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STRATEGIE COGNITIVE

 

STRATEGIE COGNITIVE

Le s.c. sono processi che facilitano o rendono possibile il raggiungimento di uno scopo richiesto da un determinato compito.

1. Non tutti concordano sulla definizione di s.c., sebbene di questa si evidenzi l’aspetto degli scopi da raggiungere. Per Siegler e Jenkins (1989), una s. è una serie di operazioni che è selezionata in modo flessibile tra varie possibili e che influenza la scelta e l’implementazione di successive operazioni. La procedura si distinguerebbe dalla s. per il fatto che, rispetto a questa, non è libera da costrizioni. Sebbene un «piano» sia una sequenza di processi orientati ad uno scopo e possa essere oggetto di una scelta tra tante possibili, esso non deve essere confuso con una s. La s. si distingue da un «piano» per il carattere automatico, quasi naturale e innato, mentre il «piano» ha un carattere intenzionale e conscio.​​ 

2. In sede conoscitiva si indicano diversi tipi di s. Schneider e Pressley (1989) distinguono tra​​ s. esterne​​ (ad es.: sottolineare, prendere nota, scrivere un riassunto),​​ s. interne​​ (ad es.: attivare le conoscenze previe, ripetere mentalmente, formulare ipotesi, farsi domande, ecc.) e​​ s. miste​​ (ad es.: prendere nota delle parole per ricordare un’idea, raccogliere in un acronimo una serie di concetti per ricordarli meglio, ecc.). Le s. possono distinguersi anche per l’ampiezza della loro utilizzazione. Alcune sono di tipo generale (general strategies),​​ cioè sono di aiuto a qualsiasi altro tipo di s., altre sono definite dallo scopo che possono perseguire (goal-limited memory strategies).​​ Sono di questo tipo: sapersi fermare nel corso della lettura per riassumere ciò che si è letto al fine di integrare un certo numero di informazioni; costruirsi una sequenza di scene e immagini per ricordare meglio lo sviluppo di un racconto; rileggere una parte di un testo non capito, ecc. Ci sono poi s. molto specifiche, cioè miranti ad uno scopo molto preciso (domain-limited strategies).​​ Possono considerarsi di questo tipo quelle usate per ricordare una regola di matematica o di geometria, oppure per ricordare fatti di storia, per risolvere un certo tipo di problemi di matematica o di fisica, ecc.

3. Il processo di costruzione di una s. avviene talvolta in un istante, ma per lo più dopo mesi e anni di applicazione assidua. Come descrivono Siegler e Jenkins (1989), l’acquisizione di una s. avviene in due momenti: la scoperta e la generalizzazione. La prima ha le caratteristiche di un​​ insight,​​ un passaggio improvviso dal non conosciuto al conosciuto. Nel momento in cui la scopre e l’utilizza, il soggetto ha l’impressione di comprendere in che cosa essa consista, perché e per quali tipi di problemi può essere utilizzata. Molto diversa e più problematica è la fase di generalizzazione ad altre situazioni o ad altri contesti. Il possesso effettivo ed efficace di s. richiede molte occasioni che rendano possibile il loro uso, che esse stesse diventino automatiche e abituali, inconsce e allo stesso tempo consce, controllabili ed intenzionali.

Bibliografia

Weinstein C. E. - R. E. Mayer, «The teaching of learning strategy», in M. C. Wittrock (Ed.),​​ Handbook of research on teaching,​​ New York, Macmillan, 1986, 315-327; Weinstein C. E. - E. T. Goetz - P. A. Alexander (Edd.),​​ Learning and study strategies. Issues in assessment,​​ instruction and evaluation,​​ San Diego, Academic Press, 1988; Schneider W. - M. Pressley,​​ Memory development between 2 and 20,​​ New York, Springer, 1989; Siegler R. S. - E. Jenkins,​​ How children discover new strategies,​​ Hillsdale, Erlbaum, 1989; Bjorklund D. F.,​​ Children’s strategies.​​ Contemporary views of cognitive development,​​ Ibid., 1990.

M. Comoglio




STRATEGIE DIDATTICHE

 

STRATEGIE DIDATTICHE

Modalità di organizzazione o di orchestrazione delle risorse educative disponibili al fine di raggiungere gli obiettivi formativi intesi.

Essenziali nel concetto di s. sono: a) l’obiettivo che ci si propone di raggiungere; b) le risorse diverse disponibili per poterlo raggiungere; c) la gestione valida ed efficace di queste risorse. Si distingue dal concetto di​​ ​​ metodo perché questo, nella sua accezione più generale e comune, è caratterizzato da un ordine stabile. Ad es. una lettura metodica è caratterizzata da un uso sistematico di un metodo: interessante è quello elaborato da F. P. Robinson noto come SQ3R (Survey,​​ Question,​​ Read,​​ Recite,​​ Review)​​ (​​ stili di apprendimento). Una lettura strategica è caratterizzata invece dalla gestione di una pluralità di processi cognitivi e affettivi al fine di comprendere e ricordare quanto si viene leggendo. Si distingue dal concetto di tecnica, in quanto quest’ultima è caratterizzata da un procedimento specifico e ben identificato, e da quello di tattica, che si limita a superare ostacoli e a raggiungere obiettivi locali e parziali. Analogamente di può parlare di tecniche didattiche come forme procedurali di intervento ben definite nel loro ordine e articolazione quali sono quelle proprie delle differenti tecniche di istruzione programmata.

Bibliografia

Robinson F. P.,​​ Effective study,​​ New York, Harper & Row,​​ 41970; Block J. H. (Ed.),​​ Mastery learning,​​ Torino, Loescher, 1972; Faure E.,​​ Rapporto sulle s. dell’educazione,​​ Roma, Armando, 1973; Gordon T.,​​ Insegnanti efficaci, Firenze, Giunti e Lisciani, 1991; De Bono E.,​​ S. per imparare a pensare,​​ Torino, Omega, 1992; Merrill M. D.,​​ Instructional design theory,​​ Englewood Cliffs, Educational Technology Publications, 1994; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica,​​ Torino, SEI,​​ 21994;​​ Rieunier A.,​​ Les stratégies pédagogiques efficaces, Paris, ESF,​​ 2001; Lang H. R. - B. N. Evans,​​ Models,​​ strategies and methods for effective teaching, Boston, Allyn and Bacon, 2005;​​ Ferreiro Gravié R.,​​ Estrategias didácticas del aprendizaje cooperativo: el constructivismo social; una nueva forma de enseñar y aprender, México, Trillas, 2006.​​ 

M. Pellerey




STRATEGIE EDUCATIVE

 

STRATEGIE EDUCATIVE

Sono processi raffinati che intendono coordinare i fattori delle operazioni educative utilizzando nel modo migliore le forze soggettive e quelle di contesto, per conseguire​​ ​​ fini e​​ ​​ obiettivi complessi, per limitare i danni, per rimediare difficoltà e errori.

1. A volte pretendono il riconoscimento di scientificità. Ma la necessaria apertura alle variabili della concretezza situazionale e contestuale le fa piuttosto simili a tecniche o ad arti ben fondate. Infatti qualche volta utilizzano l’abilità e l’artificio, e persino le debolezze e le dinamiche persuasive inconsce, avvicinandosi così alle tattiche pedagogiche, vale a dire all’insieme degli accorgimenti prudenti posti in atto per adeguare i mezzi al fine e alla scaltrezza e tatto nel muoversi concretamente educando. Responsabili di sistemi complessi, di interventi particolarmente carichi di fattori, di processi a lungo svolgimento, dovrebbero utilizzare anche la teoria dei giochi e disporre di regole di decisione che, prevedendo i possibili risultati di certe scelte note, stabiliscano quali linee di direzione adottare o seguire di conseguenza. L’​​ ​​ educazione risulta sempre una s. con finalità da conseguire, fattori da mettere insieme e impegnare, operazioni da organizzare e ben condurre. Si può immaginare come una grande s. pedagogica il mettere l’educazione in stretta connessione con i più forti sovra-sistemi (persona, società, cultura, mondo etico e religioso), allo scopo di definire meglio finalità e obiettivi, trovare risorse, attuare adattamenti opportuni alle situazioni e condizioni reali.

2. Il modello strategico può farsi più urgente oggi in rapporto alla complessità globalizzata con cui si ha a che fare a tutti i livelli dell’educazione e della vita. In tal senso si fa forte l’esigenza di ampie, profonde, esperte s. e tattiche di intervento generale, sociale, ambientale, locale, situazionale. Ma anche il particolare e speciale si è fatto esso stesso difficile. Si tratta, pertanto, di dare spazio maggiore non solo al ripensamento teorico, ma anche ai momenti di previsione rigorosa e operazionale, al fine di garantire la buona correlazione tra mondi vitali personali e comunitari, fini e obiettivi educativi, metodi e mezzi dotati di alta probabilità di buon esito.

Bibliografia

Gianola P.,​​ Pedagogia tra sfide e controsfide,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 41 (1994) 173-187; Callari Galli M. - F. Cambi - M. Ceruti,​​ Formare alla complessità. Prospettive dell’educazione nelle società globali, Roma, Carocci, 2003.​​ 

P. Gianola




STRESS

 

STRESS

Con il termine s. si intende una varietà di fenomeni vegetativo-emotivi, cognitivi e comportamentali che tendono a presentarsi congiuntamente (sebbene con differenze intra ed interindividuali di prevalenza dell’una o dell’altra categoria) quando un organismo è sottoposto ad un qualunque compito di natura adattiva.

1. Esso è considerato una reazione funzionale al mantenimento dello stato di equilibrio organismo-ambiente, reazione che si mobilita quando l’organismo si trova a fronteggiare particolari condizioni o eventi esterni che implicano richieste di tipo, qualità, intensità o durata diverse dal solito. Il termine ha finito per indicare una reazione che si stabilisce in presenza di uno squilibrio tra le richieste delle condizioni ambientali da una parte e le capacità e le risorse dell’organismo a farvi fronte dall’altra. Infatti, quando la reazione è sollecitata troppo a lungo o troppo intensamente, le capacità di adattamento finiscono con l’essere sopraffatte, nel senso che le energie sembrano esaurite, le strategie di​​ ​​ comportamento risultano inadeguate e il soggetto avverte una condizione di sgradevole tensione che difficilmente viene alleviata dal riposo. Il termine, su un piano più strettamente psicologico, esprime un fenomeno pervasivo della condizione umana che insorge quando l’equilibrio adattivo tra l’ambiente fisico e psicosociale e l’uomo va in crisi a sfavore di quest’ultimo, dando origine a fenomeni psicofisiologici e comportamentali di stretta rilevanza per la salute, il benessere psicoemotivo e il livello prestazionale individuale e collettivo.​​ 

2. Quando si parla di s. è inevitabile il riferimento al lavoro di H. Selye (1936, 1976), che più di ogni altro ha contribuito alla sua chiarificazione, fornendone una definizione ormai unanimemente accettata. L’A. usò per la prima volta il termine s. nel 1936 in una lettera inviata alla rivista scientifica inglese «Nature». In essa concettualizzava lo s. come stimolo nocivo, sottolineando come esperienze dannose (iniezioni di varie sostanze, scosse elettriche, stimoli dolorosi) potessero essere determinanti nell’insorgenza di disturbi somatici o di vere e proprie malattie. Successivamente, però, modificò questa prima formulazione del concetto, affermando che non solo gli eventi dolorosi o gli agenti nocivi erano in grado di produrre stati patologici o morbosi, ma anche fattori positivi di tipo emozionale (stati di felicità particolarmente intensi, gioia, eccitazione). L’attenzione restava comunque sempre sullo stimolo. Soltanto a partire dal 1950, Selye cominciò ad usare il termine s. come risposta e precisamente come​​ risposta non specifica dell’organismo ad ogni richiesta proveniente dall’ambiente​​ (Selye, 1976).

3. Tale cambio di prospettiva lo portò ad operare una distinzione tra stimolo e risposta. Quest’ultima, comprendente tutte le alterazioni fisiche che possono insorgere nell’organismo aggredito dagli stimoli, fu chiamata dall’A. (1976) Sindrome Generale di Adattamento (G.A.S. =​​ General Adaptation Syndrome).​​ In essa sono individuabili tre fasi tipiche: reazione di allarme, resistenza con adattamento ottimale, fase di esaurimento. Secondo Selye lo s. rappresenta un fenomeno inevitabile e, quando è contenuto entro certi limiti, ha una funzione importante. La mancanza totale di s., anche per periodi brevi, è incompatibile con la vita, proprio come quando lo s. è eccessivo. A partire dalle teorizzazioni di Selye si sono sviluppati tre filoni di ricerca indirizzati ad indagare, rispettivamente, gli effetti devastanti sia psicologici che somatici prodotti da situazioni estreme, i ruoli dei processi cognitivi ed emozionali nell’insorgenza e nella gestione dello s., lo s. prodotto da particolari richieste lavorative e da specifici contesti organizzativi. Le ricerche attuali tendono comunque ad orientare l’attenzione sulla dimensione soggettiva dello s., evidenziando come il valore stressogeno di una situazione sia intrinsecamente legato, oltre che alle caratteristiche di essa anche alle valenze, alle aspettative, alla percezione che l’individuo ha dei propri bisogni e delle proprie capacità.

4. Possiamo distinguere diversi tipi di s.:​​ fisici​​ (condizioni di rumore, inquinamento, temperature estreme, sforzi eccessivi),​​ psicosociali​​ (esigenze particolari poste dal contesto sociale dei rapporti umani in cui siamo inseriti oppure da noi stessi),​​ acuti​​ (avvenimenti improvvisi della vita più o meno gravi, che ci richiedono un sforzo di adattamento),​​ cronici​​ (condizioni persistenti che per intensità e durata che travalicano le nostre possibilità di fronteggiamento),​​ negativi​​ (situazioni nei confronti delle quali il giudizio del soggetto è negativo e che sono accompagnate da sensazioni soggettivamente spiacevoli),​​ positivi​​ (situazioni che richiedono un impegno maggiore del solito, ma che costituiscono per il soggetto una sfida, piuttosto che una minaccia al benessere personale). A nuocere sul nostro stato di salute sono soprattutto gli s. cronici fortemente correlati con le malattie cronico-degenerative. Esistono tuttavia importanti fattori di moderazione dello s. quali le strategie di​​ coping​​ e il sostegno sociale.

Bibliografia

Selye H.,​​ A syndrome produced by diverse nocious agents, in «Nature» (1936) 138, 32; Id.,​​ S. senza paura, Milano, Rizzoli, 1976; Del Rio G.,​​ S. e lavoro nei servizi: sintomi,​​ cause e rimedi del burnout, Firenze, La Nuova Italia Scientifica, 1990; Farnè M.,​​ Lo s., Bologna, Il Mulino, 1999; Lazarus R. S.,​​ S. and emotion: a new synthesis, New York, Springer, 1999; Di Nuovo S. - L. Rispoli - E. Genta,​​ Misurare lo s.: il test M.S.P. e altri strumenti per una valutazione integrata, Milano, Angeli, 2000; Mostofsky D. I. - D. H. Barlow (Edd.),​​ The management of s. and anxiety in medical disorders, Boston, Allyn and Bacon, 2000; Dayhoff S. A.,​​ Come vincere l’ansia sociale: superare le difficoltà di relazione con gli altri e il senso di insicurezza, Trento, Erickson, 2000; Horowitz M. J.,​​ Sindromi di risposta allo s.: valutazione e trattamento, Milano, Cortina, 2004.​​ 

A. R. Colasanti




STRUTTURALISMO PEDAGOGICO

 

STRUTTURALISMO PEDAGOGICO

Orientamento, sviluppatosi ed affermatosi soprattutto negli anni ’60 e ’70 del sec. scorso, in cui l’idea di struttura ha notevolmente influenzato alcune posizioni pedagogiche soprattutto a proposito della teoria del​​ ​​ curricolo, della​​ ​​ didattica e dell’​​ ​​ apprendimento.

1.​​ Sfondi.​​ Non si può parlare di una corrente o di una scuola nel senso usuale del termine ma, piuttosto, di una sorta di «pulviscolo multidisciplinare» dai vasti confini, nel quale l’idea strutturalistica opera soprattutto mediante l’evidenza di tre connotati basilari, consistenti nel primato del segno sull’oggetto (il sapere non riguarda gli enti naturali ma i segni prodotti dalla capacità semiotica dell’uomo), nella dominanza dell’immutevole sull’effimero (ciò a cui mirare non è la pura descrizione degli accadimenti ma l’individuazione delle costanti e delle leggi ad essi sottese) e nella pluridimensionalità della ricerca (la costruzione della totalità pensabile si avvale di una metodologia di reperimento di serie culturali omologhe). I caratteri «intellettuali» di fondo sono quindi costituiti dall’olismo, dalla sistemicità, dall’organicità, dalla composizione continua di diffrazioni analitiche e contrazioni sintetiche e dal senso dell’ulteriore (nascosto) rispetto all’immediato (evidente).

2.​​ Contributi.​​ È usuale riferirsi, come autore paradigmatico, a J. Bruner. In realtà, è più esatto dire che la sua teoria dell’istruzione ha rappresentato un punto di riferimento per proporre una prospettiva curricolare e psicodidattica che si potrebbe definire, in generale, post-attivistica. L’impianto strutturalista consiste nello svolgimento del tema della «struttura delle discipline» come elemento cruciale dello sviluppo cognitivo. La linea argomentativa si annoda attorno ad alcuni temi centrali: la vita cognitiva dell’essere umano si distingue per la sua attività esplorativa e regolativa fin dai primi momenti del suo esplicarsi; l’uomo dispone di tre possibilità di «mediazione» trascrittiva della realtà in termini di linguaggio mentale, e cioè la «rappresentazione» pratico-operativa (mano), quella iconica (occhio) e quella simbolica (mente); la cultura, intesa come insieme di «rappresentazioni» progressivamente ordinate e coerentizzate in settori scientificamente organici, costituisce l’eredità umanizzante dell’uomo. In definitiva, l’educazione viene intesa come processo di umanizzazione attraverso l’apprendimento degli elementi descrittivi e dinamici che definiscono l’eredità culturale propria di un essere umano, il cui nucleo è rappresentato dalle scienze (o discipline o materie di insegnamento). Queste idee hanno fornito lo spunto per una profonda revisione critica sul piano curricolare e didattico. Quanto al primo aspetto, si è rivalutata la rilevanza dei contenuti rispetto alle attività; quanto al secondo, è emersa l’indicazione di una didattica a fondamento epistemico, vale a dire mirata all’acquisizione delle procedure, dei criteri direttivi, dei principi metodologici e delle sistemazioni concettuali che definiscono la competenza accertata nei vari campi del sapere. Diventa allora ineludibile l’esperienza della scuola, intesa come vero e proprio «ingresso nella via della ragione», luogo in cui la guida dell’insegnante rende più efficace e sicuro il cammino di appropriazione delle qualità e degli strumenti che hanno reso possibile la cultura umana.

3.​​ Avvertenze.​​ Nell’interpretazione di questi messaggi occorre badare a non deragliare in senso quantitativo per rispettarne invece la sostanza eminentemente qualitativa. Sul piano curricolare, infatti, l’idea fondamentale non è di perseguire l’assorbimento di «tutto» l’accumulo dell’informazione fattuale possibile ma di garantire il contatto con ciò che si qualifica come assolutamente essenziale, definitivo e necessario (in una parola: categoriale) per estendere la possibilità di comprensione autonoma ulteriore; sul piano didattico, il criterio non è l’esercizio a se stante di abilità passivamente ricevute ma l’incorporazione dei tratti più intimamente costitutivi di una disciplina come forma della mente. «Ogni disciplina – dice G. Kneller – ha il suo nucleo di idee basilari» in virtù delle quali essa «è sia un tipo di conoscenza che una maniera di conoscere; è sia un sistema di idee (fatti e teorie) sia un mezzo per acquisirle. Ogni disciplina comprende un modo di pensare o di indagare il mondo, che ha dato prova della sua fertilità nel corso del tempo». Di ogni disciplina – secondo Schwab – si riconosce uno stato «cristallizzato» (rinchiuso in prodotti ormai stabiliti) ed uno «fluido» (corrispondente alle infinite possibilità connesse alla ricerca ed all’esploratività): sarebbe sbagliato far coincidere l’idea strutturalista in didattica soltanto con il primo. L’apprendimento formativo, quindi, si ha soltanto attraverso processi di attività cognitiva in forma di ricerca euristica; in definitiva, si tratta di sostituire alla esplorazione empirica l’esplorazione tematica, orientata, più che al «che» dei fatti, al «come» delle procedure e dei criteri.

4.​​ Dibattiti.​​ Le discussioni ed i dissensi si condensano sull’accusa di iperintellettualismo e di dimenticanza della preoccupazione psicoevolutiva, da cui discendono il didatticismo esasperato (insegnabilità di ogni cosa ad ogni età), il formalismo, l’antigradualismo (assimilazione del neofita all’esperto), lo scientismo, il conservatorismo (affinità con le concezioni curricolari più tradizionali): si tratta, in effetti, di pericoli reali e, in qualche caso, di sbandamenti effettivi. D’altra parte, è opportuno ricordare la sottolineatura della funzione umanizzante della scuola e la rivendicazione della necessaria presenza di un carattere di competenza e di qualità scientifica nell’insegnamento. Il modello didattico della «regola», tipico dello s.p., restituisce alla scuola stessa la finalità di «costruire un carattere autonomo e razionale che rappresenta la base delle imprese scientifiche, morali e culturali» (Schaeffler).

Bibliografia

Schaeffler I., «Modelli filosofici dell’insegnamento», in R. S. Peters (Ed.),​​ Analisi logica dell’educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1961, 149-167; Bruner J. S.,​​ Verso una teoria dell’istruzione,​​ Roma, Armando, 1967; Schwab J. J. et al.,​​ La struttura della conoscenza e il curriculum,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1971; Scurati C.,​​ S. e scuola,​​ Brescia, La Scuola, 1972; Kneller G.,​​ Logica e linguaggio nella pedagogia,​​ Ibid., 1975; Pieretti A. (Ed.),​​ Lo s. in prospettiva didattica,​​ Roma, Centro Didattico Nazionale per i Licei, 1976; Deva F.,​​ Pedagogia strutturalistica,​​ Torino, Paravia, 1982.

C. Scurati