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SCUOLA OPERAIA

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SCUOLA OPERAIA

Nell’ambito del movimento delle​​ ​​ Scuole Nuove attecchì l’idea che bisognava sostituire la tradizionale s. libresca, mnemonica e passiva con una s. attiva, creativa, riflessiva e legata al mondo del lavoro.

1. Si cercava in tal modo di avvicinare la s. alla realtà sociale ed una delle strade intraprese fu lo sforzo di introdurre il lavoro produttivo nel mondo scolastico, non nel senso del lavoro manuale propugnato da Basedow (​​ Filantropinismo), né nel senso del lavoro proposto da marxisti ed anarchici. Si cercò piuttosto una via di mezzo che potesse avvicinare il bambino e l’adolescente al mondo del lavoro in modo non traumatico. A questo scopo si crearono i laboratori scolastici, l’orto e la fattoria, il giardino curato dagli stessi ragazzi, l’acquario, l’alveare, ecc. nei quali gli allievi apprendevano pian piano le nozioni del mondo del lavoro.

2. In questa direzione operò con successo​​ ​​ Kerschensteiner; egli rese popolare la​​ s. di lavoro​​ (Arbeitschule),​​ i cui principi espose ne​​ Il​​ concetto della s. del lavoro​​ (1912). Per venticinque anni fu responsabile delle s. di Monaco, sua città natale, riformandole in accordo con i principi della pedagogia più avanzata. Nel primo terzo del sec. XX, Kerschensteiner fu il pedagogista tedesco più noto in ambito internazionale. Conobbe profondamente l’impostazione pedagogica del positivismo, dell’idealismo tedesco, del pragmatismo di​​ ​​ Dewey e del neokantismo di Lipps,​​ ​​ Natorp e​​ ​​ Spranger. Kerschensteiner si sforzò di cambiare le s. di Monaco, in veri centri di nuova educazione, nei quali si univa lo studio e l’azione, la riflessione e il lavoro produttivo.

Bibliografia

Imberciadori P.,​​ La s. del lavoro e l’educazione della gioventù operaia e contadina,​​ Firenze, Vallecchi, 1946;​​ Martín E.,​​ Familias de clase obrera y escuela,​​ Bilbao, Iralka, 2000; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia,​​ vol. 3,​​ Torino, SEI, 2004.

B. Delgado




SCUOLA RURALE

 

SCUOLA RURALE

Tradizionalmente per s.r. si intende quella s. che si trova in nuclei di popolazione agricola (villaggi, case coloniche, borgate, fattorie, masserie, tenute) a volte definita nelle leggi riguardanti l’educazione in base al numero di abitanti (per es. meno di 5000).

1. Dal punto di vista educativo le s.r. sono quelle che si trovano in campagna, che sono carenti di cultura, di stimoli educativi, di mezzi e di prospettive di miglioramento sociale e che sono generalmente unitarie e monodidattiche (un solo​​ ​​ maestro per tutte le età), in contrapposizione alla s. urbana, ricca, omogenea, graduata e che rende possibile il cambio sociale. Nella maggioranza delle pubblicazioni fino al primo terzo del sec. XX si confonde s.r. con s. primaria, di adulti e istruzione popolare. Fino alla prima guerra mondiale nella legislazione di alcuni Paesi si definivano «s. incomplete» (non vi si insegnava il programma completo) e in quasi tutti, «s.r.». Dove queste s. esistevano, erano miste, non per ragioni pedagogiche e sociali ma per mancanza di mezzi. All’inizio del sec. XX la Russia aveva delle s.r. modello (di una o due classi) di insegnamento elementare complete mentre in Germania quelle che avevano un solo maestro erano tutte rurali e separate per sesso. In Svezia vi erano 16 s.r. superiori e in Danimarca s. superiori di campagna, fondate da N. Grundtvig nel 1844; «superiore» significava il grado più avanzato dell’insegnamento primario. Certamente, le s.r. sono state le s. tradizionalmente più trascurate in tutti i Paesi.

2. Le​​ Raccomandazioni​​ dell’Unesco del 1956 e del 1958 hanno portato all’uguaglianza delle opportunità rispetto alle s. urbane e alla cosiddetta «concentrazione scolastica». Attualmente vi sono più di 500 milioni di donne analfabete nelle regioni rurali del cosiddetto Terzo Mondo, che ignorano perfino il proprio diritto all’educazione; il 64,5% dei ragazzi superiori ai 15 anni in Asia sono analfabeti; in Africa lo sono il 47,4%; in​​ ​​ America Latina e nei Caraibi il 19,2%; nell’area del Pacifico il 10,2%; negli Stati Arabi il 70,4%; nei Paesi meno sviluppati il 78,4%. Questo dimostra che il problema delle s.r. non è solo questione di migliorarle dove già vi sono, ma è necessario impiantarle nelle grandi aree in cui non esistono né progetti né programmi nei piani di sviluppo.

Bibliografia

Hippeau​​ C,​​ L’Instruction publique, Paris, Didier,​​ 1872-1881;​​ García P. de A.,​​ Teoría y práctica de la educación y la enseñanza,​​ vol. II, Madrid, Hernando,​​ 21902, vol.​​ IX,​​ 1905; Chlebowska K.,​​ Literacy for rural women in the Third World,​​ Paris,​​ Unesco, 1990; Unesco,​​ World education report 1991,​​ Ibid., 1991.

V. Faubell




SCUOLA SERALE

 

SCUOLA SERALE

Durante il sec. XIX si sviluppò in tutta l’Europa un gran movimento a favore delle s. per adulti che aveva un duplice obiettivo: ovviare alle deficienze della s. primaria ed ampliare le conoscenze necessarie per l’efficace introduzione delle innovazioni tecnologiche dello sviluppo industriale.

1. A questo scopo furono create​​ ​​ s. operaie maschili e femminili che ebbero, in generale, scarso successo, tranne che in Danimarca, perché gli operai non riuscivano a sostenere due o tre ore di s.s. dopo giornate lavorative di quattordici o sedici ore. Lo scarso interesse dei datori di lavoro e dei governi per superare questo grave problema e i ritmi non molto accelerati degli inizi dell’industrializzazione resero difficile qualsiasi tipo di soluzione. Maggiore incidenza, nonostante la scarsità di mezzi e di possibilità, ebbero le associazioni operaie internazionali. Con grande sforzo e tra l’ostilità ed il sospetto dei governi, tali organizzazioni crearono nei nuclei urbani scuole, atenei, biblioteche, cooperative, teatri e sale di svago, in cui potersi riunire, discutere e fare conferenze a carattere culturale come si faceva per gli iscritti nelle s.s. Il finanziamento di questi centri proveniva da istituzioni pubbliche, da sovvenzioni private e dalle quote degli iscritti.​​ 

2. Anche la Chiesa cattolica contribuì creando centri a carattere confessionale, offrendo agli operai cattolici gli stessi vantaggi che socialisti ed anarchici offrivano ai propri simpatizzanti. L’azione della Chiesa in favore del proletariato ricevette grande impulso a partire dal pontificato di Leone XIII (1878-1903) che nell’enc.​​ Rerum novarum​​ analizzò le dure condizioni in cui si trovavano gli operai e raccomandò varie misure per la loro promozione anche culturale.

Bibliografia

Baruffi G.F.,​​ S.s. degli adulti,​​ in «Letture di Famiglia» 5 (1846) 65-67; Ramello F.,​​ Regole per le s.s.,​​ in «L’Educatore» 4 (1848) 174-178; Aquilino Fr.,​​ Le prime s.s. a Torino,​​ in «Rivista Lasalliana» 1 (1934) 446-452; Novelli A.,​​ Le s. notturne: il recupero scolastico nella Roma papale,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 23 (1976) 626-634; Giannarelli R. - G. Trainito,​​ Compendio di legislazione sull’istruzione secondaria,​​ Firenze, Le Monnier, 1990.

B. Delgado




SCUOLA UNICA

 

SCUOLA UNICA

È​​ definita​​ dai seguenti tratti: abolizione della divisione della s. in tipi di prestigio sociale diverso; creazione di una struttura portante unica; organizzazione del curricolo degli ultimi cicli in un’area comune, in una pluralità di indirizzi e in una molteplicità di materie elettive; previsione di una crescita graduale dell’area opzionale rispetto alla comune tra l’anno iniziale e finale; strutturazione dell’insegnamento in maniera flessibile in modo che l’alunno sceglie e può cambiare e la s. lo orienta.

1. L’ispirazione pedagogica del modello è attribuita a​​ ​​ Comenio, mentre il fondamento sul piano politico è offerto dai principi di libertà e di eguaglianza delle rivoluzioni americana e francese. Negli Stati Uniti esso ha trovato attuazione generalizzata già dall’inizio di questo secolo. La tradizione delle​​ s. parallele​​ ha, invece, dominato nel nostro continente fino alla seconda guerra mondiale. Essa prevedeva tre vie parallele, ciascuna adatta ai bisogni di una diversa classe sociale: l’insegnamento classico in preparazione all’università per la classe dirigente, il tecnico per i quadri intermedi e l’avviamento al lavoro per gli operai. Nel dopoguerra questo sistema è entrato in crisi per il suo carattere classista e per l’incapacità di rispondere all’espansione della domanda di forza lavoro qualificata.

2. Per ovviare a queste difficoltà, durante gli anni ’60 e ’70 del XX sec. il modello della s.u. si è diffuso gradualmente nei Paesi dell’​​ ​​ Europa. Quanto all’​​ ​​ Italia vanno ricordati l’introduzione della s. media unica nel 1962 e il dibattito sulla riforma della secondaria superiore che nel modello della s.u. o comprensiva ha avuto un suo referente fondamentale. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 tale strategia è stata raggiunta da una crisi​​ di consensi e da allora non esercita più l’incidenza di prima sulle politiche scolastiche. Pertanto, oggi si punta alla realizzazione di un​​ mix di integrazione e di diversificazione. Per quanto riguarda la prima è essenziale realizzare due tipi di integrazione. Anzitutto tra diversi livelli del sistema e in particolare fra la istruzione. e la formazione secondaria e l’università. Una seconda forma va attuata all’interno della stessa s. secondaria tra i cicli, le sezioni e le classi, combattendo la frammentazione mediante la definizione di aree comuni di conoscenze e di competenze. Al tempo stesso, la diversificazione​​ dovrà essere la più ampia nel senso che l’istruzione e la formazione potranno essere a tempo pieno o a tempo parziale, e generale, tecnica o professionale, e dovrà coinvolgere oltre alla s., la formazione professionale e le diverse agenzie di socializzazione interessate.​​ 

Bibliografia

García Garrido J. L., «La struttura della s. dell’obbligo alle soglie del secolo XXI», in L. Pusci (Ed.),​​ I giovani in Europa: qualità della s.,​​ qualità della vita,​​ Napoli, Tecnodid, 1988, 39-52; Malizia G. - C. Nanni, «Istruzione e formazione: gli scenari europei», in Ciofs / Fp - Cnos-Fap (Edd.),​​ Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della formazione professionale, Roma, 2000, 15-42; Glenn C. L.,​​ Il mito della s.u.,​​ Torino, Marietti, 2004.

G. Malizia




SCUOLE DELLA DOTTRINA CRISTIANA

 

SCUOLE DELLA DOTTRINA​​ CRISTIANA

Le prime s. di catechismo vennero fondate da laici e sacerdoti milanesi: Albertino Bellarati («Scuola di Albertino») nel 1481 e il B. Angelo Porro («Scuola del Paradiso») nel 1491.

1. Più tardi san Girolamo​​ ​​ Miani fondò a Venezia s. con lo scopo specifico di promuovere l’insegnamento religioso dei suoi orfani (1530). Le s. domenicali di catechismo vennero iniziate a Milano nel 1536 da un gruppo di laici, guidati da Castellino da Castello, sacerdote di Como, che fondò poco dopo (1539) la​​ Compagnia dei Servi dei Puttini in Charità,​​ con lo scopo di animare le s., con delle​​ Regole​​ e con un testo di catechismo redatto da Castellino nel 1537 col titolo di​​ Interrogatorio.​​ Iniziative analoghe sorsero in varie parti d’Italia, ma le s. di Castellino si imposero per la loro migliore organizzazione e si diffusero rapidamente in molte città, e anche a Roma, dove sorse nel 1560 la​​ Compagnia della Dottrina Cristiana,​​ che sarà approvata da Pio V nel 1571 e riconosciuta ufficialmente da Paolo V nel 1607 come​​ Arciconfraternita​​ della Basilica di San Pietro in Vaticano. Nel 1746 la sede sarà stabilita nella chiesa romana della B.V. Maria del Pianto. Le s. e la Compagnia ricevettero un particolare impulso a Milano da Carlo​​ ​​ Borromeo, che le riorganizzò nelle parrocchie sotto la direzione del parroco, ne stese e approvò le​​ Regole,​​ che prevedevano una direzione diocesana centralizzata, e le portò, durante il suo episcopato, da poche decine a oltre 740, con circa 50 mila iscritti, compresi i maestri e i dirigenti.

2. Quanto al metodo, s. Carlo vuole che le classi siano piccole: da 4 a 6 fanciulli / e; vige la separazione dei sessi. Spesso vi si insegna anche a leggere, a scrivere e a far di conto, ed il tempo è la domenica pomeriggio. Si usano premi, piccoli e grandi, e severi castighi per i renitenti. Grande importanza assume la disputa-gara (non a scopo didattico, ma dimostrativo-selettivo). Essa ha particolare solennità a Roma, dove viene celebrata in San Pietro fin dal 1597. La Congregazione avrà uno sviluppo rinnovato dopo il Concilio Vaticano I, con una particolare vitalità negli USA nella prima metà del XX sec., dove si occuperà della gioventù che non frequenta la s. cattolica.​​ 

Bibliografia

Borromeo C.,​​ Costitutioni et regole delle Compagnie et S.d.D. Christiana,​​ Milano, 1585; Porro I.,​​ Origine et successi della Dottrina Cristiana,​​ Milano, Malatesta, 1640; Castiglione G. B.,​​ Istoria delle S.d.D.C.,​​ Milano, C. Oreana, 1800; Tamborini A.,​​ La Compagnia e le S.d.D.C.,​​ Milano, Daverio, 1939; Braido P.,​​ Lineamenti di storia della catechesi e dei catechismi. Dal «tempo delle riforme» all’età degli imperialismi (1450-1870),​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1991.

U. Gianetto




SCUOLE NUOVE

 

SCUOLE NUOVE

S’intende per S.N. il movimento di riforma pedagogico-didattica iniziato negli ultimi anni del sec. XIX, con manifestazioni particolarmente significative nella prima metà del sec. XX.

1.​​ Significato.​​ L’espressione «movimento di riforma pedagogica» (Reformpädagogischebewegung)​​ viene utilizzata dalla storiografia tedesca per definire l’insieme di orientamenti teorici e di realizzazioni pratiche che caratterizzano il periodo storico indicato; ma l’impegno per un rinnovamento dell’educazione e della s. è pure notevole fuori della Germania; anzi si tratta di un vasto fenomeno, noto con nomi diversi e segnato da tratti caratteristici nei diversi Paesi, che presenta, però alcune istanze comuni: a) critica severa, spesso polemica e un po’ ingenua, contro la cosiddetta «s. tradizionale», denunciata come s. dello sforzo, del castigo, passiva, adultistica, centrata sul programma, lontana dalla vita; b) proposta di mettere in atto una «S.N.». L’espressione «New School», coniata in Gran Bretagna nel 1889, ha una straordinaria accoglienza. Le esperienze inglesi si diffondono rapidamente in molti Paesi. Si creano uffici e associazioni per la loro promozione,​​ Bureau International des Écoles nouvelles​​ (1899),​​ New Education Fellowship​​ (1921); si cerca di fissare «i trenta punti» caratteristici di una «s.n. tipo». I pionieri del movimento parlano anche, in contesti culturali diversi, di «École active» (​​ Ferrière), di «École fonctionnelle» (​​ Claparède), di «Progressive School» (​​ Dewey), di «Arbeitschule» (​​ Kerschensteiner), di «Educación nueva» (Luzuriaga). In Italia viene spesso utilizzato il termine «Attivismo», benché esso sia ambiguo e inadeguato, come si evince dalla polemica, accesa negli anni centrali del nostro secolo, tra gli assertori di un «Attivismo cristiano» (​​ Casotti,​​ ​​ Nosengo) e di un «Attivismo laico» (Coen, De Bartolomeis). Pure in altri casi, sotto i termini utilizzati, si nascondono concezioni teoriche diverse e accentuazioni pratiche non irrilevanti. Nell’insieme «il movimento educativo», durante il periodo storico segnalato, «rassomiglia più a una costellazione, nella quale ci sono numerosi gruppi di astri di tutti i tipi e grandezze (con una certa tendenza o orientamento generale) che ad un sistema planetario chiuso» (Luzuriaga, 1970, 27). Qui faremo qualche cenno anche ad «astri» minori allo scopo di abbozzare un sintetico quadro d’insieme.

2.​​ Origini e sviluppo in Europa.​​ Il fenomeno delle S.N. affonda le radici in un contesto socioculturale a cui solo si allude: industrializzazione, regimi democratici e liberali, mutamenti della vita collettiva (movimento operaio, giovanile e femminile), progresso delle scienze (psicologia, sociologia), maturazione di istanze e fermenti precedenti; per es., l’esperienza educativa di Salzmann e di​​ ​​ Tolstoj, e alcune tesi pedagogiche più note di​​ ​​ Rousseau (bontà naturale del bambino, puerocentrismo, contatto con la natura). All’origine del successo di molte iniziative si trova anche la vigorosa personalità dei promotori e la loro contagiosa fiducia nell’educazione, come nel caso di C. Reddie (1858-1932), creatore della «New School» di Abbotsholme (1889), una s.-internato in campagna, organizzata a modo di «monarchia costituzionale». Un collaboratore, J. H. Badley (1865-1927), allarga, nella s. di Bedales (1893), la partecipazione degli allievi mediante l’organizzazione di un «parlamento scolastico» indirizzato ad «accordare la libertà con l’ordine». Sul modello inglese vengono create diverse istituzioni in Germania (i​​ Landerziehunsheime​​ di Lietz, Wyneken e Geheeb) e in Francia (École des Roches​​ di E. Demolins). In Spagna, dove giunge pure l’eco dell’opera di Reddie e Badley e della s. di lavoro di Kerschensteiner, ha inizio autonomamente, l’anno 1889, la prima «s. all’aria aperta» (Escuelas del​​ Ave María)​​ di​​ ​​ Manjón. Gli autori delle prime esperienze italiane che vengono annoverate tra le s.n. preferiscono parlare di «s. materna», di «casa dei fanciulli» (sorelle​​ ​​ Agazzi), di «casa dei bambini» (​​ Montessori). Ferrière, propagatore convinto delle esperienze di rinnovamento pedagogico-didattico, che egli chiama «s. attiva», riferendosi alle opere sorte in Italia, accoglie il nome proposto da​​ ​​ Lombardo Radice e parla di «s. serene». Tra esse, viene ricordata la «Rinnovata» di G. Pizzigoni, a Milano, e la «s. serena di Agno» di M. Boschetti Alberti, nella Svizzera italiana. Nell’ambito culturale francese, è nota l’«École de l’Ermitage» (1907), definita dal fondatore, lo psicologo e pedagogista belga​​ ​​ Decroly, una «s. per la vita attraverso la vita». Le idee decrolyane sui «centri d’interesse», in stretto rapporto con i «quattro bisogni fondamentali» del bambino (nutrirsi, lottare con le intemperie, difendersi contro i pericoli, agire e lavorare in solidarietà), ispirano l’organizzazione in numerose s. europee e americane, ma destano riserve e critiche tra i pedagogisti cattolici che postulano una «s. attiva secondo l’ordine cristiano», attenta anche ai bisogni superiori (​​ Dévaud).

3.​​ Le S.N. fuori di Europa.​​ Dewey, massimo rappresentante e teorico delle «Progressive schools» negli Stati Uniti, utilizza pure l’espressione «New schools» e «New education» e, superando posizioni polemiche, riconosce che in ciò che «si suol chiamare nuova educazione e s. progressive» ci sono certi principi comuni: «All’imposizione dall’alto si oppongono l’espressione e la cultura dell’individualità; alla disciplina esterna la libera attività; all’imparare dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza; all’acquisto di abilità e di tecniche isolate attraverso l’esercizio si oppone il conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze vitali; alla preparazione per un futuro più o meno remoto si oppone il massimo sfruttamento delle possibilità della vita presente; ai fini ed ai materiali statici è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento» (Dewey, 1967, 6). Quando vengono fatte queste affermazioni, nel 1938, sono ormai note in USA le innovazioni europee (specialmente quelle di Montessori) e in Europa si conosce l’«Elementary school» (1896), creata presso l’università di Chicago. Alla concezione teorica di Dewey si ispirano pedagogisti ed esperienze educative dentro e fuori degli USA. Basti citare tre autori che hanno elaborato tre metodi didattici molto diffusi anche in Italia:​​ ​​ Kilpatrick («Metodo dei progetti»), Parkhurst («Piano Dalton»), Washburne («Tecniche Winnetka»). Tra i più convinti diffusori delle S.N. in America Latina, spicca il brasiliano M. Lourenço Filho. In India è nota la s. di Shantiniketan del poeta e educatore​​ ​​ Tagore, buon conoscitore delle esperienze innovative europee.

4.​​ Rilievi critici.​​ Nella varietà delle realizzazioni esaminate, si riscontrano, in tempi e contesti diversi, istanze che giustificano il discorso su un certo «orientamento generale» (centralità dell’allievo; valorizzazione dell’attività, dell’esperienza, degli interessi spontanei e del contatto con la natura; appello alla collaborazione; introduzione del lavoro manuale nella s.). L’uso di espressioni come «educazione attiva», «educazione nuova» e «attivismo» non deve far supporre che il «movimento di riforma pedagogica» sia riconducibile a un unico sistema pedagogico compiuto. Dal punto di vista storico, sembra più corretto parlare di S.N., di esperienze scolastiche che rispondono a concezioni filosofiche e pedagogiche differenziate. Infatti, le riserve e i contrasti non si verificano di per sé nella pratica di determinati metodi o innovazioni educativo-didattiche (che costituiscono l’apporto più significativo alla storia della s.), ma nei presupposti teorici (monismo evoluzionista, strumentalismo pragmatista, biologismo) che stanno alla base di alcune realizzazioni più note.

Bibliografia

Scheibe W.,​​ La pedagogia nel XX secolo,​​ Roma, Paoline, 1964 (2a​​ ediz. orig.:​​ Die Reformpädagogische Bewegung 1900-1932. Eine​​ einführende Darstellung,​​ Weinheim / Berlin, J. Beltz, 1969); Boyd W. - W. Rawson,​​ The history of new education,​​ London, Heinemann, 1965; Dewey J.,​​ Esperienza e educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1967; Codignola E.,​​ Le «S.N.» e i loro problemi,​​ Ibid., 1968;​​ Luzuriaga L.,​​ La educación nueva,​​ Buenos Aires, Losada,​​ 1970; Stewart W. A. C. - W. P. McCann,​​ The educational innovators,​​ vol. I:​​ 1750-1880;​​ vol. II:​​ Progressive schools,​​ London, Macmillan, 1968-1970; Mencarelli M., «Il movimento dell’Attivismo», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. III, Brescia, La Scuola, 1977, 381-468;​​ Hameline D.,​​ L’école active: textes fondateurs,​​ Paris, PUF, 1995; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia, vol. 3, Torino, SEI, 2004, 199-312 («Le “S.N.” un movimento di riforma pedagogica»).

J. M. Prellezo