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RICERCA EDUCATIVA / PEDAGOGICA

 

RICERCA EDUCATIVA /​​ PEDAGOGICA

Con la parola r. si vuol designare una riflessione sul fatto educativo condotta con appropriato metodo scientifico. I fatti educativi possono essere studiati: 1) sul piano teoretico, come fanno la​​ ​​ filosofia dell’educazione e la​​ ​​ pedagogia, allo scopo di stabilire lo statuto epistemologico proprio di questo tipo di conoscenza e i problemi assiologici e normativi; 2) sul piano storico (​​ storia della pedagogia) e su quello comparativo (​​ educazione comparata), per confrontare le concezioni e le istituzioni in senso diacronico (quelle emerse nel tempo), in senso sincronico, quelle disperse geograficamente; 3) sul piano empirico. Qui ci limiteremo a quest’ultimo tipo di r., caratterizzata dalla rilevazione diretta, sul campo, dei fatti educativi e scolastici. All’interno della r. empirica si possono distinguere: gli studi quantitativi da quelli qualitativi e quelli descrittivo-osservativi da quelli con intervento.

1.​​ R. quantitativa e qualitativa. La r.​​ quantitativa​​ ha come obiettivo quello di descrivere, prevedere o spiegare eventi osservabili, isolando i fattori in un contesto e studiandone le relazioni, attraverso misure e risultati numerici. Scopo della r. quantitativa è la definizione di modelli generali, che unificano e accomunano più casi. Per questo viene detta anche tradizionalmente nomotetica. Consiste nell’individuare e misurare le variabili e i loro legami nello studio della realtà empirica, sulla base di attese (ipotesi) che il ricercatore formula alla luce di teorie e di ricerche precedenti. Nella r. quantitativa si pianifica il controllo di ipotesi, accuratamente sviluppate e descritte, svolgendo i passaggi richiesti dalla logica, cioè secondo le fasi legittime del pensiero adulto che muove alla conquista d’una conoscenza. Si cerca quindi di corroborare o confutare le attese con la rilevazione di dati empirici. Obiettivo della r.​​ qualitativa​​ è invece quello di comprendere la realtà educativa indagata e approfondirne le specificità, mediante il coinvolgimento e la partecipazione personale del ricercatore. Ha dunque uno scopo idiografico, ha per oggetto di studio il particolare, il singolo o un gruppo. Tra i primi a citare l’esigenza di questa forma di r. è Dilthey, che sottolineava la necessità di comprendere (verstehen)​​ i fatti educativi badando all’intenzionalità tipica dei fatti umani. La r. qualitativa è tornata ad affermarsi e svilupparsi soprattutto dopo il 1970. Secondo questa prospettiva il fatto educativo va studiato nella sua globalità; le tecniche per conoscerlo si servono dell’empatia e dell’intelligenza induttiva e generalizzante. Cambiano le strategie per la raccolta dei dati e per la loro analisi, nonché i criteri per giudicare della validità dei risultati. In sostanza cambia l’impianto epistemologico.

2.​​ La r. di tipo descrittivo o osservativo e la r. con intervento.​​ Le r. descrittivo-osservative sono utili quando si vogliono studiare le condotte, senza perturbarne lo svolgimento naturale, o quando si intendono indagare fenomeni che sarebbe impossibile o immorale riprodurre. Le r. con intervento invece, una volta individuato un problema, prevedono l’introduzione di un cambiamento e la sua verifica.

3. La r.: diverse forme.​​ Ne indichiamo soltanto le più significative dal punto di vista pedagogico.

3.1.​​ Le forme di r. descrittivo-osservativa di tipo quantitativo sono: l’inchiesta (indagine), la r. con osservazione sistematica e alcune forme di r. valutativa. a) Le​​ inchieste​​ sono r. finalizzate a determinare il livello di una o più variabili e le loro relazioni in una data popolazione. Si attuano seguendo alcuni passaggi caratteristici. A partire da un problema che si vuole indagare e in seguito ad una adeguata ricognizione dello stesso in letteratura, si sceglie un campione rappresentativo della popolazione da studiare e tale da consentire la generalizzazione delle conclusioni a tutti i membri della medesima. Le informazioni raccolte devono essere​​ valide, in grado cioè d’informare sul fenomeno in oggetto, confrontabili e cumulabili. Per questo gli strumenti di rilevazione vanno collaudati e devono essere standardizzati. Abitualmente si adottano​​ ​​ prove oggettive o prove strutturate di profitto,​​ ​​ questionari,​​ check-list,​​ scale di prodotti o di giudizi. Dopo le somministrazioni, vengono impiegati sistemi di codifica e di elaborazione dei dati, che fanno ricorso a opportune statistiche per individuare le interrelazioni tra le variabili in gioco e la loro incidenza sugli esiti. Attualmente vengono condotte con relativa frequenza varie tipologie di inchiesta (survey) internazionali. Tra le​​ survey​​ internazionali sono significative quelle promosse dalla I.E.A. (International evaluation of achievement)​​ e le indagini​​ P.I.S.A.​​ (Program for International Student Assessment)​​ proposte dall’OCSE,​​ che confrontano il livello di competenza raggiunto in alcune discipline da campioni di alunni appartenenti a livelli scolastici o età prefissati in vari Stati. Tali studi adottano una metodologia accurata e una varietà di strumenti che consentono di raccogliere informazioni anche su di un vasto numero di variabili di sfondo e moderatrici, rispetto al fenomeno studiato. Le inchieste sono forme di r. quantitativa ed estensiva, che necessariamente approcciano la realtà che studiano in forma prevalentemente mediata. b)​​ La r. con osservazione sistematica​​ prevede la rilevazione diretta delle condotte dei soggetti presi in considerazione, attraverso l’utilizzo di strumenti strutturati di annotazione dei comportamenti. c) La​​ r. valutativa​​ è volta ad osservare e giudicare l’oggetto di r., spesso per intervenire poi con scopi di miglioramento. Prevede un insieme di procedure che permettono di formulare un giudizio su prodotti singoli (es. curricoli, libri di testo, ricerche…) o su strutture complesse, come le istituzioni scolastiche.

3.2.​​ Tra le forme di r. osservativa di tipo qualitativo, si possono citare: la r. etnografica e lo studio di caso. a)​​ La r. etnografica​​ ha lo scopo di delineare le caratteristiche di una cultura, di studiare una collettività, comprendendone le credenze, le abitudini comunicative, le convenzioni e i significati ad esse attribuiti e interpretando il punto di vista dei soggetti osservati. Implica che il ricercatore trascorra un periodo di tempo relativamente lungo con i soggetti da osservare, condividendo la quotidianità nel contesto scelto.​​ Lo studioso si sforza di cogliere il senso dei comportamenti attraverso le osservazioni che integra con le informazioni provenienti da altre fonti come il materiale documentario. Si tratta di una forma di r. di tipo antropologico, transitata relativamente di recente allo studio dei fatti scolastici. La r. etnografica non esige di norma ipotesi formulate in precedenza, lascia che siano i fatti osservati a suggerirle e modificarle man mano, non pretende di giungere a generalizzazioni, perché dà valore allo studio dei casi e giudica la qualità delle r. con criteri diversi da quelli della r. quantitativa. b)​​ Lo studio di caso​​ è​​ un’indagine empirica, condotta su un singolo soggetto, su un’istituzione o un evento (programmi, cambiamenti organizzativi…). Utilizza molteplici fonti di informazione, prevede una osservazione approfondita e prolungata di casi individuali, implica un accurato lavoro di analisi e di presentazione del materiale che riguarda il soggetto o il fenomeno studiato «in situazione» (in un contesto).

3.3.​​ Tra le forme di r. di tipo quantitativo​​ con intervento si può citare l’esperimento con le sue varianti. L’esperimento​​ è la pianificazione d’una r. che segue questo schema di ragionamento. Viene «messa alla prova un’ipotesi», attraverso l’introduzione di un cambiamento in una situazione e vengono valutati sistematicamente gli effetti provocati. Il ricercatore opera un mutamento nel valore di una variabile (detta variabile indipendente) e studia l’effetto prodotto su di un’altra variabile, detta dipendente. Le conclusioni vengono tratte in maniera probabilistica: gli esiti conseguiti possono infatti essere addebitati all’intervento introdotto, ma potrebbero anche derivare da fattori casuali che il ricercatore non è riuscito a tenere adeguatamente sotto controllo. Per garantire il più possibile la validità della r. occorre che la stessa segua fasi rigorosamente controllate. Va anzitutto scelto e formulato un problema, badando alla sua rilevanza teorica e / o pratica; va curato il reperimento delle conclusioni già acquisite o degli studi e ricerche condotti sull’argomento. Lo scopo del quadro storico-teorico è quello di trarre indicazioni per una più corretta formulazione del problema, sugli strumenti e sui procedimenti di rilevazione e sui risultati disponibili. Si formula dunque un’ipotesi che si intende controllare con la r. Si esplicita il quadro delle variabili connesse con l’ipotesi e si prepara concretamente la verifica sperimentale della stessa. Va individuato quindi un piano (design) sperimentale, che tenga conto della realtà in cui si opera, delle esigenze logiche connesse con la possibilità di concludere legittimamente sul rapporto esistente tra la variabile indipendente e quella dipendente. Per garantire la validità interna della r. occorre infatti controllare tutti i passaggi della stessa, neutralizzando l’azione di fattori spuri, evitando errori sistematici, riducendo il più possibile quelli casuali, in modo da raggiungere conclusioni con una probabilità soddisfacente. Di norma si accetta di incorrere in un errore non superiore al 5%. I piani sperimentali più noti sono: il piano a gruppo unico, quelli a due gruppi, a quattro gruppi, fattoriali e parziali. I piani più adottati nella r. scolastica sono: quello a gruppo unico, che lavora su un solo contingente di studenti in due tempi diversi, introducendo in sequenza i due fattori di cui si vogliono confrontare gli effetti, e quello a due gruppi, che utilizza due gruppi equivalenti, uno sperimentale e uno di controllo. Per costituire i gruppi occorre scegliere adeguatamente i soggetti sui quali svolgere lo studio. La r., infatti, di solito non può essere condotta sull’intera popolazione, occorre dunque individuare la porzione di individui su cui realizzarla (scelta del campione). Il campionamento è stato lungamente indagato per ridurre i costi e la durata degli studi senza far venir meno le condizioni che ne garantiscono la validità esterna, ovvero la possibilità di generalizzare i risultati raggiunti all’intera popolazione di riferimento. A tal fine occorre che il campione rappresenti adeguatamente le caratteristiche della popolazione. Questo si ottiene adottando campioni probabilistici (es. campione casuale semplice; sistematico; a gruppi o grappoli; a stadi, proporzionale e non proporzionale) Sono state studiate anche forme di esperimento con un «caso unico» ed elaborate statistiche per l’analisi dei loro risultati.

3.4. Tra le forme qualitative di r. con intervento ha assunto particolare rilevanza attualmente la​​ r.-azione​​ (action research), così denominata da​​ ​​ Lewin. Tale forma di r. viene oggi attuata in diverse varianti. È una forma di r. partecipativa, volta a risolvere un problema che si rileva in un contesto. Prevede che il ricercatore e gli operatori coinvolti nella situazione problematica prendano parte a tutte le fasi della r., al fine di migliorare la situazione stessa. È autoriflessiva, e così favorisce il miglioramento della professionalità degli operatori. Il suo obiettivo non è conoscere, ma operare, agire, migliorare le azioni. La r.-azione nelle realtà scolastiche richiede che siano i docenti stessi, presa coscienza della situazione, ad avviare lo studio insieme al ricercatore. Nella r.-a. si privilegia la ricostruzione documentata e ordinata del processo innovativo, con cui si affronta il problema e si ricorre a criteri di validità come la triangolazione, che implica il confronto tra i punti di vista di persone che occupano posizioni istituzionali diverse (Stenhouse). Non ci si preoccupa di generalizzare le conclusioni raggiunte, ma si cerca il miglioramento della situazione oggetto di studio e l’estensione degli esiti a contesti simili. La strumentazione da usarsi varia considerevolmente per potersi adattare agli scopi operativi, alla preparazione degli operatori, ai traguardi conoscitivi ritenuti adeguati.

4.​​ Conclusioni.​​ La r.e. si è preoccupata della varietà, della complementarità e completezza degli approcci. Storicamente si sono intensificati i tentativi di distinguere tra la riflessione personale e di gruppo sui fatti e la r. vera e propria, tra gli scopi operativi immediati e l’individuazione di costanti che, pur facendo spazio alle particolarità delle situazioni, consentano la cristallizzazione delle conoscenze. Progressivamente si sono integrate le diverse forme di r., al fine di dare risposte più adeguate a contemplare la complessità dei problemi educativi. Sul piano internazionale ci si preoccupa sempre più di dare alla r. una legislazione e organizzazione idonee ad assolvere i compiti che deve svolgere per la verifica dei risultati e per il miglioramento dei metodi, delle istituzioni e della qualità dell’educazione.

Bibliografia

Mayer R. et al.,​​ Méthodes de recherche en intervention social,​​ Montréal, Morin,​​ 2000; Flick U. - E. V. Kardoff - I. Steinke (Edd.),​​ Qualitative research: A handbook, London, Sage, 2002; Trinchero R.,​​ Manuale di r. educativa,​​ Milano, Angeli, 2002;​​ Gobbo F.,​​ Etnografia nei contesti educativi, Roma, CISU, 2003; Sorcio P.,​​ La r. qualitativa in educazione. Problemi e metodi,​​ Roma, Carocci, 2005; Coggi C. - P. Ricchiardi,​​ Progettare la r. empirica in educazione,​​ Ibid., 2005; Prellezo J. M. - J. M. García,​​ Invito alla r. Metodologia e tecniche del lavoro scientifico,​​ Roma, LAS,​​ 42007.

L. Calonghi - C. Coggi




RICHTER Johann Paul

 

RICHTER Johann Paul

n. a Wunsiedel nel 1763 - m. a Bayreuth nel 1825, poeta e pedagogista romantico tedesco.

1. Orfano e povero, R. (pseud.​​ Jean Paul), non poté concludere gli studi. Fu precettore, aprì una scuola e insegnò per anni. Fu poi aiutato da amici, tra cui Herder, fino alla morte, benché ormai famoso. Il suo scritto più noto in educazione è:​​ Levana​​ oder Erziehnlehre​​ (1807), tradotto anche in it. (Levana o dottrina dell’educazione:​​ varie ediz.), ma se ne occupa anche nei suoi romanzi.

2. Sotto l’influsso del​​ ​​ filantropismo, trattò, prima, del valore della poesia e di educazione nazionale, ma, con il​​ Levana,​​ che lo inserì tra i pedagogisti, centrò la sua attenzione sui​​ primi tre anni di vita,​​ ispirandosi a​​ ​​ Rousseau e a​​ ​​ Pestalozzi, soprattutto. Riconosce valore determinante a quell’età, dominata dal sentimento, da guidare e stimolare specie nell’espressione della gioia, mediante il gioco, e della serenità, mediante l’affetto e l’educazione etico-religiosa. È importante anche la disciplina e l’obbedienza, fondate però sull’amore, la fiducia e la riconoscenza. Alla madre spetta un ruolo privilegiato, come all’educazione femminile, che però non delinea. Fine dell’educazione è lo sviluppo delle tendenze e aspirazioni individuali, benché come risultato più di esplosioni affettive che di un processo continuo e progressivo. Distingue due classi di bambini: della Domenica e del Lunedì («Sonntags-und Montagskinder»),​​ ai quali compete un’educazione, rispettivamente, classica o linguistica.

3. Piuttosto frammentario e disorganico, scopre il valore, in specie, del 1° anno e tenta quasi una «didattica dell’infanzia». Il giudizio su di lui non è unanime, ma prevalentemente positivo.

Bibliografia

esiste un’ediz. critica in 9 voll.:​​ Jean Pauls sämtliche Werke,​​ Berlino, Preussische Akademie der Wissenschaften, 1927-1964; su R.: Gentile M. T.,​​ R.,​​ Brescia, La Scuola, 1951.

B. A. Bellerate




RIDUZIONISMO

 

RIDUZIONISMO

Posizione epistemologica secondo cui affermazioni o fenomeni di un certo tipo sono riconducibili e derivabili da altri considerati più fondamentali.

1. Nella prima fase del neo-positivismo le affermazioni scientifiche erano considerate ultimamente riportabili al linguaggio osservativo di base. Tuttavia il r. ha trovato una sede particolare nelle scienze della vita. Ne sono figura esemplare le classiche e contemporanee controversie tra r. e olismo. In biologia il r. meccanicista sostiene che i fenomeni vitali possono essere descritti e spiegati con affermazioni e leggi di tipo chimico-fisico. In campo psicologico il comportamentismo vecchio e nuovo spiega i processi psichici in termini neurofisiologici. Già A. Comte descriveva la società in termini fisici e J. O. de La Mettrie parlava di uomo-macchina. Ai modi del comportamento animale alcuni riportano la spiegazione delle condotte sociali.

2. Il r. è particolarmente importante in sede educativa. Da una concezione antropologica riduttiva seguirà facilmente un’immagine distorta di educazione, risolta di volta in volta, ad es., a puro allevamento o addestramento da forme di radicale biologismo antropologico; a puro decondizionamento da forme di radicale spontaneismo; ad addestramento ed apprendimento da forme di comportamentismo o tecnologismo; a​​ ​​ socializzazione da forme di sociologismo; ad educazione intellettuale da forme di razionalismo; ad educazione morale da forme di moralismo; a catechesi da forme di confessionalismo religioso; a competenze da forme di funzionalismo socio-economico.

Bibliografia

Agazzi E. (Ed.),​​ The problem of reductionism in science, Boston, Kluwer, 1991.

C. Nanni




RIFLESSIONE PARLATA

 

RIFLESSIONE PARLATA

La r.p. o verbalizzata è una forma di colloquio con cui si ottengono informazioni sui processi intellettuali e sulle strutture concettuali di un soggetto, stimolato a risolvere una situazione problematica. Si richiede all’intervistato di verbalizzare i ragionamenti che sta svolgendo mentre esegue un compito (un problema, la scelta di un titolo per una vignetta, ecc.). L’interazione è prevalentemente verbale, ma implica anche la rilevazione dei comportamenti osservabili di soluzione e i messaggi non verbali connessi (pause, ritmi dell’eloquio, ecc.).

1.​​ Evoluzione storica della tecnica.​​ Storicamente è stata sviluppata da​​ ​​ Claparède che la derivava dalla scuola di Würzburg. Lo strumento è stato ripreso da​​ ​​ Buyse che si è preoccupato soprattutto di affinare le tecniche di stesura del protocollo e di esplicitare le modalità di interrogazione per far emergere in modo analitico i ragionamenti, soprattutto assumendo stimoli di tipo scolastico. Allievi di Buyse come A. Bonboir, A. De Moraes e​​ ​​ Calonghi hanno ampliato i campi di utilizzo della tecnica e l’hanno affinata progressivamente. Alcuni cognitivisti come E. Gagné hanno ripreso lo strumento, valorizzandolo nella r. e riconoscendone la validità legata anche alla bassa distorsione dei ragionamenti, dovuta all’attenzione richiesta per la loro verbalizzazione. Ulteriori apporti sono stati dati da K. A. Ericsson e H. A. Simon per l’uso valido dei protocolli nella ricerca.

2.​​ Struttura dell’intervista.​​ La r.p. si presenta come una forma di​​ ​​ colloquio semistrutturato, preparato in base a un quadro teorico adeguatamente approfondito sui costrutti da far emergere, e centrato su una serie di situazioni-problema atte a condurre una verifica delle ipotesi in situazione critica, tale da far emergere i ragionamenti mentre si svolgono, attraverso domande graduate, frasi di rispecchiamento, parafrasi, messa in dubbio delle affermazioni. La r.p. viene condotta secondo le seguenti fasi: a) approfondimento teorico del tema e del problema su cui si intende indagare attraverso questo strumento; b) formulazione di ipotesi; c) elaborazione di situazioni che consentano all’alunno di manifestare il proprio modo di ragionare; d) definizione della struttura da attribuire al colloquio: può trattarsi di una struttura sequenziale a catena, ad imbuto (quando usata con scopi diagnostici), può presentare invece strutture ramificate, con ritorni sui problemi, nell’uso per il ricupero. La r.p. deve avere un’introduzione, che spiega il compito da svolgere e l’esigenza di verbalizzare i ragionamenti, un​​ corpus,​​ in cui si seguono con flessibilità i processi intellettuali dell’intervistato senza segnalare errori o limiti, e una​​ conclusione​​ che lasci l’interrogato gratificato del lavoro svolto; e) disposizione flessibile delle domande, chiare, adeguate al livello di maturazione cognitiva dell’intervistato, di retroazione o feed-back, di controllo, di rispecchiamento, di approfondimento, di verifica; f) controllo dei fattori che possono ridurre l’attendibilità del materiale raccolto; g) allestimento di tecniche di registrazione (audio e video, se possibile); h) definizione di un sistema di stesura del protocollo, che dovrebbe riportare: dati anamnestici sul soggetto intervistato tali da chiarire eventuali particolarità individuali e da fornire informazioni sulle variabili di sfondo; l’intera trascrizione dell’interazione, accompagnata da osservazioni raccolte durante lo svolgimento delle prove; eventuale materiale integrativo (disegni, schemi, ecc.); i) scelta di un sistema di trattamento delle risposte. Numerose sono però le variabili che possono ridurre l’attendibilità di una r.p. Per la maggior parte sono connesse con le caratteristiche dell’intervistatore​​ (stile relazionale, fluenza verbale, comunicazione non verbale, caratteristiche intellettuali e di personalità, conoscenza del grado di maturità dell’intervistato, competenza nei contenuti dell’intervista, pregiudizi). Altri fattori di disturbo sono connessi con l’impianto o la​​ struttura dell’intervista,​​ con la situazione-problema (motivazione suscitata, chiarezza, validità della prova); altre ancora riguardano le caratteristiche di chi viene interrogato.

3.​​ Utilizzo della tecnica.​​ Può essere un valido strumento, purché impiegato nel quadro di ipotesi teoricamente fondate. È stata utilizzata soprattutto nel settore della diagnosi degli errori ed è risultata uno strumento importante della ricerca qualitativa. Può essere trasformata in strumento di innovazione didattica se si prende un campione rappresentativo di studenti e si vede: a) quali tipi di errore possono esser indotti da un certo iter di apprendimento; b) quali nuove sequenze didattiche possono essere strutturate, basandosi sull’informazione fornita dall’iter di ricupero o di apprendimento individuale e collettivo con r.p. Altre possibili applicazioni si possono riscontrare nell’ambito delle ricerche sugli stili di​​ ​​ apprendimento, sulla comprensione della lettura e sulle competenze metacognitive sviluppate da un soggetto.

Bibliografia

Buyse R. - A. Bonboir,​​ Étude psychopédagogique des formes géométriques,​​ Bruxelles, CCUP, 1962; Claparède E.,​​ La genesi dell’ipotesi: uno studio sperimentale dei processi di pensiero,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1972; Calonghi L.,​​ Valutare,​​ Novara, IGDA, 1985;​​ Vermersch P.,​​ L’entretien d’explicitation, Paris, ESF, 2004.

C. Coggi




RIFORMA EDUCATIVA / SCOLASTICA

 

RIFORMA EDUCATIVA /​​ SCOLASTICA

È un cambiamento​​ importante e intenzionale​​ del​​ ​​ sistema formativo o di una sua parte. Quanto agli obiettivi e ai contenuti della r.e. in generale, si rimanda alla voce​​ ​​ sistema formativo, e alla voce​​ ​​ Italia per gli orientamenti specifici, mentre qui si tratterà solo delle strategie.

1. Sul piano organizzativo il modello tradizionale di r.e. consiste nella sua introduzione per​​ via d’autorità.​​ La generalizzazione della r.e. su tutto il territorio nazionale costituisce il vantaggio principale; al tempo stesso esiste il pericolo di un’osservanza solo formale da parte dei docenti perché non si è creato un consenso adeguato attorno alla medesima. Una seconda strategia, che si può definire​​ empirico-razionale,​​ consiste nella traduzione dei risultati della​​ ​​ ricerca educativa in prassi didattica per via di sperimentazione e nella diffusione dei processi innovativi nelle scuole. La procedura seguita, in quanto scientificamente corretta, assicura la validità della r.e.; problemi possono sorgere dalla resistenza che le scuole tendono ad opporre a cambiamenti che provengono da agenzie esterne come un istituto di ricerca. Dopo la delusione provata nei confronti delle r. globali venute dall’alto degli anni ’60 e ’70 del sec. scorso, il fulcro del rinnovamento si è spostato sull’​​ ​​ autonomia scolastica poiché le probabilità di successo di una r.e. sono maggiori quando l’insegnante e la comunità educativa ne sono partecipi, la sentono propria, hanno contribuito ad elaborarla, approvarla, attuarla. Il limite di tale strategia va visto nel rischio di una innovazione troppo disomogenea sul territorio nazionale.

2. Prevalentemente si tende a considerare i tre modelli come complementari. La ricerca ha anche messo in risalto alcune​​ condizioni​​ che paiono favorire il successo di una r.e.: l’impegno delle persone coinvolte, in particolare delle autorità al più alto livello; la rispondenza alle caratteristiche del contesto, soprattutto quelle culturali, per cui va vagliato con attenzione ogni prestito da altro Paese o ambiente; la stabilità del contesto; la previsione di correzioni in itinere negli obiettivi e nei contenuti; un’efficace​​ leadership​​ che deve assicurare la disponibilità delle risorse, la protezione da interferenze esterne, la motivazione del personale e la rimozione degli ostacoli amministrativi; la partecipazione degli insegnanti, degli studenti, dei genitori e della comunità locale; la professionalità del personale che deve essere già in possesso delle abilità richieste e / o che va preparato attraverso dimostrazioni pratiche e la guida di esperti presenti in loco; una valutazione continua.

Bibliografia

Ghilardi F. - C. Spallarossa,​​ Guida all’organizzazione della scuola,​​ Roma, Editori Riuniti, 1983; Thomas R. M., «Educational reforms, implementation of», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21994, 1852-1857; Everard B. - G. Morris,​​ Gestire l’autonomia.​​ Manuale per dirigenti e staff di direzione, Trento, Erickson,​​ 1999; Leithwood K. - P. Hallinger (Edd.),​​ Second international handbook of educational leadership and administration.​​ Part one and part two, Dordrecht, Kluwer, 2002; Sergiovanni T. J.,​​ Dirigere la scuola comunità che apprende, Roma, LAS, 2002.

G. Malizia




RISORGIMENTO

 

RISORGIMENTO

Nell’analisi e nell’interpretazione del R. è a lungo prevalso un criterio storiografico che sovrapponeva la progettualità e la conclusione unitaria alla questione educativa. L’elaborazione pedagogica e le realizzazioni educative sono state conseguentemente spesso esplorate secondo il loro grado di funzionalità rispetto allo svolgimento del processo di indipendenza e unità nazionale. Tutti i maggiori studiosi (da Vidari a Calò, compreso lo stesso Gambaro a cui si deve una sintesi storico-pedagogica tuttora di grande autorevolezza) sono stati influenzati, in misura diversa, da istanze e analisi di tipo risorgimentale.

1. Gli apporti storiografici più recenti preferiscono invece collocare la riflessione pedagogica e le esperienze educative sviluppatesi nella stagione risorgimentale in primo luogo nel novero dei fenomeni suscitati dalle trasformazioni culturali, politiche, sociali, produttive, religiose di quegli anni, contestualizzandole, dunque, non tanto in rapporto a quello che sarebbe stato poi il complesso e controverso esito unitario, quanto in stretta relazione ai mutamenti connessi all’incipiente manifestarsi della modernità. Questo approccio consente di sfuggire ad un duplice rischio: d’un lato, che i contributi dei singoli protagonisti siano letti e interpretati secondo una prevalente e talora esclusiva categoria politica e, dall’altro, che le varie realtà regionali siano comprese nella loro specificità senza cadere nella manichea distinzione di approvazione o condanna a seconda che l’ipotesi risorgimentale-liberale sia stata più o meno presente nei rispettivi programmi. Proprio le diverse storie regionali ci consentono di verificare, inoltre, che se l’esperienza risorgimentale fu complessivamente ispirata a forte sentimento nazionale, ciò non impedì, tuttavia, che essa si sia svolta con modi e approcci differenziati in rapporto alle specifiche tradizioni locali. Questo dato risulta particolarmente significativo in campo pedagogico e scolastico ove interagirono differenti culture educative, da quella piemontese che guardò preferenzialmente alle esperienze svizzere e francesi, a quella lombarda e veneta sensibile alla tradizione mitteleuropea, a quella toscana che si costituì facendo riferimento ad una pluralità di apporti di respiro europeo.

2. Uno dei tratti caratterizzanti la stagione risorgimentale è rappresentato da una pedagogia connotata in senso fortemente popolare. Gli anni della rivoluzione e l’età napoleonica avevano mostrato la vitalità e la forza non solo dei ceti alto-borghesi, ma anche di quella piccola borghesia e degli strati alti dei ceti popolari che, a lungo marginali, si stavano, talvolta disordinatamente, affacciando sulla scena della storia e che avrebbero potuto portarvi il proprio fattivo apporto o contribuire a far precipitare la società nel disordine. Da​​ ​​ Cuoco in poi il problema dell’educazione popolare è al centro delle riflessioni e delle preoccupazioni educative tanto di reazionari a tutto tondo, come Monaldo Leopardi (che poneva tra le principali cause dei mali del mondo non soltanto le libertà costituzionali, ma anche la diffusione dell’istruzione), quanto, più costruttivamente, di moderati e democratici. Il progetto educativo dei democratici (Mazzini, Cattaneo, Mayer) puntava, per es., ad associare strettamente iniziativa politica e riflessione pedagogica, sulla linea già tracciata, invero con intenti moderati, dal Cuoco nel​​ Saggio sulla rivoluzione napoletana​​ e negli scritti sul «Giornale Italiano». L’anima moderata del R., a sua volta, guardava al popolo con altri sentimenti, non contraddittori, ma certamente diversi dalla prevalente lettura politico-pedagogica dei democratici. Alla base dell’iniziativa del riformismo moderato stavano sentimenti e atteggiamenti caritativi e filantropici attraverso cui ci si proponeva di sconfiggere in primo luogo il pauperismo, fonte di malessere sociale, di ignoranza e di miseria materiale e morale. Gli​​ ​​ Aporti, i Lambruschini, i Capponi, i Tommaseo, i Rosmini guardavano, in particolare, all’istruzione come ad un potente mezzo d’incivilimento. Essi avevano ben presente che i Paesi europei più progrediti potevano contare su una fitta rete di scuole. Il moltiplicarsi di asili infantili, la creazione di un vero e proprio sistema di scuole elementari e professionali, la scoperta della «gioventù povera e abbandonata» come di una nuova categoria di «poveri» verso cui si devono esercitare specifiche cure formative, rappresentano soltanto alcuni dei tasselli attraverso cui si costruisce una pedagogia centrata sulla fiducia nell’educabilità dell’uomo, sulla prevenzione piuttosto che sulla repressione, sul rispetto della tradizione religiosa, sullo stretto confronto con le trasformazioni produttive in corso (basterebbe ricordare in tal senso la lezione degli «Annali Universali di Statistica»).

3. Nell’uno come nell’altro caso la pedagogia è innervata di una forte tensione spirituale e religiosa, così da poter individuare nella dimensione della spiritualità e della religiosità la seconda forte caratteristica della pedagogia del R. L’uomo è concepito, con evidenti tratti romantici, come cuore, fede, sentimento e la sua educabilità è riposta proprio nella possibilità di incidere nella sua interiorità. In Mazzini si tratta di una religiosità immanente e laica capace di orientare la libertà dell’individuo secondo un fine sovraindividuale. Negli esponenti della cultura cattolico-liberale la religiosità si richiama al principio paolino della carità attiva, capace di manifestare con le opere la forza rinnovatrice del Cristianesimo. Si tratta di una religiosità non rinchiusa su se stessa, ma aperta al confronto con il nuovo che si sta definendo e disponibile, perciò, a misurarsi anche con le libertà moderne nella convinzione che la forza del bene è tale da essere in grado di assicurare lo sviluppo ordinato della società. Un progetto ambizioso e complesso destinato a incontrare difficoltà, diffidenze e resistenze (la vicenda umana, prima ancora che culturale, dello stesso​​ ​​ Rosmini costituisce, a questo riguardo, un caso tanto doloroso quanto emblematico) nel momento in cui, radicalizzatosi lo scontro tra Stato e Chiesa a partire dal terreno educativo, i vertici ecclesiastici tenderanno a rinchiudersi in modo difensivo e a diffidare della modernità e, in particolare, delle libertà che presumono di potersi costituire in forma indipendente dalla rivelazione cristiana.

4. Resta, infine, da segnalare una terza e decisiva caratteristica della riflessione educativa della stagione risorgimentale. Essa consiste nella funzione pedagogica attribuita ai ceti aristocratici e all’alta borghesia nei confronti delle classi popolari. Dovendo definire in che modo si debba realizzare la «popolarità» nell’educazione, uno dei periodici pedagogici più autorevoli e significativi del tempo, «L’Educatore Primario» di Torino, affermava che «la vera popolarità è quella che ha per iscopo di istruire il popolo, non quella di prendere dal popolo le sue stesse idee, poche e semplici, indefinite, esclusive e imperfette e avvolte in un mare di parole e di frasi». La pedagogia del primo Ottocento mentre riconosce il diritto di cittadinanza anche ai ceti subalterni, non giunge tuttavia ad ammettere la capacità autoeducativa del popolo, neppure nelle componenti democratiche: Mazzini, Gioberti, Cavour, Tommaseo in modo e con sfumature certo diverse, convengono tuttavia sulla necessità che il popolo sia «educato» e cioè governato e guidato con prudenza e amorevolezza e, attraverso tale via, possa giungere ad esplicare tutte le proprie potenzialità positive. Soltanto nel rispetto dell’ordine è infatti possibile che esso assuma le responsabilità che pur gli toccano nella vita sociale e produttiva. Si definisce in tal modo un doppio principio di lealtà e di partecipazione alla vita sociale e politica destinato ad imprimere un carattere oligarchico allo sviluppo del processo unitario: una cittadinanza piena riconosciuta ai ceti dirigenti, una cittadinanza dimezzata e «in prova» propria delle classi subalterne. Democratici e moderati si differenziano non tanto sul principio in sé, né sulle modalità di passaggio dall’uno all’altro tipo di cittadinanza (regolato da una legge di cooptazione sociale più che sulla base di un «diritto») quanto piuttosto per i tempi e le caratteristiche delle sue dimensioni.

5. Per la piena comprensione degli sviluppi dei processi di​​ ​​ alfabetizzazione e scolarizzazione che si compiono in età risorgimentale non si può infine prescindere da una circolazione pedagogica «povera» – che si svolge cioè senza approfondite elaborazioni teoriche – che tuttavia costituisce una pagina importante nella storia educativa dei ceti popolari. Essa si manifesta attraverso la presenza attiva di sacerdoti, aristocratici, laici, nuove congregazioni religiose che, nel reagire al flagello rivoluzionario, si propongono di «educare il popolo» non soltanto mediante le pratiche religiose e devozionali, ma anche attraverso la cura dei bambini, l’istruzione dei fanciulli e delle fanciulle, l’avviamento al lavoro, le attività ricreative. I loro punti di riferimento sono il principio della perfezione cristiana e le conseguenti prassi disciplinatrici segnate dalla amorevolezza, dalla correzione fraterna, da una disciplina severa, ma non violenta. Lungo è l’elenco delle iniziative intraprese in varie parti d’Italia tra cui spiccano quelle dei fratelli Cavanis (Venezia), Pietro Leonardi e Nicola Mazza (Verona), Luca Passi e Lodovico Pavoni (Brescia), i marchesi Falletti di Barolo, don Cocchi e don​​ ​​ Bosco (Torino), Luigi Aiello (Napoli), Antonio Lombardo (Palermo) e molti altri. Questo breve elenco non rende che in modo molto parziale il fervore dei promotori. Tra il 1800 e il 1860 sorsero infatti in Italia oltre 140 nuove congregazioni religiose con prevalenti scopi educativi che andarono a incrementare la presenza di quegli ordini religiosi di più antica data da tempo impegnati in questo campo.

Bibliografia

Vidari G.,​​ L’educazione in Italia dall’Umanesimo al R.,​​ Roma, Optima, 1930; Borghi L. (Ed.),​​ Il​​ R.,​​ Firenze, Giuntine-Sansoni, 1958; Picco I.,​​ La scuola nel R. Nascita della Scuola Nazionale,​​ Roma, Armando, 1961; Gambaro A., «La pedagogia italiana nell’età del R.», in​​ Questioni di storia della pedagogia,​​ Brescia, La Scuola, 1963, 407-664; Calò G.,​​ La pedagogia del R.,​​ Firenze, Sansoni, 1965; Chiosso G. (Ed.),​​ Scuola e stampa nel R. Giornali e riviste per l’educazione prima dell’Unità,​​ Milano, Angeli, 1989;​​ Scirocco A.,​​ L’Italia del R. (1800-1860),​​ Bologna, Il Mulino, 1990; Pazzaglia L. (Ed.),​​ Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione e Unificazione,​​ Brescia, La Scuola, 1994; De Giorgi F.,​​ Cattolici ed educazione tra Restaurazione e R., Milano, Isu-Università Cattolica, 1999; Chiosso G.,​​ Profilo storico della pedagogia cristiana in Italia​​ (XIX e XX secolo), Brescia, La Scuola, 2001, 11-88.

G. Chiosso




RISORSE EDUCATIVE

 

RISORSE EDUCATIVE

Per r.e. si può intendere un mezzo, una competenza esperta o anche un oggetto concreto nei quali sono contenute esperienze, conoscenze e / o informazioni ritenute importanti per affrontare situazioni e risolvere i problemi di tipo educativo. Le r.e. sono comunque tali quando si rivelano esplicitamente finalizzate e utilizzabili per un singolo o gruppo (di giovani ed adulti), in situazione apprenditiva o formativa.

1.​​ Accesso e utilizzo delle r.e.​​ Le r.e. possono essere prodotte e disponibili nei sistemi formativi e culturali istituzionali (come la scuola, i musei, le biblioteche, le ludoteche, i centri locali di r.) o negli ambienti educativi formali (come la famiglia), oppure ancora nei contesti non formali e informali (come la comunità locale, l’associazionismo, il privato sociale, i mezzi di comunicazione sociale…). Esse possono essere fruite oggi sia in presenza, a livello prossimale o territoriale, sia essere rese accessibili a distanza (in forma digitale). L’insieme delle varie agenzie educative presenti a livello locale possono esercitare iniziative congiunte a finalità formativa, elaborando, condividendo e diffondendo r.e., in una logica di rete, di integrazione e di sussidiarietà. Chi decide sull’interesse e il valore di una r.e.? Nel caso ad es. di una scuola, è generalmente un gruppo di adulti impegnati in ruoli formativi (come gli insegnanti), ad assumersi la responsabilità della loro scelta. Il criterio sul quale si decide tale attribuzione è la rilevanza educativa riconosciuta ad uno specifico oggetto o esperienza. Il valore d’importanza attribuito ad una r. è, dunque, un giudizio basato su un ruolo sociale determinato. Ad es., quando i docenti di una classe decidono di dotare la classe di una piccola biblioteca scegliendo quali libri inserire, tale decisione è basata da un lato sulla posizione sociale dell’insegnante, dall’altro sulla competenza a lui riconosciuta. Si prenda in considerazione un altro esempio più complesso. Ad un gruppo di docenti di una rete di scuole si offre la possibilità di partecipare ad un progetto di​​ ricerca-azione​​ per lo​​ studio e l’implementazione di metodologie didattiche attive. I docenti progettano le attività didattiche con lo scopo di proporle alle classi. I docenti possono ricevere due​​ servizi formativi:​​ assistenza alla progettazione delle attività; valutazione e raccolta di evidenze sulla base delle quali valutare l’efficacia degli interventi didattici. Il progetto di ricerca-azione è informato da un’idea di «pedagogia orientata alle r.». In questo caso, le r. fornite sono di due tipologie:​​ r. per la progettazione,​​ r. per la verifica.​​ Le prime consistono nella presentazione di modelli di attività didattiche e nella consulenza ai fini di un adattamento ai contenuti disciplinari e al contesto classe. Le seconde sono modalità di valutazione e analisi dei risultati ottenuti dagli studenti. In questa prospettiva, la ricerca-azione è stata interpretata come un’opportunità mediante la quale favorire l’accesso, da parte dei docenti, a specifiche​​ r. professionali.

2.​​ R. e contesti educativi nella «società della conoscenza».​​ Con il pieno affermarsi della società della conoscenza e di​​ Internet​​ come luogo di organizzazione spontanea di​​ reti di relazione sociale​​ (social network)​​ e come ambiente nel quale miliardi di informazioni sono reperibili con una certa facilità, il concetto di r. acquisisce una sua autonoma identità. In questa situazione una parte considerevole di interazioni conoscitive si svolge in relazione a​​ r. digitali.​​ Esse hanno un significato direttamente riscontrabile nell’esperienza soggettiva: si sente l’esigenza di reperire e organizzare informazioni ritenute rilevanti in relazione a scopi personali, anche in chiave di auto-formazione. I​​ contenuti​​ delle r. digitali sono molto eterogenei, come ad es. documenti, articoli e libri, messaggi presenti in gruppi di discussione, forum e blog, file audio, video e immagini. Tali oggetti richiamati sono facilmente reperibili, ma non sempre altrettanto significativi sul piano educativo: di qui l’importanza di una mediazione educativa che assicuri un vaglio critico e che attribuisca ad essi un valore d’uso formativo. Le r.e. di tipo digitale sono anche i​​ mezzi tecnologici​​ che permettono di connettere e organizzare le relazioni tra molti soggetti. Queste sono strettamente legate ad una concezione della​​ Rete​​ di tipo collaborativo e costruttivo. Ci si basa soprattutto sulla disponibilità di​​ strumenti on-line​​ che rendono facile la creazione e la condivisione di contenuti (testi, audio, video). L’aspetto della condivisione si situa all’interno del più vasto tema dei​​ social software.​​ Questi aggregano​​ attenzione umana​​ e forniscono la sintassi relazionale per​​ oggettivizzare​​ bisogni fondamentali​​ quali l’appartenenza, l’identità, il riconoscimento reciproco, la realizzazione di sé. È dentro questo campo di elementi che si muove l’esperienza di una parte sempre più consistente di giovani e di adulti, che sono chiamati ad integrare sempre più apprendimenti informali e non formali, elaborando nuove conoscenze, modelli culturali, convinzioni e atteggiamenti. In tale prospettiva appare importante sul piano educativo garantire (attraverso adeguate politiche) non solo un accesso alle r., ma anche un accompagnamento critico (attraverso mediatori educativi specializzati), in grado di sostenere i progetti di sviluppo personale e professionale.

Bibliografia

Sergiovanni T.J.,​​ Costruire comunità nelle scuole, Roma, LAS, 2000; Galliani L.,​​ La scuola in rete, Bari, Laterza, 2004; Rullani E.,​​ Economia della conoscenza, Roma, Carocci, 2004; Bonaiuti G.,​​ E-learning 2.0. Il futuro dell’apprendimento in rete tra formale ed informale, Trento, Erickson, 2006; Frabboni F. - F. Pinto Minerva,​​ Introduzione alla pedagogia generale, Bari, Laterza, 2006.

A. Salatin




RISULTATI SCOLASTICI

 

RISULTATI SCOLASTICI

I r.s. sono esiti complessivi della valutazione degli allievi, utili per definire in maniera globale il livello di acquisizione conseguito dallo studente confrontato con standard e / o attese dei docenti. I r.s. sono valori che stanno acquisendo sempre maggiore importanza, non solo più in un’ottica certificativa ma anche in una prospettiva formativa e sistemica. Da un lato sono infatti utili al docente per monitorare gli effetti delle azioni didattiche pianificate e attuate, dall’altro sono elementi indispensabili per valutare la capacità di un sistema formativo di raggiungere i​​ target​​ quantitativi e qualitativi prospettati dalle politiche scolastiche.

1. La​​ ​​ valutazione dei r.s. per un docente è commisurata alla​​ ​​ programmazione e ne costituisce lo strumento di verifica e di costante adattamento. Per questo deve essere fatta tempestivamente e in modo continuo e deve essere portata, con chiarezza, a conoscenza anche dell’alunno, delle famiglie, dell’organizzazione scolastica e sociale perché ognuno, per la parte che gli spetta, possa collaborare al buon esito degli sforzi concordati e possa impegnarsi in progetti mirati e pertinenti. Gli standard prospettati nella​​ ​​ programmazione devono essere commisurati alla situazione di partenza, alle possibilità e particolarità d’ogni alunno, alle domande di formazione ineludibili e devono essere tali da rispondere ad autentiche esigenze d’uguaglianza.

2. I r.s. hanno subito un processo d’analisi chiarificatore. Da una formulazione sincretica, espressa genericamente in un voto o in una qualifica, ci si è avviati alla redazione di giudizi, profili e rubriche che elencano le dimensioni ritenute culturalmente essenziali per ogni disciplina; si è cercato di individuare le strategie e i ritmi diversi per giungere ai traguardi; e questi sono stati definiti operativamente in modo che se ne avvantaggiasse la comunicazione, la programmazione e la valutazione degli sforzi. Non ci si è interessati solo agli esiti (definiti un tempo in termini di obiettivi da raggiungere, oggi di​​ ​​ competenze) ma si è dato rilievo anche ai processi, si è allargato e approfondito il quadro dei fattori e la loro valutazione. La riflessione sui r.s. richiede necessariamente di interrogarsi sul tipo di cultura che il sistema scolastico intende promuovere ai diversi livelli, sulle competenze irrinunciabili da garantire e sugli strumenti in grado di rilevarle in modo affidabile. Queste scelte informano le inchieste nazionali e comparative sui r.s., i cui esiti tendono ad influenzare la didattica e le prassi valutative dei docenti. Il discorso sui r.s. guadagnerà molto dal riconoscimento della dimensione filosofica di tali problemi, se non indulgerà a prese di posizione riduttivistiche, solo tecniche o efficientistiche.

Bibliografia

Aussanaire M.,​​ Vaincre l’échec scolaire,​​ Bruxelles, De Boeck, 2000; Crahay M.,​​ Peut-on lutter contre l’échec scolaire?,​​ Ibid.,​​ 22003;​​ Postlethwaite T. N.,​​ Monitoring educational achievement,​​ Paris, UNESCO, 2004;​​ Lessard C. - P. Meirieu,​​ L’obligation de résultats en éducation: évolutions,​​ perspectives et enjeux internationaux, Bruxelles,​​ De Boeck, 2005; Baker J. M.,​​ Achievement testing, New York, Lang, 2006.

L. Calonghi - C. Coggi




RITARDO PSICOLOGICO

 

RITARDO PSICOLOGICO

Più comunemente si parla di r. mentale o​​ ​​ r. scolastico con significati specifici dai quali si distingue quello del r.p. da intendere come insufficiente sviluppo nell’apprendimento scolastico, rispetto ai soggetti della stessa età, accompagnato dall’assenza o carenza della motivazione, dall’inadeguatezza nelle capacità cognitive, nella comunicazione, nell’autonomia.

1. Il r.p. così inteso è spesso collegato ai suddetti r. e viene a coincidere con l’insuccesso o disadattamento scolastico (​​ handicap). I soggetti ritardati nell’apprendimento facilmente sono portati a soffrire un r. scolastico, quindi o a ripetere classi, abbandonare la scuola o a essere emarginati dentro la stessa classe. Non raramente si constatano, in essi, una percezione carente e confusa, l’incapacità di concentrazione prolungata, la carenza di interesse, di curiosità, di motivazione, di abilità verbali e di comunicazione, l’impulsività, l’incapacità di astrazione, di organizzazione, di confronto, di interiorizzazione, ecc.

2. Bisogna ricordare che i termini relativi ai diversi tipi di r. sopra menzionati vengono utilizzati con accezioni varie, restrittive o ampie a seconda delle cause ad essi attribuite, congenite o esogene o anche tutte e due. In realtà, il r.p. nell’apprendimento può dipendere da vari fattori: dal deficit d’intelligenza congenito, dalla deprivazione culturale, quindi dall’assenza di una opportuna mediazione, dagli aspetti non cognitivi o dalla combinazione di tutti questi elementi. A ciò andrebbe aggiunto il fattore dell’incapacità della scuola e dell’insufficiente professionalità docente, ossia la mancanza di un’impostazione didattica individualizzante e di un adeguato sistema di valutazione in funzione pedagogica. È ovvia, in questi casi, la conferma della teoria del deficit cumulativo, cioè la tendenza ad aggravarsi del deficit nonostante la scolarizzazione.

3. Un recupero totale del r.p. è difficile, ma può essere possibile se si interviene precocemente. Il concetto di modificabilità cognitiva sostenuto da più studiosi si addice maggiormente ai r. dovuti a cause ambientali. È importante identificare precocemente le funzioni carenti, in modo da fornire gli interventi appropriati nel momento opportuno. Ogni intervento tardivo, sebbene mai inutile, è condannato ad un successo solo parziale. Sono note al riguardo alcune iniziative promosse sia come dépistage precoce (l’esempio francese), sia anche come progetti di educazione compensativa (Compensatory education) soprattutto in area anglosassone a cui si collega l’esperienza prolungata di R. Feuerstein nei confronti dei soggetti socio-culturalmente svantaggiati. Il problema del r. nell’apprendimento va dunque analizzato da vari punti di vista. Per la sua soluzione ha una grande rilevanza l’azione educativo-didattica e di ciò la scuola deve essere consapevole. È necessario rendere effettiva la caratterizzazione democratica della scuola, che è scuola di tutti e di ciascuno, capace di sviluppare le potenzialità di ognuno nella prospettiva di umanizzazione, approntando una didattica per ogni soggetto, offrendo a ciascuno strategie idonee a sviluppare sia le capacità cognitive e comunicative, sia la fiducia in se stesso e l’autonomia. Occorre insegnare come apprendere in modo autonomo: imparare come imparare.

Bibliografia

David H. P. (Ed.),​​ Child mental health in international perspective, New York, Harper & Row, 1972; Gay R.,​​ Dallo svantaggio all’insuccesso,​​ condizionamenti socio-culturali e responsabilità del sistema scolastico, Milano, Fabbri, 1978; Feuerstein R.,​​ The dynamic assessment of retarded performers. The learning potential assessment device,​​ theory,​​ instruments,​​ and techniques, Baltimore, University Park Press, 1979; Passow A. H. - M. Goldberg - A. J. Tannenbaum,​​ L’educazione degli svantaggiati, Milano, Angeli, 1983; Bonansea G. - S. Damnotti - A. Picco,​​ Oltre l’insuccesso scolastico. Analisi e proposte didattiche, Torino, SEI, 1986.

H.-C.A. Chang




RITARDO SCOLASTICO

 

RITARDO SCOLASTICO

Per r.s. si intende il rallentamento nella carriera scolastica ufficialmente stabilita in un sistema d’istruzione e che è scandita dalla progressione dell’età cronologica e dal passaggio da una classe all’altra.

1. Il r.s. si misura in anni ed è dato dallo scarto tra classe effettivamente frequentata e classe che teoricamente dovrebbe essere frequentata. Il r.s. può essere in relazione al r. fisico, intellettuale, affettivo e sociale. Va comunque tenuto presente che i​​ ​​ test d’intelligenza (F. Galton, A. Binet) raccolgono critiche in campo psicopedagogico che invitano a non associare necessariamente il r.s. al r. psicofisico, essendo il primo forma distinta e specifica riferita ai fenomeni di dispersione scolastica (r., ripetenza, interruzione, abbandono, irregolarità, assenza) che implicano la considerazione di fattori causali di natura ambientale e familiare.

2. Le cause del r.s. sono da attribuire anche alla qualità della relazione scuola-famiglia e alle condizioni strutturali dell’insegnamento-apprendimento. Il r.s. manifesta l’azione selettiva della scuola nei confronti dei soggetti che non raggiungono i traguardi formativi programmati per anno, per classe, per ciclo di studio e che quindi vanno incontro all’​​ ​​ insuccesso scolastico. Nel corso del tempo la scuola ha adottato forme di istruzione promozionali e di orientamento più che punitivo-selettive, avviandosi ad una graduale diminuzione della popolazione scolastica in stato di r. nella scuola dell’obbligo. La coscienza civile del diritto all’istruzione ha favorito l’aumento della responsabilità della scuola e della partecipazione della famiglia alla questione educativo-formativa. Ciononostante le ricerche sui​​ drop-out,​​ soprattutto nella scuola media e secondaria, continuano ad evidenziare seri problemi di demotivazione allo studio, di scarsa fiducia nell’istituzione educativa, di mancanza di relazioni significative tra docenti e discenti, di carenza organizzativo-strutturale, di emarginazione sociale. In Italia il r.s. colpisce soprattutto i ragazzi delle classi di passaggio da un livello all’altro di scuola (prima media, primo anno della secondaria), delle aree geografiche del Sud. Dal 27°​​ Rapporto Censis​​ sulla situazione sociale del Paese, 1993, risulta inoltre che la regolarità nei percorsi di studio degli studenti stranieri nel ciclo dell’obbligo è più alta nell’Italia settentrionale.

Bibliografia

Avanzini G.,​​ L’insuccesso a scuola, Napoli, Dehoniane, 1972; Malizia G. - S. Chistolini (Edd.),​​ Drop-out non più. L’abbandono nel biennio a Verona: un’indagine e una sperimentazione, Roma, LAS, 1985; Bucciarelli C. et al.,​​ La dispersione scolastica in Italia in aree di rischio e disagio educativo. Rapporto finale complessivo, Roma, Ministero della P.I. / Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990; Chistolini S.,​​ Interventi metodologici per adolescenti poco motivati allo studio, in «Rassegna CNOS» 16 (2000) 1, 48-61.

S. Chistolini