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RAGIONAMENTO

 

RAGIONAMENTO

Se un tempo il r. umano è stato ordinariamente campo di indagine della riflessione filosofica oggi è diventato anche oggetto di studio della ricerca psico-pedagogica interessata a scoprire le modalità concrete e le strategie per migliorare le potenzialità soggettive del r.

1.​​ Il r. sillogistico.​​ Sebbene la capacità di r. sia molto complessa, variegata ed estesa, la ricerca si è focalizzata spesso sul r.​​ sillogistico​​ perché permette un esame più controllato delle capacità razionali dell’uomo. Il sillogismo è un r. che si compone di due premesse ed una conclusione e si è soliti evidenziare la distinzione esistente tra r. induttivo e deduttivo. Il primo è anche indicato come​​ reasoning up:​​ il processo mediante il quale da esempi o esperienze particolari si giunge ad affermazioni generali. Il secondo è descritto come​​ reasoning down:​​ un processo mediante il quale da premesse generali si giunge ad affermazioni particolari. Il sillogismo​​ deduttivo​​ è corretto se la conclusione è valida ovvero se questa è inclusa nelle premesse. Se le premesse sono vere anche la conclusione valida sarà vera. Se le premesse sono false anche la conclusione che è valida sarà falsa. Nel sillogismo deduttivo è necessario distinguere validità da verità della conclusione. Il r. sillogistico deduttivo può assumere tre diverse forme: categoriale, lineare e condizionale. I sillogismi​​ categoriali​​ sono chiamati così perché gli operatori di quantità (alcuni, tutti e nessuno) sono presenti sia nelle premesse che nella conclusione. I sillogismi​​ lineari​​ permettono di ordinare in modo chiaro e preciso più informazioni fornite in un modo concatenato. I sillogismi​​ condizionali​​ sono rappresentati da eventi che sono dipendenti o conseguenti al verificarsi di altri. Essi sono espressi mediante le proposizioni «se» e «allora». La prima parte del sillogismo è chiamata «antecedente»; la seconda «conseguente». Sull’interpretazione del modo in cui la mente giunge a delle conclusioni valide e sicure si sono sviluppate recentemente tre teorie: a) la mente umana sarebbe «naturalmente» fornita delle regole della logica formale (Rips, 1983); b) la mente agirebbe con regole inferenziali «sensibili al contenuto» o regole che fanno riferimento a «schemi di un ragionare pragmatico» (Cheng-Holyoak, 1985); c) la mente nel ragionare seguirebbe «modelli di rappresentazione del mondo» piuttosto che le strutture del linguaggio utilizzato per descriverlo (Johnson-Laird - Byrne, 1991).

2. Il processo di induzione.​​ È così pervasivo nella vita di ogni giorno che si può dire che molte delle nostre conoscenze siano conclusioni di induzioni. La capacità della nostra mente di produrre generalizzazioni è fondamentale al nostro vivere e agire: ci permette di categorizzare esperienze e situazioni diverse, di agire velocemente sulla realtà individuando immediatamente le cause, gli elementi comuni o i principi che regolano certi eventi. L’induzione richiede due processi: la generazione dell’ipotesi e la sua valutazione. Data l’indefinibilità del numero di osservazioni necessarie per raggiungere una certezza e l’impossibilità di effettuarle tutte, non si è mai certi che l’ipotesi formulata sia corretta e il pericolo di errore non può mai essere evitato. In particolare si sbaglia nell’individuare leggi generali perché: a) si adottano strategie che tendono più a confermare che a rifiutare le ipotesi; b) si tende a cercare informazioni coerenti con le proprie convinzioni; c) la contiguità temporale porta facilmente al rilevamento di una relazione tra due stimoli o due esperienze; d) spesso eventi inaspettati sono presi maggiormente in considerazione se sono simili, ma un numero piccolo di eventi simili inaspettati può non essere sufficiente a suggerire l’esistenza di una condizione rilevante; e) la conoscenza valida in un dato momento struttura e limita le ipotesi.

3.​​ Il r. informale.​​ Molto comune nella vita quotidiana (ma frequente anche in molte aree di ricerca) sembra essere l’uso di un modo di ragionare​​ indicato come r. di ogni giorno o r. informale​​ (cioè non secondo le regole formali di una logica). Tale modo si esprime in un’affermazione (tesi) e in una sequenza di ragioni (argomentazioni) che intendono provare l’attendibilità dell’affermazione stessa. Le ragioni costituiscono il «perché» del r., la tesi il «che cosa». Quasi mai un r. informale possiede tutte le ragioni a favore né tutte le ragioni hanno la stessa forza probante, né le ragioni sono immutabili. Per questo l’attendibilità o la verità della conclusione non è sempre universalmente accettata, né può essere imposta con la forza di verità. In questo senso Polya (1958) parla di «plausibilità» o «non-plausibilità» di un r. Con ciò non si afferma che essa non potrebbe essere vera o che non possa essere utilizzata perché attendibile fino a prova contraria o che una conclusione possa essere migliore di un’altra che non gode di giustificazioni altrettanto forti ed evidenti.

4.​​ L’educazione della capacità di r.​​ La ricerca fornisce alcuni orientamenti per educare le capacità di un ragionare logico: a) avere fiducia nella ragione educando ad essere corretti nel ragionare; b) esercitare al r. stimolando l’esame e la validità intrinseca delle ragioni che vengono portate per una tesi; c) dare rigore logico al r.; d) valutare attentamente il peso e la varietà delle ragioni; e) conoscere non solo le regole di una logica formale, ma anche quelle del r. in specifiche aree, ecc. Ciò richiede un paziente controllo ed esercizio.

Bibliografia

Polya G.,​​ Les mathématiques et le raisonnement «plausible»,​​ Paris, Villards,​​ 1958; Johnson-Laird P. N.,​​ Modelli mentali,​​ Bologna, Il Mulino,​​ 1983; Rips L. J.,​​ Cognitive processes in propositional reasoning,​​ in «Psychological Review» 90 (1983) 38-71; Cheng P. W. - K. J. Holyoak,​​ Pragmatic reasoning schemas,​​ in «Cognitive Psychology» 17 (1985) 391-416; Johnson-Laird P. N. - R. M. J. Byrne,​​ Deduction,​​ London, Erlbaum, 1991; Garnham A. - J. Oakhill,​​ Thinking and reasoning,​​ Oxford, Blackwell, 1994.

M. Comoglio




RAGIONE / RAGIONEVOLEZZA

 

RAGIONE / RAGIONEVOLEZZA

1. R. è termine dai molteplici, spesso contrastanti, significati: filosofico, teologico, pedagogico, scientifico, ecc. Dal punto di vista pedagogico si può parlare di educare sia al​​ ​​ ragionamento che alla ragionevolezza, ma, più in particolare, della funzione della ragionevolezza nel processo educativo. All’uno e all’altra si riferiscono più voci del dizionario: educare alla r. speculativa (nel significato classico-cristiano), cioè alla sapienza e all’amore e ricerca della sapienza (​​ filosofia), alla contemplazione (teoria); ed educare alla ragion pratica (nel significato classico-cristiano) (​​ prudenza,​​ ​​ saggezza).

2. Il termine ragionevolezza esprime qualcosa di contiguo al concetto di prudenza-saggezza. A rigore, però, vi si distingue quale concetto pedagogico piuttosto empirico, strumentale, esperienziale. Non a caso lo si trova adottato ed elaborato in chiave empiristica da​​ ​​ Locke nei​​ Pensieri sull’educazione​​ (1693) e assunto da un educatore militante, s. G.​​ ​​ Bosco, come uno dei tre principi fondamentali del​​ ​​ sistema preventivo: «Questo sistema si appoggia tutto sopra la r., la religione e sopra l’amorevolezza» (1877). In ambedue gli autori esso è trattato prevalentemente dal punto di vista metodologico: educare​​ con​​ ragionevolezza, ragionevolmente, più che educare​​ alla​​ ragionevolezza. Il secondo tipo di considerazione, semmai, può essere proprio di un tipo di educazione di ispirazione illuministica, prevalentemente inglese, come educazione a una morale, a una religione, a un cristianesimo «senza misteri», «razionale» e «ragionevole» (above reason​​ e​​ reasonable).

3. «Persuadere col ragionamento», «ragionar con i fanciulli» «creature ragionevoli», è il metodo che, secondo Locke, il padre dovrebbe praticare dopo che si sia assicurato la sottomissione del figlio con l’autorità. Non indica un «ragionare che muove da lontani principi», da adulti, ma l’adozione di​​ ragioni​​ su misura dei fanciulli, «adatte alla loro età e intelligenza, ed esposte con poche e semplici parole», «ovvie, al livello della loro mentalità e tali che essi le sentano e le tocchino con mano». Per questo, in sostanza, il mezzo «più semplice, facile ed efficace consiste nel porre sotto i loro occhi gli​​ esempi​​ di ciò che si vuole facciano o non facciano»,​​ «additati​​ nella condotta delle persone da loro conosciute e accompagnati da qualche​​ riflessione​​ sulla loro bellezza o sconvenienza» (Pensieri,​​ nn. 81-82).

4. Il discorso di don Bosco è teoreticamente meno elaborato ma contenutisticamente più ricco. La r.-ragionevolezza ispira diverse attività educative: a) «umanizzare» il giovane mediante il contatto concreto con i valori razionali e terreni: salute, istruzione, lavoro, inserimento sociale con precise capacità professionali e una sicura «onestà» personale e civile; b) creare solide «convinzioni» in campo religioso, morale, sociale, più pratico-vitali che astratte: pietà illuminata, controllo delle «passioni», ordine; c) «ragionare il giovane» con la fondatezza, l’essenzialità, la coerenza e la comprensibilità delle «motivazioni»; d) inoltre, «guadagnare il cuore del giovane», poiché il cuore, oltre che organo dell’amore e del volere, è principio dell’intendere e del comprendere; e) adottare metodi e mezzi educativi (disciplina, regolamenti, organizzazione della comunità educativa, interventi) ispirati a buon senso, semplicità, funzionalità, attenzione alle diversità delle «indoli».

Bibliografia

Sina M.,​​ L’avvento della r. «Reason» e «above reason» dal razionalismo teologico inglese al deismo,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1976; Pellerey M.,​​ La via della r.: rileggendo le parole e le azioni di don Bosco, in «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 383-396.

P. Braido