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SCUOLE DELLA DOTTRINA CRISTIANA

 

SCUOLE DELLA DOTTRINA​​ CRISTIANA

Le prime s. di catechismo vennero fondate da laici e sacerdoti milanesi: Albertino Bellarati («Scuola di Albertino») nel 1481 e il B. Angelo Porro («Scuola del Paradiso») nel 1491.

1. Più tardi san Girolamo​​ ​​ Miani fondò a Venezia s. con lo scopo specifico di promuovere l’insegnamento religioso dei suoi orfani (1530). Le s. domenicali di catechismo vennero iniziate a Milano nel 1536 da un gruppo di laici, guidati da Castellino da Castello, sacerdote di Como, che fondò poco dopo (1539) la​​ Compagnia dei Servi dei Puttini in Charità,​​ con lo scopo di animare le s., con delle​​ Regole​​ e con un testo di catechismo redatto da Castellino nel 1537 col titolo di​​ Interrogatorio.​​ Iniziative analoghe sorsero in varie parti d’Italia, ma le s. di Castellino si imposero per la loro migliore organizzazione e si diffusero rapidamente in molte città, e anche a Roma, dove sorse nel 1560 la​​ Compagnia della Dottrina Cristiana,​​ che sarà approvata da Pio V nel 1571 e riconosciuta ufficialmente da Paolo V nel 1607 come​​ Arciconfraternita​​ della Basilica di San Pietro in Vaticano. Nel 1746 la sede sarà stabilita nella chiesa romana della B.V. Maria del Pianto. Le s. e la Compagnia ricevettero un particolare impulso a Milano da Carlo​​ ​​ Borromeo, che le riorganizzò nelle parrocchie sotto la direzione del parroco, ne stese e approvò le​​ Regole,​​ che prevedevano una direzione diocesana centralizzata, e le portò, durante il suo episcopato, da poche decine a oltre 740, con circa 50 mila iscritti, compresi i maestri e i dirigenti.

2. Quanto al metodo, s. Carlo vuole che le classi siano piccole: da 4 a 6 fanciulli / e; vige la separazione dei sessi. Spesso vi si insegna anche a leggere, a scrivere e a far di conto, ed il tempo è la domenica pomeriggio. Si usano premi, piccoli e grandi, e severi castighi per i renitenti. Grande importanza assume la disputa-gara (non a scopo didattico, ma dimostrativo-selettivo). Essa ha particolare solennità a Roma, dove viene celebrata in San Pietro fin dal 1597. La Congregazione avrà uno sviluppo rinnovato dopo il Concilio Vaticano I, con una particolare vitalità negli USA nella prima metà del XX sec., dove si occuperà della gioventù che non frequenta la s. cattolica.​​ 

Bibliografia

Borromeo C.,​​ Costitutioni et regole delle Compagnie et S.d.D. Christiana,​​ Milano, 1585; Porro I.,​​ Origine et successi della Dottrina Cristiana,​​ Milano, Malatesta, 1640; Castiglione G. B.,​​ Istoria delle S.d.D.C.,​​ Milano, C. Oreana, 1800; Tamborini A.,​​ La Compagnia e le S.d.D.C.,​​ Milano, Daverio, 1939; Braido P.,​​ Lineamenti di storia della catechesi e dei catechismi. Dal «tempo delle riforme» all’età degli imperialismi (1450-1870),​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1991.

U. Gianetto




SCUOLE NUOVE

 

SCUOLE NUOVE

S’intende per S.N. il movimento di riforma pedagogico-didattica iniziato negli ultimi anni del sec. XIX, con manifestazioni particolarmente significative nella prima metà del sec. XX.

1.​​ Significato.​​ L’espressione «movimento di riforma pedagogica» (Reformpädagogischebewegung)​​ viene utilizzata dalla storiografia tedesca per definire l’insieme di orientamenti teorici e di realizzazioni pratiche che caratterizzano il periodo storico indicato; ma l’impegno per un rinnovamento dell’educazione e della s. è pure notevole fuori della Germania; anzi si tratta di un vasto fenomeno, noto con nomi diversi e segnato da tratti caratteristici nei diversi Paesi, che presenta, però alcune istanze comuni: a) critica severa, spesso polemica e un po’ ingenua, contro la cosiddetta «s. tradizionale», denunciata come s. dello sforzo, del castigo, passiva, adultistica, centrata sul programma, lontana dalla vita; b) proposta di mettere in atto una «S.N.». L’espressione «New School», coniata in Gran Bretagna nel 1889, ha una straordinaria accoglienza. Le esperienze inglesi si diffondono rapidamente in molti Paesi. Si creano uffici e associazioni per la loro promozione,​​ Bureau International des Écoles nouvelles​​ (1899),​​ New Education Fellowship​​ (1921); si cerca di fissare «i trenta punti» caratteristici di una «s.n. tipo». I pionieri del movimento parlano anche, in contesti culturali diversi, di «École active» (​​ Ferrière), di «École fonctionnelle» (​​ Claparède), di «Progressive School» (​​ Dewey), di «Arbeitschule» (​​ Kerschensteiner), di «Educación nueva» (Luzuriaga). In Italia viene spesso utilizzato il termine «Attivismo», benché esso sia ambiguo e inadeguato, come si evince dalla polemica, accesa negli anni centrali del nostro secolo, tra gli assertori di un «Attivismo cristiano» (​​ Casotti,​​ ​​ Nosengo) e di un «Attivismo laico» (Coen, De Bartolomeis). Pure in altri casi, sotto i termini utilizzati, si nascondono concezioni teoriche diverse e accentuazioni pratiche non irrilevanti. Nell’insieme «il movimento educativo», durante il periodo storico segnalato, «rassomiglia più a una costellazione, nella quale ci sono numerosi gruppi di astri di tutti i tipi e grandezze (con una certa tendenza o orientamento generale) che ad un sistema planetario chiuso» (Luzuriaga, 1970, 27). Qui faremo qualche cenno anche ad «astri» minori allo scopo di abbozzare un sintetico quadro d’insieme.

2.​​ Origini e sviluppo in Europa.​​ Il fenomeno delle S.N. affonda le radici in un contesto socioculturale a cui solo si allude: industrializzazione, regimi democratici e liberali, mutamenti della vita collettiva (movimento operaio, giovanile e femminile), progresso delle scienze (psicologia, sociologia), maturazione di istanze e fermenti precedenti; per es., l’esperienza educativa di Salzmann e di​​ ​​ Tolstoj, e alcune tesi pedagogiche più note di​​ ​​ Rousseau (bontà naturale del bambino, puerocentrismo, contatto con la natura). All’origine del successo di molte iniziative si trova anche la vigorosa personalità dei promotori e la loro contagiosa fiducia nell’educazione, come nel caso di C. Reddie (1858-1932), creatore della «New School» di Abbotsholme (1889), una s.-internato in campagna, organizzata a modo di «monarchia costituzionale». Un collaboratore, J. H. Badley (1865-1927), allarga, nella s. di Bedales (1893), la partecipazione degli allievi mediante l’organizzazione di un «parlamento scolastico» indirizzato ad «accordare la libertà con l’ordine». Sul modello inglese vengono create diverse istituzioni in Germania (i​​ Landerziehunsheime​​ di Lietz, Wyneken e Geheeb) e in Francia (École des Roches​​ di E. Demolins). In Spagna, dove giunge pure l’eco dell’opera di Reddie e Badley e della s. di lavoro di Kerschensteiner, ha inizio autonomamente, l’anno 1889, la prima «s. all’aria aperta» (Escuelas del​​ Ave María)​​ di​​ ​​ Manjón. Gli autori delle prime esperienze italiane che vengono annoverate tra le s.n. preferiscono parlare di «s. materna», di «casa dei fanciulli» (sorelle​​ ​​ Agazzi), di «casa dei bambini» (​​ Montessori). Ferrière, propagatore convinto delle esperienze di rinnovamento pedagogico-didattico, che egli chiama «s. attiva», riferendosi alle opere sorte in Italia, accoglie il nome proposto da​​ ​​ Lombardo Radice e parla di «s. serene». Tra esse, viene ricordata la «Rinnovata» di G. Pizzigoni, a Milano, e la «s. serena di Agno» di M. Boschetti Alberti, nella Svizzera italiana. Nell’ambito culturale francese, è nota l’«École de l’Ermitage» (1907), definita dal fondatore, lo psicologo e pedagogista belga​​ ​​ Decroly, una «s. per la vita attraverso la vita». Le idee decrolyane sui «centri d’interesse», in stretto rapporto con i «quattro bisogni fondamentali» del bambino (nutrirsi, lottare con le intemperie, difendersi contro i pericoli, agire e lavorare in solidarietà), ispirano l’organizzazione in numerose s. europee e americane, ma destano riserve e critiche tra i pedagogisti cattolici che postulano una «s. attiva secondo l’ordine cristiano», attenta anche ai bisogni superiori (​​ Dévaud).

3.​​ Le S.N. fuori di Europa.​​ Dewey, massimo rappresentante e teorico delle «Progressive schools» negli Stati Uniti, utilizza pure l’espressione «New schools» e «New education» e, superando posizioni polemiche, riconosce che in ciò che «si suol chiamare nuova educazione e s. progressive» ci sono certi principi comuni: «All’imposizione dall’alto si oppongono l’espressione e la cultura dell’individualità; alla disciplina esterna la libera attività; all’imparare dai libri e dai maestri, l’apprendere attraverso l’esperienza; all’acquisto di abilità e di tecniche isolate attraverso l’esercizio si oppone il conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze vitali; alla preparazione per un futuro più o meno remoto si oppone il massimo sfruttamento delle possibilità della vita presente; ai fini ed ai materiali statici è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento» (Dewey, 1967, 6). Quando vengono fatte queste affermazioni, nel 1938, sono ormai note in USA le innovazioni europee (specialmente quelle di Montessori) e in Europa si conosce l’«Elementary school» (1896), creata presso l’università di Chicago. Alla concezione teorica di Dewey si ispirano pedagogisti ed esperienze educative dentro e fuori degli USA. Basti citare tre autori che hanno elaborato tre metodi didattici molto diffusi anche in Italia:​​ ​​ Kilpatrick («Metodo dei progetti»), Parkhurst («Piano Dalton»), Washburne («Tecniche Winnetka»). Tra i più convinti diffusori delle S.N. in America Latina, spicca il brasiliano M. Lourenço Filho. In India è nota la s. di Shantiniketan del poeta e educatore​​ ​​ Tagore, buon conoscitore delle esperienze innovative europee.

4.​​ Rilievi critici.​​ Nella varietà delle realizzazioni esaminate, si riscontrano, in tempi e contesti diversi, istanze che giustificano il discorso su un certo «orientamento generale» (centralità dell’allievo; valorizzazione dell’attività, dell’esperienza, degli interessi spontanei e del contatto con la natura; appello alla collaborazione; introduzione del lavoro manuale nella s.). L’uso di espressioni come «educazione attiva», «educazione nuova» e «attivismo» non deve far supporre che il «movimento di riforma pedagogica» sia riconducibile a un unico sistema pedagogico compiuto. Dal punto di vista storico, sembra più corretto parlare di S.N., di esperienze scolastiche che rispondono a concezioni filosofiche e pedagogiche differenziate. Infatti, le riserve e i contrasti non si verificano di per sé nella pratica di determinati metodi o innovazioni educativo-didattiche (che costituiscono l’apporto più significativo alla storia della s.), ma nei presupposti teorici (monismo evoluzionista, strumentalismo pragmatista, biologismo) che stanno alla base di alcune realizzazioni più note.

Bibliografia

Scheibe W.,​​ La pedagogia nel XX secolo,​​ Roma, Paoline, 1964 (2a​​ ediz. orig.:​​ Die Reformpädagogische Bewegung 1900-1932. Eine​​ einführende Darstellung,​​ Weinheim / Berlin, J. Beltz, 1969); Boyd W. - W. Rawson,​​ The history of new education,​​ London, Heinemann, 1965; Dewey J.,​​ Esperienza e educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1967; Codignola E.,​​ Le «S.N.» e i loro problemi,​​ Ibid., 1968;​​ Luzuriaga L.,​​ La educación nueva,​​ Buenos Aires, Losada,​​ 1970; Stewart W. A. C. - W. P. McCann,​​ The educational innovators,​​ vol. I:​​ 1750-1880;​​ vol. II:​​ Progressive schools,​​ London, Macmillan, 1968-1970; Mencarelli M., «Il movimento dell’Attivismo», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. III, Brescia, La Scuola, 1977, 381-468;​​ Hameline D.,​​ L’école active: textes fondateurs,​​ Paris, PUF, 1995; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia, vol. 3, Torino, SEI, 2004, 199-312 («Le “S.N.” un movimento di riforma pedagogica»).

J. M. Prellezo




SECOLARIZZAZIONE

 

SECOLARIZZAZIONE

Il termine s., come strumento descrittivo e analitico, è carico di molteplici significati e non vi è accordo circa quello che dovrebbe avere nella teoria sociologica. Dice a proposito Lary Schiner (Acquaviva-Guizzardi, 1973) che l’unica cosa che si può forse dire con certezza del concetto di s. è che raramente si può essere sicuri di che cosa esattamente voglia dire quando viene usato. Il termine, infatti, è stato utilizzato in tanti sensi anche tra loro contrapposti. Un altro motivo per cui esso si presenta scientificamente sospetto sta nel fatto che si trasforma facilmente in un giudizio di valore e viene strumentalizzato e adoperato ideologicamente (​​ ideologia). In ciò può avere responsabilità un certo ottimismo razionalista, che dà eccessivo rilievo alla​​ ​​ religione come sistema di spiegazione e che ne prevede poi la progressiva scomparsa soppiantata alla ragione oggettiva. Sulla stessa linea ottimistica si muoveva anche l’ideologia marxista ortodossa che proclamava come inevitabile il declino e l’uscita di scena del fenomeno religioso, in connessione col trionfo della scienza e della​​ ​​ ragione.

1. Oggi esiste un’area geografica a cui la teoria della s. si può applicare molto bene: l’Europa. Al contrario, la religione continua a esercitare un profondo influsso nel resto del mondo: l’Oriente e il Sud-Est asiatico, le regioni asiatiche meridionali e il mondo musulmano, l’Africa e l’America Latina, e anche gli Stati Uniti continuano ad essere Paesi profondamente religiosi. Forse ha ragione Peter Berger quando propone che la teoria della s. dovrebbe essere nobilitata dal concetto di «teoria della pluralizzazione» nel processo di modernizzazione (1994). La parola​​ ​​ pluralismo non è così ambigua e significa nell’uso comune la coesistenza, in certa misura pacifica, di gruppi diversi in una stessa società, il che implica un certo grado di​​ ​​ interazione sociale. Il processo di s. comincia in corrispondenza con lo sviluppo delle scienze, della tecnica, della vita in società, dell’auto-comprensione dell’individuo: esso riguarda soprattutto le strutture sociali, pur senza negare l’importanza della religiosità individuale. Le religioni in Occidente hanno perso di rilevanza sociale e politica, poiché esercitano sempre di meno quel potere di plasmare la società che hanno posseduto per secoli.

2. Alcuni autori indicano due errori da evitare al riguardo della s. Il primo consiste nel partire dalla negazione dei fenomeni attuali di crisi per concludere nel senso della permanenza o dell’invarianza della funzione religiosa in Occidente; nel secondo caso si inferisce dall’indiscutibile declino del ruolo della religione nelle nostre società la certezza che essa sia destinata a svanire senza lasciare tracce. Le istituzioni religiose, raggiunte dalla modernità e dai cambiamenti sociali, sono state depotenziate nelle loro risorse del​​ ​​ sacro. Ora il sacro deborda dallo spazio delle religioni, si trova libero, diffuso, fruibile in più direzioni. I processi di s. sono andati avanti e parallelamente si sono create ampie zone franche non più controllate da un’autorità e sempre più aperte a esperienze differenziate. Il termine s. risulta nel contesto odierno sempre più insufficiente a indicare e comprendere i nuovi modi di intendere i problemi e i nuovi stili di vita: esso è diventato troppo ambiguo. I nuovi dati esulano dal modello prefigurato dal principio di s., anche a partire dagli ambienti della moderna razionalità formale. La s. non è né omogenea, né universale, né univoca nei suoi effetti, come era stato previsto da alcuni autori che avevano sottostimato le risorse di sopravvivenza, di adattamento, di ricomposizione e di innovazione della religione nel mondo moderno. Alcuni sociologi sono del parere che esistono oggi delle forme religiose che sono ormai un esito della s. e che insieme configurano una fase storica che si può definire «post-secolare». Proprio sul terreno della s. si sono manifestati fenomeni culturali significativi come il bisogno di eticità, la domanda di spiritualità, la rivalutazione delle esperienze del sacro e la rinascita di forme nuove e varie di religiosità. La s. si presenta come processo di scomposizione più che di cancellazione del religioso, che produce diverse visioni del mondo, diverse fedi, diversi valori, diverse chiese e diverse appartenenze.

3. Il punto più importante nell’evoluzione della religiosità odierna è la smentita dell’ipotesi relativa ad un suo regresso irreversibile come volevano alcuni interpreti della s. Per descrivere i molti fermenti di innovazione religiosa ed ecclesiale che si riscontrano nel mondo anche occidentale è stato impiegato il termine di «de-s.». Teorie diverse e contrastanti avevano disegnato schemi interpretativi al cui interno si riduceva sempre più lo spazio delle tematiche dell’​​ ​​ appartenenza religiosa, ritenute forme arcaiche per la costruzione di identità pubbliche e private. La moltiplicazione crescente delle nuove forme religiose ha chiaramente smentito ogni ipotesi sul senso irreversibile e unidirezionale delle trasformazioni sociali in atto. Nell’Ottocento era opinione comune che i processi di modernizzazione favorissero ineluttabilmente l’eliminazione delle religioni: ma oggi, all’inizio del terzo millennio, è opinione prevalente che le religioni sono ineliminabili dal mondo sociale, e dunque continueranno per sempre a caratterizzare la storia umana. A questo riguardo dice F. Sidoti: «Da questo punto di vista nelle società ci saranno sempre fenomeni religiosi, e importante non è tanto la riflessione su s. o de-s., ma piuttosto la discussione in merito a quali forme di religiosità sono preferibili per la stabilità di una società democratica» (Sidoti, 1992,17). La cultura positivista nelle sue varie accezioni era impreparata a prevedere sia un regresso così forte nella diffusione dello spirito laico, sia una rinascita impetuosa dei fenomeni religiosi in parte all’interno e in parte all’esterno delle forme tradizionali. La s. risulta nel contesto odierno sempre più insufficiente a indicare e comprendere i nuovi modi di intendere i problemi religiosi e le espressioni e gli stili nuovi di vita religiosa. Essa nonostante la grande attrattiva esercitata è ben lontana dall’avere un’accezione comune presso i diversi autori e ambienti, e la nuova fenomenologia religiosa si stacca dal modello da essa prefigurato. Molte delle nuove forme di religione e di religiosità costituiscono risposte a bisogni creati da processi messi in moto proprio dalla modernizzazione, che avrebbero dovuto al contrario portare a un irriducibile antagonismo tra religione e modernità secondo la tesi formulata sulla base dell’opera di Weber, per cui la religione nell’età moderna si sarebbe avviata a diventare un fattore sempre più marginale e ad occupare soltanto gli spazi della vita e delle scelte private. La persistenza del religioso, e non soltanto del sacro, è uno degli indicatori più significativi della crisi di fiducia nella​​ ​​ modernità (ragione, scienza, progresso) da parte dell’uomo tecnico.

Bibliografia

Acquaviva S. - G. Guizzardi (Edd.),​​ La s.,​​ Bologna, Il Mulino, 1973; Rosanna E.,​​ S. o trasfunzionalizzazione della religione?,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1973; Acquaviva S. - R. Stella,​​ Fine di un’ideologia: la s.,​​ Roma, Borla, 1989; Backford J.,​​ Nuove forme del sacro,​​ Bologna, Il Mulino, 1990; Dal Lago A.,​​ Il paradosso dell’agire. Studi su etica,​​ politica e s.,​​ Napoli, Liguori, 1990; Martelli S.,​​ La religione nella società post moderna. Tra s. e de-s.,​​ Bologna, Dehoniane, 1990; Campanini G.,​​ Cristianità e modernità. Religione e società nell’epoca della s.,​​ Roma, AVE, 1992; Menozi D.,​​ Storia della s.,​​ Milano, Einaudi, 1992; Sidoti F.,​​ Politeismo dei valori,​​ Padova, CEDAM, 1992; Menozi D.,​​ La Chiesa cattolica e la s.,​​ Torino, Einaudi, 1993; Berger P. L.,​​ Una gloria remota. Avere fede nell’epoca del pluralismo,​​ Bologna, Il Mulino, 1994; Berzano L.,​​ Religiosità del nuovo areopago. Credenze e forme religiose nell’epoca postsecolare,​​ Milano,​​ Angeli, 1994; Lübbe H.,​​ Säkularisierung. Geschichte eines ideenpolitischen Begriffs, München, K. Albert, 2003; Dal Ferro G. et al.,​​ Dialogo con la s.?, Venezia, Istituto di Studi Ecumenici, 2003.

J. Bajzek




SELEZIONE SCOLASTICA / SOCIALE

 

SELEZIONE SCOLASTICA /​​ SOCIALE

Indica l’insieme dei procedimenti scolastici per la scelta dei soggetti idonei al conseguimento di un titolo o, più in generale, allo svolgimento di un ruolo sociale.

1.​​ In una prospettiva​​ macrostrutturale​​ il​​ ​​ funzionalismo aveva sostenuto durante gli anni ’50 e ’60 l’esistenza di una correlazione virtuosa fra stratificazione, s. e scuola. Negli anni ’70 il neo-marxismo e la teoria della riproduzione culturale (​​ marxismo pedagogico) hanno rovesciato tale posizione e hanno accusato la scuola di svolgere, anche attraverso la s., una funzione di perpetuazione della struttura sociale. Dall’inizio della decade ’80 del sec. XX si è assistito a un graduale recupero del ruolo positivo della scuola, anche se in termini realistici che non nascondono le sue carenze. Essa, pur essendo funzionale alla logica della produzione capitalista, trasmette competenze e cultura, contribuisce alla promozione delle classi popolari e fornisce un apporto significativo allo sviluppo della società.

2.​​ Passando al piano​​ micro,​​ i meccanismi di s. utilizzati a scuola possono essere raggruppati in due categorie: quelli consistenti negli esami e tutti gli altri. I secondi si identificano con le diverse forme dell’​​ ​​ orientamento; gli altri comprendono vari tipi di prove di​​ ​​ valutazione quali quelle di profitto, di intelligenza, attitudinali e le interviste. In alcuni Paesi ci si limita alle prove di profitto, mentre la maggior parte fa ricorso a una combinazione di forme diverse. Se si applicano test standardizzati, questi spesso specificano gli indici di affidabilità e di validità; tuttavia, in molti casi le prove non sono standardizzate. Va da ultimo osservato che è in atto un passaggio da una modalità tradizionale di valutazione (deriva dal confronto dei risultati degli studenti con quelli attesi, espressi in obiettivi rilevabili empiricamente e indicanti valori di soglia) ad una cosiddetta autentica (mira a verificare non solo ciò che l’allievo sa, ma ciò che «sa fare con ciò che sa», si muove in chiave formativa e utilizza prevalentemente il portfolio delle competenze personali). La riflessione​​ sociologica​​ ha cercato di individuare le forme di organizzazione scolastica che più influiscono sulla distribuzione diseguale dell’insuccesso secondo la classe di appartenenza e che pertanto si trasformano in forme di discriminazione sociale. Le principali sono le seguenti: l’esame di ammissione alla secondaria di tipo umanistico-scientifico tra i 10 e i 12 anni; la possibilità della ripetenza; la divisione di un livello scolastico in più istituti o indirizzi, ciascuno con un prestigio sociale differente; lo​​ streaming​​ o raggruppamento omogeneo degli studenti che consiste nel distribuire gli allievi di un dato anno in​​ streams​​ o classi di alunni dotati del medesimo livello di intelligenza.​​ 

Bibliografia

Yoloye E. A., «Selection mechanisms in secondary education», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21994, 5385-5389; Comoglio M.,​​ Insegnare e apprendere con il Portfolio, Milano, Fabbri RCS, 2003; Pellerey M.,​​ Le competenze individuali e il Portfolio, Milano / Firenze, RCS / La Nuova Italia, 2004; Besozzi E.,​​ Società,​​ cultura,​​ educazione: teorie,​​ contesti e processi, Roma, Carocci, 2006; Schizzerotto A. - C. Barone,​​ Sociologia dell’istruzione, Bologna, Il Mulino, 2006.

G. Malizia




SEMANTICA

 

SEMANTICA

Nella sistemazione teorica fornita da Ch. Morris, si definisce s. una delle tre dimensioni costitutive della semiosi e, di conseguenza, una delle tre prospettive a partire da cui si può studiare un segno dal punto di vista semiotico.

1. Si intende per semiosi il processo attraverso il quale un segno funziona come segno, cioè produce senso, significa. In tale processo è facile distinguere almeno tre elementi: a) qualcosa che significa, che funge da segno; b) qualcosa che viene significato, cioè cui il segno rinvia; c) la capacità di questo qualcosa che significa qualcos’altro di produrre effetti su qualcuno. Nello studio dei segni, alla luce del rilievo di queste tre dimensioni costitutive, si prospettano tre livelli a cui organizzare l’analisi: se si resta sul piano dei segni, e si mette a tema lo studio delle relazioni dei segni con altri segni che appartengono allo stesso contesto, si assume una prospettiva sintattica; se si prende in considerazione la relazione dei segni con i loro interpreti ci si colloca dal punto di vista della pragmatica; si costruirà, invece, una s., se si assumerà a oggetto di studio il segno nella sua relazione con ciò che esso denota.

2. Con questo si porta in gioco un problema, quello del riferimento o della denotazione, che ha costituito una​​ vexata quaestio​​ per la ricerca logica tra Otto e Novecento, come la riflessione sulla natura dell’oggetto inesistente all’interno della scuola di Brentano e il dibattito Russell-Strawson a partire dalla teoria delle descrizioni hanno dimostrato. In una prospettiva semiologica il problema non è altrettanto rilevante. Ciò che interessa al semiologo è il connotato, non il denotato. Infatti, navigando nell’universo dei segni, ciò che urge è di capire a quale significato il segno rinvii, non quale oggetto concreto (il referente) esso designi; e infatti, una grande quantità di segni sono non referenziali, non designano cioè nessun oggetto esistente (un divieto di sosta, pur essendo perfettamente significante, non denota nulla).

3. Pensato in questi termini, il problema semantico coincide in definitiva con il problema della classificazione e della verifica dell’operazionalità dei codici attraverso i quali le diverse materie dell’espressione vengono organizzate in funzione significante. L’importanza formativa di una considerazione s. dei segni coincide di conseguenza con l’importanza formativa di un’analisi dei​​ ​​ codici.

Bibliografia

Morris C.,​​ Lineamenti di una teoria dei segni,​​ Torino, Paravia,​​ 21970; Rigotti E.,​​ Principi di teoria linguistica,​​ Brescia, La Scuola, 1979.; Violi P.,​​ Significato ed esperienza, Milano, Bompiani, 2001.

P. C. Rivoltella




SEMINARIO istituzione formativa

 

SEMINARIO: istituzione formativa

Istituzione ecclesiale ordinata alla formazione sacerdotale.

1. Nato con il concilio di Trento il s. è stato riconfermato nella sua validità e necessità dal Vaticano II (OT, 4; Codice cann. 235-245) e da più recenti documenti (Pastores dabo vobis,​​ 60,​​ La formazione dei presbiteri,​​ 58). L’identità del s. (maggiore) è «di essere, a suo modo, una​​ continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù,​​ in ascolto della sua Parola» (Pastores,​​ 60).​​ Finalità specifica del s. è «l’accompagnamento vocazionale dei futuri sacerdoti, e pertanto il discernimento della vocazione, l’aiuto a corrispondervi e la preparazione a ricevere il sacramento dell’ordine con le grazie e le responsabilità proprie» (Ibid.,​​ 61).

2. Elementi costitutivi di tale istituzione sono: a) una comunità educativa organicamente strutturata in ruoli distinti e complementari; b) l’unità della proposta costruita attorno alla sensibilità pastorale, ragione ispirante dell’intera formazione, espressa nella convergenza dei vari stimoli e momenti educativi, dalla preghiera allo studio, dall’esperienza pastorale alla vita comunitaria; c) l’accompagnamento personale dei singoli attraverso il colloquio regolare e frequente; d) una precisa programmazione che armonizzi le dimensioni della formazione sacerdotale (umana, spirituale, intellettuale e pastorale) con il livello di maturità dei singoli e dei gruppi lungo le varie fasi, e la cultura locale; e) una condivisione di vita tra educatori e giovani per un congruo arco di tempo; f) un programma di studi filosofico-teologici che formino il credente e il maestro nella fede.

3. Rispetto al passato il s. odierno sottolinea maggiormente il rapporto tra formazione iniziale e permanente, e mira soprattutto a rendere il soggetto capace di continuare a imparare lungo la vita. Il s., inoltre, non è più pensato oggi come una parentesi che prepara al domani, ma come un’esperienza già fattiva di​​ presbiterio​​ e comunione ecclesiale. Sembrano oggi più marcati, infine, l’impronta pastorale nella formazione e il ruolo della dimensione umana. Condizione fondamentale per l’ingresso nel s. maggiore è la scelta tendenzialmente definitiva del sacerdozio assieme a una certa maturità di base, sul piano umano e spirituale. Nel passato tale preparazione avveniva nel s. minore; oggi tale istituzione, pur mantenendo una sua utilità (can. 234), non è ovunque presente, risentendo della crisi vocazionale, specie in certi ambienti. Nella​​ Pastores dabo vobis​​ si parla di s. minore e «altre forme di accompagnamento vocazionale» (n. 63), a sottolineare la necessità di provvedere comunque alla preparazione all’ingresso nel s. maggiore.

Bibliografia

Codice di Diritto canonico,​​ Roma, 1983, cann. 232-264; Peri I.,​​ I​​ s.,​​ Roma, Rogate, 1985; Gambino V.,​​ Dimensioni della formazione presbiterale,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1992; Giovanni Paolo II,​​ Pastores dabo vobis,​​ Roma, 1992; Congregazione per l’Educazione Cattolica,​​ Direttive sulla preparazione degli educatori nei s., Roma, 1993; Cei,​​ La formazione dei presbiteri nella chiesa italiana. Orientamenti e norme per i s.,​​ Città del Vaticano, LEV,​​ 32007.

A. Cencini




SEMINARIO metodo di studio / ricerca

 

SEMINARIO:​​ metodo di studio / ricerca

Metodo di lavoro intellettuale la cui funzione è avviare i giovani universitari allo studio e alla ricerca in gruppo. Il termine viene usato anche con significati meno precisi: una o più conferenze su un argomento seguite da discussione, incontri e giornate di studio.

1. Le prime esperienze di s. accademico ebbero luogo in Germania nella seconda metà del sec. XVIII, allo scopo di iniziare i futuri professori alla pratica del metodo storico-critico. Oggi viene largamente applicato nell’ambito delle diverse discipline anche in contesti culturali non prettamente universitari. In contesto accademico si distinguono tre livelli: il pre-s. (Proseminar),​​ introdotto già nelle esperienze tedesche, è destinato agli studenti che iniziano i corsi universitari, e costituisce una preparazione al s. propriamente detto (Hauptseminar).​​ Questo, ordinato all’approfondimento critico di una tematica o problema rilevante, è effettuato dallo studente in progressiva autonomia, in équipe con altri colleghi e con un professore in funzione fondamentalmente di coordinatore e di guida, controllato dal gruppo, a partecipazione definita, svolto con regolarità, in clima democratico di collaborazione. Il s. superiore (Oberseminar)​​ si propone un preciso scopo di ricerca in gruppo per dare un apporto originale al progresso della scienza e, contemporaneamente, cerca di offrire un contributo al perfezionamento scientifico dei partecipanti.

2. Dal punto di vista metodologico il s. accademico contempla alcune tappe fondamentali: a) presentazione da parte del docente / esperto dell’argomento proposto (problematica e impostazione generali, fonti e bibliografia essenziale); b) scelta ad opera dei partecipanti del tema (o aspetto del tema) da affrontare individualmente o in piccoli gruppi e pianificazione dei diversi incontri; c) periodo ragionevole di preparazione degli approfondimenti personali; d) incontri regolari di tutti i partecipanti, in cui vengono presentati e discussi i diversi contributi di studio; e) stesura di una relazione scritta. Questa relazione va redatta dai singoli partecipanti al s. (nelle eventuali relazioni di gruppo, deve apparire chiaramente la parte elaborata da ciascun membro). Nel corso della stesura del lavoro scritto vanno vagliati criticamente e integrati gli elementi emersi nei diversi momenti della discussione del tema generale. In tale confronto critico si trova un elemento fondamentale dell’efficacia del s. come metodo di studio e di ricerca in gruppo, alla base della «riforma dell’insegnamento e dell’apprendimento universitario» (Greschat, 1970, 7).

Bibliografia

Greschat M. et al.,​​ Studium und wissenschaftliches Arbeiten. Eine Anleitung,​​ Gütersloh, Gütersloher Verlaghaus Gerd Mohn, 1970; Spandl O. P.,​​ Die Organisation der wissenschaftlichen Arbeit,​​ Braunschweig, Vieweg, 1977; Prellezo J. M. - J. M. García,​​ Invito alla ricerca.​​ Metodologia e tecniche del lavoro scientifico,​​ quarta ediz. rivista e aggiornata, Roma, LAS, 2007 (ediz. in sp.: Madrid, CCS, 2006).

J. M. Prellezo




SEMIOTICA

 

SEMIOTICA

Si definisce con questo termine un’area disciplinare che si propone lo studio: a) dei segni intesi come ciò di cui l’uomo, in virtù della loro strutturale capacità di rinviare a uno o più significati, si serve per comunicare con i suoi simili; b) del testo inteso come lo spazio metodologico in cui, in virtù del ricorso a codici e strategie comunicative precisi, avviene uno scambio simbolico tra un progetto di comunicazione (enunciatore) e un programma d’uso (enunciatario); c) dell’interazione tra un testo e il suo ricettore entro un determinato contesto comunicativo.

1. Ciascuna di queste definizioni corrisponde a una delle tre grandi famiglie di teorie che lo sviluppo della s. nel nostro secolo ha prodotto; la vicenda storica della s., in tempo precedente al raggiungimento di un’autoconsapevolezza epistemologica (tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento), è di fatto più antica e ci riporterebbe prima ancora che alle riflessioni di Locke, all’intuizione del processo di significazione nella antica Stoà (sec. III a.C.). L’attenzione al segno, alla sua capacità di rinvio, al suo impiego in funzione comunicativa, è quella distintiva delle origini «scientifiche» della s. dalla riflessione di Peirce e Saussure. Il prevalere del modello di significazione proposto dal secondo – quello classico che distingue nel segno significante e significato – comporta l’iscriversi di tutta una generazione di s., la prima, entro il paradigma teorico dello​​ ​​ strutturalismo.

2. Quando lo strutturalismo entra in crisi alla fine degli anni ’60 del sec. scorso, alla prima si avvicenda una seconda generazione di teorie accomunate da una preoccupazione testualista. Critiche nei confronti di un concetto, quello di struttura, rigido e soprattutto incapace, perché non dinamico, di spiegare il funzionamento comunicativo di un testo, queste s. pensano il testo come il luogo di una contrattazione simbolica, come una macchina che produce senso ed insieme disegna il profilo del suo interlocutore. Vittime di questa reimpostazione sono idee forti delle prime s., come la convinzione dell’autosufficienza dell’oggetto significante o della reversibilità del processo di codifica. A queste s. subentra infine – ed è storia recente – una nuova generazione di s., le pragmatiche, la cui attenzione passa dal testo all’interazione e soprattutto al contesto come luogo di questa interazione.

3. Di grande interesse è lo studio della s. per chi si occupa di educazione almeno in due direzioni. In primo luogo perché l’intera area della comunicazione didattica, sia condotta in presenza che all’interno di ambienti di apprendimento on-line, richiede che venga elaborata una compiuta s. della formazione sia in ordine ai codici con cui si organizza la comunicazione (da parte dell’insegnante come dello studente) sia in relazione al​​ setting​​ che ne costituisce lo spazio naturale. In secondo luogo, la strumentazione s. è sicuramente importante perché consente all’insegnante di muoversi a proprio agio dentro la vera e propria foresta di simboli multimediali di cui è costituito il paesaggio culturale della società dell’informazione. Non saperli leggere significa condannarsi automaticamente a una scarsa efficacia educativa.

Bibliografia

Casetti F.,​​ S. Saggio critico,​​ testimonianze,​​ documenti,​​ Milano, Feltrinelli, 1977; Eco U.,​​ I​​ limiti dell’interpretazione,​​ Milano, Bompiani, 1990; Martin M.,​​ Semiologia dell’immagine e pedagogia,​​ Roma, Armando, 1990; Bonfantini M. A.,​​ Specchi del senso. Le s. speciali,​​ Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1991; Rivoltella P. C.,​​ Teoria della comunicazione, Brescia, La Scuola, 2001; Cantoni L. - N. Di Blas,​​ Comunicazione. Teorie e pratiche, Milano, Apogeo, 2006.

P. C. Rivoltella




SENECA Lucio Anneo

 

SENECA Lucio Anneo

n. a Cordova nel 4 a.C. - m. a Roma nel 65, filosofo romano di origine ispana.

1.​​ Vita.​​ Compì gli studi a Roma con retori e filosofi stoici. Fu introdotto ancora giovane alla corte di Caligola sotto il quale cominciò la carriera forense ed il​​ cursus honorum,​​ ma nel 39 un suo discorso lo fece cadere in disgrazia presso l’imperatore, che lo avrebbe condannato se una sua cortigiana non gli avesse consigliato di risparmiarlo perché la natura lo avrebbe presto ucciso per consunzione. Fu esiliato in Corsica da Claudio per uno scandalo di corte suscitato da Messalina, ma venne poi richiamato da Agrippina minore che lo nominò maestro di suo figlio Domizio, il futuro Nerone. Quando il nuovo imperatore uccise il fratello Britannico e la stessa madre, S. si ritirò dalla vita pubblica ma nel 65 fu coinvolto nella congiura di Pisone, a cui partecipava anche suo nipote Lucano; fu costretto ad uccidersi per ordine di Nerone nel 65. Con Epitteto e Marco Aurelio, S. appartiene al gruppo dei filosofi della​​ stoà​​ imperiale, definiti «maestri di morale». In ogni epoca il valore pedagogico della sua opera è stato riconosciuto per la penetrante esperienza umana, per la fine intuizione delle relazioni umane e per il nuovo senso di intimità di cui è permeata.​​ 

2.​​ L’antropologia pedagogica.​​ L’ideale del saggio formulato da S. in stretta aderenza alla​​ stoà​​ non deve indurre in errore. Anche nel​​ De constantia sapientis,​​ il suo umanesimo si applica all’uomo corrente: «Anche se vi circondano nemici da ogni parte, mantenete il posto che vi è stato assegnato dalla natura. Qual è questo posto? quello di uomo». Non si tratta però di un uomo astratto. Il realismo dell’antropologia pedagogica di S. riflette le difficoltà dei suoi contemporanei, che devono vivere in un’epoca in degrado, caratterizzata dai disordini della tirannia, in piena crisi della società, della politica e dei costumi. Sullo sfondo della Roma imperiale, S. vuole ridare all’uomo la propria coscienza di uomo –​​ la sua libertà​​ – di fronte al suo​​ destino,​​ alla sua​​ vita​​ e alla sua​​ morte.

3.​​ La pedagogia di S.​​ Le due correnti della​​ paideia​​ greca, quella retorica e quella filosofica, persistono nella​​ humanitas​​ romana, che aveva avuto in Cicerone il suo massimo rappresentante. S. si pone nella corrente filosofica quando proclama l’autonomia della​​ ragione​​ come condizione imprescindibile dell’umanesimo. A questa corrente molto eteroclita, seguita soprattutto dagli stoici, S. dà un apporto personale; le caratteristiche principali sono: lo scarso valore formativo che attribuisce alle​​ ​​ arti liberali​​ in sé; l’esercizio della filosofia​​ inteso come ascesi verso la perfezione umana e l’assoggettamento definitivo della filosofia alla​​ saggezza.​​ a)​​ Le arti liberali.​​ Nell’humanitas​​ romana contemporanea a S., sono prevalenti i contenuti che l’epoca ellenistica aveva indicato come​​ encyclios paideia​​ e che Roma aveva denominato​​ artes liberales.​​ S. si occupa di esse soprattutto nel documento emblematico del carattere filosofico della sua pedagogia, l’epistola 88 delle​​ Epistulae morales ad Lucilium.​​ Le arti liberali non meritano grande considerazione perché, né per il contenuto né per gli scopi di coloro che le professano, hanno relazione con la perfezione umana; non spianano il cammino verso la virtù. «A cosa mi serve saper dividere un campicello, se non lo so dividere con mio fratello?» (Ep.,​​ 88). Le arti liberali non si integrano con la filosofia e con la saggezza in un’unità simile a quelle delle parti del corpo umano, unità che S. auspica per ogni sapere. Semplicemente strumentali, orientate all’utilità immediata, si perdono in futilità nonostante si chiamino liberali, e sono solo degne dell’uomo libero, per il loro valore propedeutico. In sintesi, «Non dobbiamo apprenderle, bensì averle apprese» (Ep.,​​ 88). b)​​ L’esercizio della filosofia e i gradi di perfezione.​​ «Che cosa è il meglio nell’uomo? La ragione, per la quale supera gli animali ed imita gli dei: la ragione perfetta è, quindi, il bene proprio dell’uomo» (Ep.,​​ 86). La meta del sapere è insostituibile, ma l’esercizio della filosofia, dal punto di vista pedagogico, è centrato nel sapere in se stesso. Cercare di condurre la propria vita d’accordo con il bene morale: la filosofia di S. trascende lo spazio della teoria ed insegna a vivere. «La filosofia insegna a praticare, non a parlare, ed esige che tutti vivano conformemente alle sue leggi, che la vita non dissenta dall’insegnamento, né si contraddica» (Ep.,​​ 20). c)​​ La saggezza.​​ La filosofia, vera morale in atto, è subordinata alla saggezza: questa «è il massimo della perfezione dell’essere umano; la filosofia si avvia al punto in cui essa è già arrivata» (Ep.,​​ 84). La saggezza è il bene proprio del saggio. Come la filosofia, si riferisce ad un contenuto di carattere teoretico, però quella di S. non è una filosofia intellettualistica, dato che «una sola cosa completa la perfezione dell’animo: l’immutabile scienza del bene e del male» (Ep.,​​ 88). La saggezza senechiana implica la perfezione suprema dell’essere umano, cioè la morale. «La saggezza è l’abito dell’anima perfetta» (Ep.,​​ 117), perché saggezza e virtù sono per lui strettamente unite tra loro, tanto da costituire due aspetti della stessa pienezza umana.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ L.A.S.,​​ Diálogos sobre la providencia. Sobre la firmeza del sabio. Sobre la ira. Sobre la vida feliz. Sobre el ocio. Sobre la tranquilidad del Espíritu. Sobre la brevedad de la vida,​​ trad. di V. García Yebra, Madrid, Gredos,​​ 2001. b)​​ Studi: Cid Luna P.,​​ L.A.S.,​​ Madrid,​​ Clásicos, 2003;​​ Padilla M. A. (Ed.),​​ S.,​​ la práctica de la filosofía: fragmentos escogidos, Madrid, Nueva Acrópolis, 2004; Pociña Pérez A.,​​ Bibliografía española sobre Séneca (s. XX),​​ in «Estudios de la Antigüedad Clásica» 17 (2006) 359-410.​​ 

Á. Galino - Á. del Valle




SENSAZIONE

 

SENSAZIONE

Termine filosofico riferito alle rappresentazioni prodotte dai cinque sensi, o più in generale al conoscere sensibile distinto da quello intellettivo-razionale. Il concetto di s. (che è variamente interpretato dalle diverse scuole filosofiche) è talora distinto da quello di​​ ​​ percezione: tale distinzione si fonda sul concetto che le s. costituiscono le condizioni elementari del funzionamento mentale e cioè rappresentano il dato elementare avvertito in connessione con lo stimolo corporeo, mentre le percezioni sono complesse e derivano il loro significato dall’apprendimento e cioè si formano nell’associazione di nuove s. con le immagini di esperienze precedenti, dando inoltre inizio ad una attività conoscitiva vera e propria.

1. Senza entrare in merito alle discussioni filosofiche sul significato, il valore e il ruolo della s. nella costruzione della conoscenza del mondo e dei processi di pensiero, è possibile identificare nella s. il problema centrale da cui prenderà le mosse tutta la psicologia scientifica. La psicofisica di Fechner riconduceva il fenomeno della s., considerata una delle componenti fondamentali della percezione e un’esperienza elementare dovuta unicamente alle variazioni dello stato di un recettore opportunamente stimolato, a un rapporto calcolabile fra l’entità dello stimolo fisico e quella della risposta soggettiva. Da allora, fino alle ultime ricerche della psicologia cognitiva, il concetto di s. non ha mai ricevuto una definizione chiara ed univoca. Le svariate interpretazioni della s., e le teorie della percezione che da esse derivano, possono essere viste come un tentativo di colmare il vuoto tra la modificazione indotta dagli stimoli sugli organi di senso e l’esperienza soggettiva di tali modificazioni.

2. Un primo tentativo di conciliare i due ordini di fattori portò ad ammettere l’esistenza di entità elementari, le cosiddette s. (relative ai diversi sensi) che entrano in connessione tra loro e con le rappresentazioni, e cioè con i dati di coscienza acquisiti mediante precedenti esperienze percettive. La percezione, in ultima analisi, non sarebbe che il risultato di un processo di tipo associativo. Questo schema, originariamente proposto da Th. Reid (1764) venne adottato da autori quali Weber, Fechner,​​ ​​ Wundt e da altri rappresentanti della psicofisiologia classica. Diversi autori criticarono queste posizioni mostrando il carattere originariamente intenzionale e relazionale della s. In particolare E. Mach pone la s. a fondamento delle asserzioni scientifiche considerandola «strumento per liberare la scienza dalla metafisica». Sostenendo che «non sono i corpi che generano le s., ma sono i complessi di s. che generano i corpi» e che dunque il «mondo è una mia s.», E. Mach mette in crisi la rigida divisione tra fisico e psichico. Tesi simili ricorrono nel primo periodo del circolo di Vienna sia nella concezione dei «fatti atomici» di L. Wittgenstein sia nel concetto, proposto da Carnap, di «unità empirica elementare», intesa alla stregua di «un elemento neutro, anteriore alla distinzione tra l’oggettivo e il soggettivo», su cui viene basata la tesi della totale riducibilità di ogni enunciato della scienza ad un enunciato circa le s.

3. Tali posizioni, rivendicando il concetto di esperienza «pura» si presentano dunque come alternative alle diverse interpretazioni di stampo associazionistico, a cui si rivolgeranno peraltro le critiche dei sostenitori della psicologia della forma. Autori quali Wertheimer e Koffka, superando la contrapposizione tradizionalmente stabilita tra s. e percezione, sosterranno quindi che le discriminazioni sensoriali non corrispondono simmetricamente alle dimensioni dello stimolo fisico, ma ne costituiscono piuttosto un’elaborazione che ne modifica profondamente il profilo.

Bibliografia

Mecacci L.,​​ Storia della psicologia del Novecento,​​ Roma / Bari, Laterza, 1992; Mastandrea S.,​​ La psicologia della percezione: dalla s. alla comunicazione, Napoli, Idelson-Gnocchi, 2004; Hirtz P. - A. Hotz,​​ Competenza motoria: s. percettivo-motoria, Bologna, CLUEB, 2005.

F. Ortu - N. Dazzi