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SHELDON William Herbert

 

SHELDON William Herbert

n. a Warwik nel 1899 - m. nel 1977, psicologo statunitense.

1. Precocemente interessato al comportamento animale e ai problemi della classificazione – a 12 anni era già un numismatico di fama e aveva già scritto due volumi sulla classificazione delle monete – segue gli studi di medicina e psicologia. Dopo aver conseguito il dottorato all’Università di Chicago, studia psichiatria a Zurigo, dove entra in contatto con​​ ​​ Jung, e ha occasione di conoscere​​ ​​ Freud e Kretschmer. Tornato nel 1936 negli Stati Uniti, insegna dapprima psicologia alla Università di Chicago e si trasferisce quindi, nel 1938, alla Harvard University, dove svolge ricerche di tipo sperimentale in collaborazione con S. S. Stevens. Nel 1947 nominato direttore del Constitution Laboratory di medicina alla Columbia University di New York, si interessa in modo particolare delle relazioni tra malattie organiche e struttura fisica.

2. S. si propone di fondare su base empirica una psicologia costituzionale, definita come «lo studio degli aspetti psicologici del comportamento umano, nei loro rapporti con la morfologia e la fisiologia del corpo» (1940). Prendendo spunto da Ippocrate e Galeno nonché dalla tipologia elaborata da Kretschmer, e conducendo una serie di studi empirici su ben 4000 soggetti, identifica una serie di variabili oggettive che possono essere usate per descrivere il corpo. Sostituendo inoltre al concetto di tipo quello di variabile continua, getta le basi di una teoria strutturale della personalità. Sottolineando l’importanza per la psicologia dell’«antropologia fisica» espressa in termini di componenti, o variabili, che possono essere misurate e quantificate ai fini sia della struttura che del comportamento di quel «tutto unico struttura-comportamento che è la personalità umana», S. sostiene la stretta dipendenza dei tratti di personalità e di carattere dalla struttura corporea. Ritenendo che la «struttura fisica determini silenziosamente tutti i fenomeni del comportamento» e che «nel fisico lo psicologo possa trovare quelle costanti che costituiscono le salde infrastrutture, così necessarie per lo studio regolare e coerente del comportamento», elabora progressivamente una teoria caratterologica basata sul concetto di costituzione, intesa come la «costruzione del corpo», e cioè «quegli aspetti dell’individuo che sono relativamente più fissi e meno mutevoli» (Varieties of human physique,​​ 1940).

3. Sulla base di tali aspetti – identificati nella morfologia, fisiologia, funzione endocrina e che possono risultare, in contrasto aspetti relativamente più labili e suscettibili di modificazioni da parte delle pressioni ambientali, quali abitudini, atteggiamenti sociali, educazione – S. (1940) giunge a identificare 76 tipi corporei, riconducibili ai tre somatotipi endomorfo, mesomorfo e ectomorfo e a costruire un atlante per la identificazione rapida e oggettiva del somatotipo. Successivamente, sulla base della corrispondenza, stabilita empiricamente tra somatotipi e caratteristiche temperamentali, S. differenzia tre fondamentali tipi di carattere, a cui riconduce tra l’altro i diversi quadri psichiatrici: l’endomorfico-viscerotonico (sociale, rilassato, affezionato), il mesomorfo-somatotonico (energico, competitivo), e l’ectomorfo-cerebrotonico (inibito). Su questa base sostiene la corrispondenza tra somatotipo e specifici tratti temperamentali. Successive ricerche empiriche non hanno tuttavia confermato l’esistenza delle correlazioni tra caratteristiche somatiche e comportamentali, e hanno dunque messo in dubbio la validità della costruzione proposta da S.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ principali opere di S.:​​ The varieties of temperament: a psychology of constitutional differences​​ (1942);​​ Constitutional factors in personality​​ (1944);​​ Atlas of men: a guide for somatotyping the adult male at all ages​​ (1954). b)​​ Studi:​​ Hall C. S. - G. Lindsay,​​ Teorie della personalità,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1986; Caprara G. V. - R. Luccio (Edd.),​​ Teorie della personalità,​​ 3 voll., Bologna, Il Mulino, 1981-1992.

F. Ortu - N. Dazzi




SHINTOISMO

 

SHINTOISMO

Lo s., religione del Giappone, si basa sull’adorazione dei​​ kami​​ (divinità naturali). La parola​​ Shinto​​ viene da​​ shin​​ (divinità di luce) e​​ tao​​ (via); significa «la via degli dèi».

1. Lo s. nasce per distinguersi dal​​ ​​ Buddismo e richiama qualcosa di soprannaturale. Non ha fondatore, né sacre scritture, né dogmi, né interpreti autentici; ma esprime il sistema dei valori cui viene orientata ogni persona fin dalla nascita. I vari riti tendono a soddisfare i sensi dell’uomo e a pacificare la mente e il cuore.

2. Vi si distinguono tre forme: a) lo s. della Casa Imperiale che celebra ricorrenze e feste sia della famiglia dell’imperatore che dell’intera nazione. Il rituale onora​​ Amaterasu, la dea-madre della famiglia imperiale e dei giapponesi; b) quello dei templi (corrente principale) che raccoglie credenze, riti, feste, e strutture che sostengono circa 80 mila templi sparsi sul territorio (22 mila sacerdoti e 75 milioni di seguaci); c) quello popolare che forma lo strato profondo dell’anima giapponese e raccoglie gli elementi della religiosità in riti, usanze e pratiche assai in voga nel popolo.​​ Nello s. moderno il cuore del culto è il «tempio» in cui si celebrano molti riti ed è sempre aperto ai fedeli, che possono recarvisi per pregare e fare offerte. Gli spazi sacri sono più affollati nei giorni in cui cadono i «matsuri», cioè i festival nazionali. Il tipo di preghiera non segue regole specifiche, ed ognuno può avere espressioni personali. Ci si reca al tempio chiedendo protezione costante sulla famiglia e fortuna per superare difficoltà. La venerazione corrisponde sempre ad un contatto con il mondo naturale, che rende i templi oasi di pace all’interno delle caotiche città. Il culto sottolinea l’appartenenza dell’uomo all’universo di cui è cellula. I riti aiutano a comprendere le scelte da fare, offrono forza e sostegno per superare le difficoltà e supportano la visione spirituale del mondo. L’estetica del tempio (considerato​​ edificio mistico) aiuta a​​ respirare​​ la sacralità del mondo, come luogo sacro a cui in genere​​ canalizza. I rituali collettivi sono gestiti dai sacerdoti; sono molto dettagliati e rappresentano l’equilibrio del mondo. Il modello rituale divenne comune a tutti i templi nel XIX sec. Oggi, in una costante opera di modernizzazione, vengono introdotti nuovi modelli rituali.​​ 

3. Lo s. dà importanza​​ alla vita presente, di cui in ogni età celebra l’aspetto più significativo. Nel fluire eterno del tempo il presente è il punto di incontro tra l’uomo e la sua storia eterna. Nella​​ natura​​ lo s. vede l’azione dei Kami (dèi) più che la loro essenza. La mitologia giapponese narra di un anonimo Dio centrale, assoluto e trascendente, principio di ogni cosa, e mostra interesse per l’operare divino di cui vede in tutti i fenomeni l’opera del Kami, che implica: a) che ciascuno ha ricevuto la sua vita dal Kami attraverso gli antenati; b) che la vita quotidiana si rende possibile per la protezione divina; ciò costituisce la base dei diritti e dei doveri religiosi di ciascun uomo. Lo s. insegna che il volto deve essere il riflesso del cuore, «bello, puro e onesto», come il cuore del Kami. L’uomo ripristina la sua bellezza primordiale, dopo le colpe commesse, attraverso il rito della purificazione e l’attiva partecipazione alle feste del Kami, in cui la persona e il Kami entrano in comunicazione con preghiere, offerte, musica e danze. Le feste hanno importanza vitale in quanto rafforzano il legame di solidarietà e di coesione all’interno della comunità umana. Perciò, oltre alle feste annuali per tutto il popolo, vi sono molti riti di passaggio che interessano la famiglia nel suo complesso: la benedizione del neonato, la festa della crescita per ogni bambino / a che ha compiuto 3, 5, 7 anni; la festa della maturità per chi ha compiuto 20 anni, le nozze davanti al Kami.

4. Lo s. si pratica anche nelle case, dove si allestiscono altarini («mensola»), su cui è posto uno specchio (dà una rappresentazione dei kami) e vi si aggiungono altri oggetti sacri. L’altare serve per offrire preghiere e incenso, oltre ad una serie di elementi tradizionali tra cui il sale, l’acqua e il riso. In alternativa a templi ed altari domestici, anche la «natura» è un​​ luogo​​ sacro: montagne, laghi, isole, spiagge, foreste. Come ambienti incontaminati, sono l’espressione massima del divino, rappresentando una via per giungere a contemplare il sacro ed a percepire la dimensione divina dell’universo. La forza comunitaria si basa sulla famiglia e ogni tipo di comunità è una sua estensione: la scuola è la propria famiglia estesa nel campo educativo; la fabbrica nel campo del lavoro. Lo s. inculca un profondo senso di appartenenza e di adesione alla propria famiglia, promuovendo valori di lealtà, di laboriosità, di solidarietà.

Bibliografia

Dizionario Enciclopedico Larousse, Milano, Ed. Peruzzo-Larousse, 1990; Breully E. - M. Palmer,​​ Le religioni nel mondo,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme, 1994;​​ Sottocornola F. (Ed.),​​ «S. La via degli Dèi». La religione autoctona del Giappone,​​ Bologna, «Sètte e religioni», quad. 31, 2002; Bellinger G. J.,​​ Enciclopedia delle religioni, Milano, Garzanti, 2004; La Biblioteca di «Repubblica»,​​ Storia delle religioni. Cina - Estremo Oriente, Roma, G. Laterza & Figli, 2005.

G. Morante