova disciplina teologica. In ambito cattolico si affermò anzitutto l’esigenza di una fondazione teologica della pedagogia cristiana. Infatti quando nel 1949, al Congresso Internazionale di Pedagogia di Santander (Spagna) per la prima volta si parlò ufficialmente di t.d.e., questa fu presentata come la concretizzazione di tale esigenza (​​ C. Leôncio da Silva). Altre circostanze contribuirono efficacemente ad un suo primo e progressivo affermarsi. Anzitutto l’invito rivolto ai teologi da G. Thils, di occuparsi anche delle «realtà terrestri» (tra queste l’educazione), creando nuove discipline teologiche accanto a quelle tradizionali. In secondo luogo la necessità di distinguere, per correttezza epistemologica, nell’ambito di una teoria generale dell’educazione di ispirazione cristiana, la prospettiva filosofica da quella teologica, arrivando conseguentemente alla creazione di due discipline distinte: la filosofia dell’educazione e la t.d.e. (J. Mortimer Adler e E. A. Fitzpatrick, 1950). Queste ed altre cause resero possibile, a partire dal 1945, la nascita della t.d.e. come disciplina universitaria all’interno dell’Istituto Superiore di Pedagogia dell’allora Pontificio Ateneo Salesiano. Attualmente essa fa parte, assieme alla filosofia dell’educazione, delle discipline comuni dei vari curricoli della Facoltà di Scienze dell’Educazione nell’Università Pontificia Salesiana. I primi progetti di t.d.e. appaiono nel 1950 per opera di C. Leôncio da Silva e di E. A. Fitzpatrick. Durante gli anni Sessanta e Settanta la t.d.e. diviene oggetto di ulteriori riflessioni, di consensi e di critiche (E. Murtas,​​ ​​ G. Corallo, P. Braido). Per quanto riguarda il mondo protestante anglicano, troviamo la t.d.e. presente nel curricolo di pedagogia, a partire dal 1972, nell’università di Birmingham (Regno Unito), dove dal 1977, nella nuova facoltà di pedagogia, è possibile conseguire un «Master of Education Degree» in «Theology and Education» (J. M. Hull, L. J. Francis e A. Thatcher, 1990).

2.​​ Crisi e trasformazione. Durante gli anni del postconcilio, in seguito alle profonde trasformazioni operatesi nell’ambito della t. cattolica ed evangelica e all’intensificarsi del dialogo tra le due confessioni cristiane e tra la t. e le scienze umane, la t.d.e. andò in crisi e sentì il bisogno di trasformarsi. Studiosi cattolici ed evangelici si preoccuparono di rivedere le loro posizioni sul senso di una t.d.e. intesa come t. delle realtà terrestri (R. Spaemann, 1964; I. G. Carrasco, 1969), sui rapporti tra fede ed educazione, tra t. e scienza / e dell’educazione (H. Bokelmann, 1969). Su quest’ultimo tema è doveroso ricordare a parte l’opera decisiva di H. Schilling (1970). Negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta del sec. scorso vengono pubblicati diversi studi di t.d.e., tra i quali il saggio di t. biblica dell’educazione di C. Bissoli (1981, 1983); le riflessioni critico-metodologiche di G. Colombo (1989) sulla natura della t.d.e.; le interessanti prospettive di G. Abbà (1989, 1991) per la costruzione di una teoria dell’educazione morale all’interno di un’etica della virtù, contenuta nella t. di s.​​ ​​ Tommaso d’Aquino; e una nostra indagine sull’origine, natura, compiti della t.d.e. (1991).

3.​​ Natura e metodo di una t.d.e. rinnovata. Utilizzando i risultati di questa indagine, vorremmo tentare un ripensamento della t.d.e., offrendo piste di soluzione a problemi rimasti ancora aperti. Riteniamo necessario, come prima cosa, ribadirne la natura «teologica». La t.d.e. non intende in alcun modo identificarsi né sostituire la pedagogia cristiana e neppure potrebbe essere considerata in senso stretto una «scienza dell’educazione». In quanto disciplina teologica, essa ha come suo oggetto proprio la Parola di Dio riguardante, direttamente o indirettamente, l’educazione in tutta la sua complessità. La Parola di Dio, però, è «incarnata» in una pluralità di eventi, di linguaggi (biblici, liturgici, magisteriali), di prassi e di istituzioni ecclesiali, il tutto profondamente connotato dalle culture nelle quali fu espresso e trasmesso; per conseguenza essa è raggiungibile solo attraverso la previa interpretazione delle mediazioni umane, soprattutto ma non unicamente linguistiche, che in qualche modo la contengono. Perciò il teologo deve, mediante un’indagine scientifica di tipo ermeneutico, tentare di scoprire, nei testi biblici, ciò che Dio volle dire all’uomo sull’educazione attraverso gli autori umani che li hanno redatti e, nei testi della tradizione, ciò che la Chiesa ha ritenuto come Parola di Dio sull’educazione, quindi supremamente normativa per la sua fede e la sua vita. Facendo questa ricerca, il teologo dovrebbe essere animato dalla convinzione che la Parola di Dio, anche se pronunciata nel passato e incarnata in determinate culture, non si identifica totalmente con le formule nelle quali fu espressa e tramandata, ma le supera immensamente. Perciò si chiede se siano possibili e legittime nuove interpretazioni della Parola di Dio sull’educazione, che permettano non solo di superare le formule e le prassi tradizionali, ma anche di costruirne di nuove, le quali, senza essere in contraddizione con quelle che la Chiesa ha «definito» nel passato, risultino più rispondenti alle esigenze della situazione culturale, nella quale le comunità cristiane devono confessare e testimoniare la loro fede. Al termine di questa indagine, il teologo dovrebbe essere in grado di formulare una sintesi dei contenuti della Parola di Dio sull’educazione nella sua complessità, non solo organizzando in modo sistematico e logicamente coerente le affermazioni bibliche e quelle della tradizione, ma anche mettendo in luce la rilevanza pedagogica dell’antropologia e della teleologia contenute nel sistema teologico al quale ha aderito o lui stesso si è costruito. Il teologo, però, costata che la Parola di Dio, pur con tutta la luce che gli apporta e le ispirazioni che gli può suggerire, non basta da sola a risolvere i problemi educativi concreti, dai quali tutta la ricerca teologica ha preso le mosse. Ciò è dovuto alle finalità essenzialmente (ma non esclusivamente) soteriologiche della Parola di Dio rivolta all’uomo nell’A. e nel N.T., anche nei casi in cui essa si occupa direttamente o indirettamente di educazione Inoltre questa Parola, a causa del suo stato di acculturazione, è necessariamente «datata», e quindi non può, da sola, offrire soluzioni «concrete» ai problemi sempre nuovi, che l’impatto della fede con la cultura genera in continuità in campo educativo. Tuttavia, proprio perché l’intenzione comunicativa di Dio supera sia le formulazioni linguistiche che la esprimono come pure le realizzazioni prassiche e istituzionali escogitate dalle comunità cristiane del passato per incarnarne gli imperativi pratici, il teologo si sente obbligato, in quanto uomo e in quanto cristiano, ad impegnare la sua ragione e tutto il suo sapere in una ricerca creativa di soluzioni concrete, che siano valide nel contesto culturale in cui egli vive, e, nello stesso tempo, compatibili coi contenuti essenziali e con gli orizzonti di significato della Parola di Dio nella sua totalità. Questo compito ulteriore, però, il teologo può realizzarlo solo mediante un dialogo interdisciplinare con il sapere pedagogico (​​ epistemologia pedagogica).

4.​​ Le funzioni della t.d.e. nel dialogo interdisciplinare con le scienze dell’educazione.​​ I tradizionali modelli di rapporto tra la t. e la pedagogia cristiana (modelli di tipo gerarchico o analogico), oggi, tendono a ristrutturarsi secondo i nuovi paradigmi dialogici di tipo multidisciplinare o interdisciplinare. Essi tengono conto dello sviluppo attuale della t.d.e. e della trasformazione della pedagogia in scienze dell’educazione. All’interno di questo dialogo la t.d.e. esercita nei confronti delle scienze dell’educazione una triplice funzione: critica, stimolatrice e integratrice. Anzitutto una funzione​​ critica. Si tratta di un atteggiamento critico sia verso la propria antropologia e teleologia che verso quella del partner. È necessario prima di tutto scoprire, all’interno della Parola di Dio, un’antropologia e una teleologia, che permettano una più profonda comprensione del mistero dell’uomo, delle sue strutture, della sua condizione esistenziale, dei suoi fini, entro cui interpretare la Parola di Dio sull’educazione. In secondo luogo l’atteggiamento critico è verso le antropologie e le teleologie sottese dalle diverse teorie pedagogiche, chiedendosi fin dove e in che modo la concezione dell’uomo, veicolata da queste teorie, sia in consonanza con la Parola di Dio. Nell’uno e nell’altro caso questo lavoro di revisione critica viene fatto in funzione di una eventuale collaborazione tra t.d.e. e scienze dell’educazione. In secondo luogo una funzione​​ stimolatrice. Lo studio sempre più approfondito della Parola di Dio sull’educazione offre al teologo la possibilità di scoprire prospettive inedite sull’educazione, che egli comunica ai cultori delle scienze dell’educazione in funzione della costruzione di nuove teorie pedagogiche. E infine una funzione​​ integratrice.​​ La t.d.e. è impegnata a ricavare dalla Parola di Dio sull’uomo e sul suo destino un valido orizzonte ultimo di senso per tutta l’attività umana, quindi anche per l’educazione. Inoltre la t.d.e., esercitando le due funzioni precedenti nei confronti delle scienze dell’educazione, può entrare in collaborazione con esse per la costruzione di teorie pedagogiche e strategie didattiche, che possano qualificarsi come cristiane, non perché diventano teologiche, ma perché studiano e progettano i processi di maturazione umana (in se stessi comuni a tutti gli uomini), all’interno dei processi di​​ ​​ conversione e di crescita cristiana.

5.​​ Compiti attuali della t.d.e.​​ Riteniamo che oggi la t.d.e. dovrebbe far fronte ai seguenti quattro impegni specifici. Con l’aiuto delle scienze dell’educazione, dovrebbe anzitutto recensire i principali problemi che le culture attuali pongono alla fede delle comunità cristiane in campo educativo e pedagogico. Dovrebbe in secondo luogo assumere con vivo senso critico le attese delle comunità cristiane circa la natura e i contenuti della salvezza cristiana (una salvezza liberatrice e promotrice di umanità), i problemi dell’autonomia – relativa – delle realtà e finalità temporali, il significato della funzione umanizzatrice dell’educazione. In terzo luogo la t.d.e. dovrebbe studiare a fondo i processi di conversione e di crescita cristiana, per comprendere in qual modo possano diventare contemporaneamente processi di autentica promozione e maturazione umana. E infine la t.d.e., sempre in collaborazione con le scienze dell’educazione, dovrebbe arrivare a tracciare i parametri fondamentali di un itinerario di crescita e maturazione umano-cristiana sia a livello personale che comunitario, definendo contemporaneamente le componenti essenziali dell’​​ ​​ educazione cristiana.

Bibliografia

Schilling H.,​​ T. e scienze dell’educazione. Problemi epistemologici. Introduzione di G. Groppo, Roma, Armando, 1974; Bissoli C.,​​ Bibbia e educazione. Contributo storico-critico ad una t.d.e.,​​ Roma, LAS, 1981; Colombo G., «Per una t.d.e.», in G. Saldarini (Ed.),​​ Il presbitero educatore,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme, 1989, 48-77; Francis L. J. - A. Thatcher (Edd.),​​ Christian perspectives for education, Leominster, Fowler Wright Books, 1990; Abbà G.,​​ Una filosofia morale per l’educazione alla vita buona, in «Salesianum» 53 (1991) 273-314; Groppo G.,​​ T.d.e. Origine identità compiti, Roma, LAS, 1991; Crump Miller R. (Ed.),​​ Theologies of religious education, Birmingham, Religious Education Press, 1995;​​ De la Tribouille A.,​​ L’éducation à la lumière de la Révélation, Paris, Mame / Cerf​​ 1996; Bissoli C.,​​ Il dibattito sulla pedagogia cristiana. Alcune puntualizzazioni, in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007) 357-368.

G. Groppo




TEORIA DEI SISTEMI

 

TEORIA DEI SISTEMI

L’approccio chiamato t.d.s., risalente alle intuizioni di L. von Bertalanffy, attinge alle scienze dell’ingegneria, della biologia, della psicologia della​​ ​​ Gestalt e specialmente della cibernetica e delle teorie dell’informazione. Esso tende alla ricerca di leggi e di principi generali che si possano applicare ai sistemi presenti in tutte le aree della scienza.

1. La t.d.s. sottolinea l’importanza delle funzioni di controllo e di regolazione (omeostasi), lo scambio di informazione con l’ambiente esterno, la necessità di un centro di governo dei sistemi, la capacità peculiare dei sistemi viventi, inclusi quelli sociali, di svilupparsi reagendo alle variazioni degli input provenienti dall’esterno, infine la presenza di processi che tendono continuamente a modificare la struttura e lo stato del sistema. Il modello sistemico intende esaminare un processo o un evento, come unitario e organico in se stesso non come fenomeno isolato, ma come parte correlata e interdipendente con altre componenti di una unità più complessa. Un sistema può essere a sua volta parte (sottosistema) di un sistema superiore, o includere in sé altri sottosistemi inferiori. Si parla quindi di «modello sistemico di lettura della realtà», quando essa viene percepita come un «sistema di sistemi», dove il concetto di sistema include tre leggi fondamentali: la interrelazione tra gli elementi, la loro unità globale e l’organizzazione delle interrelazioni tra di loro. I servizi possono essere aperti o chiusi, stabili o instabili, rigidamente deterministici o imprevedibili, coscienti o inconsci.

2. Tale approccio, in un tempo in cui tutto il mondo sta diventando un «sistema sociale unico» anche se variegato e complesso, offre il grande vantaggio di poter ragionare su oggetti di natura diversa e di porli sistematicamente in relazione, nel quadro di uno schema rigorosamente unitario. La t.d.s. aiuta a capire, a spiegare il disegno e le origini e a prevedere i possibili sviluppi della trama delle diverse interdipendenze. Risente però dei limiti di una visione piuttosto strutturalistica della realtà. Per l’educatore un «saper fare» sistemico significa comprensione e cambiamento non solo dell’individuo ma anche del contesto e quindi intervento non solo verso la persona, ma anche verso le reti primarie della stessa e i gruppi territoriali più ampi, come avviene nella pedagogia sociale e nelle politiche dei​​ ​​ servizi sociali.

Bibliografia

Gallino L.,​​ La società,​​ perché cambia e come funziona: un’introduzione sistemica alla sociologia, Torino, Paravia, 1980; Campanini A. M. - F. Luppi (Edd.),​​ Servizio sociale e modello sistemico, Roma, NIS, 1988; Collins R.,​​ Teorie sociologiche, Bologna, Il Mulino, 1992; Gavagnino G.,​​ Modello sistemico e analisi dei servizi, Roma, NIS, 1992;​​ Sanchis Llopis R.,​​ Problemas resueltos de teoría de sistemas,​​ Valencia, Publicacions de la Universitat Jaume I, Servei de Comunicació i Publicacions,​​ 2002; Addario N. (Ed.),​​ T.d.s. sociali e modernità, Roma, Carocci, 2003; Bertalanffy L. von,​​ T. generale d.s. Fondamenti,​​ sviluppo e applicazioni,​​ Milano, Mondadori, 2004.

R. Mion




teoria della INFORMAZIONE

 

INFORMAZIONE: teoria della

Nell’uso corrente l’i. si identifica con la trasmissione di notizie o di fatti. Con l’avvento della teoria dell’i. (Shannon-Weaver, 1949), con lo studio cioè della successione delle grandezze fisiche e misurabili che compongono un messaggio, il termine ha assunto un significato più ristretto, che non coincide con il contenuto di un messaggio, ma con il suo aspetto quantitativo, con il «carico», o il valore, che gli elementi linguistici acquistano, in relazione al grado di incertezza e di imprevedibilità della loro occorrenza nel contesto.

l. Così nella successione dei lessemi nella struttura frasale​​ la capitale d’Italia è...​​ il termine​​ Roma​​ è altamente prevedibile e pertanto di i. nulla. All’opposto, nel sintagma nominale​​ un bicchiere di...,​​ esistendo la possibilità di più occorrenze (acqua,​​ latte,​​ vino,​​ birra...),​​ l’elemento integrativo adnominale che vi compare sarà contrassegnato da un alto grado di i. Se ne evince che, quanto maggiore è la probabilità di occorrenza di un elemento linguistico, tanto minore è la quantità di i. che viene trasmessa; o, detto altrimenti, la quantità di i. è inversamente proporzionale alla probabilità di occorrenza di un determinato elemento. Il numero di possibili alternative, come nell’esempio del sintagma nominale​​ un bicchiere di...,​​ consente inoltre di quantificare il grado di i.: la scelta infatti di una fra due alternative ugualmente probabili determina l’unità di misura della quantità di i., unità chiamata​​ bit,​​ abbreviazione dall’ingl.​​ Bi(nary digi)t​​ («cifra binaria»).

2. Fra i testi altamente informativi figurano, per la specificità della loro natura, quelli poetico-letterari, in quanto dotati di una forte ambiguità; la parola poetica, infatti, passando dalla lingua di uso alla lingua di ri-uso, subisce una sorta di «straniamento», che la priva della sua trasparenza denotativa per renderla connotativamente «opaca» o ambigua, risemantizzandola sulla base dell’insieme compositivo in cui si colloca e delle interpretazioni che ne traggono i lettori. Vale anche in questo caso il principio già affermato: il grado di i. di un testo poetico è pari al suo grado di ambiguità e imprevedibilità. Si veda, per es., la brevissima lirica di G. Ungaretti​​ M’illumino / d’immenso,​​ dove «immenso» è informativamente ricco, per l’imprevedibilità di cui è connotato. Altrettanto si verifica nel testo di G. Caproni «Pensierino facile»:​​ Ecco cosa non bisogna / mai scordare: la sola / verità ammissibile / è una: la menzogna,​​ con l’inattesa «menzogna» della chiusa.

Bibliografia

Shannon C. E. - W. Weaver,​​ Mathematical theory of communication,​​ Urbana, University of Illinois Press, 1949; Miller G. A.,​​ Linguaggio e comunicazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1972; Beccaria G. L.,​​ L’autonomia del significante,​​ Torino, Einaudi, 1975; Jakobson R.,​​ Poetica e poesia,​​ Ibid., 1985; Angeleri E.,​​ I.: significato e universalità, Torino, UTET, 2000.

G. Proverbio




TERMAN Lewis Madison

 

TERMAN Lewis Madison

n. a Johnson County, Indiana, nel 1877 - m. a Stanford, California, nel 1956, psicologo americano.

1.​​ La vita. Dodicesimo di 14 figli, ha alternato il lavoro dei campi con lo studio e l’insegnamento. Nel 1905 si è laureato alla Clark University diretta da Stanley Hall con una dissertazione sulle differenze individuali. Nel 1910 si è trasferito a Stanford come assistente al Department of Education; nel 1916 è divenuto professore nella stessa università e vi ha insegnato fino al termine della sua carriera.

2.​​ L’opera. T. ha iniziato (nel 1904) con lo studio degli aspetti qualitativi dei processi mentali; ha proseguito, in collaborazione con Childs, studiando i test d’intelligenza e nel 1916 ha pubblicato​​ The measurement of intelligence, una rielaborazione della scala di Binet-Simon; nel 1937 (con M. A. Merrill) ne ha curato un secondo adattamento. La revisione di Stanford ha ampliato la scala, creato due versioni parallele (L e M) per l’uso ripetuto con gli stessi soggetti, aggiunto nuovi quesiti anche non verbali, ristudiato minutamente anche la standardizzazione. Durante la guerra, T. ha lavorato nello​​ Scott’s Committee​​ per l’applicazione dei​​ ​​ test nella selezione e assegnazione del personale militare. Dopo la guerra ha lavorato al​​ National intelligence test, al​​ T. group test of mental ability, allo​​ Stanford achievement test. Come membro dell’University Scholarship Committee​​ ha proposto l’utilizzazione dei test nella selezione dei candidati all’università. La valutazione dell’intelligenza per mezzo dei reattivi è stato l’asse portante dell’attività di T. e del suo grande influsso sulle scuole americane. Ha lavorato a lungo sui​​ ​​ superdotati e pubblicato i risultati di tali ricerche nei volumi su​​ Genetic studies of genius. Questi studi, come quelli del condiscepolo e amico A. Gesell, sono prevalentemente descrittivi e senza ipotesi interpretative.

Bibliografia

Principali opere di T.:​​ The measurement of intelligence, Boston, Houghton Mifflin, 1916;​​ Genetic studies of genius, 5 voll., Stanford, Stanford University Press, 1925-1959. Su T.: Minton H. L.,​​ L.M.T.: pioneer in psychological testing, New York, New York University Press, 1988.

C. Coggi




TEST PSICOLOGICI

 

TEST PSICOLOGICI

Il t. è uno strumento scientifico elaborato con una articolata metodologia per rilevare una o più caratteristiche della​​ ​​ personalità; il risultato ottenuto viene espresso numericamente oppure assegnando i soggetti ad una determinata categoria a seconda della caratteristica in essa presente. Il t. è simile all’esperimento in quanto lo stimolo è scelto con cura, la situazione è predisposta allo scopo e la risposta del soggetto è valutata secondo precise regole.

1.​​ Precisazioni.​​ Questa definizione è adatta ai t. che misurano i costrutti psicologici e i​​ ​​ tratti della personalità, ma non corrisponde altrettanto bene a strumenti come le​​ ​​ tecniche proiettive oppure le scale di​​ ​​ osservazione della​​ ​​ diagnosi comportamentale. La ragione è dovuta al fatto che sia i costrutti sia i tratti sono intesi come entità teoriche che unificano i fenomeni osservabili sotto un solo denominatore e sono presenti nel soggetto come delle variabili latenti e costanti. Essi si manifestano nel comportamento per mezzo di segni dai quali si deduce la rispettiva variabile latente; per rilevarla viene usato uno stimolo cognitivo, quindi comprensibile ed univoco. Tutti i soggetti ai quali viene somministrato il t. devono intenderlo allo stesso modo e devono variare soltanto le loro risposte secondo la propria struttura individuale. Le tecniche proiettive invece adottano degli stimoli (visivi, uditivi, iconici) volutamente ambigui (macchie o scene sfumate) perché il soggetto possa proiettare in essi i suoi stati d’animo, i sentimenti, i desideri e le emozioni. La valutazione delle risposte è globale ed elastica; la diagnosi comportamentale è basata sull’osservazione diretta del soggetto; i costrutti e i tratti sono sostituiti dal campione di comportamento e vengono ridotte al massimo le illazioni e le estrapolazioni. La valutazione è basata sul funzionamento del soggetto nella specifica situazione e sulle cause che provocano e mantengono il comportamento.

2.​​ Uso.​​ I t. vengono utilizzati per molteplici finalità; tra le prime è la​​ diagnosi.​​ Poiché lo sviluppo umano presenta dei rischi, deve essere condotto un periodico accertamento per verificare se esso procede bene nelle sue svariate componenti; in caso contrario occorre conoscere le cause che ostacolano una normale crescita per rimuoverle. La seconda finalità si riferisce alla​​ decisione,​​ che deve essere presa dopo un accurato esame delle alternative e delle conseguenze che essa comporta. I t. possono contribuire al processo decisionale in quanto offrono delle informazioni al soggetto su se stesso e talvolta anche sull’oggetto al quale la decisione si riferisce (situazione o istituzione). La terza riguarda la​​ collocazione:​​ varie istituzioni perseguono delle finalità specifiche e per poterle raggiungere formano il loro personale. I t. possono contribuire ad una migliore conoscenza dei potenziali requisiti del soggetto e collocarli nel corso di formazione in cui potranno avere un buon esito. Un tale uso viene fatto dalle industrie, dalle forze armate e dalle istituzioni scolastiche. In queste ultime i t. servono per assegnare alunni ai corsi di ricupero, ai corsi opzionali e ai compiti sociali (​​ leadership).​​ La quarta finalità è inerente alla selezione: quando l’offerta supera la domanda è necessario selezionare i candidati. I t. possono contribuire a stabilire quali candidati posseggono i requisiti adatti alle attività da svolgere. La selezione viene effettuata nel mondo del lavoro e nelle istituzioni formative (borse di studio, specializzazioni, partecipazione a progetti). La quinta finalità riguarda la​​ predizione​​ d’un evento (positivo o negativo) ed è basata sull’accordo che viene stabilito per mezzo del t. tra il soggetto e il gruppo a cui egli intende appartenere. La predizione può essere effettuata solo nel caso in cui sono disponibili i dati sulla rispettiva categoria di soggetti. Infine un vasto uso dei t. viene fatto nella ricerca sia per la descrizione della situazione iniziale che per quella finale per verificare l’efficacia di un fattore sperimentale. La ricerca viene condotta anche sui t. stessi per verificare la loro fedeltà e validità. I t. vengono pure usati per contribuire alla raccolta di informazioni per verificare il funzionamento di un soggetto o di una istituzione oppure per prendere delle valide decisioni collegiali o personali. Questo complesso procedimento viene chiamato​​ assessment​​ (accertamento). L’obiettivo dell’assessment​​ possono essere categorie di soggetti: alunni, impiegati, pazienti, clienti; esso viene condotto in rapporto alla istituzione (formativa o produttiva) di cui fanno parte o in cui vorrebbero entrare (Rogers, 1995). L’assessment​​ viene effettuato in modo particolare nelle istituzioni per stabilirne funzionamento ed efficienza e per proporre suggerimenti per le decisioni da prendere o miglioramenti da effettuare. Nell’ambito dell’educazione si è diffuso recentemente l’assessment​​ «dinamico», che consiste in un’agile diagnosi nella quale è più importante il processo di acquisizione delle conoscenze che non il risultato. La diagnosi è flessibile e l’esaminatore è interessato maggiormente alla formazione e alla modificazione della struttura mentale del soggetto che non al suo accertamento. La diagnosi si muove continuamente tra le strutture mentali acquisite e quelle potenziali. L’assessment dinamico​​ trae le sue origini dai lavori di​​ ​​ Vygotskij, noto per aver proposto la «zona prossima allo sviluppo». Essa consiste nel divario tra le abilità e i processi in possesso del soggetto e quelli potenziali che possono essere acquisiti con l’aiuto di una guida. Identificato il grado di aiuto necessario al soggetto per passare dal livello potenziale a quello effettivo, l’assessment​​ contribuisce alla comprensione del processo di apprendimento e a stabilirne la sua qualità. Il pregio dell’assessment dinamico​​ consiste nello stretto legame tra la diagnosi e la promozione dei processi e delle strutture cognitive dell’alunno.

3.​​ Elaborazione dei t.​​ Vi sono due procedimenti della elaborazione dei t. basati sugli stimoli cognitivi: razionale ed empirico. Il procedimento razionale consiste nella definizione della variabile da misurare (oppure nella scelta di un costrutto) dalla quale vengono dedotti logicamente dei quesiti. I quesiti formulati vengono poi somministrati ad un rilevante numero di soggetti dello stesso tipo ai quali si intende destinare il t. Viene poi condotta l’analisi dei quesiti per verificare la difficoltà (poche o troppe scelte indicano che il quesito è troppo difficile oppure troppo facile) e la discriminazione (se separano in modo sufficientemente differenziato i soggetti che posseggono la caratteristica in esame in grado alto da quelli che la posseggono in grado basso). I quesiti con i due coefficienti validi vengono inclusi nel t. per misurare il tratto o il costrutto prescelti. Il procedimento empirico inizia con la scelta della dimensione da misurare che viene definita in modo approssimativo; in rapporto al suo contenuto vengono raccolti i quesiti disponibili in varie fonti. Vengono poi scelti due gruppi che si differenziano sufficientemente nella dimensione scelta (gruppi criterio: per es., soggetti aggressivi e benevoli). Entrambi i gruppi rispondono poi a tutti i quesiti; le loro risposte vengono confrontate e vengono scelti solo i quesiti che differenziano i due gruppi: tali quesiti formeranno il t. I due procedimenti presentano vantaggi e svantaggi. Il procedimento razionale offre chiare informazioni sulla dimensione che misura e fa progredire il settore teoricamente; possiede però una minore utilità pratica in quanto coglie solo una parte del criterio sociale, per es. i voti scolastici. Il secondo ha una buona utilità pratica perché il t. è basato sulle effettive differenze dei gruppi ben caratterizzati, ma risulta molto incerto il significato della variabile misurata; esso contribuisce poco al progresso teorico del rispettivo settore. I due procedimenti possono essere solo in una minima parte usati nella elaborazione delle tecniche proiettive e delle scale di osservazione comportamentale.

4.​​ Caratteristiche.​​ Per poter usare un t. sono necessarie tre caratteristiche: oggettività, fedeltà e validità. L’oggettività​​ viene assicurata con la somministrazione standardizzata, con la correzione basata su precise indicazioni dell’autore e con l’interpretazione dei risultati in stretto rapporto con la variabile misurata. L’oggettività nella somministrazione sarà assicurata se l’esaminatore predisporrà il soggetto alla collaborazione. L’oggettività è condizionata da fattori interni ed esterni sia del soggetto come anche dell’esaminatore che possono influenzare il rendimento del primo e la valutazione delle risposte del secondo (stati affettivi, tendenza a dare le risposte secondo la desiderabilità sociale e persino contraffazione conscia delle risposte). La​​ fedeltà​​ del t. viene esaminata con alcuni metodi statistici per stabilire la costanza del comportamento misurato. Un’eccessiva fluttuazione del punteggio di un t. vanifica ogni giudizio sulla dimensione rilevata. La fedeltà del t. assume una particolare importanza, quando esso viene utilizzato per la classificazione dei soggetti in vista di un potenziamento delle caratteristiche (abilità intellettive) oppure per la prevenzione del disadattamento (droga, delinquenza). Un t. con una bassa fedeltà assegna un certo numero di soggetti in gruppi sbagliati: esclude dal trattamento quelli che ne hanno bisogno e vi include quelli che non ne hanno. Essa ha lo stesso effetto anche sulla valutazione delle differenze intraindividuali delle abilità (verbali, numeriche, spaziali) o delle aree professionali (tecnica, artistica, sociale) in quanto le differenze sono dovute più all’instabilità del t. che non alle effettive differenze tra i punteggi delle variabili. Infine la fedeltà è importante anche per la verifica dell’efficacia di un fattore sperimentale (intervento terapeutico). La bassa fedeltà porta ad una falsa conclusione sull’effetto del fattore come efficace oppure come inefficace. La fedeltà perde ogni significato nella diagnosi comportamentale in quanto essa intende rilevare la fluttuazione del comportamento in dipendenza dalla situazione. La verifica della​​ validità​​ di un t. è complessa e secondo l’impostazione tradizionale se ne distinguono tre tipi: validità di contenuto, validità di criterio e validità di costrutto. La validità di contenuto viene stabilita per mezzo del giudizio degli esperti se i quesiti corrispondono logicamente alla dimensione che si intende misurare; in breve se la denominazione del t. corrisponde al contenuto. Il metodo più adatto però è l’analisi fattoriale con la quale è possibile identificare i fattori di cui il t. è composto. La validità di criterio si distingue in concorrente e predittiva. Se i dati del criterio sono disponibili simultaneamente può essere verificata la validità concorrente; se invece il criterio si realizzerà nel futuro si tratta di validità predittiva. Per es., il successo scolastico può essere un criterio per la verifica della validità concorrente di un t. attitudinale se al momento della somministrazione del t. sono disponibili i voti e per la verifica della validità predittiva se la somministrazione avviene all’inizio dell’anno scolastico e i voti sono disponibili soltanto alla fine dell’anno. Spesso i vari t. vengono confrontati anche tra di loro per verificare se siano simili (validità convergente) oppure notevolmente differenti (validità divergente). I t. che posseggono la validità predittiva sono utili particolarmente nella prevenzione dei comportamenti disadattivi (alcolismo, droga, delinquenza). La verifica della validità di costrutto è molto più complessa e sostanzialmente consiste nella conformità dei risultati del t. con il rispettivo costrutto; per es., se un t. di disegno intende rilevare il grado in cui i concetti astratti sono posseduti da un bambino e tale grado corrisponde al livello dello sviluppo cognitivo (del bambino) accertato con una differente metodologia, il t. di disegno avrà la validità di costrutto. Le tecniche proiettive devono possedere tutti i tipi di validità tranne quella del contenuto in quanto la loro utilità sta nel fatto che ogni soggetto deve percepire lo stimolo in modo personale e non oggettivo. Viceversa, per i mezzi della diagnosi comportamentale può essere accertata soltanto la validità di contenuto in quanto essi devono assicurare soltanto il campione di comportamento. La validità predittiva poi non viene mai verificata in quanto lo scopo della diagnosi non è quello di prevedere l’evolversi del comportamento ma di modificarlo. I t. devono essere corredati anche di norme per la interpretazione dei punteggi ottenuti; per poterle elaborare il t. deve essere somministrato ad un campione, devono essere calcolate per ogni variabile le medie aritmetiche e preparate le scale dei punteggi standard. La scala standard più nota è quella del quoziente di intelligenza con la media 100 (intelligenza media) e la deviazione di 15 punti. La deviazione dalla media che supera due unità nelle due direzioni (70-130) indica un risultato eccezionale. I punteggi grezzi trasformati in punteggi standard sono poi direttamente confrontabili.

5.​​ Classificazione.​​ I t. possono essere classificati in base al contenuto in tre aree: attitudinale, motivazionale e della personalità. L’area​​ attitudinale​​ comprende i t. che accertano la normalità dello sviluppo cognitivo dei bambini (T. di sviluppo della percezione visiva,​​ T. della figura umana, alcune prove per rilevare le fasi di​​ ​​ Piaget). Per diagnosticare l’intelligenza generale sono disponibili le varie scale di​​ ​​ Wechsler (fanciulli e adulti) e numerosi t. singoli (T. di mosaico,​​ Matrici progressive,​​ Domino 48). La diagnosi delle attitudini può essere condotta con le cosiddette batterie (Attitudini mentali primarie,​​ Differential aptitude t.). L’area​​ motivazionale​​ è formata dagli inventari di interessi, valori e dai questionari dell’efficienza nello studio e delle strategie di apprendimento (Inventario degli interessi professionali,​​ Questionario dei valori professionali,​​ Questionario sull’efficienza nello studio). L’area della personalità è composta da numerosi questionari che rilevano vari tratti e alcuni costrutti della personalità oppure contribuiscono alla diagnosi di determinate patologie oppure offrono delle informazioni sui tipi sociali (Temperament survey,​​ Questionario dei sedici fattori,​​ Inventario multifasico della personalità,​​ Sex role inventory). La grande varietà dei t. può contribuire ad una corretta gestione del processo educativo a tutti i livelli dello sviluppo dei soggetti (Boncori, 2006).

6.​​ Rilievi conclusivi.​​ In questi ultimi decenni i t. sono stati contestati a causa dell’invasione nella sfera privata; è stato pure sottolineato il pericolo che essi siano usati per perseguire le finalità sociali subordinando i diritti delle persone alle istituzioni, soprattutto di quelle produttive. I t. vengono considerati strumenti di discriminazione delle minoranze per mantenere il loro status quo a vantaggio delle classi privilegiate. La contestazione ha avuto però anche degli effetti positivi evitando vari inconvenienti del passato; infatti sono stati condotti numerosi studi per verificare l’effettiva discriminazione delle minoranze ed attualmente anche nel loro uso vi è maggiore rispetto della dignità del soggetto. Non mancano neppure riserve sull’intera impostazione teorica dei t.; dal loro sorgere sono stati basati sul positivismo e sull’empirismo logico, di cui la precisione delle misurazioni è il segno più evidente. Questa rigida impostazione è entrata recentemente in crisi; anche la validità di costrutto, che sotto l’aspetto teorico è la più importante, insieme con tutte le teorie della personalità, viene attaccata in quanto non falsificabile. Dall’altro lato una critica tanto radicale non offre nessuna valida alternativa. La decisione poi di usarli o di abbandonarli non può essere basata soltanto sulla constatazione che la loro validità non può essere falsificata. Molti t. hanno al loro attivo ricchi dati positivi e il loro contributo ai vari processi decisionali è molto evidente. Tutto ciò però sta producendo un lento spostamento da una rigida verifica della validità dei t. ad una verifica più flessibile e da un uso delle precise classificazioni ad un mezzo di comunicazione tra soggetto ed esperto (Rogers, 1995). Questo vale particolarmente per le tecniche proiettive le quali vengono usate più per interviste cliniche che per precise diagnosi.

Bibliografia

Keyser D. F. - R. C. Sweetland (Edd.),​​ T. critiques, voll. 1-10, Austin, PRO-ED, 1984- 1994; Rogers T. B.,​​ The psychological testing enterprise: an introduction, Pacific Grove, Brooks / Cole, 1995; Knoff M. (Ed.),​​ Assessment of child and adolescent personality, New York, Guilford, 2003; Lopez S. J. - C. R. Snyder (Edd.),​​ Positive psychological​​ assessment,​​ Washington, APA, 2003; Spies R. A. - B. S. Plake (Edd.),​​ The sixteenth mental measurements yearbook, Lincoln, Univ. of Nebraska Press, 2005; Boncori L.,​​ I t. in psicologia,​​ Bologna, Il Mulino, 2006.

K. Poláček




TESTIMONIANZA

 

TESTIMONIANZA

È l’atto (parola, discorso, attestazione, comportamento pratico) con cui una persona (testimone, lat.​​ testis,​​ gr.​​ martys) propone ad un’altra persona di accettare come vera e credibile un’affermazione di per sé priva di evidenza intrinseca e non suscettibile di verifica sperimentale.

1. L’elemento specifico della t. consiste nella presentazione di una idea / valore, accreditata unicamente sulla base di un rapporto fiduciale tra persone. In tale rapporto, la persona del testimone – con la sua veracità e coerenza di vita, e quindi con la sua autorità morale – si pone come garanzia prossima di​​ ​​ verità. Garanzia prossima, non ultima, in quanto ogni persona è per natura fallibile e ogni t. personale è inevitabilmente connotata di soggettività. Ne consegue che la comunicazione del testimone, se può riuscire moralmente plausibile e convincente, non assume – né pretende di assumere – i caratteri della prova oggettivamente evidente e vincolante. Tuttavia, se dal punto di vista puramente intellettuale la verità testimoniata risulta più fragile rispetto alla verità argomentativamente dimostrata, dal punto di vista etico e culturale la prima sorpassa la seconda proprio per il più profondo coinvolgimento del potenziale personale cui fa appello. Mentre infatti l’argomentazione impegna solo le facoltà intellettive e critiche, la t. fa appello anche e anzitutto alla fiducia tra persone, alla capacità di discernimento etico, all’apertura verso i valori, in definitiva alla comunione interpersonale e alla decisione esistenziale. La nozione di t. è di primaria importanza in pedagogia, in quanto l’educazione è sempre intervento​​ attestativo​​ piuttosto che soltanto​​ enunciativo.

2. Nell’ambito della tipologia dei processi conoscitivi, si designa la conoscenza per t. come una delle modalità tipiche della trasmissione culturale, accanto alla conoscenza per​​ ​​ insegnamento, alla conoscenza per​​ ​​ esperienza, alla conoscenza per​​ ​​ iniziazione. In particolare, il linguaggio performativo della t. qualifica il processo educativo, sia perché questo non può che basarsi sulla reciproca fiducia tra educando ed educatore, sia perché l’intenzionalità educativa è già di per sé carica di​​ ​​ valori, di cui l’educatore si rende immancabilmente testimone e a volte, forse inconsciamente, controtestimone, prima ancora di esserne il docente. La t. si rivela presupposto educativo indispensabile nella​​ ​​ educazione morale, per l’intrinseca necessità di garantire nel​​ ​​ processo educativo – specie in età evolutiva – una congrua continuità / coerenza tra insegnamento dei valori etici (piano del discorso oggettivo sui valori), professione personale di tali valori (piano della adesione soggettiva) e​​ ​​ esemplarità comportamentale (piano della visibilità sociale). Tuttavia l’enfasi odierna sulla visibilità sociale, cui non sono esenti chiese e movimenti religiosi, appare spesso il sintomo di una impertinente rivendicazione identitaria, che confligge con gli ideali di convivenza democratica proposti dalle società multireligiose.

3. Nell’ambito specifico della​​ ​​ educazione religiosa, la t. non è da intendersi come una tattica pedagogica o un coadiuvante morale (il cosiddetto «buon esempio» edificante, che l’educatore si crede moralisticamente obbligato a dare attorno a sé), ma è anzitutto dimensione simbolica costitutiva della comunicazione religiosa, in quanto è nella natura della fede di diffondersi per t. Un credente o una comunità di credenti educa la fede in quanto, nel trasmettere una «memoria», traduce e manifesta il significato salvifico e liberante di quella memoria nell’oggi.

Bibliografia

Pajer F.,​​ La catechesi come t., Leumann (TO), Elle Di Ci, 1969; Ciardella P. - M. Gronchi M. (Edd.),​​ T. e verità, Roma, Città Nuova, 2000; Seminario Arciv. di Milano,​​ Testimoni di Gesù Risorto,​​ speranza del mondo, speciale de «La Scuola Cattolica» 134 (2006) 189-389.

F. Pajer




TIPOLOGIA

 

TIPOLOGIA

Sistema per la classificazione di individui in tipi.

1. Le t. sono classificazioni – della​​ ​​ personalità, degli​​ ​​ interessi, di particolari tipi di​​ ​​ comportamento (per es. di​​ ​​ stili educativi) – in cui ogni categoria viene definita in riferimento a un tipo, cioè a un individuo che abbia al massimo grado le caratteristiche che definiscono quella categoria e la differenziano dalle altre. Per es. nella t. della personalità di​​ ​​ Eysenck il tipo introverso si caratterizza per la presenza a livello elevato di tratti quali la tenacia, la rigidità, la labilità nervosa, la precisione, l’irritabilità e si distingue nettamente da altri tipi, quali l’estroverso e il nevrotico. Le t. si riferiscono a fenotipi, ossia a descrizioni del «comportamento di superficie», o a genotipi, ossia a interpretazioni delle strutture e delle dinamiche all’origine dell’insieme dei comportamenti rilevati. In rapporto ad alcune t. che tengono conto sia di caratteristiche fisiche strutturali sia di caratteristiche psicologiche (Kretschmer, Eysenck,​​ ​​ Jung, Heymans-Le Senne,​​ ​​ Sheldon, Pende) sono stati verificati effetti differenziali di diversi approcci educativi. Costituiscono una t. anche le diagnosi «categoriali» basate sui «criteri diagnostici» di DSM-IV e ICD-10, criticate dai molti che ritengono più valida la diagnosi «dimensionale» che valuta lungo un continuum anche le psicopatologie, come già da decenni si preferisce fare per i tratti normali di personalità.

2. Le t., rispetto alle valutazioni riferite a tratti, propongono una riduzione che comporta per la maggior parte degli individui una rappresentazione distorta della realtà: per es. i tipi estremi estroverso e introverso presumibilmente consentono di classificare esattamente non più del 30% delle persone, mentre il rimanente 70% presenta una «t. mista», ossia una copresenza delle caratteristiche salienti di ambedue i tipi, con accentuazione maggiore o minore dell’una o dell’altra. Per questo motivo varie t. propongono classificazioni articolate, che in qualche modo mediano fra la metodologia dei tratti e quella dei tipi (Sheldon, Heymans-Le Senne), anche se la teoria di riferimento originaria prevede solo una dicotomia (v. l’interpretazione pratica della t. di Jung data dal​​ Myers-Briggs type indicator).

Bibliografia

Allport G. W.,​​ Pattern and growth in personality, New York, Holt, 1965 (trad. it.​​ Psicologia della personalità, Zürich, PAS-Verlag, 1969); Boncori L.,​​ TALEIA-400A, Trento, Erickson, 2007.

L. Boncori




TIROCINIO

 

TIROCINIO

L’esigenza di orientarsi per una nuova professionalità o di «farne l’esperienza» richiede un periodo di esperienza guidata. A tale esigenza (progettualità professionale ed esercizio pratico di una nuova professionalità) si riferisce il termine t. visto spesso come sinonimo di pratica, esercitazione, laboratorio. La maggior parte degli studi sono compresi nelle decadi degli anni ’70 e ’80 del sec. scorso quando il tema venne analizzato e sperimentato nell’ambito del​​ microteaching. Le esperienze e gli studi realizzati hanno portato ad un rafforzamento della necessità di studiare le condizioni che rendono il t. una vera e propria pratica educativa o formativa nei confronti di chi lo sperimenta.

1.​​ Natura e metodologia.​​ Il suo significato può essere espresso globalmente in: esigenza di sperimentare se stessi (le proprie capacità, cognizioni, interessi e desideri) in un compito grazie ad un aiuto; possibilità di verificare nella realtà determinati principi o teorie appresi; formazione graduale alla capacità di intervento autonomo; assimilazione di metodi operativi grazie ad una esperienza pratica; verifica di una capacità richiesta dalla futura professione. Gli elementi chiamati in causa si riferiscono a: un quadro di riferimento professionale; alla persona che desidera orientarsi o sperimentarsi in esso. Il denominatore comune resta la verifica grazie all’esperienza diretta, ossia la riflessione sistematica su quanto si è appreso e sulla possibilità di realizzarsi in una professione, come consapevolezza di saper fare e di voler diventare. Ne consegue pure che: il t. suppone la guida e la verifica da parte di chi è già nella professione o nella istituzione che propone il t. e non può essere confuso con la pura esperienza o con frammenti casuali (attività isolate dal contesto o occasionali); inoltre segue alcuni criteri, vuole raggiungere degli obiettivi, richiede specifici contenuti, abilità tecniche, modalità e tempi. I risultati potrebbero essere: l’autoverifica del proprio orientamento personale; la maturazione della personalità attraverso l’integrazione di un’esperienza di vita e di lavoro; la presa di coscienza della flessibilità, plasticità e dinamicità di fondo del campo professionale.

2.​​ Impostazione del t.​​ Comporta, da parte di chi ne è incaricato, il tentativo continuo di chiarirsi: il quadro di riferimento, i criteri e le condizioni, i contenuti e le modalità. Nel quadro di riferimento vengono chiamate in causa contemporaneamente la progettualità professionale, la​​ ​​ ricerca, e l’innovazione. Tra i criteri da tener presente sembra fondamentale la gradualità, la sequenzialità delle esperienze proposte e la partecipazione alla vita reale che si svolge all’interno dell’istituzione. Non vanno trascurate le condizioni che permettono la realizzazione dell’esperienza nel tener presenti continuamente il collegamento e la gradualità nel passaggio dalla teoria alla pratica, la necessità (e la possibilità) di poter confrontare realtà diverse (come classi e stili di insegnamento), la programmazione, la socializzazione e la​​ ​​ valutazione dell’esperienza stessa. I contenuti da trasmettere possono riferirsi ad una chiarificazione del dove si svolgerà l’esperienza e quindi una pista di osservazione relativa all’ambiente con le sue caratteristiche e alle persone con cui si verrà a contatto, che cosa un tirocinante può e deve fare e quindi le abilità e le conoscenze richieste, come ci si inserisce, con quale atteggiamento e stile. La metodologia può riferirsi a tre tappe: la sensibilizzazione alla situazione in cui ci si inserisce attraverso l’osservazione che evita la molteplicità di stimoli, sceglie un oggetto specifico e prepara uno strumento; la collaborazione intesa come partecipazione ad alcuni momenti decisionali nella​​ ​​ programmazione, e l’aiuto concreto nello sviluppo di alcune attività; l’assunzione graduale di responsabilità come ad es. la preparazione di un progetto d’intervento, la sua realizzazione e concettualizzazione dell’esperienza (valutazione). La durata è in relazione diretta con lo specifico delle diverse professioni: è opinione comune che l’esercizio della professione stessa rafforzerà nel tempo alcune caratteristiche formative ed operative. Ciò non toglie un elemento insito nel t.: l’esigenza di un aggiornamento e di una formazione permanente (​​ educazione permanente).

Bibliografia

De Landsheere G.,​​ La formazione degli insegnanti domani, Roma, Armando, 1978; Ferry G.,​​ Le trajet de la formation, Paris, Dunod,​​ 1983;​​ Mencía de la Fuente E. (Ed.),​​ Pedagogía de las instituciones de formación del profesorado, Granada, Ave María,​​ 1986; Gatti R. - V. Gherardi,​​ Il t. didattico: teoria e pratica, Roma, Armando, 1988; Di Nubila R.,​​ Impariamo ad orientare​​ (progetto di formazione degli insegnanti), Rimini, Maggioli, 1990; Gagnè R. M. - L. J. Briggs,​​ Fondamenti di progettazione didattica, Torino, SEI, 1990; Mastromarino R.,​​ L’azione didattica. Qualità ed efficacia nella classe, Roma, Armando, 1991; Czerwinsky Domenis L.,​​ Nuovi contesti della formazione: pratica professionale e processi riflessivi nel t., Milano, Angeli, 2005.

M. G. Caputo




TITOLI DI STUDIO

 

TITOLI DI STUDIO

Il conseguimento di ogni t.d.s. prevede l’iscrizione e la frequenza di determinati corsi di studio ed il superamento di prove di​​ ​​ valutazione che possono condurre all’esame finale. Gli esami scolastici vengono istituiti nell’Europa del XVIII sec. ed è la Prussia che per prima introduce nel 1788 una prova d’esame per l’accesso agli studi universitari. In epoca napoleonica si divide la scuola in primaria e secondaria e si prevedono prove di passaggio relative. In Italia le prime regolamentazioni di ordinamento risalgono alle leggi Boncompagni (1848) e Casati (1859).

1.​​ Il caso italiano.​​ La legislazione scolastica it. si trova in una fase di transizione che ha recentemente inciso proprio sugli esami e sui t.d.s. obbligatori. Abolito l’esame di licenza elementare con la riforma del primo ciclo di istruzione, la L. 296 / 06 ed il successivo DM 139 / 07 hanno introdotto l’obbligo di istruzione per una durata di dieci anni, cioè comprensivo di un biennio successivo all’esame di stato previsto al termine della scuola secondaria di I grado. La conclusione dell’obbligo di istruzione, però, non coincide con alcun t.d.s. e prevede solo la certificazione dell’assolvimento dell’obbligo, anche se il percorso è dichiaratamente finalizzato al conseguimento di un t. di istruzione secondaria superiore (di durata quinquennale) o di un diploma di qualifica professionale di durata almeno triennale. Nell’istruzione superiore si può scegliere tra diploma universitario di laurea e diploma rilasciato da istituzioni come: le scuole dirette a fini speciali; l’istituto superiore di educazione fisica; le istituzioni artistiche. Fanno parte dell’istruzione postsecondaria anche i percorsi di Ifts (istruzione e formazione tecnica superiore) che intendono costituire un’alternativa alla più tradizionale e diffusa offerta formativa universitaria. Gli studi post-laurea in Italia prevedono: il dottorato di ricerca; il diploma di specializzazione; l’attestato di frequenza a corsi di perfezionamento anche a distanza. Ai vari t.d.s. corrispondono «qualifiche funzionali», un tempo «carriere degli impiegati civili dello Stato» (DPR 28.12.1970, n. 1077), con specifici livelli retributivi. La disposizione del DPR 31.05.1974, n. 420, art. 8 prevede l’accesso a carriere ausiliarie (prima e seconda qualifica funzionale) con il possesso della licenza elementare ed eventualmente di t. professionale. Enti pubblici e privati organizzano corsi differenziati a seconda dell’utenza e rilasciano certificati relativi a corsi di qualificazione, di specializzazione, di orientamento e cultura professionale. Dal punto di vista statistico nazionale il 40° Rapporto Censis registra il possesso dei seguenti t.d.s. tra la popolazione residente di almeno 15 anni d’età nel 2005: 27.7% licenza elementare o senza t.d.s; 31,3% licenza media; 5,4% qualifica professionale; 26,5% diploma 4-5 anni; 9,1% dottorato, laurea, laurea breve (Censis, 2006, p. 153). Va notato che sono in rapida crescita i t. più elevati.

2.​​ Abilitazioni per l’insegnamento in Italia.​​ Salvo casi richiedenti specifiche competenze tecniche, professionali, artistiche, il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, per t. ed esami, prevede una formazione universitaria completa (DPR 31.05.1974, n. 417, art. 7), che dopo la riforma degli ordinamenti universitari deve essere di durata quinquennale per qualsiasi ordine o grado di scuola.​​ 

3.​​ T.d.s. in Europa.​​ Negli Stati membri dell’Unione Europea sono previste prove di passaggio da un livello all’altro di scuola, le variazioni si riferiscono alla durata della scuola dell’obbligo, al sistema di valutazione, all’articolazione disciplinare della scuola secondaria. In tutti i casi l’accesso all’università prevede il possesso del certificato che attesta il superamento dell’esame di fine degli studi secondari di secondo ciclo. In Belgio anche le scuole speciali rilasciano i certificati previsti per il proseguimento degli studi nell’istruzione superiore ed i corsi per corrispondenza permettono di raggiungere i t. relativi all’istruzione di secondo e terzo livello. In Danimarca il ginnasio termina con l’esame «studentereksamen» e per chi sceglie l’indirizzo professionale dopo l’obbligo deve superare la «svendeprove». In Francia l’istruzione secondaria di primo ciclo termina con il «brevet des collèges» e quella di secondo ciclo con il «baccalauréat» oppure con il certificato di diploma a carattere tecnico-professionale, «diplôme national du brevet de technicien». Il «brevet» esiste anche in Lussemburgo ed è rilasciato agli insegnanti dei vari gradi di scuola: «brevet d’aptitude pédagogique», «brevet d’enseignement complémentaire», «brevet d’enseignement moyen».​​ In Germania si entra all’università se si possiede il t. di «Abitur» o «Reifeprüfung»; l’università termina con il diploma di «Magister Artium» e per il dottorato si deve acquisire il «Rigorosum»; mentre nei Paesi Bassi il più alto t. universitario è il «graad van doctor». In Grecia per i quindicenni vi è la licenza ginnasiale per l’accesso al «lykeio». Sia in Portogallo che in Spagna la scuola dell’obbligo termina con un certificato. In Spagna viene rilasciato il t. di «graduado escolar» che consente di proseguire nel «bachillerato» (scuola secondaria di secondo ciclo), oppure il «certificado de escolaridad» che permette l’ingresso nella formazione professionale. Nella scuola d’Irlanda vi sono certificati vari («day vocational certificate», «intermediate certificate», «leaving certificate») che scandiscono la progressione degli studi secondari. Nel Regno Unito vi è il t. che certifica il superamento dei livelli generale ed avanzato: «ordinary» (dopo cinque anni di secondaria) e «advanced» (altri due anni di studio).

4.​​ Politica europea.​​ L’adozione (15 giugno 1987) del Programma di Azione della Comunità Europea per la mobilità studentesca universitaria (Erasmus) agevola il riconoscimento reciproco di periodi e diplomi di studio tra i Paesi comunitari. Al fine di migliorare e potenziare l’equipollenza dei t.d.s. rilasciati negli Stati membri, la Comunità europea ha istituito la rete Naric (1984) dei Centri di informazione. In diversi casi i Centri fanno parte del Ministero della P.I., o comunque sono in contatto diretto con esso. In Italia opera il Cimea: Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche, Fondazione Rui. Il Trattato sull’Unione europea (Maastricht, 07.02.1992) avvalora il lavoro svolto in ambito Erasmus e riafferma che l’azione della Comunità è intesa «a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio» (art. 126). Il​​ ​​ processo di Bologna avviato dal 1999 per l’armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore prevede la creazione di uno spazio europeo della conoscenza con il riconoscimento di crediti formativi universitari (CFU) e t. superiori da spendere a livello mondiale. Gli Atenei possono attivare i corsi di laurea triennali (180 CFU); la laurea specialistica (120 CFU); la laurea specialistica a ciclo unico (5 o 6 anni con 300 o 360 CFU) per i corsi di medicina, odontoiatria, farmacia e veterinaria, in qualche caso architettura, disciplinati dalla normativa europea (d.m. 509 / 1999 e d. m. 270 / 2004).

Bibliografia

Ranucci C.,​​ La scuola nei Decreti delegati, vol. 3, Roma, Armando, 1983; Cives G. (Ed.),​​ La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1990; ISTAT,​​ Università e lavoro: statistiche per orientarsi,​​ Roma, 2004-2005; Alma Laurea,​​ Condizione occupazionale dei laureati. Pre e post riforma. VIII Indagine 2005, Bologna, 2006; Censis,​​ 40° Rapporto sulla situazione sociale del paese 2006, Milano, Angeli, 2006; Chistolini S.,​​ Pamphlet pedagogico. Elementi per una indagine nazionale sulla formazione universitaria degli insegnanti della scuola primaria, Lecce, Pensa MultiMedia, 2007.

S. Chistolini