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SCALE

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SCALE

1.​​ S. di valutazione.​​ Le s. sono strumenti che consentono di classificare, in una situazione tipificata, caratteristiche psicologiche, sociologiche ed educative (come​​ ​​ atteggiamenti, opinioni, attitudini) attraverso un’osservazione continuata. Le s. sono costituite da una lista di comportamenti, atteggiamenti o proprietà da osservare in cui si possono distinguere diversi livelli; riferendo le osservazioni alla s. si può formulare un giudizio sulla presenza, intensità e / o frequenza delle condotte rilevate.

1.1. Tipi di s. di valutazione.​​ Le s. si possono distinguere: a)​​ In relazione alle forme con cui si esprimono i livelli:​​ possono essere​​ descrittive​​ (rilevano dati classificandoli in categorie);​​ grafiche​​ (la diversa intensità di presenza di una caratteristica è simboleggiata da tacche lungo un segmento);​​ numeriche​​ (definiscono, usando un simbolo numerico, il grado con cui una caratteristica è presente). b)​​ In relazione ai metodi (di graduazione) usati per costituire i livelli (scaling). c)​​ In relazione a chi le compila:​​ si distinguono s. di autovalutazione da s. di eterovalutazione. d)​​ In relazione ai parametri di riferimento per i livelli​​ si distinguono in:​​ s. normative​​ (quando le prestazioni del singolo sono confrontate con quelle del gruppo di appartenenza);​​ s. ipsative​​ (quando il criterio di confronto sono le manifestazioni del soggetto stesso in momenti diversi).

1.2.​​ Caratteristiche psicometriche delle s.​​ Tali proprietà vengono determinate attraverso elaborazioni statistiche condotte su dati rilevati in campioni rappresentativi di popolazioni statistiche alle quali gli strumenti sono destinati. a)​​ La validità.​​ Una s. è valida se misura solo la grandezza per cui è stata costruita, se sono definite con precisione (teorica e operativa) la o le variabili che intende misurare. b)​​ La costanza (o fedeltà,​​ attendibilità):​​ 1)​​ degli osservatori:​​ è definita sulla base del grado di accordo raggiunto da osservatori che utilizzano la s.; 2)​​ della s.​​ (stabilità temporale o fedeltà test-retest). La s. è fedele se, utilizzata due volte nelle stesse condizioni, sugli stessi soggetti di cui si misurano tratti stabili, porta a risultati che differiscono solo per aspetti accidentali.

1.3.​​ Errori nell’uso delle s. e linee di soluzione.​​ Le s. si prestano ad un uso soggettivo. L’errore di generosità, di severità, o di tendenza centrale, l’effetto di alone o pervasivo di una caratteristica osservata sulle altre o l’errore logico legato alle aspettative dell’osservatore, possono interferire sulle osservazioni stesse. È utile quindi seguire, nella costruzione di s. per la ricerca educativa, alcune norme: identificare costrutti educativamente rilevanti, teoricamente ben definiti e traducibili in caratteristiche direttamente osservabili (indicatori); individuare modalità ben distinte per ogni dimensione (livelli); verificare psicometricamente lo strumento.

1.4.​​ S. usate nella ricerca scolastica. a)​​ S. Thurstone: è volta a rilevare l’atteggiamento di un soggetto nei confronti di un particolare argomento; il soggetto deve selezionare, tra una serie di asserzioni, quelle con le quali si trova in accordo. b)​​ S. Likert: si tratta di una s. graduata tramite avverbi e consiste in una serie di asserzioni rispetto alle quali il soggetto deve esprimere il proprio grado di accordo. c)​​ S. Guttman: si avvale di risposte dicotomiche e prevede una serie di asserti ordinati gerarchicamente a seconda dell’intensità della proprietà misurata nel soggetto. d)​​ S. Osgood: si basa su s. di giudizio bipolari (differenziale semantico) e ha lo scopo di rilevare il significato che i concetti assumono per un soggetto, facendo leva sulla componente affettiva.

2.​​ S. metrica dell’intelligenza.​​ Si attribuisce il nome di s. a una serie di problemi (test) che consentono di discriminare le prestazioni di soggetti secondo gradini o livelli. Classica la s. metrica dell’intelligenza di​​ ​​ Binet (1905) elaborata per individuare i bambini ritardati mentali.

3.​​ S. di misura.​​ A seconda della tipologia, i dati delle ricerche nelle scienze umane si possono distinguere come esiti di misure su «s. nominale», ordinale, di rapporti o di intervalli (​​ statistica).

Bibliografia

Bouvard M.,​​ Questionnaires et échelles d’évaluation de la personnalité, Paris, Masson, 2002; Borg I. - P. J. F. Groenen,​​ Modern multidimensional scaling: theory and applications, New York, Springer, 2005; Boncori L.,​​ I test in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2006.

C. Coggi​​ 




SCAUTISMO

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SCAUTISMO

Si tratta di un movimento che, occupandosi del​​ ​​ tempo libero dei ragazzi e dei giovani mediante l’individuazione di una proposta di vita semplice ma assai coinvolgente e di una metodologia adeguata alle diverse età fin dal 1908, anno della sua fondazione per merito di sir Robert Baden Powell, ha dato luogo a migliaia di associazioni caratterizzate territorialmente o per motivi religiosi.

1. La validità del movimento è dimostrata non solo dalla sua diffusione ma soprattutto dalla sua «tenuta» nel corso degli anni. C’è da dire anzi che, proprio in questi ultimi decenni esso ha registrato un successo senza precedenti che ha creato qualche problema organizzativo, tenuto conto che tutti gli educatori scout (i famosi «capi») operano volontaristicamente. In Italia operano due associazioni scout: il Corpo Nazionale Giovani Esploratori italiani (CNGEI) con più di diecimila iscritti; e l’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) che attualmente conta più di centomila aderenti. Entrambe queste associazioni partecipano all’Organizzazione internazionale del Movimento Scout che ha il compito di verificare la correttezza metodologica di ciascuna. Le associazioni scout, pur seguendo un’unica impostazione pedagogica, si strutturano in tre «branche»: quella dei lupetti / coccinelle, rivolta ai bambini dagli 8 agli 11 anni; quella degli «esploratori / guide», per i ragazzi dai 12 ai 16 anni; quella dei «rovers / scolte», per i ragazzi dai 17 ai 20 anni.

2. I principi fondamentali cui lo s. si rifà sono: l’autoeducazione​​ nel senso che il ragazzo è chiamato ad essere protagonista (peraltro non unico) della propria crescita; l’interdipendenza tra pensiero e azione​​ in quanto si realizza attraverso attività concrete ma sulle quali il ragazzo è invitato a riflettere criticamente; la​​ vita di gruppo​​ che consente a ciascuno (capi compresi) di sperimentare forme di vita fondata sul rispetto delle persone, senza esclusioni o emarginazioni; il​​ ​​ gioco inteso come momento fondamentale in cui attraverso l’avventura, l’impegno e la scoperta, il ragazzo sviluppa creativamente le proprie doti. D’altro canto lo s. è stato definito dallo stesso Baden Powell un​​ grande gioco;​​ la​​ vita all’aperto​​ attraverso cui gli scouts, piccoli e grandi, imparano l’essenzialità e la semplicità e scoprono la necessità di aiuto e rispetto reciproco fra l’uomo e la natura; il​​ servizio​​ verso cui il ragazzo scout è progressivamente portato, fino ad accettare come proprio modo di essere la disponibilità a mettere a disposizione degli altri, soprattutto di coloro che hanno più bisogno, le proprie capacità e la propria esperienza. Anche le dimensioni religiosa e politica sono ben presenti nello s. La prima che, al di fuori di forme di religiosità chiuse e faziose, stimola il ragazzo alla consapevolezza della necessità per lui di aprirsi all’universale e al trascendente. La seconda che, al di fuori di scelte partitiche specifiche, punta al superamento di ogni forma di individualismo, sollecitando a seconda delle età, ad un impegno concreto nella comunità, ispirato ad una fondamentale attenzione per la libertà di tutti e di ciascuno.

Bibliografia

Baden Powell R.,​​ S.​​ per ragazzi,​​ Roma, Nuova Fiordaliso, 1997; Bertolini P. - V. Pranzini,​​ S. oggi,​​ Bologna, Cappelli, ²1985;​​ Cherrutre M.-T.,​​ Le scoutisme au féminin: les guides de France,​​ 1923-1998, Paris, Cerf,​​ 2002; Schirripa V.,​​ Giovani sulla frontiera: guide e scout cattolici nell’Italia repubblicana (1943-1974), Roma, Studium, 2006.

P. Bertolini




SCETTICISMO

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SCETTICISMO

Posizione di chi non crede in verità assolute ed oggettive circa il senso ultimo della realtà e al massimo vede nel dubbio radicale e nella ricerca la forma cosciente del conoscere umano (dal gr.​​ sképsis =​​ dubbio, ricerca).

1. Nella storia del pensiero filosofico, si distingue lo s. antico da quello moderno. Il primo, più radicale ed antidogmatico, si riferisce soprattutto a Pirrone e al suo discepolo Timone di Fliunte (sec. IV e III a.C.), ad Arcesilao e Carneade dell’Accademia platonica (sec. III e II a.C.), con influenze su​​ ​​ Cicerone, e a Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico (sec. I a.C. e II d.C.). Il secondo, quello moderno, di cui si può considerare massimo esponente M. de​​ ​​ Montaigne, ammette la funzione morale della coscienza; e nella forma mitigata di D. Hume (1711-1776), il riferimento alle credenze e al senso comune per la vita pratica.

2. La soggettivizzazione delle idee e dei valori e una sottile vena di s. pervadono l’esistenza e la crescita personale nella società contemporanea, caratterizzata da una profonda differenziazione e complessificazione vitale e culturale: specie nell’adolescenza e nella giovinezza. Una risposta positiva a tale clima è certamente uno dei compiti primari dell’educazione contemporanea e dell’​​ ​​ orientamento formativo.

Bibliografia

Rensi G.,​​ Apologia dello s.,​​ Roma, Formiggini, 1926; Brezinka W.,​​ L’educazione in una società disorientata,​​ Roma, Armando, 1989; Popkin R. H.,​​ Storia dello s.,​​ Milano, Mondadori, 2000.

C. Nanni




SCHEDA DI VALUTAZIONE

 

SCHEDA DI VALUTAZIONE

Si tratta di uno strumento certificativo della valutazione scolastica adottato nel primo ciclo dell’istruzione. È stato introdotto in sostituzione della pagella scolastica con i voti in decimi, dalla L. 517 del 4.8.1977, che ne ha disposto l’uso. L’art. 4 della L. ha descritto la struttura della s. per la scuola elementare, l’art. 9 ha fatto altrettanto per la media. Con l’a.s. 1977 / 78 è stato proposto un primo modello; con il D.M. 5.11.85 è stata autorizzata nella scuola media una ricerca-azione per arrivare a un modello definitivo (D.M. 5.5.93), adottato in forma generalizzata nell’a.s. 1994 / 95. Nello stesso anno la scuola elementare ha introdotto un «documento di​​ ​​ valutazione», simile, nella struttura, a quello della media. Innovazioni analoghe erano da tempo presenti in scuole d’avanguardia, in vari Paesi europei e oltre oceano. La s. e il documento di valutazione, così come sono stati concepiti dalla L. 517, sono strumento ufficiale per informare in modo analitico e motivato le famiglie. Tale modello si propone di sintetizzare l’informazione sull’alunno negli elementi significativi, allo scopo di commisurare gli interventi alla situazione così rilevata. Famiglie e alunni devono contribuire con le informazioni in loro possesso. Sulla s.d.v. vengono riferiti sia i giudizi per disciplina, sia «una valutazione adeguatamente informativa sul livello globale di maturazione raggiunto». Con la 517 viene suggerito un tipo di valutazione formativa e sistemica, basato sulla collegialità, che prende come punto di riferimento la situazione di partenza dell’alunno e i traguardi da raggiungere, perché la pari opportunità dello sviluppo non resti una vaga aspirazione. L’adozione di questa innovazione ha richiesto ai docenti una rivisitazione dei problemi della valutazione specie se un approfondimento è mancato nel momento formativo. I modelli successivi di s. personale dell’alunno hanno previsto una contrazione progressiva delle informazioni. Con la Riforma Moratti la descrizione analitica dei processi di apprendimento è stata delegata al​​ ​​ portfolio. Attualmente la certificazione sta andando nella direzione della costituzione di dossier delle competenze (c.m. 28 del 15.3.07).

Bibliografia

Calonghi L. et al.,​​ La valutazione nella scuola media,​​ in «Studi degli Annali della Pubblica Istruzione» 16 (1993) 64, 3-417; Rossi P. G.,​​ Progettare e realizzare il portfolio, Roma, Carocci, 2005.​​ 

C. Coggi




SCHEMA CORPOREO

 

SCHEMA CORPOREO

La formazione dello s.c. appartiene all’ambito psicofisico e si può riscontrare anche negli animali. Nell’uomo prelude alla formazione dell’immagine di sé,​​ che è qualcosa di molto complesso e che assume un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità. Secondo alcuni uno stadio intermedio è rappresentato dalla formazione dell’immagine corporea,​​ che si differenziano dal semplice s.c. per l’aggiunta della componente estetica. Non tutti gli Autori distinguono però questi due momenti e parlano indifferentemente di s. e di immagine corporea.

1.​​ Definizione.​​ P. Schilder, uno dei maggiori competenti in questo campo, senza far distinzione fra s. e immagine corporea, così scrive: «Con l’espressione​​ immagine del corpo umano​​ intendiamo il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire, il modo in cui il corpo appare a noi stessi. Noi riceviamo delle sensazioni, vediamo parti della superficie del nostro corpo, abbiamo sensazioni tattili, termiche, dolorose, sensazioni indicanti le deformazioni del muscolo provenienti dalla muscolatura e dalle guaine muscolari e sensazioni di origine viscerale. Ma al di là di tutto questo vi è l’esperienza immediata dell’esistenza di un’entità corporea che, se è vero che viene percepita, è d’altra parte qualcosa di più che una percezione: noi la definiamo s. del nostro corpo o​​ s.c.​​ [...]​​ è l’immagine tridimensionale che ciascuno ha di se stesso». A. Delmas, anch’egli senza far distinzione fra s.c. e immagine corporea, dice: «L’immagine del nostro corpo è il risultato di una serie di informazioni di provenienza varia. Abbiamo infatti del nostro io corporeo conoscenza in vari modi; per mezzo del tatto ci rendiamo conto della forma e della consistenza delle diverse parti del corpo; per mezzo degli stimoli propriocettivi siamo informati sull’atteggiamento e sulla nostra situazione nello spazio; per mezzo della vista vediamo il nostro corpo; per mezzo dell’udito possiamo sentire la nostra voce e i rumori che provochiamo. Tutte le informazioni raccolte dagli organi di senso ci permettono di distinguerci da ciò che è al di fuori di noi. Le aree della sensibilità tattile (aree parietali), dell’udito (aree temporali), visive (aree occipitali) sono collegate a una regione dell’emisfero cerebrale situata in corrispondenza dei loro confini; è questa l’area dello s.c., corrispondente alle circonvoluzioni che circondano l’estremità posteriore della scissura laterale di Silvio e del primo solco temporale». Molto opportuna l’osservazione di G. Guaraldi, M. Venuta ed E. Orlandi, che iniziano col sottolineare come s.c., immagine del corpo, vissuto corporeo e altri termini consimili, rappresentano solo un tentativo di definire la corporeità come parte essenziale di un Io, e continuano dicendo che: «Oggetto di studio non è il corpo biologico in sé, ma questo in relazione con la vita psichica; è l’esperienza corporea, è come l’individuo sperimenta il suo corpo e come si struttura ed evolve questa esperienza». Sottolineiamo che è implicito il concetto del continuo divenire. Infatti soprattutto nel periodo dell’accrescimento, variano continuamente le sensazioni provenienti dal corpo in crescita e le informazioni provenienti dall’ambiente esterno (sia per il mutare di esso sia per la continua attività esplorativa del soggetto stesso) e pertanto dovrà cambiare per forza la sensazione globale che il soggetto ha del proprio corpo.

2. Finalità.​​ Come si è accennato la formazione dello s.c. è il presupposto per la formazione dell’immagine corporea e dell’immagine di sé; però già di per se stesso lo s.c. ha lo scopo di fornire al soggetto umano, come all’animale inferiore all’uomo, la percezione del proprio corpo sia in situazione statica sia in situazione dinamica; è possibile eseguire i vari movimenti armonicamente proprio perché il soggetto ha la corretta percezione del suo essere corporeo e gli equilibri si raggiungono con maggiore facilità.

Bibliografia

Delmas A.,​​ Vie e centri nervosi,​​ Milano, Masson, 1986; Guaraldi G. et al.,​​ L’immagine del corpo in psichiatria,​​ vol. VII, Quaderni Italiani di Psichiatria, Milano, Masson, 1988, 239-266; Schilder P.,​​ Immagine di sé e s.c.,​​ Milano, Angeli, 1988.

V. Polizzi




SCIENZA

 

SCIENZA

Il rapporto tra​​ sapere​​ e educazione è evidentemente assai stretto, proponendosi l’educazione di incentivarlo, e di avviare l’individuo a conoscenza, oltre che di sviluppare la cultura morale e di condurre a maturazione la personalità.​​ 

1. La s. nel senso moderno della parola ha però un significato più preciso; essa si pone all’interno del sapere come una sua forma rigorosa; come tale o è s.​​ esatta​​ (quali sono le matematiche) o è s.​​ sperimentale​​ (quali sono la fisica, la chimica, la biologia) vale a dire basata su metodi osservativi e sperimentali controllati dalla ragione euristica, cioè intesa alla ricerca. Quest’ultima richiede una ferma aderenza all’esperienza sensibile. Già nella tarda​​ ​​ Scolastica i «nominalisti» avevano criticato il ricorso nella spiegazione dei fatti ad entità estranee ai fatti stessi, secondo il principio detto «rasoio di Ockam» che​​ non sunt multiplicanda entia sine necessitate.​​ Nel Rinascimento B. Telesio aveva espresso l’oggetto della ricerca come quello che tratta​​ de rerum natura iuxta propria principia.​​ Non si devono insomma introdurre nel discorso forme, entelechie, forze, virtù, facoltà che forniscono spiegazioni illusorie (come dire che l’oppio fa dormire perché ha la​​ virtus dormitiva).​​ In filosofia queste parole possono avere un senso, perché «tengono il posto» di spiegazioni concrete per il momento accantonate, svolgendo un discorso più generale. Ma nella s. si pone proprio il compito di quella sostituzione.

2. Per comodità linguistica si può anche dire che ci sia una​​ virtus dormitiva;​​ ma il problema è di spiegare in che cosa essa consista e come essa operi, attraverso certi processi biochimici agenti sulle cellule nervose. Anche negli sviluppi della s. moderna sono stati talvolta introdotti dei costrutti teorici come il «flogisto» per spiegare i fenomeni di combustione, o l’«etere» per spiegare la trasmissione delle onde elettromagnetiche nel vuoto; ma la loro ammissione è stata del tutto provvisoria, fino a che i fenomeni corrispondenti sono stati spiegati mediante il nesso con altri fenomeni.

3. Occorre rilevare che l’educazione che conseguiva dalle impostazioni antiche e medievali era confacente a una mentalità di tradizione assai solida, ma di tipo storico-letterario e teologico-filosofico-giuridico più che scientifico; basti pensare che Plinio il Vecchio, autore della più grande enciclopedia antica intitolata​​ Historiae naturales,​​ confessava in verità di aver tratto i contenuti dell’opera dalla «lettura» di oltre duemila opere a lui antecedenti. L’esito finale non poteva che essere una cultura in gran parte solo verbalistica, e spesso riportata «per sentito dire». Occorre aggiungere che questa veduta ormai superata dalla s. militante è invece ancora oggi largamente diffusa nella pratica didattica, ove regna incontrastato il dominio dei trattati sistematici, dei manuali e dei sommari (e spesso dei riassunti) che vengono puntualmente mandati a memoria e ripetuti senza originalità.

4. F. Bacone, criticando la sterilità dei ragionamenti puramente sillogistici, propose l’osservazione dei fatti registrando quelli concordanti e quelli discordanti, e le variazioni concomitanti tra di essi. G. Galilei rafforzò questa opzione di fondo, affermando che la s. sperimentale cerca di formulare rapporti matematici tra variabili associate, misurate a due a due, tenendo le altre «ferme» o ininfluenti, mediante una riproduzione dei fenomeni in condizioni controllate. Dopo di loro​​ ​​ Locke, D. Hume e J. Stuart Mill hanno delineato quello che si è chiamato metodo​​ empiristico.​​ Empiristi, sensisti e positivisti hanno ribadito che la s. positiva deve partire dai fatti, e dopo avere sviluppato l’elaborazione razionale dei loro nessi, deve tornare ai fatti per una verifica. Questo processo dovrebbe mettere in evidenza come nella varietà dei fenomeni molteplici e contingenti si possano tuttavia astrarre delle «invarianti», che consentono previsioni e costituiscono le leggi della natura.

5. Questa convinzione ha sostenuto il cosiddetto​​ induttivismo,​​ vale dire la proposta non di dedurre proposizioni a priori da principi, bensì di indurre i principi a posteriori dai confronti tra i fatti. La s. si costruirebbe passando dal particolare all’universale, e solo in fase successiva di sistemazione passando dall’universale al particolare. Dal punto di vista educativo l’induttivismo ha sollevato grandi speranze; si è ritenuto infatti che esso fosse il migliore metodo per superare una s. «di carta», invitando gli allievi a cimentarsi direttamente con la natura. Ma un generico invito «ricercate!» ha poco significato, se non si aggiunge «che cosa» ricercare. La ricerca è sempre selettiva, nasce da un atto di attenzione a qualche aspetto delle cose che presenta probabili connessioni con i fatti osservati. Limitarsi ad ammassare fatti è un esercizio futile e vano, e alla lunga decade in​​ ​​ nozionismo. Già in passato gli aristotelici e i tomisti, fraintesi dai loro epigoni, e meglio in epoca moderna i razionalisti e gli analisti logici, hanno rilevato che da un semplice atteggiamento passivo alla raccolta di fatti non si ricava vera «s.», ma semmai solo «notizia», erudizione affastellata,​​ rudis indigestaque moles.

6. Il momento critico decisivo della ricerca sta invece in un atteggiamento attivo, anzi «creativo» dell’immaginazione e dell’intelligenza, che producono congetture o​​ ipotesi,​​ vale a dire si rappresentano possibili collegamenti tra i fatti. Le ipotesi vengono poi messe alla prova, in quanto da esse si può dedurre l’attesa di certe conseguenze, che si vanno a riscontrare coi fatti stessi. Se le conseguenze «osservate» non sono quelle «attese», si dice che l’ipotesi è «falsificata»; se invece sono uguali, vengono dette impropriamente «verificate»; ma in realtà esse sono soltanto provvisoriamente «confermate» o corroborate in attesa di ulteriori indagini. Questo punto è stato approfondito solo di recente dalla epistemologia contemporanea, e principalmente da K. R. Popper. La falsificazione e la verificazione non sono infatti due alternative simmetriche. La prima scarta un’ipotesi come incompatibile coi fatti osservati, e costringe quanto meno a modificarla. La seconda invece stabilisce che l’ipotesi è compatibile coi fatti osservati, ma non ci dice se «altre» ipotesi ugualmente compatibili siano possibili, e magari tali da garantire una compatibilità ancora più estesa. Lo spareggio di queste «altre» eventuali ipotesi non può avere luogo se non ancora attraverso una falsificazione che proceda per via eliminatoria. Ma essa non ha virtualmente mai fine. Conseguenze di grande portata filosofica e pedagogica derivano da queste premesse. Anzitutto, la pretesa dei trattati sistematici di «aver detto tutto» su una s. deve venire accantonata. La s. è in continuo movimento, e le sue proposizioni più numerose sono​​ domande e non risposte.​​ Un manuale che dia l’impressione contraria rende un cattivo servizio allo spirito scientifico, e si allea al più deteriore «scientismo» che è una forma di dogmatismo chiuso. L’​​ ​​ educazione scientifica deve quindi coltivare lo «spirito di domanda» e la umiltà di riconoscere che la s. non ha «dogmi» propri. Se questo atteggiamento è condiviso, su un diverso piano, da chi riconosce che in religione i misteri della fede non sono traducibili in s., si esclude in via preliminare che vi possa essere contrasto tra le due.

7. In secondo luogo, l’educazione scientifica ha a disposizione un forte argomento per escludere il manualismo preconfezionato, non già a vantaggio di un ambiguo induttivismo, ma piuttosto di una didattica della ricerca basata sul​​ metodo delle ipotesi.​​ È importante rendersi conto che le s. nascono da un incontro tra esperienza e ragione, ovvero tra dati osservativi e costrutti teorici. Le ipotesi confermate sono i gradini di una scala, che tuttavia prosegue verso ipotesi sempre più vaste e unitarie, atte a dare ragioni più estese e fondamentali. Le tappe superate nel progresso della ricerca non sono tanto da considerare «errori» quanto piuttosto «verità parziali», da integrare in prospettive sempre più complete. Il sapere finito è sempre approssimato e la «verità» scientifica non è mai un possesso tranquillo, ma un ideale regolativo. L’unilaterale empirismo e l’unilaterale razionalismo sono stati superati attraverso la costruzione effettiva di un sapere che è sempre limitato ma sempre perfettibile. La nozione di s. nella formazione degli insegnanti riguarda la conoscenza riconosciuta, appresa, diffusa.

Bibliografia

Duhem P.,​​ Le système du monde,​​ Paris, Hermann,​​ 1913-1959, 10 voll.; Poincaré H.,​​ Il valore della s.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1947; Dewey J.,​​ Logica,​​ teoria dell’indagine, 2 voll., Torino, Einaudi, 1949; De Santillana G.,​​ Le origini del pensiero scientifico,​​ Firenze, Sansoni, 1966; Naville E.,​​ La logica dell’ipotesi,​​ Milano, Rusconi, 1989; Blezza F.,​​ Educazione 2000,​​ Cosenza, Pellegrini, 1993; Laeng M.,​​ S. filosofia religione: l’enigma nello specchio,​​ Brescia, La Scuola, 2003; Chistolini S.,​​ S. e formazione. Manuale del laboratorio universitario di pedagogia,​​ Milano, Angeli, 2006; Todaro L.,​​ L’ordine pedagogico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.

M. Laeng​​ 




SCIENZA/E COGNITIVA/E

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SCIENZA / E COGNITIVA / E

La s.c., o al plurale scienze cognitive, è un’area di studio e ricerca che ha per oggetto i processi che richiedono l’acquisizione e l’uso di conoscenza.​​ 

1. I tipici argomenti di cui si interessa sono i processi «intelligenti», come il linguaggio, la rappresentazione, il ragionamento, la soluzione di problemi, la decisione. Alcune delle discipline partecipanti sono la psicologia, in particolar modo la psicologia cognitiva,​​ la linguistica, le​​ ​​ neuroscienze, l’intelligenza artificiale, la filosofia della mente e del linguaggio, l’epistemologia, la logica e la filosofia della matematica. La prospettiva della s.c. è interdisciplinare e combina le ricerche svolte su questo oggetto di studio da parte di tutte queste discipline. Alcuni esempi di domande che interessano chi svolge ricerche nell’ambito delle s.c.: come si acquisisce la capacità di far fronte alla complessità dell’ambiente? in che modo ci rappresentiamo le situazioni e perché alcune costituiscono un problema? come possiamo pianificare o controllare le azioni che svolgiamo per ottenere certi risultati? come possiamo imparare e ricordare meglio? come possiamo ragionare meglio? perché commettiamo certi errori? come scegliere fra alternative e prendere decisioni difficili? come possiamo gestire linguaggi diversi? come possiamo utilizzare al meglio le macchine e gli oggetti di uso quotidiano? possiamo costruire macchine intelligenti? Queste domande portano a studiare da prospettive diverse i vari processi cognitivi come la memoria, il ragionamento, la soluzione di problemi, la percezione, l’attenzione, la coscienza, l’apprendimento.​​ 

2. All’origine della s.c. si possono ricondurre le ricerche che hanno permesso la costruzione e l’uso dei calcolatori elettronici. Tra queste ricerche merita una menzione particolare la macchina universale di Alan Turing. Essa era intesa come un modello per simbolizzare ogni possibile operazione di calcolo. Turing intendeva dimostrare che esistevano enunciati matematici non calcolabili; in questo modo egli dimostrò che la matematica non era completamente decidibile. La sua macchina è stata in seguito considerata il primo modello di mente computazionale. Negli anni cinquanta del sec. scorso la metafora della mente umana come elaboratore di informazioni divenne il riferimento fondamentale per gli sviluppi della psicologia cognitivista, come di ogni altra s.c. Oggi sono particolarmente vive le ricerche sulla simulazione mediante macchine dei processi cognitivi superiori e del comportamento degli esperti nei vari settori, sull’interazione uomo-macchina e la valorizzazione delle macchine per allargare le potenzialità dell’intelligenza umana o per superarne alcune disfunzioni.

Bibliografia

Gardner H.,​​ La nuova s. della mente, Milano, Feltrinelli, 1985; Di Francesco M.,​​ Introduzione alla filosofia della mente, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996; Ferretti F.,​​ Dizionario di s.c., Roma, Editori Riuniti, 2000; Legrenzi P.,​​ Prima lezione di s.c., Bari, Laterza, 2005; Searle J. R.,​​ La mente, Milano, Cortina, 2005; Boncinelli E.,​​ L’anima della tecnica, Milano, Rizzoli, 2006.​​ 

M. Pellerey




SCIENZE DELL’EDUCAZIONE

 

SCIENZE DELL’EDUCAZIONE

L’insieme delle discipline che studiano il fatto educativo, i processi sociali di​​ ​​ formazione, lo​​ ​​ sviluppo personale, 1’​​ ​​ apprendimento, 1’​​ ​​ insegnamento e 1’​​ ​​ intervento educativo in genere (​​ pedagogia).

1.​​ Dalla scienza alle s.d.e.​​ ​​ Claparède e Bovet chiamarono​​ École des Sciences de l’Éducation,​​ l’Institut J. J. Rousseau​​ da essi fondato nel 1912. Ma l’espressione «s.d.e.» è diventata comune solo dagli anni sessanta in poi, quando oltre che specifico ambito di indagine disciplinare, ha preso ad essere collegata a istituzioni di studi superiori a carattere pedagogico, ad es. istituti, dipartimenti, facoltà (​​ facoltà di s.d.e.), oppure a corsi di studi e di formazione, ad es. corsi di laurea o di specializzazione. In quegli anni lo studio della formazione si è generalizzato a tutte le s. umane, sociali e comportamentali, in concomitanza con il fatto che i problemi formativi sono diventati un punto d’interesse prioritario nelle politiche nazionali e in quelle dello sviluppo internazionale. Le funzioni e i ruoli formativi si sono dilatati, complessificati e specializzati. La​​ pedagogia, prima sostanzialmente incentrata – come suggerisce l’etimologia del termine – sullo studio del bambino e sulla preparazione del maestro, è stata spinta ad aprirsi alle diverse età della vita (​​ educazione permanente, continua, degli adulti, della terza età), ai differenti ambienti e situazioni dell’esistenza sociale oltre la scuola (enti e strutture locali, assistenza, disabilità, emarginazione e devianza, condizione giovanile, educazione della donna, formazione ed aggiornamento professionale, alternanza scuola-lavoro, mass-media e nuovi media, divertimento, tempo libero, sport). Nuove esigenze sociali hanno dato forza alla richiesta di nuovi contenuti educativi (convivenza civile e democratica, ecologia, pace, sviluppo, diritti umani, qualità della vita, salute, benessere, interculturalità, informatica, culture e lingue europee, ecc.), di nuove competenze (programmazione, lavoro in équipe e secondo un progetto di comunità, utilizzo di nuove tecnologie educative multimediali, ecc.) e di nuove figure formative oltre quelle tradizionali (educatori professionali, équipe psico-pedagogica, tutor, orientatori scolastici e professionali, animatori socio-culturali, operatori formativi del territorio, ecc.). L’istanza di un approccio multidisciplinare alla formazione si è venuta imponendo nella convinzione che occorrano competenze scientifiche varie e complementari per dar risposta ai sempre più complessi e vasti problemi della formazione pubblica e privata. In questo senso si è preso a parlare di «s.d.e.» al plurale e non tanto di «scienza​​ d.e.» al singolare. Ma indubbiamente il passaggio dalla s. alle s.d.e. (o alle «s. pedagogiche», come vogliono coloro che accentuano l’aspetto metodologico rispetto a quello teorico o rilevativo), è anche connesso con (e in qualche modo esprime) il pluralismo socioculturale presente nella convivenza sociale, nazionale ed internazionale; e partecipa del dibattito che pervade la ricerca e la produzione scientifica, anch’esso segnato dal rifiuto di forme univoche di scientificità ed invece aperto a forme di pluralismo scientifico e metodologico-interdisciplinare.

2.​​ Pro e contro le s.d.e.​​ Ad un certo punto è sembrato quasi che la pedagogia, come disciplina, dovesse scomparire e che il termine dovesse designare solo l’ambito cultural-scientifico occupato dalle s.d.e. In questi ultimi anni sembra invece esservi un ritorno alla pedagogia, più «pragmatico» che epistemologicamente giustificato. Secondo alcuni, infatti, lo spettacolo che offrono le cosiddette s.d.e. è piuttosto quello di un insieme di discipline senza unità reale. Esse esprimerebbero il trionfo della dispersione, della confusione o della sovrapposizione di approcci, che vanno avanti per proprio conto, con i propri metodi, con le proprie tecniche di investigazione, con i propri presupposti epistemologici. Nel migliore dei casi si avrebbe un raggruppamento generico di discipline, quasi una sorta di «enciclopedia», che solo estrinsecamente sarebbe unificata dalla problematica educativa, in vista di una sorta di «educologia». Da parte di chi, invece, afferma la necessità delle s.d.e., si controbatte che non si tratta di pura e semplice pluralità di approcci, ma di un «sistema» multidisciplinare, che non solo ha lo stesso centro problematico (= i problemi della formazione e dell’educazione) ed una stessa linea di sviluppo scientifico (secondo una sequenza metodologica generale di problemi – congetture – controllo critico delle asserzioni), ma che pone l’​​ ​​ interdisciplinarità (vale a dire la pratica di una diffusa interazione e coordinazione) come metodo fondamentale del processo di produzione scientifico-conoscitiva. Una tale pratica intellettuale richiede come presupposto istituzionale una comunità scientifica che sia il soggetto e il propulsore del sistema multidisciplinare; e forse è anche necessaria la condivisione di un interesse-guida conoscitivo che coniughi spirito scientifico e attenzione ai problemi formativi ed educativi, arrivando anche ad affermazioni di cararattere transdisciplinare. Si tratterebbe di fare scienza in maniera per così dire «sinfonica», vale a dire secondo un’orchestrazione di discipline diverse che convergono, ciascuna secondo un proprio e specifico apporto, verso un prodotto comune, rigoroso e significativo. È pur vero che sono proprio queste condizioni di base che di fatto spesso non sussistono o faticano ad affermarsi. Ne sono una controprova le difficoltà che si hanno nelle sedi universitarie dove si sono instaurati dipartimenti o facoltà di s.d.e. o dove si cerca di dare attuazione a corsi di laurea in s.d.e.

3.​​ Due diversi modi di intendere le s.d.e.​​ Un altro punto in questione riguarda la determinazione delle discipline che dovrebbero comporre le s.d.e. Chi intende scienza in un senso largo, equivalente a «sapere critico e giustificato», arriva a prospettare un sistema di discipline: a)​​ rilevative​​ (volte ad appurare «dove, come e quando» avviene l’educazione: vi si comprenderebbero le discipline storico-comparative e quelle provenienti dalle scienze umane e sociali); b)​​ teoriche​​ (volte a chiedersi «cosa ultimamente» significa l’educazione: vi si includerebbero la​​ ​​ filosofia dell’educazione, l’epistemologia pedagogica e magari la​​ ​​ teologia dell’educazione); c)​​ metodologiche​​ (volte a cercare «cosa fare» per l’educazione: vi si collocherebbero la metodologia pedagogica generale e le diverse metodologie particolari:​​ ​​ didattica, evolutiva, speciale, per gli adulti; d)​​ operativo-strumentali​​ (volte a ricercare «con quali mezzi» educare: vi si collocherebbero ad es.​​ ​​ le tecnologie educative, la docimologia, la statistica, l’informatica). Chi invece intende scienza nel senso stretto di disciplina empirico-logica, limita le s.d.e. alle discipline che specificano le scienze umane e sociali per ciò che attiene lo sviluppo, la formazione, l’educazione, vale a dire ad es.:​​ ​​ biologia,​​ ​​ antropologia,​​ ​​ psicologia,​​ ​​ sociologia dell’educazione, della famiglia, della scuola, della gioventù, dell’apprendimento, dell’istruzione, dello sviluppo. In questo caso le s.d.e. e le altre discipline sopra denominate storico-comparative, teoriche, metodologiche ed operativo-strumentali sono viste come discipline «ausiliarie» o contestuali della pedagogia, che ne assume i contributi, le interpreta e le pone in prospettiva di intervento formativo. È appena da notare che le concrete sistemazioni delle s.d.e. all’interno di istituti, dipartimenti o Facoltà Universitarie, non obbediscono solo a motivazioni di ordine teorico-epistemologico, ma più spesso a ragioni di ordine pratico o di tradizioni accademiche o di competenze e mezzi economici disponibili o di procedure giuridiche e legislative vigenti.

4. Oggi si parla anche di «s. della​​ formazione», riferite più che all’azione educativa alla globalità della crescita e alla qualificazione della vita individuale e collettiva, includendovi aspetti / discipline di tipo giuridico, linguistico, economico, comunicativo, ecc., che eccedono, di per sé, l’ambito puramente pedagogico, dando luogo a trasversalità conoscitive difficilmente perimetrabili scientificamente.

Bibliografia

Braido P. (Ed.),​​ Educare. Sommario di s. pedagogiche,​​ 3 voll., Zürich, PAS-Verlag, 1962-1963; Debesse M. - G. Mialaret (Edd.),​​ Trattato delle s. pedagogiche,​​ 10 voll., Roma, Armando, 1970-1978; Visalberghi A. - R. Maragliano - B. Vertecchi,​​ Pedagogia e s.d.e.,​​ Milano, Mondadori, 1979; Nanni C.,​​ Educazione e s.d.e.,​​ Roma, LAS, 1986; Mialaret G. (Ed.),​​ Introduzione alle s.d.e.,​​ Roma / Bari, Laterza, 1989; Bellatalla L. - G. Genovesi (Edd.),​​ Scienza​​ dell’educazione, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 2006.

C. Nanni




SCIENZE SOCIALI

 

SCIENZE SOCIALI

La​​ ​​ scienza è una delle forme di conoscenza umana, specializzata nella produzione razionale e critica di descrizioni, spiegazioni, previsioni e manipolazioni di eventi, fenomeni e processi fisici, biologici, psichici e socioculturali.

1.​​ Natura. Nell’epistemologia aristotelica le s. veniva- no suddivise in metafisiche, fisiche e positivo-empiriche. In tempi più recenti sono articolate sulla base dei contenuti e del metodo in s. logico-formali, empirico-formali, s. della natura e s. dell’uomo. Le s.s. vengono classificate sia all’interno delle s. empirico-formali per quanto riguarda il metodo di ricerca positivo fenomenologico, sia tra le s. dell’uomo per quanto concerne i contenuti. Si distinguono invece dalle s. della natura perché lo studio degli esseri umani è diverso dall’osservazione degli eventi nel mondo fisico. Infatti l’analisi della vita sociale si occupa di​​ attività dotate di senso​​ perché diversamente dagli oggetti del mondo della natura gli uomini sono esseri autoconsapevoli, dotati di libertà, che perciò attribuiscono significato e finalità alle loro azioni.

2.​​ Orientamenti e tipologie.​​ Le s.s. sono definite anche​​ s. teorico-pratiche​​ in quanto hanno come oggetto lo studio della vita sociale umana, dei gruppi, dell’uomo nella sua dimensione sociale e dei fattori sociali che ne condizionano le trasformazioni. L’orientamento teorico si manifesta nell’impegno di organizzare scientificamente le conoscenze sociali con una metodologia rigorosamente corretta e critica, che ne permette la formulazione sistematica, logica, unitaria e coerente all’interno di un quadro teorico e di concettualizzazioni opportunamente elaborate. L’orientamento pratico si esprime nella funzione politica delle s.s. Infatti sia la raccolta scientifica dei dati fattuali di esperienza, sia la loro interpretazione, sono tutte fasi di un processo che partendo dalla conoscenza della realtà tende a prevederne i cambiamenti possibili per intervenire su di essi, secondo la formula classica di «voir pour prévoir, et prévoir pour pouvoir». In modo propositivo le s.s. mirano anche a creare un’immagine di società scientificamente elaborata,​​ attraverso un metodo d’indagine scientifico connotato da precise caratteristiche, e cioè: oggettività, sistematicità, verificabilità, standardizzazione, struttura logica dell’argomentazione e distacco del ricercatore rispetto ai fatti in esame. Emergerebbero però oggi fattori che metterebbero in discussione tale scientificità, come la relatività delle conoscenze empiriche, la reintroduzione del soggetto conoscente nel processo della conoscenza, la spiegazione probabilistica dei fatti, il relativismo metodologico, per cui la spiegazione dei comportamenti e delle azioni sociali non potrebbe prescindere da valori, norme, bisogni e schemi interpretativi propri. Il dibattito è ancora aperto. Comunque venga risolto il problema, fanno tuttavia parte in senso stretto delle s.s.​​ la sociologia,​​ l’antropologia culturale,​​ l’economia e la s. politica.​​ Altre s. vi possono rientrare sia pure in modo indiretto, perché alcuni loro aspetti contenutistici vi sono correlati o anche sovrapposti, come la psicologia, la pedagogia, la storia, la comunicazione sociale, il diritto e la legislazione sociale.

Bibliografia

Alexander J. C.,​​ Teoria sociologica e mutamento sociale. Un’analisi multidimensionale della modernità, Milano, Angeli, 1990; Gallino L. et al.,​​ Manuale di sociologia, Torino, UTET, 1997; Mion R.,​​ Sociologia e s.s. a confronto con le sfide della società contemporanea, in «Orientamenti Pedagogici» 46 (1999) 9-27; Barbano F.,​​ La sociologia in Italia. Le trasformazioni degli anni 70, Milano, Angeli, 2003; Prandini R. (Ed.),​​ La realtà del sociale: sfide e paradigmi, Ibid., 2004; Donati P. P. - I. Colozzi (Edd.),​​ Il paradigma relazionale nelle s.s: le prospettive sociologiche, Bologna, Il Mulino, 2006; Donati P. P. (Ed.),​​ Sociologia. Una introduzione allo studio della società, Padova, CEDAM, 2006.

R. Mion




SCOLASTICA

 

SCOLASTICA

Qui non interessa la denominazione s. come categoria storiografica [1]; né tanto meno il suo disteso sviluppo. Importa invece la metodica che essa ha prodotto. Alla denominazione lasceremo per ciò stesso il suo significato letterale per controllare la didattica sviluppata dalla scuola medievale nelle sue successive accezioni:​​ claustrale,​​ cattedrale​​ e​​ municipale,​​ e quindi​​ universitaria​​ [2].

1.​​ Scuole claustrali.​​ Il prevalente interesse al testo, soprattutto sacro, avvia allo studio delle​​ tecniche grammaticali​​ e si esprime in caute​​ glosse,​​ florilegi​​ e​​ commenti.​​ Là ove inopinati ricuperi di fonti bizantine suscitano esaltanti ambizioni, come nel caso del​​ Perifyseon​​ di Giovanni Scoto Eriugena († ca. 877), l’intrapresa assume curiosamente le forme lente e guardinghe del dialogo.

2.​​ Scuole cattedrali e municipali.​​ Passata formalmente nelle disponibilità del Vescovo e del suo capitolo, la scuola trova assestamenti inediti sia sotto il punto di vista istituzionale, sia sotto quello didattico. Già il​​ Libellus scholasticus​​ di Walter di Speyer [3] descrive, verso il 982, le progressioni pluriannuali di un curricolo sotteso dalle​​ Sette arti,​​ e la dovizia di testi da assimilare. Ben più copiose le acquisizioni dell’imponente​​ Heptateuchon​​ di Teodorico di Chartres († ca. 1155). Vi si ricuperano, con​​ ​​ Platone,​​ ​​ Aristotele e Boezio, Varrone, Plinio, Cicerone, Marziano Capella, Macrobio, Calcidio, e ancora Tolomeo, Isidoro di Siviglia e Gerberto d’Aurillac. Un’enorme enciclopedia,​​ totius philosophiae unicum ac singulare instrumentum,​​ che composta circa il 1140, può beneficiare delle riflessioni che Ugo di St.-Victor († 1141) ha già consegnato al suo​​ Didascalion de studio legendi.​​ Perentoria la rivoluzione della​​ Dialettica:​​ mentre l’impegno monastico, a ridosso del testo «sacro», si esauriva in reverente lettura e meditazione, l’affluenza di produzioni di disparata estrazione chiama l’interlocutore a compiti di più responsabile impegno [4]. I generi in cui codesta nuova congiuntura si esprime sono svariati. Persiste fecondissimo l’esercizio del​​ Commento;​​ e però, oltre le​​ Glosse,​​ fioriscono le​​ Distinzioni,​​ uno studio semantico di singole parole o di grumi coerenti di testo, a norma dello schema accreditato dei quattro livelli, storico, allegorico, tropologico e anagogico; e con esse le​​ Sentenze,​​ formazioni tematiche elementari e autosufficienti, prima disparate e tosto coordinate sotto congrua rubrica in complessi coerenti. La​​ Scuola di Laon​​ si è specializzata nel genere; a Pietro Lombardo († ca. 1160) spetta il discutibile onore di aver prodotto, in quattro libri, la collezione più fruita dalla posterità intellettuale. Singolare importanza ha fuor di dubbio l’elaborazione della​​ Quaestio.​​ Affiora prima timidamente, per costituire nel seguito il tipico esercizio della procedura coperta dalla nostra denominazione, s. per eccellenza, nel bene e nel male. Vi concorre, sotto l’interrogativo tipicamente introdotto dall’Utrum,​​ il pro e il contro, in una successione contraddittoria di testi autorevoli, argomentazioni di ogni indole, e quant’altro il maestro si trova sottomano. L’apparente affastellamento sollecita in sostanza la storia pregressa dell’aporia. Al seguito si apre solenne la determinazione della soluzione divisata. A modo di conclusivo corollario, se ne prolunga il perentorio tenore a soluzione della serie di argomentazioni antitetiche proposte in apertura. Così come le​​ Sentenze,​​ anche le​​ Questioni​​ trovano tosto ordinata disposizione in costellazioni assortite più o meno ampie; e allorché tenderanno vogliosamente a tematizzare ambiti complessivi, si arrogheranno a buon diritto la rubrica di​​ Summa.

3.​​ Scuole universitarie.​​ Sia o meno la più straordinaria delle innovazioni medievali, la​​ Universitas magistrorum et studentium,​​ è certamente creazione ammirabile [5]. La contesa circa la primogenitura è qui e altrove del tutto irrilevante. Come tutte le altre corporazioni costituitesi all’interno della città, l’Università costituisce entità giuridica collettiva in grado di organizzare autonomamente la propria vita, che è poi l’esuberanza delle moltitudini di studenti, laici e chierici, che affollano le vecchie scuole cattedrali di Bologna, Parigi, Orléans, Oxford o Colonia, contro i cui patroni, vescovi e cancellieri, ingaggiano, sostenuti dall’iniziativa non del tutto disinteressata del Papato, memorabili contestazioni. Non interessa nemmeno la sua storia istituzionale, perché, per essa, i riferimenti fatti sono fonte di informazione esaustiva. Ci interessa la sua fecondità funzionale [6]. Per la​​ Facoltà delle Arti, prima propedeutica della​​ Facoltà di Teologia, e tosto fieramente autonoma [7], disponiamo delle preziose indiscrezioni del cosiddetto​​ Compendium examinatorium parisiense,​​ recentemente edito [8], nel quale, circa il 1240, un anonimo maestro compiacente propone un prontuario atto a facilitare, preparandole opportunamente, le prove di esame. Non è l’unico documento del genere [9], ma può passare per il più espediente al fine di cogliere la progressiva maturazione dell’esordiente e le definitive acquisizioni del maturato, alle prese con tutto il disponibile del​​ Corpus aristotelicum​​ e quanto di tradizione platonica e neoplatonica è venuto ai Latini, sia nel diretto controllo di Macrobio e Calcidio, sia tramite la mediazione araba. La​​ Facoltà di Teologia​​ impegnava i proprii studenti fondamentalmente su due testi: la​​ S. Scrittura,​​ naturalmente, e i​​ Quattro libri delle Sentenze​​ di Pietro Lombardo. A ridosso della composizione lombardiana si esercita, progressivo, lo sforzo di quanti intendono guadagnarsi, con un proprio​​ Commento​​ ufficialmente ratificato, una​​ Licentia docendi.​​ Inediti sviluppi trova il genere della​​ Quaestio,​​ che, sia nell’accezione​​ ordinaria,​​ sia in quella festiva​​ de quolibet,​​ si apre sempre più liberalmente alla concorrenza a varii livelli di volenterosi studenti [10]. Anche la​​ Facoltà di Diritto​​ dispone di proprii testi ufficiali: il​​ Corpus iuris canonici​​ e il​​ Corpus iuris civilis.​​ Nei corsi ordinarii, tenuti da dottori accreditati, venivano affrontati il​​ Decreto​​ e le​​ Decretali,​​ per il Diritto canonico, e il​​ Digesto antico​​ e i primi nove libri del​​ Codice,​​ per il Diritto civile. Questo nucleo era poi arricchito, in corsi straordinarii, affidati, sempre sotto il controllo dei cattedratici, a baccellieri. Vi si studiava il​​ Liber sextus​​ e le​​ Clementinae​​ per il Diritto canonico; e il​​ Digesto nuovo,​​ l’Infortiatum,​​ le​​ Istituzioni,​​ gli ultimi libri del​​ Codice,​​ le​​ Autentiche​​ imperiali e il​​ Liber feudorum,​​ per il Diritto civile. In grado di esercitare variamente, alla fine felice degli studi, i maturati portano nella società medievale fermenti di tutto riguardo e notevole impegno. C’è, per finire, una​​ s. medica,​​ anch’essa legata a testualità canonica. Ippocrate, Galeno, Costantino l’Africano, Avicenna e il suo​​ Canone,​​ e altra svariata produzione di varia estrazione. Con l’introduzione della pratica necroscopica, però, la​​ Facoltà di Medicina​​ evolverà lentamente verso assetti meno convenzionali.

4. In conclusione: se la s. designa la metodica messa in opera nelle scuole medievali, una sua definizione per genere e differenza risulta ovviamente impervia. Tutto quanto ne residua è l’efficacia del suo impatto, e questa a sua volta non può essere valutata che a ridosso dei soggetti che se ne sono immediatamente avvalsi; dei contesti che ne hanno eventualmente beneficiato; della posterità presumibilmente lasciata. Per i primi, non si può che frugare nelle grandi storie specializzate [11]. Per i contesti, il consuntivo è in corso d’opera in miriadi di controlli, quante sono le università medievali [12]. Per la posterità, oltre a tornare alle grandi Storie, si può già contare su qualche saggio interessante [13].

Bibliografia

[1] Schmidinger H. M., «‘Scholastik’ und ‘Neuscholastik’. Geschichte zweier Begriffe», in​​ Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts,​​ Bd. II,​​ Rückgriff auf scholastisches Erbe,​​ Graz, 1988, 12-53; [2] Cfr. Verger J., «Schule», in​​ Lexicon des Mittelalter,​​ Bd. VII,​​ 1582-1586, München, 1995; [3] Vossen P.,​​ Der «Libellus scholasticus» des Walter von Speyer. Ein Schulbericht aus dem Jahre 984,​​ Berlin, 1962;​​ [4] Weijers O.,​​ Méthodes et instruments du travail intellectuel au Moyen Age,​​ Turnhout, 1990; Id. (Ed.),​​ Vocabulaire des écoles et des méthodes d’enseignement au Moyen Age,​​ Turnhout, 1992;​​ [5]​​ Geschichte der Universität im Europa​​ (Hrsg. W. Ruegg, I:​​ Mittelalter),​​ München,​​ 1993;​​ [6] Weijers O.,​​ Manuels,​​ programmes des cours et techniques d’enseignement dans les universités médiévales,​​ Turnhout, 1994; [7] Glorieux P.,​​ La Faculté des arts et ses maîtres au XIIIe s.,​​ Paris, 1971; Weijers O.,​​ Le travail intellectuel à la Faculté des arts de Paris. Textes et maîtres,​​ c. 1200-1500,​​ Turnhout, 1994s.; [8] Lafleur C. - J. Carrier,​​ Le «Guide de l’étudiant» d’un maître anonyme de la Faculté des Arts de Paris au XIIIe s.,​​ Québec,​​ 1992;​​ [9] Lewry O.,​​ Thirteenth-Century examination Compendia from the Faculty of Arts,​​ in​​ Les genres littéraires​​ [4], 101-116: [10] Viola C. - B. C. Bazan - J. F. Wippel, in​​ Les genres littéraires​​ [4];​​ [11] Eccone tre recenti: Gilson E.,​​ History of Christian philosophy in the Middle Ages,​​ London, 1955; Flasch K.,​​ Das philosophische Denken im Mittelalter. Von Augustin zu Machiavelli,​​ Stuttgart,​​ 1986; Rossi P. - C. A. Viano (Edd.),​​ Storia della filosofia,​​ II:​​ Il​​ Medioevo,​​ Bari, 1995; [12] Ecco qualche sommario provvisorio:​​ Classen P.,​​ Studium und Gesellschaft im Mittelalter,​​ Stuttgart,​​ 1982;​​ Università e società nei secoli XII-XIV,​​ Pistoia, 1982;​​ The university and the city.​​ From medieval origins to the present​​ (Ed. T. Bender), Oxford, 1988; [13]​​ Hengst K.,​​ Jesuiten an Universitäten und Jesuitenuniversitäten,​​ Paderborn,​​ 1981; Bockliss L. W. B.,​​ French higher education in the Seventeenth and Eighteenth centuries.​​ A cultural history,​​ Oxford, 1987.

P. T. Stella