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PLATONE

 

PLATONE

Vissuto ad Atene tra il 427 e il 347 a.C., filosofo greco.

1. Filosofo,​​ politico,​​ educatore.​​ P., sommo rappresentante della speculazione greca, è pure tra coloro che massimamente hanno contribuito alla costituzione della​​ ​​ paideia​​ greca, plasmando quell’ideale filosofico che, unitamente a quello retorico proposto dalla scuola di​​ ​​ Isocrate, costituirà sempre uno dei due pilastri dell’edificio della cultura greca. Alunno di​​ ​​ Socrate, ne continua e perfeziona il pensiero. Fin da giovane è fortemente attratto dall’interesse per la​​ ​​ politica. In essa fa le prime esperienze, brevemente, nell’Atene dei trenta tiranni (404); più tardi in Sicilia presso Dionigi il vecchio (388) e successivamente presso Dionigi il giovane (367 e 361). Non trova, però, ascolto presso i governanti; ma non abbandona la sua vocazione politica: diventa maestro e formatore di politici attraverso la sua scuola filosofica, l’Accademia,​​ fondata ad Atene nel 387, con la struttura di associazione religiosa, presso il bosco sacro dedicato ad Accademo, ricco di riferimenti religiosi e culturali. L’Accademia sarà di fatto formatrice, oltre che di filosofi, di politici, consiglieri di governanti e legislatori.

2.​​ Il paradigma del filosofo-politico.​​ I due aspetti, filosofico e politico, sono intimamente collegati nella visione e nell’opera di P., per il quale il filosofo, mentre realizza la più elevata forma di​​ areté​​ (cioè del valore umano), è colui che ha il compito di governare le città e fare le leggi, divenendo così anche educatore dei suoi concittadini. Pensa infatti – come dice chiaramente nella​​ lettera VII​​ autobiografica – che solo ad opera dei filosofi si possa giungere ad una legislazione giusta e ad una retta conduzione dello Stato. La formazione del filosofo sarà così anche la via per la formazione delle città e dei cittadini. Si presentano dunque diversi aspetti da considerare in una visione unitaria del pensiero filosofico / pedagogico / politico di P.: il valore di​​ areté​​ proprio della speculazione filosofica nella ricerca della verità; il tipo di formazione umana che da tale speculazione deriva; il modello ideale di città e di Stato guidato dai filosofi; il curricolo proposto per la formazione del filosofo / politico.

2.1.​​ La ricerca del vero.​​ La ricerca della​​ ​​ verità,​​ come suprema occupazione della mente umana e garanzia dell’autenticità di quei valori su cui si fonda la formazione dell’uomo, contrappone la scuola​​ filosofica​​ di P. (come fu già per Socrate) a quella​​ retorica​​ dei​​ ​​ Sofisti e dello stesso Isocrate. Tale ricerca comporta l’impegno totale del filosofo e un’ascetica​​ che lo porti a staccarsi dai dati sensibili e dall’esperienza della natura, per elevarsi gradualmente nel mondo dello spirito fino alla contemplazione delle idee dell’iperuranio. Ivi l’anima ha già contemplato le idee in una precedente esistenza, per cui il suo​​ sapere​​ è un​​ ricordare.​​ Al vertice delle idee nell’iperuranio P. colloca le idee del​​ Bello​​ e del​​ Buono​​ (il​​ «Bello in sé»​​ e il​​ «Buono in sé»​​ che per P. è la stessa divinità). Ciò è particolarmente significativo, se pensiamo alla parte che il​​ bello​​ e il​​ buono​​ hanno nella visione della​​ paideia​​ greca, la​​ paideia​​ della​​ kalokagathia,​​ di cui ci offre, dunque, la più elevata visione filosofica. Parallela alla esaltazione della speculazione filosofica si ha in P. una svalutazione dell’arte​​ (vista come imitazione della natura, ombra a sua volta delle idee dell’iperuranio) e della​​ poesia​​ (esaltazione della fantasia e strumento della inadeguata presentazione della divinità fatta dai poeti). Questa posizione di P. (da parte sua logica, e peraltro parzialmente superata nell’ultima opera incompiuta, le​​ Leggi),​​ lo mette in contrasto con la grande valorizzazione che l’arte e la poesia hanno in tutta la​​ paideia​​ greca. Nel suo impegno il filosofo è sostenuto dall’azione interiore di​​ eros​​ (presentato nel​​ mito​​ come essere in parte umano e in parte divino) da cui deriva sia il dinamismo della sua elevazione nella contemplazione e quindi della sua autoformazione, sia la spinta della sua azione educativa (eros educativo),​​ per riprodurre e moltiplicare nell’alunno la sua stessa formazione. Tocchiamo così quel compito educativo che, in forza della sua contemplazione della verità, compete al filosofo, espresso da P. nel​​ mito della caverna​​ (Rep.​​ lib. VII) e che si collega strettamente con il compito politico, riservato esso pure al filosofo.

2.2.​​ L’ordine interiore.​​ L’aspetto etico della formazione ha una sua espressione nell’ordine che P. vuole realizzare nell’anima umana e, parallelamente, nello Stato. Esso si fonda sulla concezione della triplice divisione dell’anima umana (tripsichismo) in​​ nous​​ (anima razionale),​​ appetito irascibile​​ e​​ appetito concupiscibile​​ e dell’ordine da stabilire tra essi per realizzare un giusto equilibrio interiore. Ognuna delle tre anime possiede una propria caratteristica o virtù: rispettivamente la saggezza, il coraggio e la ricerca del benessere (moderata dalla temperanza). Il predominio dell’una o dell’altra determina la vocazione individuale di ciascuno e il suo posto nello Stato. L’armonia interiore è data dall’azione moderatrice esercitata dall’anima razionale (il​​ nous)​​ sulle altre due. P. la esprime nel​​ Fedro​​ con il mito dell’auriga che guida e modera i due cavalli, uno bizzoso e impulsivo, l’altro lento e obbediente. Questa prospettiva di ordine interiore, mentre ci dà una prima presentazione delle tre virtù cardinali (la prudenza, la fortezza e la temperanza, che nel loro coordinamento danno come risultato la giustizia) dà anche la più radicale interiorizzazione di quella​​ euritmia​​ che è parte sostanziale dell’ideale della​​ paideia​​ greca.

2.3.​​ La dimensione politica.​​ Questa formazione interiore diventa il modello di riferimento anche per la formazione della città e dello Stato. P. stabilisce, infatti, un parallelismo tra l’anima e lo Stato, nel quale si illumina anche il compito politico che egli affida al filosofo. Al tripsichismo corrisponde la tripartizione platonica dello Stato. In esso P. contempla tre classi: quella degli addetti alle arti produttive (lavoratori, commercianti, artigiani) che corrisponde (nell’individuo) all’appetito concupiscibile e in cui deve prevalere la virtù della temperanza; quella dei custodi (o soldati) che corrisponde all’appetito irascibile e in cui prevale la virtù del coraggio e della fortezza; quella dei governanti, che corrisponde all’anima razionale e in cui deve prevalere la virtù della saggezza o prudenza. La situazione virtuosa (la​​ giustizia)​​ si avrà nello Stato se ciascuno occuperà perfettamente il suo posto e se vi sarà la piena integrazione e collaborazione tra le varie componenti. Emerge tra di esse il compito di guida, che spetta ai governanti, che perciò, nella concezione platonica, non potranno essere che i filosofi, che hanno contemplato la verità, il Bello in sé e il Buono in sé. Ne deriva anche il compito etico educativo dello Stato, guidato dai filosofi.

3.​​ La formazione del filosofo-politico.​​ È evidente l’importanza che l’educazione acquista in questa visione dello Stato, sia nel suo complesso, sia nella specifica formazione delle classi che lo compongono. La formazione più accurata sarà, chiaramente, riservata alla classe dei filosofi / governanti. Viene in secondo luogo quella dei custodi. Più semplice, riducendosi all’acquisizione delle tecniche delle rispettive attività, sarà quella della classe dei lavoratori. Nella​​ Repubblica​​ e nelle​​ Leggi​​ P. propone particolareggiatamente il curricolo formativo. In esso è evidente l’impostazione unitaria, orientata, nei singoli gradi, al vertice della formazione del filosofo / politico. Vi è recepita quella formazione (rispondente al binomio​​ ginnastica e musica),​​ che già si era affermata nella scuola dei gradi elementare e medio, fino circa ai 18 anni, e si concludeva con l’efebìa​​ (allora periodo di formazione ginnico-militare, dai 18 ai 20 anni ca.). P. vi apporta accentuazioni e integrazioni proprie della sua concezione della​​ paideia​​ e della prospettiva della formazione del filosofo per la quale era una preparazione (propaideia).​​ Esse avranno una loro incidenza, in parte sullo stesso programma della contemporanea scuola di Isocrate e poi nel seguito della tradizione scolastica del periodo ellenistico. Segnaliamo in particolare: a) nel campo della​​ ginnastica​​ il ricupero del valore di preparazione militare (sarà importante specialmente per la classe dei custodi), il suo valore educativo, l’accentuazione anche dell’aspetto igienico, il valore pedagogico e di disciplina morale della danza; b) per la​​ componente letteraria​​ richiamiamo la già citata svalutazione della poesia e il ricupero di autori di prosa; c) particolarmente significativa l’aggiunta e il ruolo delle​​ matematiche,​​ gradualmente in tutti i livelli della scuola: prima (per tutti) in forma elementare orientata a fini pratici, poi, in modo sempre più impegnativo, come disciplina formativa e selezionatrice, particolarmente significativa nella​​ propaideia​​ del filosofo. Sulla linea delle matematiche è l’impostazione e la funzione formativa dello studio dell’astronomia. Di notevole rilievo è il concetto, che appare per la prima volta, di​​ selezione​​ in base alle capacità dell’allievo. Ai 20 anni si conclude il periodo della​​ propaideia​​ (in gran parte comune al programma previo alla scuola di retorica di Isocrate). Di qui, per selezione dei capaci, parte la formazione specifica del filosofo, ancora lunga e sempre più impegnativa. Essa comprende tre ulteriori fasi: un decennio di approfondimento delle scienze matematiche; un quinquennio di esercizio della dialettica (di pura filosofia); il tutto sarà completato da quindici anni di esperienza politica, per giungere (a 50 anni ca.) al filosofo / politico pienamente formato. Non si pensi a una scuola noiosa e pedante: l’Accademia è caratterizzata dallo stile del dialogo e dal clima di amicizia e di ricerca comune, che le dà speciale dinamismo e spirito di famiglia. Con P. si consolida la componente filosofica della cultura greca. Un influsso particolare ha esercitato anche sui Padri della Chiesa e sulla prima inculturazione del Cristianesimo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ P.,​​ Opere,​​ 2​​ voll., Bari, Laterza, 1966; P.,​​ Diálogos. Introducción de C. García Gual, Madrid, Espasa Calpe, 2007. b)​​ Studi:​​ Stefanini L.,​​ P.,​​ Padova, CEDAM, 1949; Sciacca M. F.,​​ P.,​​ Milano, Marzorati, 1967; Funghi M. S.,​​ P. e l’educazione,​​ Torino, Loescher, 1979; Jaeger W.,​​ Paideia. La formazione dell’uomo greco,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1991; Marrou H. I.,​​ Storia dell’educazione nell’antichità,​​ Roma, Studium, 1994; Zanatta M. (Ed.),​​ L’arte del persuadere: la retorica in P.​​ e Aristotele, Milano, Unicopli, 2002.

M. Simoncelli




PLURALISMO

 

PLURALISMO

Il concetto di p. connota l’idea di «pluralità», di «molteplicità» e ammette applicazioni e contesti diversi. Esiste un p.​​ socio-culturale,​​ cioè la situazione, propria di una società complessa, di pluralità di visioni del mondo, di valori e di schemi comportamentali presenti in un determinato contesto sociale (la sua negazione è il «monismo»). C’è anche un p.​​ storico-politico​​ che riflette la prassi giuridica e politica che dà diritto di cittadinanza alle diverse posizioni ideologiche e culturali (all’opposto del «totalitarismo»). Ma si parla anche di p. in ambito​​ educativo,​​ come metodo e obiettivo pedagogico che punta all’acquisizione di atteggiamenti tolleranti e rispettosi della diversità (educazione alla democrazia, contro ogni forma di intolleranza).

1.​​ Il p.,​​ conquista dì civiltà.​​ Storicamente, il p. è frutto della modernità, e si è imposto nell’evo moderno man mano che si affermavano i valori della libertà, tolleranza e i diritti della persona, e veniva superato il monismo culturale ed etnocentrico europeo. Ma è soprattutto il p. socio-culturale che si trova alla base di quello storico-politico e diventa oggetto di preoccupazione pedagogica. Infatti, in una società complessa si moltiplicano e si intrecciano le più diverse proposte culturali, sia in modo sistematico, sia nella continua offerta di concezioni di vita, norme e schemi di condotta, idee e valori, valutazioni, ecc. In tale situazione, nessun sistema o elemento culturale detiene più il monopolio della proposta, ma si attua il libero gioco di un mercato culturale che, abbandonata la pretesa di imporre determinati prodotti, accetta come situazione normale il confronto, la coesistenza e la pluralità delle posizioni. Pur senza negare i rischi e le ambiguità che esso comporta, il p. va valutato​​ positivamente,​​ come una conquista e un segno di civiltà, in quanto portatore di​​ ​​ valori e garanzia per il riconoscimento dei diritti personali e la promozione della giustizia e della pace sociale. Il p. è in fondo espressione di maturità e di responsabilità, ma si presenta anche carico di ambiguità, ed è perciò necessario puntare a un giusto equilibrio tra due posizione estreme: il monismo totalitario e intollerante da una parte ed il relativismo e permissivismo dall’altra.

2.​​ Possibilità e rischi educativi.​​ I riflessi del p. in campo​​ educativo​​ sono molti. Da una parte, in una società pluralistica l’opera educativa può ricevere non pochi stimoli e avvalersi di possibilità sconosciute nel passato: promozione di personalità aperte al dialogo e al rispetto della differenza; ampi orizzonti di arricchimento culturale; superamento di pregiudizi e chiusure; nuove possibilità di maturazione del senso critico, ecc. Ma non bisogna negare l’esistenza di conseguenze​​ negative,​​ soprattutto in ordine all’educazione dei giovani. In una società pluralistica infatti appare fortemente modificato e scosso il processo di​​ ​​ socializzazione, in quanto la molteplicità esasperata e contraddittoria di messaggi culturali si traduce spesso nell’impossibilità di una coerente integrazione personale, nella relativizzazione dei valori e quindi nell’incapacità di maturazione della propria identità. Molti giovani sono così vittima di una massificazione anonima e di un’assunzione acritica delle offerte del p. culturale, e non di rado cadono nelle posizioni estreme della​​ iposocializzazione​​ (carenza di interiorizzazione di norme e valori e di ragioni di vita) o della​​ ipersocializzazione​​ (assunzione globale e indiscussa delle idee e valori caratteristici di alcuni gruppi e movimenti securizzanti). In tutti questi casi sono in agguato atteggiamenti antieducativi di fanatismo, immaturità, intolleranza e violenza. Ed è paradossale che il p., premessa naturale alla tolleranza, possa proprio diventare fonte del suo contrario, vale a dire, dell’intolleranza. Anche il mondo degli​​ ​​ adulti appare scosso dagli effetti del p., in quanto privo di punti di riferimento solidi ed incapace perciò di dominare la complessità e dinamicità della situazione. È spiegabile così che molti adulti si sentano perplessi e si rifugino in forme esasperate di soggettivismo e di identità «di basso profilo». Sono queste in parte le ragioni che portano oggi all’esigenza della​​ ​​ educazione permanente. Da un punto di vista pedagogico, quindi, il p. rappresenta certamente un​​ problema​​ e un​​ compito aperto.​​ Si tratta anzitutto di chiarire, a livello di finalità e obiettivi educativi, quali modelli di società e di personalità vanno promossi attraverso l’opera educativa. E bisogna pure individuare metodi e stili educativi per un’autentica educazione alla democrazia, alla tolleranza e all’accettazione positiva della diversità. Vanno ripensati in questo senso il ruolo delle diverse agenzie e​​ istituzioni​​ educative (​​ famiglia,​​ ​​ scuola,​​ ​​ istituzioni, mezzi di​​ ​​ comunicazione sociale, ecc.). Inoltre si è oggi molto sensibili all’effettiva attuazione di un autentico p.​​ delle​​ istituzioni (spec. della scuola e dei mezzi di comunicazione sociale) e​​ nelle​​ istituzioni, nell’accoglienza e rispetto delle pluralità religiose, ideologiche e culturali.

Bibliografia

Bellerate B. (Ed.),​​ P. culturale ed educazione: Atti del 3° «Colloquio» interideologico promosso da «Orientamenti Pedagogici» tenutosi a Roma 8-9 dicembre 1978,​​ Roma, a cura di «Orientamenti Pedagogici», 1979; Amoriggi R., «P. culturale», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. V, Brescia, La Scuola, 1992, 9193-9198; De Souza C.,​​ Dalla multiculturalità alla interculturalità, in «Orientamenti Pedagogici» 51 (2004) 569-580; De Vita R. - F. Berti - L. Nasi (Edd.),​​ Identità multiculturale e multireligiosa. La costruzione di una cittadinanza pluralistica, Milano, Angeli, 2004; Id.,​​ Democrazia,​​ laicità e società multireligiosa, Ibid., 2005.

E. Alberich




PLUTARCO

 

PLUTARCO

Vissuto tra il 46 e il 126 d.C., filosofo e moralista greco di Cheronea.

1. P. esercitò per molto tempo il suo insegnamento a Roma. Uomo di vasta cultura e scrittore fecondo, di formazione eclettica, è uno dei più validi rappresentanti della​​ ​​ paideia ellenistica.​​ Affronta con fine intuito psicologico e con speciale accentuazione della dimensione etica e della fondazione filosofica i problemi dell’educazione dei giovani. L’opera più famosa di P. sono​​ Le vite parallele,​​ in cui si trova una preziosa fonte di informazioni su istituzioni e personaggi significativi dell’antichità greco-romana, con una particolare valenza pedagogica nella presentazione e valutazione etica delle figure di​​ Uomini illustri​​ che offre come modelli di vita. In questa stessa linea sono importanti le sue​​ Opere morali.

2. Specificamente pedagogico è lo scritto​​ Sul modo di leggere i poeti.​​ Esso risponde a un problema già sentito da​​ ​​ Platone, ma vissuto più intensamente nel mondo cristiano: l’impatto pedagogico dello studio​​ dei poeti classici sui giovani. In esso presenta criteri di valorizzazione, di saggia selezione e di cautela, che ispireranno il più famoso​​ «Discorso ai giovani sulla lettura dei classici»​​ di​​ ​​ Basilio Magno.

3. Ricordiamo qui, per la sua significatività nella storia della pedagogia, il​​ De liberis instituendis, che è stato a lungo erroneamente attribuito a P. È un esempio di quell’interesse specifico per lo studio dell’educazione giovanile, che si afferma nell’età ellenistica. La sensibilità per la parte della​​ natura,​​ della​​ ragione​​ e​​ dell’esercizio​​ integra la considerazione e valorizzazione dell’opera del​​ maestro.​​ Quest’opera, tradotta nel 1411-12, ha avuto notevole ripercussione sui pedagogisti dell’Umanesimo rinascimentale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ P.,​​ Vite parallele, trad. di C. Carena, Torino, Einaudi, 1958; Vite parallele​​ -​​ Pericle e Fabio Massimo, trad. e note di A. Santoni, Milano, Rizzoli, 1991;​​ Vite parallele​​ -​​ Catone Uticense,​​ Bruto,​​ Lucullo, voll. I e III, Torino, UTET, 1998. b)​​ Studi:​​ Gerini G. B.,​​ Idee pedagogiche di P.,​​ Voghera, Officina d’Arti Grafiche, 1912;​​ Galino M. Á.,​​ Historia de la educación. Edades antigua y media,​​ Madrid, Gredos,​​ 1988;​​ Atti del IX Convegno Plutarcheo della Int. Plutarch Society, a cura di I. Gallo, Napoli, D’Auria, 2004; Moreschini C.,​​ Valori letterari delle opere di P.​​ Studi offerti al professore I. Gallo dall’IPS, Malaga, Universitaria, 2005.

M. Simoncelli