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ŠACKIJ Stanislav Teofilovič

 

ŠACKIJ Stanislav Teofilovič

n. a Smolensk nel 1878 - m. a Mosca nel 1934, pedagogista ed educatore russo.

1. Dopo gli studi, si decise per l’educazione. Partecipò al movimento dell’Educazione libera,​​ poi simpatizzò con i rivoluzionari, ma entrò tardi nel partito (1928). Seppe compattare influssi occidentali con la tradizione russa (​​ Tolstoj). Dal 1905 collaborò alla fondazione di istituzioni educative, chiuse poi dalla polizia; nel 1909 creò la società «Lavoro e distensione per i bambini» e s’informò di pedagogia; nel 1911 fondò una colonia, volta alla collaborazione con le famiglie:​​ Bodraja zizn’​​ (Vita premurosa), divenuta celebre, per la «sintesi di pedagogia individuale e collettiva». Dopo la rivoluzione, ne accettò gradualmente gli obiettivi, appoggiò la «Scuola del lavoro» (in campagna però) e partecipò a varie commissioni. Si prodigò nel 1° «Centro pedagogico sperimentale», a Mosca, curando la preparazione dei maestri e la sperimentazione di nuovi metodi educativi (da quello «dei complessi» a quello «dei progetti»). Studiò, in particolare, i condizionamenti sociali dei bambini a scuola.

2. La sua ricca esperienza e i suoi studi, l’hanno portato a​​ posizioni personali,​​ per il ruolo della dimensione sociale e dell’influsso dell’educatore, a scapito del puerocentrismo o di un rigido marxismo. L’educazione è vista come un processo continuo all’interno di un rapporto democratico tra educatori e allievi, conviventi in una​​ comunità autogestita,​​ sul modello familiare, con rilevante spazio per il gioco, il teatro e soprattutto per il lavoro, nei campi e in casa. I tre parametri fondamentali erano: l’interesse dei bambini,​​ il​​ lavoro​​ e un’adeguata​​ ristrutturazione dell’ambiente​​ in comunità educativa. Non direttamente impegnato in politica, l’assunse, dopo lo studio del marxismo, come finalità educativa, in sintonia con le istanze comunitarie e con la sintesi di teoria e prassi.

3. Tra i più significativi pedagogisti russi, S. fu un moderato riformista, originale e coerente all’interno di una «pedagogia in movimento». Il suo influsso fu elevato durante la prima NEP (Nuova Politica Economica), poi in ribasso e infine rinvigorito dopo il 1931.

Bibliografia

gli scritti di Š. sono raccolti in:​​ Pedagogičeskie socinenija v cetyrech tomach​​ (Opere pedagogiche in 4 voll.), Mosca, 1962-1965; su di lui: Slomkiewiecz S.,​​ Idee pedagogiczne Stanislawa Szackiego,​​ in «Rozprawy z dziejów oswiaty» 10 (1967) 85-106;​​ Wichmann J.,​​ S.T.Š: ein Wegbereiter der modernen Erlebnispädagogik, Lüneburg, Neubauer, 1991.

B. A. Bellerate




SAGGEZZA

 

SAGGEZZA

Della s. occorre individuare esattamente il contenuto e il significato, se si vuole che diventi operabile dal punto di vista educativo: come fine del processo di crescita o come metodo o come qualità dell’educatore.

1. A questo scopo è, anzitutto, necessario distinguerla nettamente da due realtà contigue ben definite dal punto di vista teorico (filosofico-teologico) e operativo (etico): la​​ sapienza​​ o la ricerca-contemplazione del vero e del bene, che diventa in definitiva il Vero e il Bene (Dio) (la​​ sophía​​ e la​​ philosophía-theoría​​ greco-cristiana); e la​​ ​​ prudenza,​​ la virtù guida della vita morale. Dal punto di vista storico-pedagogico rimangono disponibili almeno tre tipi di s.:​​ scienza della vita​​ di stampo tradizionale e popolare; capacità di trasmissione di​​ abilità tecnico-pratiche; sapienza-prudenza depotenziata.

2. Nelle società di tipo tradizionale, affidate alla cultura orale, la s. (scienza di vita, morale e pratica) è prerogativa soprattutto degli anziani carichi di esperienza e di memorie (e vicini al «sacro»): «archivi viventi» («quando un vecchio muore è una biblioteca che brucia»), educatori, giudici e consiglieri (antico Oriente, civiltà Inca, Sparta, ebraismo, Africa). Un concentrato di tale s. sono spesso le massime, le sentenze, i proverbi.

3. A livello teorico, «intellettuale», ci si affida alla s. dell’anziano colto nelle società feudali greca e medievale. In​​ ​​ Omero appare Chirone che dà ad Achille (Iliade​​ XI 832) e ad altri venti eroi una integrale formazione fisica intellettuale e morale. Anche nella letteratura cavalleresca del​​ ​​ Medioevo europeo l’eroe, l’uomo di valore (in guerra, nella politica, nel comportamento quotidiano), è «saggio» in quanto è «abile», chiaroveggente, «sperimentato», all’altezza della situazione, dal sangue freddo, perspicace oltre che «pio» e «giusto».

4. Dal punto di vista storico, anche nello specifico campo pedagogico, si ricorre al concetto di s. quando, particolarmente nel Cinquecento francese, vengono messe in discussione la logica e la filosofia aristotelica, con l’approdo a posizioni scetticheggianti e moralistiche. Il binomio classico sapienza-prudenza perde il rigoroso significato originario, assumendone un altro pragmatico-vitale, guida ad una felicità «su misura d’uomo», chiuso nella sua individualità anziché supportato da un’antropologia vigorosamente metafisica aperta al trascendente. Nel saggio​​ De l’institution des enfants​​ ​​ Montaigne propugna la formazione di un uomo «abile» piuttosto che «sapiente», allenato nella filosofia intesa come arte di vita piuttosto che costruzione concettuale astratta (il sapere sillogistico degli «ergo», l’«ergotismo»): «la testa ben fatta più che ben piena», la s. del «saper ben vivere e del ben morire», attinta dalla frequentazione del mondo e degli uomini più che dai libri. Analoghi orientamenti si trovano nel​​ De la Sagesse​​ di Pierre Charron (1541-1603). Nell’educazione dei figli il padre (lib. III 14) dovrà tendere «più alla s. che alla scienza e all’arte», «più a formare il giudizio e per conseguenza la volontà e la coscienza che a riempire la memoria e accendere l’immaginazione». È «saggio chi nei desideri, nei pensieri, nelle opinioni, nelle parole, nei fatti, nei comportamenti si regola con misura ed equilibrio». Lo plasma una morale e una pedagogia del «ne quid nimis», regolata dal principio «surtout pas trop du zèle».

Bibliografia

Charron P.,​​ De la Sagesse,​​ Paris, Villery, 1635;​​ Montaigne M. de,​​ Essais,​​ par M. Rat, Paris, Granier, 1952, 154-192 (XXVI: «De institution des enfants»);​​ Gregory​​ T.,​​ La s. scettica di P. Charron,​​ in «De Homine» 6 (1967) 163-182; Bosco D.,​​ Charron moralista: temi e problemi «de la Sagesse»,​​ in «Rivista di Filosofia Neoscolastica» 69 (1977) 247-278;​​ Brucker Ch.,​​ Sage et sagesse au moyen âge​​ (XIIe et XIIIe siècles). Étude historique,​​ sémantique et stylistique,​​ Genève, Librairie Droz,​​ 1987; Minois G.,​​ Storia della vecchiaia dall’antichità al Rinascimento,​​ Bari, Laterza, 1988.

P. Braido




SALESIANI

 

SALESIANI

Membri della Società salesiana, istituto religioso fondato da s. Giovanni​​ ​​ Bosco, nel 1859, dedicato principalmente all’educazione dei giovani, specialmente di quelli «più poveri e abbandonati».​​ 

1. Dal 1843 al 1846 a Torino don Bosco dà una graduale forma organizzata agli incontri domenicali con gruppi di giovani, in prevalenza immigrati, finché trova una sede stabile per il suo primo​​ ​​ «oratorio», intitolato a s. Francesco di Sales, nella zona di Valdocco, alla periferia nord-occidentale della città. Nel 1847 e nel 1849 dà vita ad altri due, sotto il patronato rispettivamente di s. Luigi Gonzaga e dell’Angelo Custode. A seguito di talune divergenze sorte nella loro conduzione, il 31 marzo 1852 mons. Fransoni, arcivescovo di Torino esule a Lione, emanava una​​ Patente​​ con la quale​​ deputava don Bosco effettivo «Direttore Capo spirituale dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, a cui vogliamo siano uniti e dipendenti quelli di S. Luigi Gonzaga e del S. Angelo Custode». Don Bosco andava oltre. Tra il 1853 / 54 e il 1859 con somma discrezione egli concretava il progetto di fondare un istituto o società religiosa che garantisse stabilità e continuità all’opera degli «oratori»: sarà la «Società di san Francesco di Sales». Le​​ Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales​​ si fermano volutamente al 1854; dal 1854 incomincia per don Bosco la storia della congregazione (G. Barberis,​​ Cronichetta,​​ quad. 4 A, 38-41). La sera del 26 gennaio 1854 egli raccoglieva un piccolo gruppo di giovani, che si impegnavano, in prospettiva di un futuro voto, a un «esercizio pratico di carità» verso i giovani (MB V 9). A Roma nel 1858, in un’udienza concessagli da Pio IX il 9 marzo, don Bosco era incoraggiato a dare inizio a una società religiosa con eventuali voti da professare dopo un congruo tempo di prova. La iniziava a Torino nella «casa annessa» all’oratorio di Valdocco il 18 dicembre 1859 con 17 soci. Intanto incominciava ad elaborare le​​ Regole​​ o​​ Costituzioni,​​ sottoposte nel 1860 all’esame e all’approvazione dell’arcivescovo Fransoni e dal 1864 alla Santa Sede. Nel frattempo, dopo un triennio di prova, il 14 maggio 1862 i primi «ascritti» avevano professato i voti temporanei. Datato al 23 luglio 1864, giungeva da Roma in favore dell’incipiente congregazione il cosiddetto​​ Decretum laudis.​​ Soltanto il 1 marzo 1869, a seguito di ardue trattative, la Congregazione dei Vescovi e Regolari emanava il decreto di approvazione definitiva; più avanti, con decreto del 13 aprile 1874, la medesima Congregazione approvava anche il testo delle​​ Costituzioni.​​ L’iter​​ giuridico si perfezionava il 28 giugno 1884 con la concessione «per comunicazione» dei privilegi (facoltà connesse con la cosiddetta «esenzione») dei Redentoristi.

2. Soprattutto dai primi anni ’60 le vicende della Società dei S. di don Bosco (SDB) si intrecciano e quasi si identificano con la vita del fondatore, costantemente consacrato al primario impegno «educativo», pratico e teorico. Egli opera nel suo Istituto di consacrati in due direzioni principali: promuoverne e articolarne la «missione» mediante la diffusione, il consolidamento e l’animazione delle opere apostoliche ed educative; assicurarne il carattere specificamente «religioso», disporne le strutture essenziali, plasmarne lo «spirito», quello che egli finisce col definire «spirito salesiano», cioè di s. Francesco di Sales rivissuto da religiosi consacrati all’educazione giovanile e popolare con il particolare stile assistenziale e pastorale «preventivo» (​​ sistema preventivo), che esigeva «grande calma» e «straordinaria mansuetudine» (MO 133).

3. Le istituzioni educative e pastorali, giovanili e popolari, venivano man mano precisate e, infine, codificate nel primo capitolo delle​​ Costituzioni​​ approvate nel 1874, arricchite da testi successivi in base ad esperienze nuove (per es., dal 1875, la dimensione missionaria) o ad esigenze di maggior chiarezza. Vi sono interessati gli artt. 3-6: «Il primo esercizio di carità sarà di raccogliere giovanetti poveri e abbandonati per istruirli nella santa cattolica religione, particolarmente ne’ giorni festivi»: sono gli «oratori festivi», divenuti quasi dappertutto quotidiani; si affiancano presto gli «ospizi», case nelle quali ai giovani viene «somministrato ricovero, vitto e vestito; e mentre si istruiranno nelle verità della cattolica Fede, saranno eziandio avviati a qualche arte o mestiere» (art. 4); vengono pure aperti istituti o piccoli seminari per la formazione di giovani che «aspirano allo stato ecclesiastico» (art. 5); sono previste case per accogliere «quegli aspiranti allo stato ecclesiastico o religioso, i quali a motivo dell’età avanzata non potrebbero facilmente seguire altrove la loro vocazione»; grande sviluppo viene dato a collegi e scuole per giovani studenti (art. 5); sono pure stabilite attività pastorali per giovani e adulti con missioni popolari, esercizi spirituali e simili; parallelamente è assunto uno specifico impegno nel settore della stampa e dell’editoria scolastica e a sostegno della fede, minacciata dall’«empietà e dall’eresia» (art. 6); verrà successivamente codificato il lavoro nelle missioni estere. Le parrocchie, accettate in misure molto controllate fino a tempi recenti, costituiscono oggi una forma di impegno pastorale s. piuttosto accentuato.

4. Don Bosco, prete diocesano, mancante dell’esperienza personale della «vita consacrata», per dare volto «religioso» alle sue congregazioni, stabilirne le strutture, elaborarne le costituzioni, dovette molto presto prendere contatto con forme e istituti di «vita consacrata» preesistenti. Lo avvantaggiò la precoce familiarità con la storia ecclesiastica, attinse dalle costituzioni o regole di altre congregazioni, lesse autori più facilmente accessibili dal punto di vista culturale. Spiccano tra essi il gesuita Alfonso Rodríguez (1537-1616) e s. Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787); non mancano riferimenti a s. Francesco di Sales e a s. Vincenzo de’ Paoli. Se ne servì per introdurre sé e i primi collaboratori, in gran parte giovanissimi, nei meccanismi di animazione e di governo della vita religiosa s.: vocazione, consacrazione, missione, voti, vita comune, osservanza, perseveranza, pietà, carità fraterna, strutture, rapporti giuridici. Vi dedicò conferenze, esercizi spirituali, circolari, direzione spirituale, riunioni periodiche del personale dirigente (le «conferenze di s. Francesco di Sales» e autunnali, le riunioni del cosiddetto «capitolo superiore»), i capitoli generali (il primo è del 1877, seguiti da altre tre, lui vivente; l’ultimo è il XXV del 2002). Fu costante preoccupazione di don Bosco che l’approfondimento del carattere «religioso» della congregazione nonché pregiudicare potenziasse nei soci la capacità di incontro coi giovani, soprattutto «poveri e abbandonati», che doveva permanere assolutamente primario, originale e moderno.

5. La Società salesiana, costituita da ecclesiastici e laici, ebbe uno sviluppo piuttosto rapido, come si può rilevare dall’elenco dei membri che a partire dal 1870 viene pubblicato ogni anno a cura della direzione generale (trasferita da Torino a Roma nel 1971). Alla morte di don Bosco essa contava 680 professi perpetui, di cui 300 sacerdoti, 88 professi triennali, 267 novizi, presenti in 57 comunità distribuite in 10 nazioni. Essa risulta quadruplicata alla fine del rettorato del b. Michele Rua (1888-1910), mentre si moltiplicano le opere anche in Paesi di missione. Con don Paolo Albera (1910-21) i S. si stabiliscono in India e in Cina. Durante il rettorato del b. Filippo Rinaldi (1922-31) si ha un notevole aumento dei soci e delle opere. Ulteriori accrescimenti si hanno con il rettorato di don Pietro Ricaldone (1932-51), che porta i S. a 16.000 unità, ma soprattutto cura la formazione spirituale e culturale delle giovani leve, tra l’altro con la fondazione del Pontificio Ateneo Salesiano, dal 24 maggio 1973 Università Pontificia Salesiana. Il numero massimo – 21.614 soci professi e circa 1.200 novizi – è raggiunto nel 1967, dopo il rettorato di don Renato Ziggiotti (1952-65), all’inizio del governo di don Luigi Ricceri (1965-77).

Bibliografia

Bosco G.,​​ Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales [1858]-1875.​​ Testi critici a cura di F. Motto, Roma, LAS, 1982; Ceria E.,​​ Annali della Società Salesiana​​ [1841-1921], 4 voll., Torino, SEI, 1941-1951; Stella P.,​​ Don Bosco nella storia della religiosità cattolica,​​ vol. I.​​ Vita e opere,​​ Roma, LAS, 1979; Braido P.,​​ L’idea della società salesiana nel «Cenno istorico» di don Bosco del 1873 / 74,​​ in «Ricerche Storiche Salesiane» 6 (1987) 245-331; Id.,​​ Don Bosco fondatore. «Ai soci S.»,​​ Roma, LAS, 1995; Wirth M.,​​ Da don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove sfide (1815-2000), Roma, LAS, 2000;​​ Linee teologiche,​​ spirituali e pedagogiche della Società Salesiana e dell’Istituto delle FMA nel periodo 1880-1922, in «Ricerche Storiche Salesiane» 23 (2004) 1-312 (n. monogr.); González J. G. et al. (Edd.),​​ L’educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze ed attuazioni in diversi contesti. Atti del 4º Convegno Internazionale di storia dell’Opera salesiana, Ciudad de México, 12-18 febb., 2006, 2 voll., Roma, LAS, 2007.

P. Braido




SALUTE MENTALE

 

SALUTE MENTALE

Oggi si va facendo sempre più strada l’idea che la malattia o disturbo mentale è un problema sociale non solo per le complicazioni interpersonali che possono derivare da essa, ma soprattutto per il fatto che il contesto sociale ha sempre una sua causa più o meno rilevante nella genesi del disturbo, quindi rientra tra i fattori eziologici. Questo dato assume poi un’importanza primaria nella terapia di recupero e più ancora nella prevenzione dei disturbi mentali.

1.​​ Definizione.​​ Da quanto detto sopra consegue che la s.m. è il prodotto della sana costituzione soprattutto neurologica di un soggetto e dell’apporto ambientale che deve essere emotivamente, culturalmente e socialmente confacente. Possiamo definirla allora come: un soddisfacente equilibrio psichico che dia al soggetto umano: a) un senso profondo e permanente di benessere; b) una capacità produttiva (lavoro, studio ecc.) oggettivamente riconosciuta e apprezzata; c) un’affabilità di rapporti interpersonali tale da determinare legami affettivi stabili e profondi, opportunamente differenziati e promozionali. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) intende la s.m. come la misura in cui da una parte un individuo o un gruppo sono capaci di realizzare le proprie aspirazioni e soddisfare i propri bisogni e dall’altra di cambiare o di adattarsi all’ambiente. La soddisfazione soggettiva è un elemento insostituibile ed è vera quando è capace di indurre anche negli altri il senso di gradevolezza persistente verso la vita individuale e collettiva. Quest’ultima annotazione mette in rilievo il dato che la s.m. permanente coincide con la qualifica di personalità sana che ha il senso della propria identità, un’adeguata valutazione di sé e degli altri e quindi del ruolo da svolgere, una capacità di auto ed eterogratificazione praticamente costante, atteggiamenti e comportamenti sostanzialmente costruttivi. La dinamica fiducia-donazione deve sostituire l’egocentrismo infantile e consentire l’autotrascendenza con rapporti interpersonali reciprocamente arricchenti.

2.​​ Sustrato biologico.​​ La sanità dell’organismo nella sua globalità, anche se non rappresenta una condizione assolutamente indispensabile, tanto è vero che ci sono tanti portatori di​​ ​​ handicap fisici con s.m. eccellente, tuttavia costituisce un ottimo presupposto per un buon funzionamento della mente. L’aforisma di Giovenale:​​ mens sana in corpore sano​​ mantiene bene la sua asserzione. È soprattutto la solida strutturazione e il valido funzionamento del sistema nervoso che contribuiscono a mantenere efficiente il funzionamento della mente. I recenti studi sui mediatori chimici e i recettori cellulari sulle funzioni degli elettroliti dei neuroni e dell’ambiente extra cellulare suggeriscono che il buon funzionamento nervoso e conseguentemente mentale dipendono anche dalla biochimica del cervello, oltre che dalla sua configurazione e strutturazione macro e microscopica. Ulteriori approfondimenti in questo campo contribuiranno certamente a rendere sempre più efficienti gli apporti dell’igiene mentale, come vedremo parlando di questa branca della Medicina.

3.​​ Sustrato antropologico.​​ L’​​ ​​ uomo è animale culturale a prole inetta ed ha uno sviluppo molto lento rispetto agli altri animali; da piccolo deve essere necessariamente accudito da altre persone per potersi realizzare a sua volta come tale. Vive non solo di entità materiali, ma anche di entità culturali che impara progressivamente a produrre. È fondamentale per il suo sviluppo e mantenimento integrali la qualità dell’ambiente culturale che lo circonda. L’io cresce e si mantiene integrando l’apporto del tu e a sua volta donandosi ad esso. Sono due sistemi aperti che vivono di scambi reciproci; quindi oltre alla validità del materiale di scambio occorre anche la validità della sua forma. Gli interventi educativi dovranno tener conto di tutto ciò.

4. Igiene mentale.​​ Dati questi presupposti, per il mantenimento della s.m. si mettono in atto gli accorgimenti dell’igiene generale e di quella particolare. In quest’ultima vanno privilegiati tutti i tentativi di rinforzare il sistema nervoso e tutte le modalità per favorire un buon adattamento. La s.m. va accudita con maggiore attenzione: nell’infanzia, nella preadolescenza e nel periodo senile. Il primo e il terzo momento sono delicati per la debolezza organismica e per l’insufficiente autonomia dei soggetti; l’intermedio perché il giovane ha il bisogno e il compito di affrontare senza protezionismi nuove situazioni, acquisire nuovi dati, vivere esperienze diverse da quelle già conosciute. In una società alla continua ricerca dell’espansione nell’esistenza e in cui i processi di selezione e le competizioni rientrano nel quadro più ampio della lotta per l’esistenza, si dovrebbero evitare l’eliminazione dei più deboli o squilibrati traumatici. Dove prevale la lotta selvaggia per l’esistenza è inevitabile che la s.m. dei meno adatti venga travolta.

5.​​ Collaborazione fra gli educatori.​​ Come per la s. in genere, per il mantenimento della s.m. occorre che le diverse agenzie educative siano efficienti e concordi per non determinare disorientamenti pericolosi o conflitti intrapsichici. Bisognerà dare nuovo vigore educativo alla famiglia, alla scuola, al lavoro. Molti autori sottolineano l’importanza anche di un’igiene mentale prenatale che favorisca la crescita del soggetto umano nel grembo materno: infatti una gravidanza ben condotta in un ambiente confortevole e moderatamente stimolante, in cui domini l’affetto e l’attenzione intelligente, è un ottimo presupposto per la s.m. del nascituro. La concordia, il rispetto, la presenza di valori adeguatamente gerarchizzati, il senso di responsabilità, la coerenza dei comportamenti, il coraggio nell’affrontare le difficoltà, l’ottimismo realista, sono fattori indispensabili per mantenere la s.m. Insistiamo su alcuni aspetti importanti e delicati: la necessità di scaricare le tensioni in modo innocuo e autenticamente rilassante, il sapersi divertire senza spendere molto in denaro o in fatiche, lo svolgere il proprio compito in modo sereno e non stressante, il saper sdrammatizzare senza banalizzare o ignorare i problemi, sono tutti accorgimenti efficaci per garantire la s.m. Aggiungiamo infine la particolare rilevanza di un buon funzionamento dei Centri di s.m. e dell’assistenza sanitaria in genere, di una buona politica sanitaria con eliminazioni di abusi, di pericoli e di rischi non necessari, di promozione della s.

Bibliografia

Lapenna G.,​​ Le professioni della s.,​​ Milano, Libreria Internazionale della Famiglia, 1976;​​ Lapellégérie H.,​​ Les trois trésors de santé,​​ Paris, Jacques Grancher Editeur,​​ 1977; Meda E.,​​ La ginnastica,​​ Torino, SEI, 1980; Rosi P.,​​ L’atletica,​​ Ibid., 1980; Wyss V.,​​ Più sport più s.,​​ Ibid., 1980; McCormick R.,​​ S. e medicina nella tradizione cattolica,​​ Torino, Edizioni Camilliane, 1986; Ornstein R. - R. Thompson,​​ Il​​ cervello e le sue meraviglie,​​ Milano, Rizzoli, 1987; White E.,​​ Cortical circuits,​​ Boston, Birkauser, 1989; Cairo M. T.,​​ Persona e s.,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Martín Maldonado-Durán J. L.,​​ Infanzia e s. m.: modelli di intervento clinico, Milano, Cortina, 2005.

V. Polizzi




SANTOMAURO Gaetano

 

SANTOMAURO Gaetano

n. a Minervino Murge (Bari) nel 1923 - m. a Bari nel 1976, pedagogista italiano.

1. A cominciare dalla frequenza universitaria S. manifesta un forte impegno intellettuale, ispirato ai valori della tradizione cristiana che si esplica nell’offrire un sincero contributo pedagogico al rinnovamento civile e morale del Meridione. Liberatosi dal fascino della filosofia crociana e gentiliana, S. approfondisce, in particolare, lo studio delle opere di​​ ​​ Mounier, attratto dal suo «personalismo comunitario». Conseguita, nel 1959, la «libera docenza» in pedagogia, intraprende la carriera universitaria e insegna storia della pedagogia prima e pedagogia poi nelle università di Lecce e di Bari. Per il valido contributo offerto alla causa dell’educazione popolare del Sud d’Italia, riceve una medaglia d’oro dal Ministero della P.I. e successivamente viene nominato membro della delegazione italiana presso l’Unesco.

2. L’attenzione verso il problema dell’educazione popolare costituisce la verifica critica della sua​​ pedagogia in situazione,​​ la quale trova le radici lontane nella conoscenza diretta dei complessi problemi della civiltà del mondo contadino meridionale. Nell’assumere come quadro filosofico fondamentale di riferimento i principi del personalismo cristiano, fondato sul riconoscimento della struttura ontologica e assiologica della persona, considerata nella sua «situazionalità storico-sociale» e nella sua «apertura al valore», S. ritiene vitali per la ricerca pedagogica il dialogo, l’integrazione culturale e l’incontro con i più significativi autori e problemi educativi del passato e del presente. Rivela una particolare predilezione per la definizione delle istanze socio-pedagogiche. Nella ricerca di una adeguata metodologia storica della pedagogia, supera i criteri relativistici e pragmatistici di chi ritiene che i fatti storici e la stessa educazione possano essere compresi nella misura in cui si applicano ad essi i metodi delle scienze naturali e sociali. Egli ravvisa, infine, nella prospettiva dell’educazione permanente la «risposta» più adeguata alle esigenze del cambiamento della società di oggi e l’affermazione di un «nuovo diritto» del quale l’umanità dovrà avvalersi per realizzare finalmente un progresso sociale e personale autentico.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Che cos’è la scuola attiva,​​ Bari, Laterza & Polo, 1954;​​ Per una pedagogia in situazione,​​ Brescia, La Scuola, 1967;​​ Modelli educativi nella sociologia teorica,​​ Bari, Adriatica, 1970;​​ L’educazione morale oggi,​​ Ibid., 1974. b)​​ Studi:​​ Giammancheri I. E.,​​ G.S. 1923-1976,​​ in «Pedagogia e Vita» 38 (1976) 1, 95-98; Massaro G.,​​ La pedagogia in situazione di G.S.,​​ in «Prospettive Pedagogiche» 14 (1977) 3, 163-189; Caporale V., «S.G.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. VI, Brescia, La Scuola, 1994, 10277-10283.

V. Caporale




SARMIENTO Domingo Faustino

 

SARMIENTO Domingo Faustino

n. a San Juan nel 1811 - m. a Asunción (Paraguay) nel 1888, letterato, educatore e politico argentino.

1. La vita di S. trascorre nel travagliato periodo dell’indipendenza del suo Paese e della ricostruzione nazionale, a cui egli partecipa attivamente. Sente presto la vocazione per l’insegnamento. Con alcuni amici dà vita alla​​ Sociedad literaria,​​ fonda e dirige la prima scuola normale del Sudamerica (1832) e il giornale «El Zonda» (1839). L’opera più importante è​​ Facundo o Civilización y barbarie​​ (1845). Con la documentazione di un viaggio di «esplorazione pedagogica» in Europa elabora gli scritti:​​ Informe presentado al ministro de Instrucción pública​​ (1848) e​​ De la educación popular​​ (1849). Come ministro dell’istruzione Pubblica e come presidente della Repubblica (1868-1874), dà un forte impulso alla creazione di centri educativi.

2. La proposta pedagogica di S. si innesta nel quadro dell’impegno politico. Il tema della scuola popolare diventa quasi un’ossessione; crede che «solo quando una grande aspirazione sociale si trasforma in mania, si riesce a farla istituzione, conquista». Per lui l’istruzione, sia pure elementare, costituisce un fattore determinante di sviluppo industriale e di progresso. Come obiettivo dell’educazione, indica la formazione del cittadino, cioè dell’uomo libero, nel possesso dei propri diritti, capace di lavorare per il bene di tutti e per se stesso. Mettendo un particolare accento sull’educazione delle donne, scrive che «si può giudicare il grado di civiltà di un paese dalla posizione sociale delle donne». Pur riconoscendo la sua opera di diffusione dell’istruzione, S. viene accusato di aver seguito spesso modelli stranieri. La sua proposta di «insegnamento gratuito, obbligatorio e laico» è oggetto di valutazioni contrastanti.

Bibliografia

Mantovani J. et al.,​​ S. educador,​​ sociólogo,​​ escritor,​​ político,​​ Buenos Aires, Argos,​​ 1963;​​ Verdevoye P.,​​ S. éducateur et publiciste,​​ Paris, Institut d’Études Hispaniques,​​ 1963; Pigna F.,​​ D.F.S. (1811-1888), in «El Historiador» (25.01.2007).

J. M. Prellezo​​ 




SCALE

​​ 

SCALE

1.​​ S. di valutazione.​​ Le s. sono strumenti che consentono di classificare, in una situazione tipificata, caratteristiche psicologiche, sociologiche ed educative (come​​ ​​ atteggiamenti, opinioni, attitudini) attraverso un’osservazione continuata. Le s. sono costituite da una lista di comportamenti, atteggiamenti o proprietà da osservare in cui si possono distinguere diversi livelli; riferendo le osservazioni alla s. si può formulare un giudizio sulla presenza, intensità e / o frequenza delle condotte rilevate.

1.1. Tipi di s. di valutazione.​​ Le s. si possono distinguere: a)​​ In relazione alle forme con cui si esprimono i livelli:​​ possono essere​​ descrittive​​ (rilevano dati classificandoli in categorie);​​ grafiche​​ (la diversa intensità di presenza di una caratteristica è simboleggiata da tacche lungo un segmento);​​ numeriche​​ (definiscono, usando un simbolo numerico, il grado con cui una caratteristica è presente). b)​​ In relazione ai metodi (di graduazione) usati per costituire i livelli (scaling). c)​​ In relazione a chi le compila:​​ si distinguono s. di autovalutazione da s. di eterovalutazione. d)​​ In relazione ai parametri di riferimento per i livelli​​ si distinguono in:​​ s. normative​​ (quando le prestazioni del singolo sono confrontate con quelle del gruppo di appartenenza);​​ s. ipsative​​ (quando il criterio di confronto sono le manifestazioni del soggetto stesso in momenti diversi).

1.2.​​ Caratteristiche psicometriche delle s.​​ Tali proprietà vengono determinate attraverso elaborazioni statistiche condotte su dati rilevati in campioni rappresentativi di popolazioni statistiche alle quali gli strumenti sono destinati. a)​​ La validità.​​ Una s. è valida se misura solo la grandezza per cui è stata costruita, se sono definite con precisione (teorica e operativa) la o le variabili che intende misurare. b)​​ La costanza (o fedeltà,​​ attendibilità):​​ 1)​​ degli osservatori:​​ è definita sulla base del grado di accordo raggiunto da osservatori che utilizzano la s.; 2)​​ della s.​​ (stabilità temporale o fedeltà test-retest). La s. è fedele se, utilizzata due volte nelle stesse condizioni, sugli stessi soggetti di cui si misurano tratti stabili, porta a risultati che differiscono solo per aspetti accidentali.

1.3.​​ Errori nell’uso delle s. e linee di soluzione.​​ Le s. si prestano ad un uso soggettivo. L’errore di generosità, di severità, o di tendenza centrale, l’effetto di alone o pervasivo di una caratteristica osservata sulle altre o l’errore logico legato alle aspettative dell’osservatore, possono interferire sulle osservazioni stesse. È utile quindi seguire, nella costruzione di s. per la ricerca educativa, alcune norme: identificare costrutti educativamente rilevanti, teoricamente ben definiti e traducibili in caratteristiche direttamente osservabili (indicatori); individuare modalità ben distinte per ogni dimensione (livelli); verificare psicometricamente lo strumento.

1.4.​​ S. usate nella ricerca scolastica. a)​​ S. Thurstone: è volta a rilevare l’atteggiamento di un soggetto nei confronti di un particolare argomento; il soggetto deve selezionare, tra una serie di asserzioni, quelle con le quali si trova in accordo. b)​​ S. Likert: si tratta di una s. graduata tramite avverbi e consiste in una serie di asserzioni rispetto alle quali il soggetto deve esprimere il proprio grado di accordo. c)​​ S. Guttman: si avvale di risposte dicotomiche e prevede una serie di asserti ordinati gerarchicamente a seconda dell’intensità della proprietà misurata nel soggetto. d)​​ S. Osgood: si basa su s. di giudizio bipolari (differenziale semantico) e ha lo scopo di rilevare il significato che i concetti assumono per un soggetto, facendo leva sulla componente affettiva.

2.​​ S. metrica dell’intelligenza.​​ Si attribuisce il nome di s. a una serie di problemi (test) che consentono di discriminare le prestazioni di soggetti secondo gradini o livelli. Classica la s. metrica dell’intelligenza di​​ ​​ Binet (1905) elaborata per individuare i bambini ritardati mentali.

3.​​ S. di misura.​​ A seconda della tipologia, i dati delle ricerche nelle scienze umane si possono distinguere come esiti di misure su «s. nominale», ordinale, di rapporti o di intervalli (​​ statistica).

Bibliografia

Bouvard M.,​​ Questionnaires et échelles d’évaluation de la personnalité, Paris, Masson, 2002; Borg I. - P. J. F. Groenen,​​ Modern multidimensional scaling: theory and applications, New York, Springer, 2005; Boncori L.,​​ I test in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2006.

C. Coggi​​ 




SCAUTISMO

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SCAUTISMO

Si tratta di un movimento che, occupandosi del​​ ​​ tempo libero dei ragazzi e dei giovani mediante l’individuazione di una proposta di vita semplice ma assai coinvolgente e di una metodologia adeguata alle diverse età fin dal 1908, anno della sua fondazione per merito di sir Robert Baden Powell, ha dato luogo a migliaia di associazioni caratterizzate territorialmente o per motivi religiosi.

1. La validità del movimento è dimostrata non solo dalla sua diffusione ma soprattutto dalla sua «tenuta» nel corso degli anni. C’è da dire anzi che, proprio in questi ultimi decenni esso ha registrato un successo senza precedenti che ha creato qualche problema organizzativo, tenuto conto che tutti gli educatori scout (i famosi «capi») operano volontaristicamente. In Italia operano due associazioni scout: il Corpo Nazionale Giovani Esploratori italiani (CNGEI) con più di diecimila iscritti; e l’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) che attualmente conta più di centomila aderenti. Entrambe queste associazioni partecipano all’Organizzazione internazionale del Movimento Scout che ha il compito di verificare la correttezza metodologica di ciascuna. Le associazioni scout, pur seguendo un’unica impostazione pedagogica, si strutturano in tre «branche»: quella dei lupetti / coccinelle, rivolta ai bambini dagli 8 agli 11 anni; quella degli «esploratori / guide», per i ragazzi dai 12 ai 16 anni; quella dei «rovers / scolte», per i ragazzi dai 17 ai 20 anni.

2. I principi fondamentali cui lo s. si rifà sono: l’autoeducazione​​ nel senso che il ragazzo è chiamato ad essere protagonista (peraltro non unico) della propria crescita; l’interdipendenza tra pensiero e azione​​ in quanto si realizza attraverso attività concrete ma sulle quali il ragazzo è invitato a riflettere criticamente; la​​ vita di gruppo​​ che consente a ciascuno (capi compresi) di sperimentare forme di vita fondata sul rispetto delle persone, senza esclusioni o emarginazioni; il​​ ​​ gioco inteso come momento fondamentale in cui attraverso l’avventura, l’impegno e la scoperta, il ragazzo sviluppa creativamente le proprie doti. D’altro canto lo s. è stato definito dallo stesso Baden Powell un​​ grande gioco;​​ la​​ vita all’aperto​​ attraverso cui gli scouts, piccoli e grandi, imparano l’essenzialità e la semplicità e scoprono la necessità di aiuto e rispetto reciproco fra l’uomo e la natura; il​​ servizio​​ verso cui il ragazzo scout è progressivamente portato, fino ad accettare come proprio modo di essere la disponibilità a mettere a disposizione degli altri, soprattutto di coloro che hanno più bisogno, le proprie capacità e la propria esperienza. Anche le dimensioni religiosa e politica sono ben presenti nello s. La prima che, al di fuori di forme di religiosità chiuse e faziose, stimola il ragazzo alla consapevolezza della necessità per lui di aprirsi all’universale e al trascendente. La seconda che, al di fuori di scelte partitiche specifiche, punta al superamento di ogni forma di individualismo, sollecitando a seconda delle età, ad un impegno concreto nella comunità, ispirato ad una fondamentale attenzione per la libertà di tutti e di ciascuno.

Bibliografia

Baden Powell R.,​​ S.​​ per ragazzi,​​ Roma, Nuova Fiordaliso, 1997; Bertolini P. - V. Pranzini,​​ S. oggi,​​ Bologna, Cappelli, ²1985;​​ Cherrutre M.-T.,​​ Le scoutisme au féminin: les guides de France,​​ 1923-1998, Paris, Cerf,​​ 2002; Schirripa V.,​​ Giovani sulla frontiera: guide e scout cattolici nell’Italia repubblicana (1943-1974), Roma, Studium, 2006.

P. Bertolini




SCETTICISMO

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SCETTICISMO

Posizione di chi non crede in verità assolute ed oggettive circa il senso ultimo della realtà e al massimo vede nel dubbio radicale e nella ricerca la forma cosciente del conoscere umano (dal gr.​​ sképsis =​​ dubbio, ricerca).

1. Nella storia del pensiero filosofico, si distingue lo s. antico da quello moderno. Il primo, più radicale ed antidogmatico, si riferisce soprattutto a Pirrone e al suo discepolo Timone di Fliunte (sec. IV e III a.C.), ad Arcesilao e Carneade dell’Accademia platonica (sec. III e II a.C.), con influenze su​​ ​​ Cicerone, e a Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico (sec. I a.C. e II d.C.). Il secondo, quello moderno, di cui si può considerare massimo esponente M. de​​ ​​ Montaigne, ammette la funzione morale della coscienza; e nella forma mitigata di D. Hume (1711-1776), il riferimento alle credenze e al senso comune per la vita pratica.

2. La soggettivizzazione delle idee e dei valori e una sottile vena di s. pervadono l’esistenza e la crescita personale nella società contemporanea, caratterizzata da una profonda differenziazione e complessificazione vitale e culturale: specie nell’adolescenza e nella giovinezza. Una risposta positiva a tale clima è certamente uno dei compiti primari dell’educazione contemporanea e dell’​​ ​​ orientamento formativo.

Bibliografia

Rensi G.,​​ Apologia dello s.,​​ Roma, Formiggini, 1926; Brezinka W.,​​ L’educazione in una società disorientata,​​ Roma, Armando, 1989; Popkin R. H.,​​ Storia dello s.,​​ Milano, Mondadori, 2000.

C. Nanni




SCHEDA DI VALUTAZIONE

 

SCHEDA DI VALUTAZIONE

Si tratta di uno strumento certificativo della valutazione scolastica adottato nel primo ciclo dell’istruzione. È stato introdotto in sostituzione della pagella scolastica con i voti in decimi, dalla L. 517 del 4.8.1977, che ne ha disposto l’uso. L’art. 4 della L. ha descritto la struttura della s. per la scuola elementare, l’art. 9 ha fatto altrettanto per la media. Con l’a.s. 1977 / 78 è stato proposto un primo modello; con il D.M. 5.11.85 è stata autorizzata nella scuola media una ricerca-azione per arrivare a un modello definitivo (D.M. 5.5.93), adottato in forma generalizzata nell’a.s. 1994 / 95. Nello stesso anno la scuola elementare ha introdotto un «documento di​​ ​​ valutazione», simile, nella struttura, a quello della media. Innovazioni analoghe erano da tempo presenti in scuole d’avanguardia, in vari Paesi europei e oltre oceano. La s. e il documento di valutazione, così come sono stati concepiti dalla L. 517, sono strumento ufficiale per informare in modo analitico e motivato le famiglie. Tale modello si propone di sintetizzare l’informazione sull’alunno negli elementi significativi, allo scopo di commisurare gli interventi alla situazione così rilevata. Famiglie e alunni devono contribuire con le informazioni in loro possesso. Sulla s.d.v. vengono riferiti sia i giudizi per disciplina, sia «una valutazione adeguatamente informativa sul livello globale di maturazione raggiunto». Con la 517 viene suggerito un tipo di valutazione formativa e sistemica, basato sulla collegialità, che prende come punto di riferimento la situazione di partenza dell’alunno e i traguardi da raggiungere, perché la pari opportunità dello sviluppo non resti una vaga aspirazione. L’adozione di questa innovazione ha richiesto ai docenti una rivisitazione dei problemi della valutazione specie se un approfondimento è mancato nel momento formativo. I modelli successivi di s. personale dell’alunno hanno previsto una contrazione progressiva delle informazioni. Con la Riforma Moratti la descrizione analitica dei processi di apprendimento è stata delegata al​​ ​​ portfolio. Attualmente la certificazione sta andando nella direzione della costituzione di dossier delle competenze (c.m. 28 del 15.3.07).

Bibliografia

Calonghi L. et al.,​​ La valutazione nella scuola media,​​ in «Studi degli Annali della Pubblica Istruzione» 16 (1993) 64, 3-417; Rossi P. G.,​​ Progettare e realizzare il portfolio, Roma, Carocci, 2005.​​ 

C. Coggi