RETORICA E EDUCAZIONE
RETORICA E EDUCAZIONE
In gr. (la lingua che ha coniato il termine) he tékhne rhetoriké significava l’«arte del dire», la «scienza del parlare bene» (ed ovviamente con successiva estensione, anche «dello scrivere bene»).
1. Le vicende storiche. Importata dai maestri greci a Roma, la r. venne presto identificata con l’arte oratoria divenendo una delle scienze ausiliarie dell’arte politica. Si caratterizzò quindi come uno dei pilastri culturali, fondamento essenziale dell’educazione da fornire al buon cittadino, nei grandi manuali in cui si raccolse la scienza del persuadere con eleganza: la Rhetorica ad Herennium, di autore incerto, ma per secoli attribuita erroneamente a Cicerone; il De inventione indubbiamente ciceroniano; il Dialogus de oratoribus dello storico Tacito; infine, sommo fra tutti, l’Institutio oratoria di → Quintiliano, opera che costituisce un piano completo di formazione pedagogica, mirante a coordinare le conoscenze e le capacità naturali del soggetto. Su questo modello poi la cultura tardo-antica e medievale inserisce la r. nel quadro istituzionale delle materie scolastiche, accanto alla grammatica e alla dialettica (formanti il cosiddetto trivio) e trasforma a poco a poco la sua teoria e la sua pratica in una disciplina dello stile, attivando livelli e ambiti letterari fino a quel punto rimasti esclusi dall’esercizio retorico. Come «disciplina del parlare o dello scrivere» la r. diviene fondamento di gran parte dell’educazione letteraria fino a un’età molto recente e si fa presente nei curricola d’insegnamento ed in genere nella cultura, scolastica e no. Nella tradizione scolastica italiana fino al 1859 dà nome ai corsi (o alle classi) dell’insegnamento secondario che seguivano i corsi (o le classi) di grammatica, corrispondenti, cioè, al primo biennio del nuovo liceo italiano, e che precedevano quelli di filosofia.
2. Come «ars deceptiva» e come «ars persuadendi». Il termine non ha sempre avuto i medesimi significati. C’è infatti una r. come «ars deceptiva», ingannatrice, quella che nasconde con gli orpelli (con i «fioretti rettorici», diceva Galileo) il vuoto delle idee, l’assenza dei concetti, le presunzioni di certezza. È un cedimento della r. verso il compiacimento dell’esito, da raggiungere comunque, anche attraverso le vie della persuasione occulta, come tante azioni di propaganda commerciale, ma anche politica, possono ampiamente confermare. Da qui deriva quella disapprovazione secolare che pesa sul termine. Ma c’è anche una r. come «ars persuadendi», che non è da condannare: l’arte, cioè, del riuscire a trasmettere agli altri idee significative, contenuti seri, concetti importanti, usando con competenza ed abilità le risorse della lingua, intesa come strumento del pensiero. Questa attenzione all’agire comunicativo deve tener conto di quella razionalità diretta a persuadere l’allievo, più che attraverso la forza interna dell’argomentazione, secondo la dialettica classica, per mezzo delle capacità di comprenderne l’animo (cioè le precomprensioni, i pregiudizi, le conoscenze previe, le opinioni, la capacità di riflessione critica) e le passioni (oggi diremmo gli atteggiamenti, gli interessi, le sensibilità). Appunto per questo la r. considera anche l’educazione in relazione a complessi problemi della comunicazione interpersonale, avvertendo l’apporto che ad essa può derivare dall’utilizzazione di tutti i nuovi linguaggi (visivi, sonori, gestuali ecc.) e della struttura che per la loro sintesi, e non soltanto per la loro sovrapposizione, si costituisce.
3. La «nuova r.». La r., se si è presentata per secoli come «ars», ha anche costituito una precisa ben individuata metodologia che, in certo modo, ha permesso di parlare delle cosiddette due culture. Sulla scia di Ch. Perelman numerosi autori sono venuti in questi ultimi anni prospettando l’essenzialità del procedimento retorico nell’ambito delle scienze umane della prassi: l’agire e il fare dell’uomo ne sono direttamente impregnati. La r. si presenta pertanto anche come discorso che riflette su di sé, nell’esigenza di assegnarsi limiti ben precisi e quindi di evitare di mutarsi in retoricismo o mera persuasività: tale funzione (metaretorica) permette una considerazione critica, e quindi anche epistemologica, dei molteplici discorsi retorici che si attuano quando sono formulati nell’ambito delle scienze umane: dalla politica al diritto, dalla letteratura alla poetica, dalla semiologia alla linguistica, dalla sociologia alla psicologia, dall’antropologia alla pedagogia. In questo ultimo ambito la r. interviene in funzione correttiva, per evitare l’estremo riduzionismo dell’educazione in ammaestramento o indottrinamento, per riconoscere che l’insegnamento-apprendimento non può esaurirsi in tecnicismo né in moduli esclusivamente intellettualistici, per sollecitare un rapporto educativo in direzione critica, per arricchire la dimensione filosofica dell’educazione con la dimensione scientifica e più ancora con quell’operatività che è propria dell’arte. È qui che si ricupera il suo autentico significato scientifico, rilevante per le → scienze dell’educazione.
Bibliografia
Perelman Ch. - L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La Nuova r., Torino, Einaudi, 1966; Laneve C., R. e educazione, Brescia, La Scuola, 1981; Mortara Garavelli B., Manuale di r., Milano, Bompiani, 1989; Carruthers M., Machina memorialis. Meditazione, r. e costruzione delle immagini, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2006; Matelli E., Appunti di r. e forme della comunicazione, Milano, ISU Università Cattolica, 2006.
C. Laneve