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SOLIDARIETÀ

 

SOLIDARIETÀ

Può essere definita come «la determinazione ferma e perseverante​​ di impegnarsi per il​​ bene comune:​​ ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti​​ siamo​​ veramente responsabili​​ di tutti»​​ (Giov. Paolo II, 1988, n. 38).

1.​​ S. e solidarismo sociale.​​ Il termine è abbastanza recente, ma il concetto risale alle prime riflessioni teoriche sulla società. La sociologia distingue​​ due tipi​​ di s. sulla scorta di Tönnies e di​​ ​​ Durkheim: «la prima è originata da una profonda omogeneità fra i soggetti e porta ciascuno ad agire primariamente in funzione delle esigenze altrui; la seconda, invece, trova la propria ragione nella differenziazione e complementarità esistente tra le persone e spinge il singolo a realizzare il proprio obiettivo contribuendo al raggiungimento dell’obiettivo comune» (Sarpellon, 1993, 849). Venendo più vicino a noi, va sottolineato che nel concetto di s. rimane l’aspirazione alla giustizia sociale e al superamento delle diseguaglianze tradizionali. Però la nuova s. dovrà coniugare contemporaneamente i bisogni della soggettività, dare soddisfazione alle esigenze individuali, valorizzare il diritto di ciascuno alla​​ differenza.​​ Essa significa assicurare a ciascuno la possibilità di attuare le proprie opportunità in collaborazione con gli altri. È centrale il concetto di corresponsabilità: la s. non va confusa con l’assistenzialismo, ma richiede che ogni persona, anche l’emarginato, diventi attore dell’avvenire proprio e collettivo. La s. costituisce la base di quella concezione delle politiche sociali che si chiama​​ solidarismo.​​ A tale sviluppo hanno contribuito sia 1’​​ ​​ insegnamento sociale della Chiesa sia i movimenti, i partiti e le correnti di pensiero che si sono occupati della costruzione dello​​ ​​ Stato sociale. Una strategia del solidarismo consiste anzitutto nel diffondere una cultura della s. che realizzi un salto di qualità da una s. passiva, deresponsabilizzante, assistenziale, ad una s. attiva, promozionale, responsabilizzante: può essere senz’altro un campo privilegiato di azione del sistema formativo. In secondo luogo, andrà potenziato il privato sociale (cioè il complesso delle attività di produzione di beni e servizi, condotte da privati senza scopo di lucro, ma con finalità di servizio sociale) per arrivare a una dinamica sociale a tre dimensioni che abbandoni le dicotomie Stato / mercato, pubblico / privato. Pertanto, la realizzazione del benessere non dovrà essere affidata tanto alla erogazione di pacchetti di beni e servizi, quanto alla garanzia della possibilità di produrli attraverso forme di auto-organizzazione e di autogestione. Di conseguenza ci sarà bisogno di una riqualificazione dello Stato sociale nel senso del passaggio alla società solidale: in altri termini la funzione dello Stato va ripensata nelle forme del garante-promotore più che del garante-organizzatore. Un’altra strategia consiste nella s. fra le generazioni che nel passato era un atteggiamento naturale della famiglia, mentre nella società odierna ha assunto il carattere di un dovere della comunità. Questo principio va applicato soprattutto nel campo della salvaguardia del creato, evitando di scaricare i costi attuali sulle future generazioni. Da ultimo si dovrà realizzare una globalizzazione della s., puntando a ridistribuire le ricchezze tra le diverse aree del mondo a vantaggio di quelle più sfavorite.

2.​​ S. ed educazione.​​ L’educazione alla s. è operazione complessa perché si tratta di formare a uno stile globale di vita che definisce l’identità del soggetto, l’insieme delle sue interazioni con gli altri e la partecipazione alla vita sociale e politica. Essa comporta l’attivazione di diverse istanze, implica un’azione convergente su differenti livelli e richiede tempi lunghi. Un primo itinerario punta in direzione del mondo dell’interiorità personale. Si tratta in altre parole di formare nei giovani una coscienza riflessa, critica e aperta che consenta la maturazione di un corretto concetto di sé e di un atteggiamento di accoglienza disponibile dell’altro, del nuovo e del diverso. Una seconda meta può essere identificata nella maturazione delle relazioni interpersonali. La considerazione dell’altro deve cambiare profondamente: bisogna passare dalla sua concezione come nemico, come oggetto ostile, a quella di fratello che si accoglie e da cui si è accolti. Una terza via porta in direzione del mondo dell’organizzazione sociale. Bisogna formare a una partecipazione personale e corresponsabile nella società civile e politica per contribuire alla crescita di una convivenza dal volto umano. Una quarta pista punta al mondo della cultura e della civiltà. Bisognerà aiutare i soggetti a superare ogni precoce fissazione mentale, ad essere flessibili e aperti nel pensare e a impegnarsi nell’elaborazione di una cultura dell’umano. Passando dagli obiettivi alle metodologie, una prima strategia consiste nel fornire un’informazione precisa, oggettiva, completa, critica e stimolante. Inoltre, è necessario che l’educatore curi la recezione delle informazioni da parte dei giovani, formando in questi ultimi corrette capacità di accoglienza. In rapporto con l’informazione si richiede la coscientizzazione e la responsabilizzazione del soggetto che deve maturare alla criticità, all’assunzione di impegni, alla capacità di cambiamento e di innovazione. Tutto questo rinvia ad un apprendistato per saper prendere decisioni e sapersi assumere la responsabilità, per quanto compete, delle decisioni assunte. Infine, bisogna educare a fare comunità, ad aiutarsi. Possono servire a questo scopo varie strategie: saper cogliere la trama della convivenza; sostenere la fatica dell’accettazione di se stessi e del comunicare; far acquisire le regole e le dinamiche della comunicazione interpersonale; far fare pratica di comunità; e, in un contesto religioso, vivere la condivisione, partecipare alla liturgia o a forme di preghiera comunitaria e praticare la contemplazione e la meditazione. Per educare alla s., l’importante è anche valorizzare le diverse occasioni che il vissuto offre e le molte strutture formative esistenti, dalla scuola, alla famiglia, ai gruppi, alle associazioni, alla Chiesa, ai mass media.

Bibliografia

Giovanni Paolo II,​​ La sollecitudine sociale della Chiesa,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1988; Nanni C. (Ed.),​​ Intolleranza,​​ pregiudizio e educazione alla s.,​​ Roma, LAS, 1991; Sarpellon G., «S.», in E. Berti - G. Campanini (Edd.),​​ Dizionario delle idee politiche,​​ Roma, AVE, 1993, 845-851; Cacciari M. - C. M. Martini,​​ Dialogo sulla s., Roma, Edizioni Lavoro, 1995; Ammaturo N.,​​ Educazione e società comunicazionale, Milano, Angeli, 2000; Id.,​​ La dimensione della s. nella società globale, Ibid., 2003; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,​​ Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Città del Vaticano, LEV, 2004.

G. Malizia




SOLITUDINE

 

SOLITUDINE

La s. è un dato permanente, ma ambiguo, della condizione umana: da una parte può presentarsi come un aspetto d’integrazione personale, di capacità personale di autonomia di vita (e quindi positivo), dall’altra può anche essere espressione dell’incapacità d’intessere relazioni sociali.​​ 

1. In questo senso viene subito ad evidenza la necessità di un impegno formativo al riguardo. È particolarmente importante chiedersi come condurre l’uomo all’ascolto del suo essere originale e profondo, come aiutarlo a sentirsi in rapporto e non in situazione di simbiosi parassitaria con gli altri, con le istituzioni comunitarie, con Dio. Infatti la s. non è in primo luogo la situazione di chi è solo e senza rapporti, diremmo senza dimensione spaziale, ma è l’espressione di un essere spirituale, che, essendo unico al mondo, è perciò irriducibile al gruppo sociale. Da questo punto di vista la s. è la condizione assoluta della vita dello spirito, l’espressione della maturità personale dell’uomo. Senza la capacità di vera s., lontani dal frastuono della massa, non c’è profondità d’esistenza. Senza di essa, infatti, non si può essere se stessi, non c’è stabilità nel proprio essere, né vera libertà dai legami terrestri in un orizzonte di fede e neppure comunione intima con Dio e con i fratelli.

2. Compito essenziale dell’educazione è accompagnare personalmente l’individuo a scoprire il valore della s., come identità personale e forza di sviluppo di ciò che vuole ed è chiamato ad essere con il suo progetto di vita. Senza quest’apprendimento, non solo l’uomo non giungerebbe ad avere un pensiero personale vero ed un’autentica reciprocità affettiva, dato che questa implica sempre un desiderio profondo di comunione, oltre che d’accettazione, rispetto e promozione della reciproca​​ ​​ alterità. Se non fosse così si correrebbe il rischio, non meno grave, di cadere nel solipsismo o nell’egoismo più sfrenato, assumendo se stesso come misura unica della propria coscienza e delle proprie e altrui azioni. Per tale motivo l’educazione deve evitare che si instauri una cattiva soggettività e deve favorire invece la relazionalità libera e l’oggettività che riporta al reale ed apre agli altri e alla trascendenza. Altrimenti può accadere che l’uomo viva la s. come fuga dal reale con il pretesto di aver acquisito la coscienza della propria autonomia. La sfida è, invece, quella di salvare l’uomo da questo rischio, educandolo a saper alternare i momenti della vita collettiva, culturale, sociale e intersoggettiva o gruppale con momenti preziosi di concentrazione dello spirito, di raccoglimento e di ascolto della verità interiore. La convinzione, in ogni epoca, dal mondo biblico all’antichità, fino al​​ ​​ Medioevo, ai mistici renani e alla mistica salesiana del XVI e XVII sec., è sempre la stessa: bisogna formare la persona ad essere capace di concentrazione e di s. perché possa​​ ritornare in sé,​​ più in là di tutte le parole, fino all’io profondo e religiosamente all’immagine di Dio in noi. In questo modo la persona può cogliere il senso profondo delle azioni che compie e possedere interiormente la propria identità personale, per esprimerla con piena libertà e originalità nelle relazioni intersoggettive, gruppali, comunitarie e nelle situazioni concrete. L’educazione è efficace solo se pone attenzione alla formazione dell’identità personale di ciascuno, ossia se aiuta la persona a staccarsi dalla semplice coesistenza sociale indistinta perché possa leggere la propria vocazione unica e insostituibile. Questo significa accompagnare la persona facendola passare dalla s., vissuta come condizione d’isolamento spaziale, alla s. della propria vocazione originale, come risultato della concentrazione dello spirito.

3. È urgente riscoprire il valore fondante del​​ «redire ad cor»​​ (san Benedetto) che non è qualcosa di supererogatorio, ma una disposizione essenziale della condizione umana. Ma per questo occorre un metodo di ricerca esistenziale che faccia passare dalla conoscenza convenzionale e acritica, alla piena e libera coscienza e possesso di sé. Questo è particolarmente importante, oggi, per non rimanere sommersi dalla marea della pressione sociale o per non essere frastornati dal bombardamento dei​​ media. Da sempre il mondo della «chiacchiera»​​ ​​ quella «antica» dei piccoli gruppi e quella «moderna» basata sull’informazione tramite i mass-media​​ ​​ è un segno patente di superficialità di vita e di inautenticità di esistenza. Allo stesso modo l’uomo, imbrigliato dal mondo della produzione e mitizzato come misura unica delle proprie azioni, rischia l’alienazione completa da sé se non sa vivere «dentro» di sé, se non sa «habitare secum», collocandosi nel cuore profondo di ogni comunione. Si tratta di condurre l’uomo attraverso le strade del​​ ​​ silenzio, a pause feconde di s. contemplativa. O, meglio, di aiutarlo ad analizzare e confrontare la Parola originale, che porta nel proprio cuore, con la totalità delle parole di tutte le culture e contesti sociali. Tutto questo favorisce una profonda integrazione ed unificazione della persona per una buona relazionalità e reciprocità costruttiva del tessuto sociale.

Bibliografia

Lubienska de Lenval H.,​​ Le silence à l’ombre de la Parole,​​ Tournai, Casterman, 1965; Baldini M.,​​ Le parole del silenzio,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1986; Martini C. M.,​​ Qualche anno dopo. Riflessioni sul ministero presbiterale, Casale Monferrato (AL), Piemme, 1987; Castellazzi V. L.,​​ Dentro la s.: da soli felici o infelici, Roma, Città Nuova, 1998; Bianchi E.,​​ Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 1999; Louf A.,​​ La vita spirituale, Magnano (BI), Qiqajon, 2001;​​ Beauchamp​​ P. et al.,​​ La s.: grazia o maledizione?, Ibid., 2001.​​ 

V. Gambino