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SIGNIFICATIVITÀ STATISTICA

 

SIGNIFICATIVITÀ STATISTICA

La s.s. designa il grado di​​ ​​ probabilità che in un insieme «infinito» di misure il punteggio ottenuto possa essere attribuito a un fattore diverso dal caso.

1. Il procedimento seguito abitualmente per il controllo della s.s. si basa sulla formulazione dell’ipotesi nulla, sulla specificazione di un livello di s. e della numerosità del campione necessaria per il rigetto dell’ipotesi nulla. L’ipotesi nulla (H0) esprime quel che ci si aspetta se il fenomeno studiato è dovuto al caso. Congiuntamente all’ipotesi nulla si formula un’ipotesi alternativa (H1), che esprime l’influsso di uno o più fattori alternativi al caso, di solito identificati in base ad un esame della letteratura teorica e sperimentale sull’argomento oggetto di studio. A questo punto, si sceglie un test statistico (chi2, analisi della varianza, ecc.) che consenta di «falsificare» H0: provando la falsità dell’ipotesi nulla (ossia dell’influsso dominante del caso sul fenomeno) indirettamente si «corrobora» H1.

2. A questo punto, bisogna fissare quale livello di s. (α) riteniamo necessario e sufficiente per rigettare H0. La scelta del livello di s. si riferisce alla percentuale di casi «estremi», non congruenti con l’ipotesi nulla, che si ritiene tollerabile. Ad es., si può determinare che se su un​​ ​​ campione di 300 casi il 5% o meno dei fenomeni osservati non è congruente con l’ipotesi dell’influsso del caso, H0​​ verrà rigettata (e conseguentemente verrà accettata H1). A seconda del tipo dei dati, del tipo di ipotesi alternativa e della potenza del test statistico prescelto, la proporzione dei casi anomali tollerati potrà scendere all’1 % o allo 0,1% e la numerosità dei casi a cui è necessario estendere le osservazioni potrà aumentare. Quanto più grande è α tanto maggiore è la probabilità di rigettare l’ipotesi nulla quando in realtà essa è vera («errore di I tipo»). Si incorre invece in un «errore di II tipo» quando l’ipotesi nulla è falsa e non viene rigettata. La probabilità (β) di commettere questo tipo di errore viene controllata mediante la potenza del test statistico prescelto, la numerosità del campione e l’entità della varianza nella popolazione esaminata.

Bibliografia

Cristante F. - A. Lis - M. Sambin,​​ Statistica per psicologi,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1982; Siegel S. - N. J. Castellan,​​ Non-parametric statistics for the behavioral sciences,​​ New York, McGraw-Hill, 1988; Hays W. L.,​​ Statistics for the social sciences,​​ New York, Holt,​​ 51994; Di Nuovo S.,​​ Fare ricerca. Introduzione alla metodologia per le scienze sociali, Acireale-Roma, Bonanno, 2003.

L. Boncori




SILENZIO

 

SILENZIO

Il s. è un’esperienza così universale ed insieme così segnata dalla personalità di ognuno, da trovare ampia considerazione in campo educativo, normalmente nell’ambito della​​ ​​ comunicazione, e dunque in stretto rapporto con la parola.

1. Anzitutto l’educazione riconosce che possono essere diverse​​ le forme​​ del s.: vi è un s. scelto ed imposto, interiore ed esteriore, davanti a Dio (adorazione), rispetto alle persone, a confronto di avvenimenti; riconosce soprattutto che sono differenti i​​ significati​​ del s., anzi che per sua natura esso è ambivalente, in quanto può essere espressione di verità e di finzione, di dedizione e di sdegno, di rispetto e di rifiuto, di concentrazione e di timidezza. Per questo l’educazione si impegna a qualificare il s. con valori umani, morali e spirituali, formando la persona​​ al saper tacere e al voler tacere,​​ a darsi cioè delle ragioni per cui si tace e si parla, usando in maniera costruttiva, per sé e per gli altri, questa grande risorsa del s.

2. In tale prospettiva emergono​​ specifici obiettivi​​ educativi, sovente attinti dalla sapienza dei popoli: a) «Vi è un tempo per tacere ed un tempo per parlare», dice la Bibbia (Qo 3,7): significa che il s., come la parola, non può scaturire dall’arbitrio e dal capriccio, ma va commisurato sui bisogni della verità e della vita. b) «Parla quando la tua parola è migliore del tuo s.», ammonisce un saggio indù: si rivendica così il valore della parola mettendo in luce come il s. che riflette sia 1’abituale atteggiamento di una persona. c) «Il s. è sacro», annota la​​ Regola​​ di s. Benedetto: si vuole sottolineare la capacità del s., specialmente in ambito religioso, di far cogliere​​ in primis​​ la voce della coscienza, le mozioni dello Spirito, i delicati messaggi della vita interiore, altrimenti soffocati dai mille rumori. Per questo il s. primario è quello interiore, che però può realizzarsi mediante la disciplina del s. esteriore.

3. A questo proposito,​​ ​​ Montessori ha elaborato per i bambini una pedagogia atta alla scoperta attiva di un affascinante «mondo del s.», riguardante la natura, le cose, le persone, Dio stesso.

Bibliografia

Montessori M.,​​ La scoperta del bambino, Milano, Garzanti, 1950; Picard M.,​​ Il mondo del s.,​​ Milano, Edizioni di Comunità, 1951; Lubienska de Lenval H.,​​ Le silence à l’ombre de la Parole,​​ Tournai, Casterman, 1965;​​ Silence,​​ in «Lumen Vitae» 50 (1995) 4 (monogr.); Fiorentino G.,​​ Il valore del s. Sconfinamenti tra pedagogia e comunicazione, Roma, Meltemi, 2003.

C. Bissoli




SIMBOLO

 

SIMBOLO

Il s. nell’interpretazione tradizionale, proposta da​​ ​​ Aristotele e seguita nell’epoca classica (syn-ballo:​​ getto, metto assieme, unisco) faceva riferimento alla percezione interiore e alla sua manifestazione in suoni e in parole.​​ ​​ Agostino porta l’attenzione sul fatto che i segni sono propri o trasposti; rileva quindi una dilatazione possibile – trasposizione – ad altra realtà significata attraverso il s.

1. Fino ad epoca recente l’interpretazione del s. era legata alla concezione del​​ ​​ linguaggio, inteso come «strumento» di comunicazione del pensiero, deputato a lasciar trasparire la «conformità» fra pensiero e realtà –​​ adaeguatio intellectus et rei​​ –.​​ In questo senso la distinzione fra segno e s. era irrilevante. La riflessione recente e contemporanea ha visto nel linguaggio un’area privilegiata di ricerca: «Mi sembra che oggi vi sia un’area in cui tutte le ricerche si incrociano reciprocamente: quella del linguaggio» (Ricoeur, 1965, 13).

2. Il linguaggio è l’orizzonte stesso del pensiero e del processo interpretativo della realtà. La divaricazione si delinea netta nella riflessione heideggeriana. Per la tradizione l’uomo ha la capacità di conoscere –​​ logon ekon​​ –, per Heidegger invece l’uomo è in quanto conosce. La comprensione non è una funzione conoscitiva, è il modo stesso di essere dell’uomo (Heidegger, 1969). Il s. assurge ad elemento qualificante e rivelativo della forza del linguaggio, viene analizzato da varie discipline e reca l’accentuazione specifica che le caratterizza; ad es. nell’ambito della psicanalisi come espressione del subconscio (P. Diel); o come manifestazione di archetipi (​​ Jung).

3. Singolare attenzione vi è dedicata dall’​​ ​​ antropologia. Per J. Lacan il s. consente al singolo di organizzare una comprensione unitaria e organica del mondo che gli è proprio; Lévy-Strauss a sua volta raccoglie l’intera visione culturale sotto i segni simbolici che la rendono significativa. Con Cassirer il s. viene situato a perno dell’interpretazione della stessa cultura (Cassirer, 1971). In ambito religioso l’analisi del s. consente un’autentica reinterpretazione delle varie manifestazioni della religione (J. Ries).

4. Sotto il profilo educativo si può assegnare al s. una triplice funzione: a) consente a colui che lo emette o lo riceve di articolare il proprio mondo culturale e quindi di mettersi in comunicazione con altri che partecipano della stessa cultura; b) più che designare le caratteristiche di un oggetto tende a far parlare il mondo dei significati di cui la realtà espressa è portatrice e mediatrice: in un certo senso si può dire che il s. dà voce alla realtà e la trasferisce dalla sua rudimentale fattualità all’orizzonte di significato; c) il s. si può quindi opportunamente distinguere dal segno che invece designa una realtà precisa nelle sue specifiche e concrete connotazioni.

Bibliografia

Lévy-Strauss C.,​​ Les structures élémentaires de la parenté,​​ Paris, PUF, 1949; Ortigues E.,​​ Le discours et le symbole,​​ Paris, Aubier-Montaigne, 1962; Ricoeur P.,​​ De l’interprétation,​​ Paris, Seuil, 1965; Heidegger M.,​​ Essere e tempo: l’essenza del fondamento,​​ Torino, UTET, 1969; Cassirer E.,​​ Saggio sull’uomo,​​ Roma, Armando, 1971; Eliade M.,​​ Trattato di storia delle religioni,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1972; Di Nola A. M., «S.», in​​ Enciclopedia delle religioni,​​ Firenze, Vallecchi, 1973; Chauvet L. M.,​​ Linguaggio e s. Saggio sui sacramenti,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1982;​​ Ladrière J.,​​ L’articulation du sens,​​ Paris, Cerf, 1984; Pieretti A., «S.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. VI, Brescia, La Scuola, 1994, 10724-10731.

Z. Trenti




SIMULAZIONE

 

SIMULAZIONE

Il termine deriva dal lat.​​ similis​​ (ingl.​​ simulation, fr.​​ simulation, sp.​​ simulación, ted.​​ vortäuschung) e si riferisce a metodologie educative basate su una finzione,​​ rappresentazione o riproduzione virtuale di situazioni, cose, persone, reali o ipotetiche.

1. La s. può includere dimensioni di ricerca, con elaborazione di modelli teorici e applicativi in aree e metodologie come 1’euristica, il​​ problem finding,​​ il​​ problem solving,​​ i processi decisionali, l’orientamento, ecc., permettendo «di realizzare e, talvolta, di vivere situazioni che, a causa degli alti rischi o dei limiti della capacità percettiva umana, ma anche dell’estrema complessità dei fenomeni o dei costi elevati di una loro osservazione diretta, sarebbe impossibile indagare» (De Finis, 1994). È frequente l’uso di attrezzature tecnologico-didattiche e informatiche.

2. La s. è usata nell’educazione, per l’apprendimento e la maturazione personale, con modelli individualizzati per la ricostruzione e la ripetizione di sequenze, connessi a dimensioni evolutive e differenze individuali; si sottolineano l’attivazione della motivazione e la duttilità in situazioni diverse. Didatticamente, la s. attiva processi cognitivi e soluzione di problemi, per es. in ambito informatico (Krasnor e Mitterer, 1984; Chambers, 1987), con sinergie tecnologiche (Crookall, 1988), formative e multimediali (Kozma, 1991), con applicazioni nell’istruzione programmata e nel gioco didattico​​ (Desideri, 1989). Si distingue (Taylor e Pham 1999) tra s. di processi (per es. immaginarsi mentre si scrivono consigli per nuovi iscritti all’università) e s. di prodotti o risultati (per es. immaginarsi impegnati a scrivere consigli per le​​ matricole, con attenzione ai risultati e alle reazioni degli studenti, ansiosi e diversamente interessati alle varie parti del saggio). Ricerche statunitensi (UCLA, California) hanno verificato sperimentalmente che la s. di processo ha facilitato la pianificazione di un breve saggio scritto e la s. di prodotto ha migliorato la motivazione e l’auto-efficacia (ivi).

3. Nella pratica educativa e nella ricerca sperimentale la s. si applica nel trasmettere l’informazione e nei processi di apprendimento, specialmente in contesti a rischio​​ (per es. in educazione civica per l’uso di materiali pericolosi, simulando conseguenze, nell’educazione sanitaria, ecc.). Con la diffusione di metodologie informatiche la s. è spesso associata al concetto di realtà virtuale,​​ con applicazioni educative sul piano individuale e sociale: per es., s. di attività interattive sia pur nell’assenza di più persone. Il crescente uso metodologico della s. sollecita istanze valutative sul costrutto in oggetto (White, 1989) soprattutto sul piano etico e pedagogico-sperimentale.

Bibliografia

Krasnor L. R. - J. O. Mitterer,​​ Logo and the development of general problem-solving skills,​​ in «The Alberta J. of Educational Research» 30 (1984) 133-144; Crookall D.,​​ Combining the new technologies and simulations: an overview,​​ in «Simulation Games for Learning» 18 (1988) 1 4-10;​​ White C. S.,​​ Directing the software evaluation process: a guide for evaluators,​​ in «Social Education» (1989) 67-68; Desideri I., «Gioco didattico», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. III, Brescia, La Scuola, 1989, 5476-5480;​​ Kozma R. B.,​​ Learning with media,​​ in «Review of Educational Research» 61 (1991) 21-29;​​ De Finis G., «S.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. VI, Brescia, La Scuola, 1994, 10740-10742;​​ Taylor S. E. - L. B. Pham,​​ The effect of mental simulation on goal-directed performance, in «Imagination, Cognition and Personality» 18 (1998-99) 253-268.

G. Boncori




SINDROME DI DOWN

 

SINDROME DI DOWN

La s.d.D. consiste nell’insieme delle caratteristiche e delle manifestazioni del soggetto affetto da un’aberrazione cromosomica. L’aberrazione sta nel fatto che durante la divisione delle cellule germinali nel cromosoma 21 non avviene la necessaria disgiunzione prima della ovulazione e di conseguenza esso presenta un cromosoma in più. Questa irregolarità si riproduce poi in tutte le cellule e porterà ad uno sviluppo anomalo dell’intero organismo. Il soggetto affetto da questa irregolarità si chiama soggetto Down. La s.d.D. non è molto frequente, poiché si verifica una volta su 770 nascite ed è associata all’età della madre, ma la causa è incerta (Hodapp e Freeman, 2003).

1. I soggetti Down sono facilmente riconoscibili dalle sembianze esterne: forma degli occhi e degli arti, lentezza dei movimenti e della posizione. L’anomalia cromosomica causa un invecchiamento precoce, porta al rallentamento della circolazione sanguigna ed a facile affaticamento. I soggetti presentano, inoltre, problemi di udito, trovano difficoltà ad acquisire vocaboli e una sintassi corretta; hanno pure difficoltà a prestare attenzione ed ascolto. Non presentano invece problemi di​​ ​​ comunicazione con i loro coetanei e con persone di ogni età. Il soggetto Down condiziona notevolmente la gestione della vita della sua famiglia. I genitori devono essere verso il figlio Down realisti ma nello stesso tempo devono nutrire la fiducia di poter attivare le sue risorse (Visconti, 1989). La marcata differenza nello sviluppo generale e cognitivo tra soggetti Down che vivono nelle istituzioni rispetto a quelli che vivono in famiglia, dimostra quanto sia importante per loro un ambiente stimolante.

2. Tra i vari approcci per promuovere le abilità gestionali dei soggetti Down sembra più efficace quello comportamentale. Infatti con il rinforzo positivo, con il​​ modeling​​ (apprendimento osservativo) e con il concatenamento è possibile far apprendere loro il comportamento adattivo (una discreta autonomia personale) e a ridurre quello disadattivo.

Bibliografia

Mastroiacovo P. - J. E. Rynders - G. Albertini,​​ La s.d.D.: nuove prospettive medico-psico-pedagogiche,​​ Roma, Pensiero Scientifico, 1981; Danileski V.,​​ La s.d.D.: un contributo all’abilitazione del bambino Down,​​ Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 1985; Visconti W., «Down, s. di», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol.​​ II,​​ Brescia, La Scuola, 1989, 4109-4111; Matson J. L. (Ed.),​​ Handbook of behavior modification with the mentally retarded,​​ New York, Plenum Press,​​ 21990; Hodapp R. M. - S. E. N. Freeman,​​ Advances in educational strategies for children with Down syndrome,​​ in «Current Opinion in Psychiatry» 16 (2003) 511-516.​​ 

K. Poláček




SINISTRERO Vincenzo

 

SINISTRERO Vincenzo

n. a Diano d’Alba (Cuneo) nel 1897 - m. a Roma nel 1980, educatore e pedagogista italiano.

1. Compiuti gli studi ginnasiali, S. entra a far parte della Congregazione dei​​ ​​ Salesiani. Ordinato sacerdote, e ottenuta la laurea in lettere presso l’Università Cattolica di Milano, esplica una intensa attività d’insegnamento in istituti di livello secondario e superiore. Il lavoro educativo si coniuga, in S., con la promozione d’iniziative culturali e con la partecipazione in associazioni professionali, dando un particolare contributo alla fondazione (1945) e allo sviluppo della Federazione Istituti Dipendenti dell’Autorità Ecclesiastica. All’epoca della Costituente è vicino ai parlamentari d’ispirazione cristiana. Come esperto nel campo della politica dell’educazione, è chiamato spesso a rappresentare la Santa Sede in organismi internazionali. Dal 1944 realizza una pregevole opera di docenza e di ricerca presso l’Univ. Pont. Salesiana (​​ Facoltà di Scienze dell’Educazione).

2. Nell’opera di studioso e di scrittore, privilegia alcuni settori: scuola cattolica e difesa della libertà d’insegnamento, legislazione scolastica, formazione professionale. Una speciale attenzione vi è dedicata all’analisi comparativa dei sistemi scolastici nei diversi Paesi occidentali. S. pubblica alcuni saggi pionieristici nell’ambito della pedagogia comparata in Italia. Quanti hanno conosciuto da vicino S. ne apprezzano la ricca personalità (vivacità intellettuale e simpatia, forza di volontà, profondo senso religioso, carattere forte e sensibilità squisita, apertura agli orizzonti della cultura moderna) e l’appassionata dedizione al servizio della scuola. Per i meriti in questo campo, gli fu conferita la medaglia d’oro dal Ministero della P.I. (1977).

Bibliografia

Tra gli scritti più significativi di S.:​​ Verso la libertà della scuola mediante la parità, Torino, SEI, 1947;​​ Problemi attuali della scuola, Ibid., 1956;​​ Scuola e formazione professionale nel mondo, Zürich, PAS-Verlag, 1963;​​ Il Vaticano II e l’educazione, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1967;​​ Politiche di educazione permanente e sviluppo, Torino, SEI, 1975; Prellezo J. M., «S., V.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. VI, Milano, La Scuola, 1994, 10757-10758.​​ 

J. M. Prellezo




SISTEMA FORMATIVO

 

SISTEMA FORMATIVO

Sta ad indicare sia il complesso delle istituzioni che svolgono la funzione formativa sia l’organizzazione del corso degli studi. L’espressione sottolinea l’idea che tali strutture costituiscano come​​ un tutto,​​ un’unità,​​ un insieme​​ che presenta regole e compiti comuni.

1.​​ Il modello di riferimento. Benché nel mondo la varietà dei s.f. sia grande, tuttavia, da quando nel 1972 l’Unesco ha lanciato il modello dell’​​ ​​ educazione permanente, si può dire che tutti i Paesi vi hanno riconosciuto un quadro di riferimento. Questo ruota attorno a quattro assunti principali. Anzitutto, l’educazione di ogni uomo, di tutto l’uomo per tutta la vita richiede il coinvolgimento lungo l’intero arco dell’esistenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). Il s.f. deve prevedere la possibilità di spezzare la sequenza della educazione in diversi tempi – in modo da rinviarne parte o parti a un momento successivo al periodo della giovinezza – e di alternare momenti di studio e di lavoro (alternanza, ricorrenza). In terzo luogo, l’educazione è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestirne democraticamente le varie iniziative (cité educative, o società educante). Infine, l’educazione dovrà costituire un diritto di tutte le persone e di tutti i popoli, presentare un carattere propositivo, offrire strumenti per l’elaborazione di un progetto personale di vita e stimolare l’educando a porsi in maniera critica e innovativa rispetto ai messaggi trasmessi e ai valori circolanti nella società (educazione liberatrice).

2.​​ Le strategie di sistema. Essendo il problema nord / sud la questione più grave che l’umanità dovrà affrontare nel futuro prossimo, gli interventi sul piano​​ mondiale​​ diventano la priorità delle priorità. In altre parole, non è possibile pensare di risolvere i problemi educativi sul piano locale se non si risolvono al tempo stesso i problemi a livello mondiale, se non si riesce ad es. a ridurre in misura importante le diseguaglianze di opportunità formative tra i Paesi del nord e del sud. Un altro gruppo di strategie rientrano nel cosiddetto​​ sistema integrato: questo significa il coordinamento tra le diverse strutture educative che consenta di valorizzare i rapporti di complementarità esistenti e di favorire transizioni complesse, in vista della realizzazione di sinergie generali e della creazione di una vera coerenza formativa. La​​ cité éducative​​ del Rapporto Faure, o la tesi del rapporto Delors che l’educazione riguarda tutti i cittadini, resi ormai attori da consumatori passivi che erano prima, non si possono attuare partendo solo dallo spontaneismo della società civile, ma richiedono anche un intervento del centro che dovrà dare l’impulso, offrire una guida e valutare l’attività della periferia. Inoltre, lo Stato non è più in grado da solo di affrontare i problemi formativi, ma la sua azione dovrà essere completata dall’intervento del «privato sociale» e del mercato, cioè bisogna ipotizzare una​​ dinamica sociale a tre dimensioni. Il «privato sociale» comprende le iniziative che, pur promosse da privati, sono finalizzate a scopi pubblici: pertanto, esse dovrebbero essere sostenute dal denaro di tutti, sebbene non completamente, perché conservano sempre un carattere e una responsabilità privata. In terzo luogo, si dovrebbe fare ricorso al mercato libero per utilizzare anche le sue grandi risorse a condizione che siano garantite la qualità del servizio e l’eguaglianza delle opportunità.

Bibliografia

Faure E.,​​ Learning to be, Paris / London, UNESCO / Harrap, 1972; Durand-Prinborgne C., «Système éducatif», in P. Champy - C. Étève (Edd.),​​ Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la formation,​​ Paris, Nathan, 1994, 956-958; Delors J. et al.,​​ L’éducation.​​ Un trésor est caché dedans, Paris, UNESCO / Odile Jacob, 1996; Malizia G.,​​ Società cognitiva e politiche della formazione nell’Unione Europea, in «ISRE» 6 (1999) 1, 28-50; Nanni C.,​​ La riforma della scuola: le idee,​​ le leggi, Roma, LAS, 2003.​​ 

G. Malizia




SISTEMA PEDAGOGICO

 

SISTEMA PEDAGOGICO

In generale per s. si intende un insieme di parti in interazione tra di loro. Un s.p. può quindi essere definito come un insieme di concetti, principi e metodi relazionati tra loro in modo da formare un complesso organico e coerente. Tale definizione è spesso analoga a quella di modello pedagogico e di metodo pedagogico. Un significato leggermente più declinato nei riguardi della pratica educativa concreta assume normalmente l’espressione «s. educativo» ed espressioni analoghe. Molto spesso si parla anche di s. educativo e di s. scolastico dal punto di vista istituzionale (​​ s. formativo): insieme organizzato di luoghi, programmi, persone, procedure gestito secondo leggi e norme ufficiali. In psicologia con questo termine si descrive il soggetto considerato sotto il profilo del suo mondo interiore (il s. del sé).

1.​​ Significato tradizionale.​​ Il significato tradizionale si accosta a quello di metodo. In altri termini si tratta di un quadro di riferimento di valori, concetti e principi d’azione che guidano la pratica educativa. Ad es., san Giovanni​​ ​​ Bosco inizia il suo «trattatello» su​​ Il​​ s. preventivo​​ compilato nella seconda metà dell’Ottocento con queste parole: «Due sono i s. in ogni tempo usati nella educazione della gioventù: Preventivo e Repressivo. Il s. Repressivo consiste nel far conoscere la legge ai sudditi, poscia sorvegliare per conoscerne i trasgressori ed infliggere, ove è d’uopo, il meritato castigo. In questo s. le parole e l’aspetto del Superiore debbono essere severe, e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità coi dipendenti. [...] Diverso e, direi, opposto è il s. Preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in guisa, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evenienza, diano consigli ed amorevolmente correggano [...]. Questo s. si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l’amorevolezza» (Braido, 1992, 253-254).

2.​​ Significato sistemico.​​ È l’aggettivo che viene usato per indicare che l’analisi o la​​ ​​ progettazione educativa viene condotta utilizzando le categorie concettuali proprie della teoria dei s., quale è oggi intesa. Ad es., un’analisi sistemica di una pratica educativa tende a individuare gli elementi fondamentali che la caratterizzano e le relazioni che li legano tra di loro. Si vuole in questo modo esaminare la struttura di base che fa da supporto a tale pratica: elementi teorici e assiologici di riferimento, e loro organizzazione interna; dispositivi e congegni educativi che vengono utilizzati, e loro interazione reciproca e con gli elementi teorici e assiologici di riferimento; modalità e strumenti di gestione e di controllo della pratica, e loro relazione con gli altri elementi caratterizzanti tale pratica. Inoltre si mira a evidenziare se la pratica, esaminata dal punto di vista sistemico, risulta statica o dinamica, aperta ad altre pratiche e contesti educativi o chiusa in se stessa.

3.​​ Significato sistematico.​​ L’aggettivo è usato normalmente secondo un’accezione diversa da quella dell’aggettivo sistemico. In questo caso l’attenzione è posta più che sulla struttura di base, sulle procedure che si mettono in atto sia nell’analisi che nella progettazione di una pratica educativa. Sistematica è una progettazione che passa dall’analisi della domanda educativa alla formulazione degli obiettivi, alla ricerca dei contenuti, metodi e mezzi per raggiungerli, alla definizione di una modalità di regolazione e di​​ ​​ valutazione.

Bibliografia

von Bertalannfy L.,​​ Teoria generale dei s.,​​ Milano, ILI, 1971; De Giacinto S.,​​ Educazione come s.,​​ Brescia, La Scuola, 1977; Dick W. - L. Carey,​​ The systematic design of instruction,​​ Glenview, Scott Foresman & Company, 1978; Bertoldi F.,​​ I s. nella didattica,​​ Milano, Vita e Pensiero,​​ 21985; Luhmann N. - K. Schorr,​​ Il s. educativo,​​ Roma, Armando, 1988; Braido P. (Ed.),​​ Don Bosco educatore: scritti e testimonianze,​​ Roma, LAS,​​ 21992; Id.,​​ Prevenire non reprimere. Il s. educativo di Don Bosco, Ibid., 1999; Greco F.,​​ Introduzione all’analisi dei s. educativi, Roma, Armando, 2005; Callini D.,​​ Società post-industriale e s. educativi, Milano, Angeli, 2006.

M. Pellerey




SISTEMA PREVENTIVO

 

SISTEMA PREVENTIVO

In un particolare mondo pedagogico cattolico dell’Ottocento la formula ebbe una certa risonanza dopo la pubblicazione, nel 1877, delle pagine su​​ Il s.p. nella educazione della gioventù,​​ nelle quali don​​ ​​ Bosco affermava con una certa enfasi: «Due sono i s. in ogni tempo usati nell’educazione della gioventù». Ma la contrapposizione dei due «sistemi» era emersa già prima in Francia a proposito di due tipi di educazione: dei «collegi» pubblici e privati laici (scuola di istruzione media-superiore), da una parte, e dei «collegi» cattolici, dall’altra: nei primi austera, esigente, propedeutica a un severo impegno nella società; in quelli confessionali, dolce, paterna o materna, accondiscendente, chiusa e protettiva, meno idonea ad un serio inserimento nella società civile, regolata da leggi uguali per tutti ed eventualmente penali.

1. Precedentemente, in Belgio e in Francia la formula aveva assunto un particolare significato nella politica scolastica relativa all’insegnamento libero: il s.p. ne precludeva​​ a priori​​ l’autorizzazione, mentre il «s. repressivo» l’ammetteva, salvo intervenire con ispezioni, restrizioni o soppressioni in caso di abusi, irregolarità o illegalità. Nell’ultimo terzo del sec. i due s. vengono contrapposti anche in Italia ed altrove in relazione ad analoghi antitetici atteggiamenti dello Stato di fronte al pericolo costituito dall’Internazionale socialista.

2. Ma al di là delle formule, l’indicazione di don Bosco circa il s.p. coinvolge una particolare tradizione educativa preoccupata piuttosto di prevenire in età evolutiva le deviazioni e gli errori che intervenire per reprimerli. La contrapposizione può limitarsi al livello disciplinare, all’ordine esterno, al «governo»; oppure estendersi, come nell’esperienza educativa di don Bosco e in altre iniziative assistenziali (per l’infanzia, l’adolescenza, i ragazzi in particolari situazioni sociali, morali, caratteriali), all’intero impegno formativo. In quest’ottica si può considerare preventivo il s. educativo che presenta in tutto o in misura significativa questi elementi: la​​ prevenzione assistenziale​​ (vitto, vestito, alloggio, istruzione), a cui segue la​​ prevenzione educativa,​​ per cui non si reprimono e puniscono mancanze, errori, deviazioni avvenute, ma si impedisce che accadano e, insieme, si promuove tutto ciò che contribuisce alla crescita in umanità dei soggetti. Questo lavoro può effettuarsi in favore di soggetti in situazioni di normalità (prevenzione primaria) o già con sintomi di adesione a modelli di comportamento in qualche modo devianti (prevenzione secondaria) oppure con comportamenti asociali già strutturati (prevenzione terziaria). Essa si attua con l’assistenza benefica e educativa,​​ sorretta dalla​​ dedizione​​ generosa degli educatori e dalla​​ fiducia​​ degli educandi. Ne sono atmosfera naturale l’amore-«amorevolezza»​​ e l’amicizia,​​ integrate dalla​​ ​​ ragione-ragionevolezza​​ che investono programmi, disciplina, avvisi, correzioni. La prevenzione si realizza in forma privilegiata in​​ comunità​​ strutturate e ispirate al regime e al clima della​​ famiglia,​​ a partire dalla stessa comunità domestica.

3. Nella storia le versioni della prevenzione educativa si esprimono come pedagogia dell’amore. Resta principio ispiratore la formula «plus amari quam timeri», enunciata nelle regole monastiche di sant’Agostino e di san Benedetto, ripresa nella sostanza da sant’Anselmo d’Aosta e letteralmente dal vescovo di Verona Ratherius (sec. IX). Se ne trovano tracce nel Medioevo, in riferimento all’infanzia, nelle trattazioni sull’educazione dei nobili di Vincenzo di Beauvais, di Egidio Romano e di Bartolomeo di san Concordio. Più copiosi elementi di tale s.p. vengono recepiti da cospicui rappresentanti della pedagogia umanistica e rinascimentale (Pier Paolo Vergerio,​​ ​​ Vittorino da Feltre, Maffeo Vegio,​​ ​​ Antoniano) e da trattatisti moderni come​​ ​​ Fénelon e​​ ​​ Rollin. Nell’Ottocento si discute e si scrive di «prevenzione» nei confronti di fenomeni di vario tipo: politica (moti rivoluzionari, minacce all’ancien régime,​​ ecc.), sociale (delinquenza, mendicità, questione operaia), penale (carceri, istituti per corrigendi), educativa (educazione come prevenzione, prevenzione nell’educazione), religiosa (la religione come rassicurazione, ecc.). Si moltiplicano istituzioni scolastiche e educative, istituti di vita consacrata maschili e femminili dediti all’assistenza della gioventù, scrittori di cose pedagogiche che adottano contenuti, lessico e metodi propri del s.p.:​​ ​​ Fratelli delle Scuole cristiane, Barnabiti,​​ ​​ Aporti, L. Pavoni, P.-A. Poullet,​​ ​​ Dupanloup, A. Teppa, ecc. Oggi di «prevenzione» e di s.p. si tratta in rapporto all’«emarginazione», potenziale o effettiva, a molteplici livelli: educativo, didattico, psicologico, sociale, terapeutico.

4. Le «parole» del «preventivo» in don Bosco sono svariate: sul versante protettivo-immunizzante, l’assistenza, la disciplina, la vigilanza, l’ospizio; su quello positivo-costruttivo, la «salvezza», il dovere, il lavoro, lo studio, il gioco, il «tempo libero» (teatro, canto, musica, escursioni), l’obbedienza, la carità, la castità, la pietà, i sacramenti, la famiglia e la familiarità, la paternità e la maternità, l’oratorio, l’ospizio, i laboratori artigianali, le compagnie giovanili, la società, la Chiesa. Sovrastano le tre parole​​ ragione,​​ religione,​​ amorevolezza,​​ fondamento e anima dell’intero s., negativo e positivo, contenutistico e metodologico. In una visione sistematica dell’«esperienza educativa complessiva» si possono mettere in evidenza i seguenti elementi.

5. La prevenzione assistenziale-educativa di don Bosco non è quella di Fénelon o di Rollin, che si riferisce a giovani socialmente privilegiati, né quella di Aporti che riguarda il mondo dell’infanzia da preservare da deformazioni culturali e morali. L’azione di don Bosco nasce e si sviluppa in favore della «classe più pericolante e più pericolosa della civile Società», la gioventù «povera e abbandonata», «povera e pericolante». In proposito, nella sua concreta esperienza personale e istituzionale si verifica uno spostamento di accento nella considerazione della «gioventù povera» e della «povera gioventù». È possibile, infatti, notare un progressivo ampliamento dell’«abbandono» e del relativo pericolo, attivo e passivo: dal mondo ristretto della gioventù «povera» dal punto di vista economico, morale, culturale, «pericolosa» per la società, la visuale e l’operatività si estendono progressivamente alla «povera gioventù», tutta o quasi, sempre più «pericolante» in una società sempre più «pericolosa». In quest’ottica il s. è immaginato e formulato in rapporto non solo alle limitate fasce di giovani di cui don Bosco si occupa direttamente con le sue istituzioni, ma all’intero «pianeta giovani», che egli vede nei «sogni» diurni e notturni, dal Piemonte all’Italia tutta, alla Francia, alla Spagna, all’America, da Santiago del Cile a Pekino, dall’Europa all’Australia, compresi quelli da acquisire alla «civiltà cristiana» nelle terre di missione.

6. Pur consapevole dell’estrema problematicità delle situazioni, dei giovani don Bosco ha una visione sostanzialmente ottimistica, naturalmente solo se soccorre l’efficace e tempestiva opera dell’adulto educatore, assolutamente determinante. «Questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa. Tolta la trascuratezza dei genitori, l’ozio, lo scontro de’ tristi compagni, cui vanno specialmente soggetti de’ giorni festivi, riesce facilissima cosa l’insinuare ne’ teneri loro cuori i principii di ordine, di buon costume, di rispetto, di religione; perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, il sono piuttosto per inconsideratezza, che non per malizia consumata» (Piano di Regolamento,​​ Introduzione,​​ 1854, 1). Di fatto il s. sembra attribuire una quasi onnipotenza all’educazione e all’educatore, protagonista nell’interpretare e attuare le attese dei giovani. Da questo punto di vista la «prevenzione» presenta una certa ambivalenza, con una marcata prevalenza della parte dell’educatore su quella dell’educando, chiamato soprattutto a obbedire e a conformarsi: è certamente un fatto di tempi e di mentalità.

7. La triade​​ ragione,​​ religione,​​ amorevolezza,​​ nota soprattutto nel suo significato metodologico, esprime anzitutto sinteticamente il complesso delle intenzioni, dei fini, dei contenuti e dei programmi del processo assistenziale-educativo preventivo, nell’ambito di una visione antropologica tendenzialmente umanistico-cristiana, non elaborata da don Bosco in sistematiche categorie teoretiche, ma vissuta ed espressa a livello catechistico e biblico-narrativo. Essa implica: a fondamento e coronamento, la​​ dimensione religiosa,​​ cattolica ed ecclesiale, in ordine alla «salvezza» e alla santità, nel rispetto delle diverse disponibilità; il fondamentale ricupero e potenziamento sul piano​​ umano,​​ culturale, professionale e sociale, coll’approdo, secondo una formula spesso ripetuta, al «buon cristiano e onesto cittadino»; l’integrazione​​ affettiva,​​ particolarmente urgente per soggetti deprivati di amore, senza famiglia o lontani da essa. All’una o all’altra delle tre dimensioni fa riferimento una ricca varietà di obiettivi, di contenuti e di lessico, spesso datati, ma non irrilevanti: «pietà», «santo timor di Dio», «osservanza dei religiosi precetti», «adempimento dei propri doveri», «amor della fatica», «istruzione», lavoro, «rispetto alle autorità» religiose e civili, fuga dai cattivi compagni, «l’affetto ai parenti», la «fraterna benevolenza», l’«allegria».

8. L’istituzione tipica del s.p. di don Bosco è l’«oratorio», non nuovo nella tradizione catechistica e educativa italiana (a cominciare dal ’500 con s. Filippo Neri e s. Carlo​​ ​​ Borromeo). Con don Bosco esso assume un significato paradigmatico, indicando qualsiasi «luogo» di incontro con i giovani, su «loro misura», dove in clima di libertà e di amicizia essi incontrano l’educatore padre, fratello, amico: il «cortile», la strada, la piazza, gli «oratori», gli ospizi con arti e mestieri, i collegi per studenti, i piccoli seminari, le scuole festive serali diurne, elementari, classiche, tecniche, i laboratori per la formazione professionale, le colonie agricole; ed ancora, le associazioni, i gruppi, i libri, le chiese, le missioni. Don Bosco non ha privilegiato nessuna istituzione particolare, assumendo quelle esistenti, dando semmai a loro un volto «nuovo», così come vuol essere innovativa la versione del tradizionale s.p. da lui riproposto.

9. La «novità» dello stile educativo di don Bosco è stata percepita fin dai primi anni della sua azione educativo-assistenziale, attraverso l’immagine di un prete alla ricerca dei giovani, vicino a loro, sensibile alle loro esigenze (sicurezza, lavoro), comprese quelle apparentemente superflue (gioco, gioia, espansione vitale); ma soprattutto alla loro fame di affetto, di amore, di amicizia; realtà che don Bosco fissa molto presto in parole essenziali: «Una lunga esperienza ha fatto conoscere che il buono risultato dell’educazione della gioventù consiste specialmente nel saperci fare amare per farci di poi temere»; oppure, dirette al suo vicino collaboratore: «Studia di farti amare piuttosto che [var.​​ prima di – se vuoi] farti temere». L’impianto metodologico si può riassumere nei seguenti fondamentali principi: a) prevenire e assistere [essere presenti, essere per] con intelligenza, fede e amore; b) «poche parole, molti fatti», amore effettivo oltre che affettivo: l’educatore si farà amare e farà amare i valori di cui è tramite se colle parole, e più ancora coi fatti, farà conoscere che «le sue sollecitudini sono dirette esclusivamente al vantaggio spirituale e temporale de’ suoi allievi»; c) predisporre interventi differenziati secondo i livelli morali e culturali, le indoli e le necessità dei singoli; d) «la pratica di questo s. è tutta appoggiata sopra le parole di S. Paolo che dice: la carità è benigna e paziente, soffre tutto e sostiene qualunque disturbo»; e) 1’amore paterno, materno, fraterno che si sviluppa in clima di «famiglia»: «Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani»; f) nel processo educativo attribuire peso, graduale e individualizzato, ai «mezzi» della grazia salvifica, in particolare alla preghiera, ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia («colonne che devono reggere un edifizio educativo»), alla divozione mariana; g) in particolare far «rilevare la bellezza, la grandezza, la santità di quella​​ ​​ Religione che propone dei mezzi così facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell’anima»; h) accanto e con altrettanta sollecitudine far nascere e crescere nei giovani il gusto della vita, il senso di responsabilità nei suoi confronti, la proiezione al futuro e al destino eterno, alla luce dei «novissimi», in particolare mediante un’oculata scelta vocazionale; i) arricchire l’intero spazio educativo con le più disparate iniziative di «tempo libero» dirette a creare un clima di gioia, di festa, di «benessere».

10. Don Bosco non si ferma dinanzi a ostacoli quando vuol suscitare il più vasto movimento in favore del progetto-giovani, dovunque e da chiunque promosso; e a tutti, soprattutto negli ultimi anni di vita, osa proporre come stile operativo il s.p. della​​ ragione,​​ della​​ religione,​​ dell’amorevolezza.​​ Vi provvede in vari modi: fonda due istituti religiosi, la società di san Francesco di Sales (​​ Salesiani) e l’istituto delle​​ ​​ Figlie di Maria Ausiliatrice; istituisce l’associazione dei Cooperatori; mobilita gli exalunni e le exalunne chiamati ad attuare nel proprio mondo familiare, civile ed ecclesiale il metodo sperimentato in periodo educativo; e poi la più vasta cerchia di collaboratori, benefattori, ammiratori, uomini e donne di buona volontà, pensosi del futuro dell’età in crescita e della società che da essa sarà costituita e costruita. «Siamo salesiani» egli dice a tutti, intendendo non una qualche appartenenza istituzionale, ma la vasta comunità spirituale di quanti nell’attività assistenziale-educativa si ispirano al vangelo della carità, di cui è testimone credibile l’autore della​​ Filotea​​ e del​​ Teotimo,​​ s. Francesco di Sales, di cui don Bosco vuol perpetuata la nobile amabilità e l’esuberante zelo.

Bibliografia

Stella P.,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica,​​ 3 voll., Roma, LAS, 1968-1988 (2a​​ ediz. del I e II vol.: 1981); Id.,​​ Don Bosco nella storia economica e sociale,​​ 1815-1870,​​ Ibid., 1980; Traniello F. (Ed.),​​ Don Bosco nella storia della cultura popolare,​​ Torino, SEI, 1987;​​ Pensiero e prassi di don Bosco nel 1° centenario della morte (31 gennaio 1888-1988),​​ in «Salesianum» 50 (1988) 5-214;​​ Éducation et pédagogie chez Don Bosco,​​ Colloque interuniversitaire, Lyon, 4-7 avril 1988, Paris, Fleurus,​​ 1989;​​ Don Bosco e la sua esperienza pedagogica:​​ eredità,​​ contesti,​​ sviluppi,​​ risonanze,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 36 (1989) 3-239; Arzuffi O.,​​ Emarginazione A-Z. Guida pratica ai problemi,​​ alle istituzioni,​​ alla legislazione,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme, 1991; Braido P. (Ed.),​​ Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze,​​ Roma, LAS, 1992; Id.,​​ Breve storia del s.p.,​​ Ibid., 1993; Id.,​​ Il​​ s.p. di don Bosco alle origini (1841-1862),​​ in «Ricerche Storiche Salesiane» 14 (1995) 255-320; De Natale M. L.,​​ Devianza e pedagogia, Brescia, La Scuola, 1998; Braido P.,​​ Prevenire,​​ non reprimere, Roma, LAS, 1999.

P. Braido




SKINNER Burrhus Frederic

 

SKINNER Burrhus Frederic

n. a Susquehanna (Pennsylvania) nel 1904 - m. a Cambridge (Massachusetts) nel 1990, psicologo statunitense.​​ 

1. S. può a ben ragione essere considerato tra i​​ patres​​ della moderna psicologia. Dopo aver trascorso una gioventù, quasi da bohémien, attratto com’era dalla letteratura e dalla vita d’artista, iniziò la sua carriera universitaria presso l’Università dell’Indiana, cui fece seguito quella di Minneapolis, per concludere infine con quella prestigiosa di Harvard. Per quanto riguarda la sua visione teorica, S. ebbe in mente un organismo, estremamente complesso, che solo in parte veniva controllato dagli stimoli condizionati previsti da Pavlov. Al contrario, l’organismo era fortemente influenzato dai risultati prodotti dalle proprie azioni, che egli chiamò rinforzi. Per studiarne il comportamento era quindi del tutto inutile l’apparecchiatura pavloviana che ne limitava fortemente i movimenti e che esigeva un soggetto passivo. Al suo posto era necessario uno spazio, all’interno del quale l’organismo poteva muoversi liberamente, manifestare migliaia di risposte diverse ed incrementare solo quelle che sarebbero state seguite dal rinforzo. Fu questa la famosa gabbia di S., grazie alla quale fu possibile scoprire il mondo, davvero complesso, di rapporti che legano i comportamenti ai risultati. Era possibile, controllando l’erogazione di rinforzi, consolidare abitudini motorie, sociali, cognitive. Addirittura creare dei comportamenti superstiziosi. Ed il tutto non solo in animali, più o meno complessi quali ratti e piccioni ma anche in soggetti umani. Dopo aver dedicato i primi anni della sua attività alla ricerca di laboratorio, condotta prevalentemente su organismi infraumani e che gli permise di comporre il suo libro più innovativo in campo sperimentale,​​ The behavior of organisms​​ (1938), S. si dedicò all’applicazione della sua visione psicologica, chiamata​​ Experimental analysis of behavior,​​ in ambiti diversi.

2. Di questi quello pedagogico è sicuramente tra i più interessanti, non solo perché fu possibile a S. introdurre il concetto di​​ ​​ programmazione lineare e di macchina per l’insegnamento, antesignana per molti aspetti dell’apprendimento mediante computer ma anche perché mise a disposizione del mondo della scuola un modo innovativo d’interpretare i comportamenti dell’allievo e di cambiarli orientandoli verso finalità pedagogicamente più evolute (La tecnologia dell’insegnamento,​​ 1972). Accanto a quello pedagogico vale la pena indicare anche il settore riabilitativo, in cui la tecnologia skinneriana continua a mostrare una costante efficace nel trattamento di alcuni tra i disturbi più angoscianti quali l’autolesionismo, le condotte autistiche ecc.

3. Infine anche il settore clinico risentì non poco l’impatto della visione skinneriana che si concretò nella cosiddetta​​ Behavior modification.​​ Di essa vale la pena ricordare l’attacco alla concezione psichiatrica e psicoanalitica dei disturbi psicologici ed alla scarsa solidità scientifica di molte delle teorie elaborate all’interno della psicodinamica, oltreché l’elaborazione di strategie d’intervento di provata efficacia. All’insieme di queste attività, S. ne volle aggiungere un’altra, memore com’era dei suoi interessi giovanili per la letteratura, trasformandosi in saggista best seller. Il suo​​ Walden II​​ (1948), descrizione di una società utopica regolamentata dalle leggi del comportamento da lui scoperte in laboratorio e l’altro saggio​​ Al di là della libertà e della dignità​​ (1973) in cui tentava una critica scientifica di alcuni concetti tipici della cultura occidentale, gli valsero una notevole popolarità presso il pubblico non specialistico ma nel contempo una serie pesante di critiche, mosse da filosofi, politici ecc. che ne appannarono lo smalto di saggista. Tra i tanti successi, una frustrazione.

4. Il libro che S. ritenne fondamentale per la comprensione della sua concezione psicologica​​ Verbal behavior​​ (1957) fu ferocemente stroncato da Chomsky, che ne impedì in tal modo il radicamento nella linguistica moderna. A detta di molti, però, vi è il sospetto che Chomsky abbia preso lucciole per lanterne, non avendo colto il senso dell’approccio skinneriano al linguaggio, di natura radicalmente funzionalistica ed assolutamente distante dai diktat strutturalistici del tempo. Il futuro sarà buon giudice. A conferma, infine, della sua inesauribile voglia di conoscere e di comunicare, è opportuno citare il suo ultimo libro​​ Vivere bene la terza età​​ (1984) scritto quando aveva già 80 anni, in cui suggeriva utili strategie per sopravvivere psicologicamente all’erosione della terza età, mostrando ancora una volta un’incrollabile fiducia nella scienza, da lui intesa come il migliore tra i diversi​​ ​​ problem solving​​ ideati dall’uomo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ principali opere di S.:​​ The behavior of organisms,​​ New York, Appleton-Century-Crofts, 1938;​​ Walden II,​​ New York, Macmillan, 1948;​​ Science and behavior,​​ Ibid., 1953;​​ Verbal behavior,​​ New York, Appleton-Century-Crofts, 1957;​​ Beyond freedom and dignity,​​ New York, Knopf, 1971; S.B.F. - M. E. Vaughan,​​ Enjoy old age,​​ New York, Sperling & Kupfer, 1983. b)​​ Studi:​​ Carpenter F.,​​ The S. printer,​​ New York, The Free Press,​​ 1974; Meazzini P., «S. e la tecnologia del comportamento», Prefazione a S.B.F.,​​ Studi e Ricerche,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1976.

P. Meazzini