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SPALDING John Lancaster

 

SPALDING John Lancaster

n. a Lebanon (Kentucky) nel 1840 - m. a Peoria (Illinois) nel 1916, vescovo, pedagogista statunitense.

1. Nessun leader cattolico nell’ultimo sec. negli Stati Uniti impose il rispetto o esercitò l’influenza del vescovo S. Nato da una delle più antiche e ricche famiglie d’America, S. divenne uno dei prelati più istruiti e colti della gerarchia americana. Studiò per il sacerdozio in vari seminari americani, a Lovanio e a Roma.

2. Come vescovo, uno dei suoi scopi principali fu lo sviluppo delle scuole parrocchiali. Durante la sua amministrazione a Peoria (1877-1908), le scuole parrocchiali aumentarono di numero, passando da 12 a 70 e le iscrizioni da 2.010 a 11.360. Fu uno dei primi leader cattolici ad incoraggiare l’istruzione delle ragazze e sostenne numerose scuole superiori con personale religioso femminile. S. fu un uomo dai molti talenti. La creazione di un’università cattolica fu solo un aspetto del suo impegno nel campo dell’istruzione Brillante e dotato, poeta, colto ed erudito, scrittore di libri di religione, filosofia, sociologia e pedagogia, con le sue opere in campo pedagogico ebbe riconoscimento a livello nazionale.​​ Esse includono:​​ Education and the higher life​​ (1890);​​ Means and ends of education​​ (1895);​​ Thoughts and theories of life and education​​ (1897);​​ Religion,​​ agnosticism,​​ and education​​ (1902).​​ Il suo ruolo come educatore che lasciò un’impronta profonda nell’istruzione cattolica fu definito nel migliore dei modi da Papa Pio X: «Pochi vescovi hanno avuto una così grande influenza sull’esperienza scolastica degli individui, persino al di fuori della religione e al di fuori della confessione cattolica, quanto il vescovo S.».

Bibliografia

McCluskey N. G.,​​ Public schools and moral education,​​ New York, Columbia University Press, 1958; Ellis J. T.,​​ J.L.S.,​​ Milwaukee, 1962; Curti M.,​​ The social ideas of American educators,​​ Paterson, 1965; Viotto P., «La pedagogia dello spiritualismo nei paesi di lingua inglese», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. III, Brescia, La Scuola, 1977, 716-719.

M. Ribotta




SPEARMAN Charles Edward

 

SPEARMAN Charles Edward

n. a Londra nel 1863 - m. a Londra nel 1945, psicologo e statistico inglese.

Dopo le prime ricerche con Wundt (​​ pedagogia sperimentale), ha studiato a Würzburg e a Göttingen. Nel 1907 è rientrato a Londra, dove ha insegnato all’Università fino al 1931. Fin dal 1904 S. si è dedicato allo studio della struttura dell’intelligenza umana. Allo scopo, ha ripreso e sviluppato gli apporti di K. Pearson e applicato ai test mentali una tecnica di analisi statistica innovativa: l’analisi fattoriale.​​ Ne è derivata una teoria bifattoriale dell’intelligenza, secondo la quale le attività cognitive impegnano tutte un fattore generale comune (il fattore «g») e fattori di second’ordine o attitudini specifiche (fattori «s»). Il modello proposto da S. è stato sviluppato successivamente dai fattorialisti inglesi (per es.​​ ​​ Burt), che hanno messo a punto una teoria gerarchica dell’intelligenza. Ricercatori americani (come L. Thurstone) hanno opposto ad esso un modello multifattoriale delle attività intellettuali, nel quale si negava l’esistenza di un fattore generale sovraordinato. Gli studi più recenti (Gardner, 1987) tendono a valorizzare le differenze nelle strutture intellettuali che si creano nei diversi periodi storici e nelle differenti culture (teoria delle intelligenze multiple). Anche se ha subito evoluzioni, l’apporto di S. resta comunque rilevante.

Bibliografia

a) Tra le opere di S.:​​ The nature of intelligence and principles of cognition,​​ London, Macmillan, 1923;​​ The ability of man,​​ Ibid., 1927;​​ Psychology down the ages,​​ Ibid., 1937. b) Su S.:​​ Covello H. L.,​​ Los factores mentales de S. y las potencias escolásticas, Córdoba (Argentina), Universidad de Córdoba. Facultad de Filosofía. Instituto de Metafísica, 1955;​​ Collis J. M. - S. Messick - U. Schiefele​​ (Edd.),​​ Intelligence and personality, Mahwah (N.J.), Erlbaum, 2001; Harrison K. - C. R. Brand,​​ The variable importance of general intelligence («g») in the cognitive abilities of children and adolescents, in «Educational Psychology», 26 (2006)​​ 6, 751-767.​​ 

C. Coggi




SPERIMENTAZIONE

 

SPERIMENTAZIONE

Il termine è dal lat.​​ experior​​ (sperimento, metto alla prova) e indica i metodi usati per studiare e verificare costrutti e risultati educativi.

1. Tale metodologia collega esperienza ed esperimento (Bertoldi, 1976), esplicitando più razionalmente controlli e procedimenti (Calonghi, 1977), con soluzioni più sicure ed economiche di problemi educativi (per es. sull’apprendimento). Gli obiettivi della s., definiti formalmente e operativamente, sono controllabili attraverso condotte (indicatori) osservabili. Le ipotesi della s., coerenti con gli obiettivi, sono maturate e formulate secondo contenuti, metodi, strutture (ivi), dalla scoperta (problem finding),​​ alla soluzione del problema (problem solving), coinvolgendo lo sperimentatore con creatività, intelligenza, capacità critica (Boncori, 1995).

2. Applicazioni educative e scolastiche sono dirette a migliorare la conoscenza e la soluzione dei problemi riguardanti, ad es., il profitto scolastico e accademico, la dispersione, ecc. (Boncori, 1992). L’interazione produttiva tra operatori, insegnanti e ricercatori migliora la s. Una metodologia sperimentale funzionale e valida per l’educazione e la scuola è rappresentata dall’osservazione pedagogica (Boncori, 1994; 1997; Coggi, 1989), basata sulla descrizione delle caratteristiche istituzionali, scolastiche, ambientali (socio-culturali, familiari), personali. Il processo osservativo incorre in errori comuni (per es.:​​ effetto alone,​​ conoscenza per​​ stereotipi,​​ ecc.), con distorsioni sistematiche riguardanti la validità e l’attendibilità della rilevazione e, conseguentemente, l’efficacia degli interventi (Boncori, 1994, 2000). Tali problemi sono controllati dalla consapevolezza di chi osserva (doti personali) e da metodologie strutturate: le​​ Guide di osservazione​​ (Boncori, 1997), ad​​ es., rilevano e programmano interventi sugli alunni attraverso la predisposizione di unità di osservazione, obiettivi (comuni, specifici), indicatori e descrittori comportamentali, fino ad una sintesi in un profilo finale che sintetizza le diverse variabili considerate. Il metodo sperimentale è usato anche per osservare e valutare il comportamento degli insegnanti (Boncori, 2000), con metodologie strutturate, rilevazione di dati, colloquio (Montgomery, 1999).​​ La validazione sperimentale fonda la validità dell’intera metodologia.

3. L’esperimento​​ può conferire validità alle conoscenze e agli interventi educativi, e richiede una strutturazione della situazione, mantenendo costanti tutti i fattori eccetto quello sperimentale, sulla cui azione si vuole ricercare. Va deciso su quali soggetti (popolazione, campione) operare: una​​ s. campionaria, ad es.,​​ è​​ basata su un «numero limitato di individui, oggetti o eventi, la cui osservazione consente di trarre delle conclusioni o inferenze estendibili all’intera popolazione o universo da cui il campione è stato tratto» (De Landsheere, 1973). L’estensione dei risultati all’intera popolazione (validità esterna) dipende da limiti metodologici connessi con il campione e le misure. Le fasi​​ classiche​​ della s. includono la maturazione dell’ipotesi e la definizione del problema (attraverso ricerche ed esperienza), la formulazione sperimentale dell’ipotesi in termini di variabili rilevabili e misurabili, la definizione e descrizione della popolazione e / o del campione, la scelta degli strumenti per l’acquisizione dei dati, la rilevazione e l’elaborazione dei dati, il commento dei risultati, le conclusioni a cui si è giunti sul problema iniziale e le successive ricerche e ipotesi previste per ulteriori e migliori soluzioni​​ (Bieger, Gerlach, 1996; Evans, 1968; Wiersma, 1995).

4. Lo schema di base dell’esperimento (Laeng, 1992) confronta i cambiamenti tra una situazione iniziale e una finale, dopo l’applicazione di un fattore sperimentale. Ad es., nel disegno sperimentale​​ con un gruppo,​​ c’è una situazione iniziale, misurata con una prova iniziale; viene applicato il fattore​​ ordinario​​ e quello​​ sperimentale, con effetti misurati distintamente in una situazione finale. Questo disegno di s. ha limiti consistenti soprattutto perché non può valutare in modo distinto il peso della maturazione e dell’apprendimento dei soggetti nel corso dell’esperimento (Calonghi, 1977). Un disegno sperimentale con due gruppi permette un controllo più distinto e preciso del fattore sperimentale. Ad es., per verificare se alcuni esercizi per sviluppare la capacità critica sono efficaci (Boncori, 1995) in alunni di scuola media, e disponendo di due gruppi-classe presi a caso, o sperimentalmente equivalenti, si può procedere come segue: si dividono gli alunni, o le due classi, in due raggruppamenti casuali (A - sperimentale, B -​​ di controllo). Dopo un test iniziale e valido di capacità critica (Boncori, 1989) al gruppo A e B, si propone solo al gruppo A un​​ trattamento​​ educativo (T), per es. con schede valide di esercizio critico (Boncori, 1995). Il gruppo B​​ segue solo la scuola ordinaria. Alla fine del​​ trattamento, si valuta nuovamente (con la prova usata all’inizio o forme parallele) la capacità critica per gli alunni del gruppo A e del gruppo B. Differenze statisticamente significative nei due gruppi alla fine della s. indicheranno l’efficacia degli esercizi svolti sulla capacità critica. Graficamente, questo disegno sperimentale si esprime come segue:​​ 

Gruppo A (sperimentale):  C 01  T  02​​ 

Gruppo B (di controllo):  C  03 ​​  04

5. Disegni sperimentali con più gruppi, controllano meglio i diversi fattori attivi nella s., con conseguenti migliori analisi e soluzione dei problemi (Calonghi, 1977; Laeng, 1992). Connesse con la validità e l’attendibilità della s. sono le problematiche sulla misurazione, l’elaborazione dei dati, l’uso di test statistici idonei (Kerlinger, 1964; Boncori, 1993, 2006), per valutare le indicazioni sperimentali e le ipotesi formulate, con stima probabilistica dell’errore (p≤.01-.05). La presentazione dei risultati dà agli interessati (ricercatori, insegnanti, ecc.) una sintesi dell’intero procedimento, per interventi educativi più produttivi e ulteriori ipotesi di s. Tra gli strumenti usati nella raccolta dei dati c’è il cosiddetto​​ portfolio, «una raccolta mirata del lavoro dello studente, in un certo periodo di tempo, che ci mostra dettagliatamente e con evidenza i suoi sforzi, progressi o profitto in una certa area» (Smith, 1997). Le ricerche ne documentano la validità sperimentale purché basata sull’uso di procedure rigorose per la strutturazione metodologica e la rilevazione dei dati, con risultati significativi e correlazionali (Smith, Tillema, 1998) su​​ manager​​ aziendali, presidi, apprendimento scolastico della lingua scritta, lettura, matematica, programmi per superdotati (Boncori, 2000).

Bibliografia

Kerlinger F. N.,​​ Foundations of behavioral​​ research,​​ New York, Holt, Rinehart and Winston, 1964; Calonghi L.,​​ La scelta del campione,​​ Roma, UPS, 1973; De Landsheere G.,​​ Introduzione alla ricerca in educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1973; Bertoldi F.,​​ S.,​​ Brescia, La Scuola, 1976; Coggi C.,​​ L’osservazione sistematica e i docenti di scuola media,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 36 (1989) 915-934; Boncori G.,​​ Test di pensiero critico «Caccia all’errore 12»,​​ Roma, Kappa, 1989; Id., «Rendimento», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. V, Brescia, La Scuola, 1992, 9948-9961; Boncori L.,​​ Teoria e tecniche dei test, Torino, Bollati Boringhieri, 1993; Boncori G.,​​ Guida all’osservazione pedagogica,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Id.,​​ Educare la capacità critica,​​ Roma, CRISP, 1995; Id., «Le guide di osservazione in pedagogia», in C. Nanni (Ed.),​​ La ricerca pedagogico-didattica - Problemi,​​ acquisizioni e prospettive, Roma, LAS, 1997, 231-244; Montgomery D.,​​ Positive teacher appraisal through classroom observation, London, Fulton, 1999; Boncori G.,​​ L’osservazione sistematica in pedagogia: un metodo per la ricerca e la pratica educative, in «Studium Educationis» (2000) 2, 248-260; Boncori L.,​​ I test in psicologia. Fondamenti teorici e applicazioni, Bologna, Il Mulino, 2006.

G. Boncori




SPIRITO

 

SPIRITO

È un termine dai molti significati. Ne può essere conferma perfino il vocabolario della lingua italiana dello Zingarelli. Alla voce s. vi troviamo tra l’altro: «principio immateriale attivo, spesso considerato immortale o di origine divina, che si manifesta come vita e coscienza», «anima, principio di vita individuale», «manifestazione ed essenza della divinità», «essenza personificata», «vivacità d’ingegno, intelligenza briosa». Ne derivano alcuni precisi modi di espressione: avere molto s., nutrire lo s., credere negli s.

1. Lungo la storia del pensiero filosofico-religioso ci sono stati diversi ambiti e modi di intendere il vocabolo s. A partire dalla filosofia greco-latina, esso si trova in tutte le epoche della storia della filosofia. È pure presente nella filosofia orientale. Il suo significato sarebbe da ricercare attraverso il greco​​ nous,​​ il latino​​ mens​​ o​​ ingenium​​ nonché​​ spiritus.​​ Per i filosofi, il termine s. ha un significato particolare quando indica la vita dell’intelligenza e della volontà dell’uomo (= lo s. dell’uomo). Lo s., quindi, è una realtà che si coglie prima di tutto sul piano antropologico e fa pensare all’interiorità dell’uomo. Lo s. dice la capacità di riflessione su se stesso e di​​ ​​ libertà, nonché la capacità di apertura all’assoluto. Grazie allo s., l’uomo può agire come soggetto.​​ 

2. Questa è la ragione per cui lo s. è anche una realtà teologica. Pur limitandosi al suo significato religioso-spirituale, il termine conosce diversi usi: «uomo spirituale» in opposizione all’uomo carnale, «lo s. del mondo» e «lo S. di Dio», «mondo spirituale», «autori spirituali», «potere spirituale della chiesa» in opposizione al potere temporale dello Stato, ecc. Nella Bibbia, la realtà designata con il nome di s. è molto complessa. È a partire dall’AT che essa risulta una realtà concreta, come per es. alito, soffio, vento o, come nel Salmo 104,29-30, l’alito vivificante che Dio infonde negli esseri viventi, oppure il principio di una vita morale qualitativamente migliore, come in Ezechiele 36,26: «porrò il mio s. dentro di voi».​​ Nel NT, il vocabolo s., oltre ad essere frequente acquista un carattere sempre più forte. Da una parte risulta elemento della struttura trascendentale dell’uomo che lo rende​​ capax Dei​​ e dall’altra è il dono che Dio dà perché l’uomo progredisca sul piano spirituale. È interessante, a questo riguardo, il linguaggio di s. Paolo. Nella 1 Ts 5,23, per es., troviamo un’elencazione di «s.,​​ anima e corpo»​​ che non intende indicare parti costitutive dell’uomo. Lo s., in questo contesto, non è una terza componente accanto al corpo e all’anima, ma è un principio di qualificazione. Esso si esprime e si manifesta attraverso la psiche ed il corpo, qualificandoli a misura del loro progressivo dominio. Lo scopo del cammino ascetico, infatti, è quello di rendere il corpo e l’anima trasparenti e sottomessi allo spirituale. S. Paolo mette in costante dialettica lo s. e la carne. La carne indica ogni attività umana, puramente naturale, che si limita ai beni della vita terrena; lo s., invece, indica ogni attività umana che si dedica ai beni della vita futura. È così che l’Apostolo arriva a poter parlare dell’uomo spirituale (pneumatikós)​​ e distinguendo tra l’uomo naturale e quello spirituale, egli indica in quest’ultimo la presenza dello S. di Dio.

3. Dato questo fondamento biblico, la teologia parla dell’inabitazione dello S. santo in tutti gli uomini che possiedono la grazia e la carità, dei doni dello S. santo, delle mozioni dello S. santo. Lo S. santo unisce l’uomo a Cristo e in Cristo lo unisce al Padre. Si tratta di una relazione dinamica che coinvolge tutto l’essere dell’uomo. «L’uomo naturale però non comprende le cose dello S. di Dio; esse sono follia per lui,​​ e non è capace di intenderle,​​ perché se ne può giudicare solo per mezzo dello S.»​​ (1 Cor 2, 14). L’esperienza spirituale cristiana significa, in questo caso, entrare sempre più profondamente nel mistero di Dio: «È in te la sorgente della vita,​​ alla tua luce vediamo la luce»​​ (Sal 36,10). Nella teologia si parla perfino dei «sensi spirituali», sottolineando la concretezza della relazione dell’uomo con Dio ma, prima ancora, il coinvolgimento di tutta la persona, sensi compresi, nell’esperienza di Dio.

Bibliografia

Ryle G.,​​ Lo s. come comportamento,​​ Torino, Einaudi, 1955; Ancilli E. et al.,​​ L’uomo nella vita spirituale,​​ Roma, Pontificio Istituto di Spiritualità del Teresianum, 1974;​​ De Carvalho M. J. jr.,​​ La formation de la pensée humaine. La dynamique ontologique de l’esprit. Genèse de la pensée,​​ Neuchâtel, La Baconnière, 1974; Forest A.,​​ Essai sur les formes du lien spirituel,​​ Paris, Beauchesne, 1981; Lazorthes G.,​​ Le Cerveau et l’Esprit,​​ Paris, Flammarion, 1982; Boracco P. L. - B. Secondin (Edd.),​​ L’uomo spirituale,​​ Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1986.

J. Struś




SPIRITUALITÀ

 

SPIRITUALITÀ

Il termine, relativamente nuovo, viene adoperato in riferimento a diversi contesti e ambiti della vita religiosa dell’uomo. Si dice s. cristiana ma pure cattolica, protestante, ortodossa, nonché dei laici, dei religiosi, e anche del lavoro, dello sport, del tempo libero. Il vocabolo, non essendo ristretto all’ambito esclusivamente cristiano viene applicato ancora alle altre religioni: s. buddhista, ebraica, musulmana, shintoista.

1. Nel senso specifico cristiano, il termine s. ci orienta allo Spirito santo nella concreta situazione storica di credenti in Gesù Cristo. La parola s. subentra in gran parte a quelle di «ascetica e mistica» prese insieme. Ne risulta che la s. costituisce, in quanto riflessione teologica, una scienza teologica cristiana che si interessa del vissuto cristiano sostenuto dallo Spirito santo nella sua esistenza e nel suo cammino verso la perfezione nella storia. Il discorso sulla s. tiene conto di molteplici agganci tra l’esistenza cristiana e il mistero cristiano. Perciò la s. cristiana è fondamentalmente, allo stesso tempo, una s. cristologica, perché si ispira soprattutto alla figura di Cristo, una s. pneumatologica, perché è lo Spirito santo colui che produce nel cuore del credente in Gesù la filiazione divina e i frutti di ogni santificazione, una s. biblica, perché al centro della vita dei credenti si trova la parola di Dio che fa prendere coscienza dell’iniziativa gratuita dell’amore del Padre per tutti gli uomini, una s. ecclesiale, perché il luogo di nascita e di crescita dell’uomo in Cristo per mezzo dello Spirito santo è la comunità dei discepoli, una s. sacramentale, perché i sacramenti sono la celebrazione dei misteri della vita di Cristo per noi.

2. Benché tale vissuto abbia origine con i sacramenti dell’iniziazione cristiana: battesimo, cresima, eucaristia, non si può ignorare l’importanza della Parola di Dio che suscita e orienta verso una graduale esperienza di vita spirituale ogni credente in Gesù. Di fatto, la s. cristiana ubbidisce alla legge della gradualità, soggetta alla progressione del tempo, all’impegno e alla fedeltà dell’uomo, partendo dalla situazione e dallo stato reale in cui egli si trova. Un secondo aspetto è il contributo che la crescita cristiana dà alla maturazione umana. Una pedagogia seria della fede e una introduzione al mistero cristiano, intesa come mistagogia, sono sempre a sostegno sia di una profonda s., sia del mutuo rapporto tra la​​ ​​ maturazione umana e la crescita cristiana. La s. cristiana, in quanto esperienza di vita spirituale nella storia, assieme ai principi forniti dalla teologia, comprende anche tutta la ricchezza delle molteplici esperienze suscitate dalla grazia. Ne risulta l’importante compito che ha da svolgere la storia della s.: stabilire la certezza storica dei fatti, liberandoli dai dubbi e dalle leggende, determinandone con precisione il tempo, il luogo, la successione, i rapporti vicendevoli; offrire una vasta raccolta di esperienze certe, vissute da persone di ogni ceto, di ogni tempo, di ogni luogo, da cui si possono ricavare metodi da seguire e modelli da imitare; presentare, attraverso lo svolgersi del tempo, testimoni e testimonianze del sentimento e del pensiero della Chiesa a riguardo della perfezione cristiana. Contano, in questo senso, la canonizzazione dei santi, il valore teologico delle vite e degli scritti dei santi e, in genere, degli autori spirituali, l’approvazione degli Ordini e delle Congregazioni religiose. Non essendoci un tipo di fede valido per tutti i tempi né un ideale di santità sovratemporale, e dato il carattere innovatore e provvisorio della s., sono possibili sempre nuovi stili di s. con inevitabili nuovi rischi.

3. Considerando i vari tipi di religione presenti nel mondo, notiamo tra essi una sostanziale differenza, che va da un formale rapporto con il divino a una vera comunione di fede, amore, speranza. Ne consegue il tipo di s. Tra i tipi di religione si possono distinguere:​​ una via religiosa,​​ che si esprime nella organizzazione dei rapporti degli uomini con il divino;​​ una via di sapienza​​ che, partendo dall’insegnamento dei grandi saggi, propone degli itinerari e delle tecniche per conseguire la liberazione e una comunione con il tutto;​​ una via di fede​​ che, partendo da un rapporto più personale di fede, si abbandona a un essere divino considerato persona.

Bibliografia

Calati B. - B. Secondin - T. P. Zecca (Edd.),​​ S. Fisionomia e compiti,​​ Roma, LAS, 1981; Rondet M. - C. Viard,​​ La crescita spirituale. Tappe,​​ criteri di verifica,​​ strumenti,​​ Bologna, Dehoniane, 1989; Moioli G.,​​ L’esperienza spirituale, Milano, Glossa, 1992; Bernard Ch. A. (Ed.),​​ La s. come teologia.​​ Simposio organizzato dall’Istituto di S. dell’Università Gregoriana, Roma 25-28 aprile 1991, Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1993; 147-167;​​ Carmelitani Scalzi,​​ La teologia spirituale.​​ Atti del Congresso internazionale OCD,​​ Roma 24-29 aprile 2000, Roma, OCD / Teresianum, 2001;​​ Cazzulani​​ G.,​​ Quelli che amano conoscono Dio.​​ La teologia della s.​​ cristiana di Giovanni Moioli (1931-1984). Prefazione di B. Secondin, Roma, Pubblicazione del Pont. Seminario Lombardo, 2002;​​ García C.,​​ Teología espiritual contemporánea.​​ Corrientes y perspectivas,​​ Burgos, Monte Carmelo, 2002;​​ Mirabella​​ P.,​​ Agire nello Spirito.​​ Sull’esperienza morale della vita spirituale, Assisi, Cittadella, 2003; Pellerey M., «S. e educazione», in C. Semeraro (Ed.),​​ La​​ s.​​ salesiana in un mondo che cambia, Caltanissetta / Roma, Sciascia Editore, 2003, 75-97.

J. Struś




SPONTANEITÀ / SPONTANEISMO

 

SPONTANEITÀ / SPONTANEISMO

Col primo termine si indica un carattere proprio del comportamento in quanto non orientato da influssi o prescrizioni o abitudini indotte attraverso l’azione di agenti e fattori educativi di qualche tipo (è l’equivalente del concetto di «naturalità»); col secondo si intende la concezione pedagogica per la quale il carattere della spontaneità rappresenta la condizione essenziale di autenticità della situazione educativa.

1.​​ Suggestioni.​​ La valorizzazione della s. risale al paradigma dell’Emilio​​ di​​ ​​ Rousseau, nel quale assume l’aspetto di educazione secondo natura e di educazione indiretta e consiste essenzialmente nel rivendicare il rispetto della struttura originaria del fanciullo nei suoi ritmi evolutivi e nelle sue espressioni vitali di contro alle costrizioni ed alle convenzioni delle usanze sociali e pedagogiche. Il tema basilare della bontà naturale, poi, troverà una particolare ripresa nell’attivismo e la sua più intensa elaborazione nell’opera di A. S. Neill (1883-1973), che riporta il criterio della s. al principio dell’autoregolazione come attributo sostanziale positivo della natura del soggetto, una volta che esso non venga disturbato (represso, inibito, minacciato) dal sistema delle strutture sociali e morali, fra le quali un posto di primaria importanza negativa spetta proprio all’educazione Si tratta di quello che Perkinson qualifica come «paradigma della crescita» di contro ai paradigmi della «iniziazione» e della «trasmissione». Lo s. si prospetta, allora, come una visione che, a partire dai dati immediati della realtà biopsichica, si sposta a quelli di ordine culturale e formativo per affermare che soltanto un’educazione basata sul rispetto e sulla promozione di questa immediata capacità di autoregolazione può garantire l’approdo ad uno sviluppo compiuto del soggetto verso la felicità personale e l’adattamento produttivo alla vita.

2.​​ Impulsi e confini.​​ La riduzione della presenza dell’ordine oggettivo esterno al solo piano delle convenzioni sociali minime (non invadere con le proprie pretese il diritto degli altri ad una espressività uguale alla propria), rende la posizione spontaneistica certamente debole sotto molti riguardi, esponendola al rischio di un istintualismo privo di limiti. D’altro canto, occorre dire che essa ha rappresentato la più convinta reazione all’irruzione della violenza sul terreno dell’educazione, dando un non indifferente apporto alla vocazione​​ della pedagogia moderna a saper stare – come diceva Neill stesso – «dalla parte dei bambini». Occorre comunque ricordare che l’esperienza del limite e lo sguardo dell’adulto restano contributi non eliminabili dall’itinerario di sviluppo umano del bambino.

Bibliografia

Gilbert R.,​​ Le idee attuali in pedagogia,​​ Roma, Città Nuova, 1973; Snyders G.,​​ Le pedagogie non direttive,​​ Milano, Feltrinelli, 1975; Angelicola M. D.,​​ Un’utopia rivisitata,​​ Roma, Armando, 1978; Neill A. S.,​​ Summerhill.​​ Una proposta contro la società repressiva,​​ Milano, Rizzoli, 1979; Perkinson H. J.,​​ Learning from our mistakes. A reinterpretation of twentieth-century educational theory, Westport-London, Greenwood P.,1984; Marcelli D.,​​ Il bambino sovrano, Milano, Cortina, 2003.​​ 

C. Scurati




SPRANGER Eduard

 

SPRANGER Eduard

n. a Berlino nel 1882 - m. a​​ Tübingen​​ nel 1963, filosofo e pedagogista tedesco.

1. Studiò da W. Dilthey, F. Paulsen e O. Hintze a Berlino. Dal 1911 al 1920 fu professore di filosofia e pedagogia a Leipzig, a partire dal 1920 a Berlino. Nel 1925 fu assunto nella Accademia Prussiana delle scienze; dal 1936 al 1939 esercitò attività didattica in Giappone; nel 1945 fu rettore commissario dell’università di Berlino; dal 1946 al 1952 professore a​​ Tübingen.

2. S. è considerato, accanto a Th. Litt e H. Nohl, uno dei pedagogisti più influenti in Germania durante il XX sec. A ciò hanno contribuito l’ampia tematica e la fondazione filosofica della sua opera, il suo insegnamento accademico e il suo influsso determinante nella riforma della scuola. Lo specifico della sua opera scientifica è il fatto che si radica totalmente nella tradizione della cultura classica, dell’idealismo e dell’umanesimo; ne danno testimonianza i suoi due libri sull’idea di umanesimo in Humboldt (1909) e sulla riforma della scuola (1910), come pure i suoi articoli su Goethe. Nello stesso tempo però S. studiava le scienze empiriche del suo tempo, in particolare la psicologia, senza tuttavia cadere in una posizione empiricistica. Le due celebri opere su​​ Le forme della vita​​ e​​ La psicologia dell’età giovanile​​ sono opere di una psicologia che appartiene alle scienze dello spirito, ed interpreta il senso unitario dell’esperienza psichica alla luce di un’attuazione generale dei valori. L’anima individuale in quanto spirito soggettivo si forma «dall’interno» nella relazione con la cultura oggettiva.

3. In questo senso S. si riallaccia anche alle idee della​​ Reformpädagogik,​​ con la quale però si mette a confronto, come fa anche per gli altri movimenti sociali del suo tempo. Alla dinamica di questi movimenti contrappone tuttavia il rigore categoriale dell’impegno scientifico, interpretandoli nella dialettica dell’individualità e dell’universalità tipica di Humboldt. Sul piano della riforma della scuola S. ha avuto influsso sullo sviluppo delle Accademie pedagogiche per la formazione degli insegnanti, in cui l’autonomia di una pedagogia educativa doveva trovare una impostazione appropriata per la formazione degli educatori. Per la comprensione della funzione insegnante sono stati rilevanti i seguenti scritti di S.:​​ Der Eigengeist der Volksschule​​ (1955) e​​ Der geborene Erzieher​​ (1958), in cui, fondando l’educazione su una responsabilità etico-sociale, che nella figura dell’insegnante trova la sua forma appropriata, giunge a un orientamento professionale «stabile».

Bibliografia

Gesammelte Schriften, Hrsg. von H. W. Bärht et al., Heidelberg, Quelle und Meyer,​​ 1969;​​ Meyer-Millner G. (Ed.),​​ E.S. Aspekte seines Werks aus heutiger Sicht, Bad Heilbrunn, Klinkhardt, 2001; Sacher W. - A. Schraut (Edd.),​​ Volkserzieher in dürftiger Zeit. Studien über Leben und Wirken E.S., Frankfurt, Peter Lang, 2004; Schraut A.,​​ Biografische Studien zu E.S., Bad Heilbrunn, Klinkhardt, 2007.

F. Hamburger