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PSICOLINGUISTICA PEDAGOGICA

 

PSICOLINGUISTICA​​ PEDAGOGICA

Nelle università italiane è stata denominata psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione. In altri Paesi, va sotto la denominazione generica di p. applicata (Psycholinguistique appliquée​​ in Francia,​​ Applied psycholinguistics​​ in Inghilterra e Stati Uniti,​​ Educational psycholinguistics​​ in Canada,​​ Angewandte Psycholinguistik​​ in Germania). Il suo contenuto è dato dallo studio dei processi psicologici dell’apprendimento della lingua materna e delle altre lingue, del​​ ​​ bilinguismo, e, almeno in certe interpretazioni e modalità d’insegnamento (come nella Facoltà di Psicologia dell’Università di Roma), estensivamente anche ai problemi di sviluppo linguistico nel bambino, come i ritardi del linguaggio, le patologie della parola (diagnosi e terapie, ossia i problemi della logopedia). Ma la sua estensione nel mondo scientifico e accademico è ancora assai limitata, come pure la letteratura in proposito, se si eccettua la vastissima bibliografia sulla psicologia del bilinguismo (soprattutto nei Paesi anglofoni, in primo luogo nel Canada).

Bibliografia

Titone R. - M. Danesi,​​ Applied psycholinguistics,​​ Toronto, University of Toronto Press, 1985 (trad. it.:​​ Introduzione alla psicopedagogia del linguaggio,​​ Roma, Armando, 1990);​​ Anula Rebollo A.,​​ El abecé de la psicolingüística, Madrid, Arco / Libros,​​ 2002;​​ Drévillon J. - J. Vivier - A. Salinas,​​ La psycholinguistique,​​ science multidisciplinaire de 2000: quelles implications,​​ quelles applications?, Paris, Éditions Europa, 2004; tra le riviste: «Rassegna Italiana di Linguistica Applicata» (Roma, Bulzoni, 1968- ); «International Journal of Psycholinguistics» (edita dall’International Society of Applied Psycholinguistics).

R. Titone




PSICOLOGIA CLINICA

 

PSICOLOGIA CLINICA

La p.c. è un’area della p. applicata intenta ad intervenire sui problemi concreti, individuali o collettivi, utilizzando le conoscenze e le metodologie della p. teorica legati oltre che al disagio e al disadattamento al benessere mentale.

1. La nascita della p.c. è largamente debitrice alla​​ ​​ psicopatologia e alla psichiatria. Alla lettera la parola «clinico» significa «al letto del paziente», e già questo ci fa comprendere quanto questa disciplina intenda accostarsi alla persona sofferente. In effetti la p.c. si occupa di individui o gruppi che presentano problemi di ordine mentale, ma non solo. Questo tipo di competenza, infatti, non ha a che fare unicamente con situazioni di tipo psicopatologico. Visto che oggi la gente comune, ma anche certi studenti ed alcuni psicologi, tende ad identificare erroneamente la p. con quella clinica (fenomeno dovuto anche al largo numero di psicologi che svolgono la loro attività professionale in questa area), è importante sfatare questo vecchio pregiudizio per il quale la p.c. si occupi solamente di soggetti malati o disturbati psichicamente. Il suo campo d’azione è, infatti, assai più vasto. È più corretto dire che essa si interessa anche della salute e del benessere mentale degli individui. Infatti, sempre più frequentemente, le persone che si rivolgono ad un servizio di p.c. chiedono di essere consigliate e sostenute in un problema psicologico, e non psicopatologico, relativo a una particolare situazione della vita in cui si presenta un disagio esistenziale che tocca l’individuo come singolo e / o come parte di un sistema relazionale (istituzione sociale, famiglia, coppia, gruppo, ecc.).

2. Il metodo privilegiato in questo ambito applicativo è quello clinico. La particolarità del metodo clinico è quella di affrontare la realtà, sia individuale che sociale, nel modo più globale possibile. Chi lo utilizza in ambito individuale se ne serve per conoscere e promuovere il cambiamento del soggetto nella sua specificità (in ciò che lo contraddistingue dagli altri) e nella sua totalità (in relazione al suo passato, al suo presente, alle sue aspettative future, alla sua famiglia, al suo ambiente di lavoro, ai suoi valori, ecc.). Chi lo usa in ambito sociale si propone di favorire il cambiamento promuovendo il reciproco scambio fra tutte le forze presenti. Strumento privilegiato del metodo clinico è il​​ ​​ colloquio che consiste in una vera e propria tecnica di ricerca descrittiva basata sull’osservazione e lo studio del comportamento umano all’interno di un processo di comunicazione verbale. Si tratta di un procedimento di raccolta, di analisi e di elaborazione di informazioni per trovare alcuni indizi sui quali costruire un’ipotesi conclusiva. Il primo obiettivo del colloquio è quello di stabilire un buon rapporto di condivisione tra lo psicologo e il cliente. I due, da sconosciuti che sono, devono essere in grado di costruire un’alleanza ai fini diagnostici, terapeutici, orientativi o educativi. L’obiettivo non è quello di sapere cose sul soggetto, ma di «sapere» con il soggetto. Questa modalità di «conoscere insieme», infatti, oltre che fornire delle informazioni più ricche ed approfondite, innesca già di per sé un processo di cambiamento. Tutto ciò presuppone che psicologo e cliente riconoscano i reciproci ruoli e le reciproche competenze. Il cliente metterà in gioco se stesso, il proprio mondo interiore e la propria situazione. Lo psicologo, invece, oltre alle sue competenze specifiche, impiegherà la sua capacità empatica per cogliere ed accogliere i pensieri e gli stati d’animo dell’altro pur mantenendo quella distanza che gli permetterà di restare obiettivo.

3. Nella pratica clinica la diagnosi rappresenta il primo passo del percorso. Questa ha lo scopo di reperire informazioni qualitative sulla persona o sulla situazione da affrontare in modo da rilevare gli elementi di problematicità e individuare possibili vie di risoluzione. In alcuni casi questa prevede l’utilizzo di tecniche psicometriche specifiche strutturate e / o proiettive. Quando il percorso clinico riguarda un individuo, può proseguire con un cammino di sostegno psicologico o con una vera e propria​​ ​​ psicoterapia il cui orientamento è determinato dalle caratteristiche del cliente e delle sue problematiche e dall’approccio teorico dello specialista; quando riguarda una comunità può proseguire invece con uno specifico progetto d’intervento.

Bibliografia

Carli R. - R. M. Paniccia,​​ La formazione in p.c.,​​ Bologna, Il Mulino, 1999; Sanavio E.,​​ P.c.,​​ Ibid., 2001; Gambini P.,​​ Introduzione alla p.,​​ Milano, Angeli, 2006; Verrastro V. - F. Petruccelli,​​ P.c. La storia,​​ i metodi,​​ gli strumenti,​​ Ibid., 2006.

P. Gambini




PSICOLOGIA DEL LAVORO

 

PSICOLOGIA DEL LAVORO

Settore della p. applicata che sviluppa un corpo di conoscenze rivolte allo studio delle attività lavorative umane, al fine di soddisfare le persone e nel contempo migliorare le loro prestazioni. Il frequente conflitto tra le due istanze ha portato la p.d.l. a sviluppare, nel corso della sua storia, concezioni spesso polarizzate o verso la produttività (soprattutto agli inizi) o verso lo sviluppo delle persone.

1. Apparsa agli inizi del ’900 (formalmente nel 1913 con il testo​​ La p. e l’efficienza​​ industriale​​ di Hugo Munsterberg) si è caratterizzata dalla sua connotazione di p. industriale, in un contesto in cui prevaleva l’attenzione all’efficienza dei mezzi della produzione. In questa logica si è andata sviluppando la «psicotecnica» come disciplina tendente ad un migliore adattamento dell’uomo al processo produttivo. Successivamente al «taylorismo», che interpretava questa visione, il movimento delle «Relazioni umane» modifica radicalmente la prospettiva di analisi valorizzando gli atteggiamenti verso il lavoro e le relazioni nel gruppo operativo. Una svolta significativa, da un punto di vista metodologico, è stata generata dal lavoro del Tavistock Institute of Human Relations, che ha applicato al comportamento sociale i fondamenti della psicoanalisi freudiana. Questo contributo ha portato alla definizione del modello organizzativo dell’azienda come sistema aperto, ricco di sviluppi e di applicazioni sia teoriche sia pratiche. Attualmente la p.d.l. è direttamente connessa con la p. delle organizzazioni, dalla quale non si distingue nettamente nei temi di intervento.

2. Le principali aree tematiche trattate dalla disciplina sono: gli atteggiamenti verso il lavoro (gratificazione, alienazione,​​ ​​ motivazione), l’organizzazione del lavoro (responsabilità, significatività, conoscenza dei risultati, divisione, conflitti, decisioni, leadership, ruoli), l’orientamento al lavoro e l’​​ ​​ orientamento professionale (la dinamica delle scelte), lo stress, la selezione.

3. Oggi si stanno delineando nuove prospettive nelle tematiche affrontate dalla p.d.l. In particolare risulta interessante lo studio sulla ricerca di senso e di significato nel lavoro e nelle organizzazioni (sensemaking), grazie anche ai contributi di studiosi come K. Weick. Un’altra prospettiva stimolante è l’analisi del lavoro secondo un approccio culturale, sviluppata tra l’altro da autori come C. Schein. Quindi, oltre al tema dei bisogni (tradizionalmente indagato nel passato), appaiono rilevanti le prospettive dei valori della persona e più in generale della cultura, come elementi influenzanti l’agire professionale. Questa lettura rimanda ad alcune problematiche ancora aperte nella p.d.l.: necessità di una maggiore integrazione con altre discipline affini (per es., la p. delle organizzazioni, l’​​ ​​ antropologia culturale, l’etica, la​​ ​​ p. sociale), una maggiore ricerca e approfondimento su tematiche determinate dall’evoluzione delle relazioni sociali più in generale (per es., il​​ mobbing​​ o il già citato stress, l’innovazione e il processo creativo, il ricambio generazionale, la diversità etnica). Nei prossimi anni un tema di studio importante sarà quello di sviluppare la conoscenza disciplinare per comprendere come armonizzare la dimensione economica e produttiva dell’impresa e lo sviluppo e l’armonia della persona che opera in essa.

Bibliografia

Avallone F.,​​ P.d.l.,​​ Roma, Carocci, 1998; Spaltro E. - P. De Vito Piscicelli,​​ P. per le organizzazioni,​​ Milano, Angeli, 1990; Pedon A. - R. Maeran,​​ P. e mondo del lavoro,​​ Milano, LED, 2002; Sarchielli G.,​​ P.d.l.,​​ Bologna, Il Mulino, 2003.

G. Tònolo




PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA

 

Psicologia della famiglia

1. Lo scopo della p.d.f.​​ è quello di studiare le dinamiche relazioni interne alla famiglia e di questa in rapporto con la comunità sociale in cui è inserita. Solo recentemente la p. si è occupata di studiare la famiglia e i suoi dinamismi. Nonostante ciò, in questi ultimi decenni, l’interesse della p.d.f. sta prendendo sempre più piede sia a livello di ricerca che a livello di intervento preventivo, promozionale e terapeutico. Visti i numerosi cambiamenti della famiglia è diventata sempre più pressante la necessità di approfondirne lo studio, anche per individuare le diverse possibilità di sostenerla. La p. può offrire un importante contributo alla comprensione dei dinamismi familiari implicati dagli attuali mutamenti sociali. Può aiutarci, per es., a definire la sua identità, a comprendere la sua trasformazione in una pluralità di forme familiari, ad interpretare le transizioni da una fase di sviluppo all’altra del suo ciclo di vita, a studiare i vari tipi di relazione che comporta come quello coniugale, genitoriale, tra le generazioni, con la società, ecc.

2. Varie sono le prospettive attraverso le quali all’interno della p. ci si occupa della famiglia (quella evolutiva, quella psicoanalitica, quella comportamentista, quella transazionale, ecc.) ma quella che ha offerto maggiori contributi in questo campo è certamente quella sistemico-relazionale. Anzi possiamo dire che questo orientamento teorico si è sviluppato proprio focalizzandosi sull’osservazione delle relazioni familiari. Esso permette di cogliere la famiglia nella sua complessità e al di là di ogni semplificazione, sia come sistema relazionale in continuo interscambio con l’ambiente esterno, sia come spazio primario nel quale l’individuo in modo attivo costruisce la propria identità, cresce e cambia.

3. L’approccio​​ sistemico-relazionale, pur sviluppandosi attorno alle teorie sistemiche, tiene conto e si arricchisce grazie agli apporti delle teorie psicoanalitiche sviluppatesi in ambito clinico, delle ricerche in ambito psicosociale e delle teorie dello sviluppo applicate alla famiglia. In questo modo, infatti, le teorie sistemiche riescono a favorire un’accurata osservazione dei processi interattivi in corso e del contesto che li qualifica con il supporto delle teorie psicoanalitiche che consentono di approfondire il vissuto emotivo e la qualità dei legami familiari, degli studi psicosociali che permettono di comprendere il ruolo del sociale e della relazione nei processi identitari, delle teorie dello sviluppo che aiutano a comprendere la costruzione delle relazioni in una dimensione longitudinale, offrendo così un ulteriore contributo alla comprensione di ciò viene osservato nel presente.

Bibliografia

Cusinato M.,​​ P. delle relazioni familiari,​​ Bologna, Il Mulino, 1988; Scabini E. - V. Cigoli,​​ Il famigliare, Milano, Cortina, 2000; Malagoli Togliatti M. - A. Lubrano Lavadera,​​ Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia,​​ Bologna, Il Mulino, 2002; Andolfi M.,​​ Manuale di p. relazionale, Roma, Accademia di Psicoterapia della Famiglia, 2003; Gambini P.,​​ P.d.f.,​​ Milano, Angeli, 2007.

P. Gambini




PSICOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

 

PSICOLOGIA​​ DELLA PERSONALITÀ

Disciplina specifica dell’ambito psicologico che studia in particolare il costrutto personalità, le sue caratteristiche, la sua genesi, il suo divenire, la sua formazione. In tal senso è particolarmente rilevante per la riflessione pedagogica.

1. Partendo dalla considerazione che il divenire individuale non dipende tanto dalle singole unità analitiche (tratti, motivi, abiti, ecc.), né costituisce un semplice processo di crescita spontaneo, ma piuttosto è il risultato della totalità organizzata (cioè dell’individuo inteso in relazione al suo mondo), è necessario indagare su quelle questioni che regolano il comportamento della persona nei suoi rapporti col mondo. Per quanto riguarda l’origine​​ della p.d.p. possiamo trovare all’inizio contributi culturali, in particolare studi antropologici, in cui si riflette sulla natura dell’essere umano. Tuttavia uno sviluppo propriamente scientifico della p.d.p. si ha intorno al 1920.

2. Guardando ai risultati delle ricerche effettuate si arriva alla conclusione che a tutt’oggi gli studi del settore rivelano uno stato di complessità. Nonostante le numerose ricerche, le conclusioni finora raggiunte sono parziali e spesso divergenti, principalmente a causa della​​ metodologia di indagine​​ adottata e dei​​ presupposti antropologici​​ degli studiosi. Per quanto concerne la metodologia di indagine, bisogna dire che i principi su cui si imposta una ricerca hanno una doppia origine: una dalla discussione sul modo di studiare la singolarità dal punto di vista nomotetico, in base all’affermazione di​​ →​​ Aristotele secondo il quale la «scientia non est individuorum», e l’altra dalla riflessione su come studiare in genere il comportamento individuale. Sono così nate tipiche proposte per studiare la personalità nella sua originale singolarità: l’approccio idiografico e l’approccio nomotetico. Secondo l’approccio idiografico la personalità risulta fondamentalmente dalla visione biografica, mentre secondo l’approccio nomotetico lo studio della personalità avviene in due modi: mediante la classificazione nomotetica (descrivere la singolarità secondo categorie, tratti, fattori) e mediante la riduzione nomotetica (descrivere e interpretare le differenze individuali). Un altro fattore che concorre ad aumentare le divergenze nello studio della personalità deriva dalla stessa impostazione metodologica, nell’adozione cioè del metodo fenomenologico o di quello operazionalistico nella ricerca sulla personalità. Ciò che differenzia fondamentalmente questi due tipi di procedimento metodologico è il modo in cui le fonti d’informazione sono considerate ed utilizzate. Più concretamente, mentre l’impostazione fenomenologica raccoglie i dati psichici mediante la semplice descrizione (ossia la descrizione dei fatti psichici secondo il linguaggio comune) del comportamento manifesto in situazioni naturali e dalle esperienze comunicate personalmente, l’impostazione operazionalistica privilegia i dati ottenuti mediante l’osservazione dei comportamenti manifesti e universalmente definiti in situazioni controllate. Circa l’ultimo metodo è da osservare che questo esige per lo studio della personalità, analogamente alle scienze naturali, dei criteri rigidi di osservazione e quantificazione per cui può essere chiamato scientifico, positivistico o anche oggettivistico. Oltre ai fattori legati direttamente all’impostazione metodologica, anche le prospettive antropologiche, secondo cui i ricercatori considerano la natura umana, vengono a costituire un’altra fonte di divergenza nello studio della personalità. Infatti, come fa notare​​ ​​ Allport (1957), il modello uomo non viene concepito in modo univoco nello studio della personalità. Mentre nel passato in Inghilterra e negli Stati Uniti ha predominato la tradizione di​​ ​​ Locke, nel continente ha avuto il sopravvento la tradizione di Leibniz e di​​ ​​ Kant. L’adesione a uno di questi modelli di uomo ha avuto necessariamente delle conseguenze nello studio della personalità sulla scelta dell’oggetto di ricerca.

3. Volendo dare un apporto critico riguardo ai fattori che causano le divergenze nello studio della personalità, riteniamo che una p.d.p. che non voglia essere né parziale né unilaterale debba partire da presupposti antropologici che rispettano la totalità dell’essere umano e che, coerentemente, debba seguire principi metodologici che consentano di tenere fede a questa premessa. Per una maggiore comprensione della collocazione della p.d.p. nell’ambito delle discipline psicologiche, possiamo sostenere che questa appartiene alle discipline teoriche fondamentali della p., a cui si rifanno le diverse discipline della p. applicata (per es. p. clinica, p. del lavoro). Rimanendo sempre nel campo delle discipline di orientamento teorico vediamo che, mentre la p. generale studia le leggi generali del comportamento umano (per es. riguardo alla percezione, motivazione) e la p. dello sviluppo ha come oggetto di studio i cambiamenti e i condizionamenti del comportamento individuale nel tempo, la p.d.p. si occupa delle differenze individuali e dei principi di fondo del divenire individuale.

Bibliografia

Allport G. W., «European and American theories of personality», in H. P. David - H. V. Bracken (Edd.),​​ Perspectives in personality theory,​​ New York, Basic Books, 1957, 3-24; Franta H.,​​ P.d.p.: Individualità e formazione integrale,​​ Roma, LAS, 1982; Carrara G. V. - G. Accursio,​​ P.d.p. e delle differenze individuali, Bologna, Il Mulino, 1992; Idd.,​​ P.d.p., Ibid., 1994; Idd.,​​ P.d.p.:​​ storia,​​ indirizzi teorici e temi di ricerca, Ibid., 1999; McMartin J.,​​ P.d.p.: un approccio centrato sullo studente, Milano, Guerini, 1999; Allport G. W. et al.,​​ I fondamenti storici della p.d.p., Torino, Bollati Boringhieri, 2000;​​ Cano García F. J.,​​ Introducción a la psicología de la personalidad aplicada a las ciencias de la educación: manual teórico, Alcalá de Guadaíra, MAD, 2005; Ruiz Caballero J. A.,​​ Psicología de la personalidad para psicopedagogos, Madrid, Sanz y Torres, 2006; Moreno Jiménez B.,​​ Psicología de la​​ personalidad, Cizur Menor (Navarra), Thomson, 2007.

H. Franta




PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE

 

PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE

Settore della p. che prende in considerazione comportamenti e atteggiamenti che la persona o il gruppo qualificano come religiosi, perché collegati con la fede in un Essere soprannaturale oppure con una visione della​​ ​​ vita che non esclude la dimensione del sacro, e cerca di comprenderne i fattori motivazionali.

1. Punto di partenza della p.d.r. è l’individuazione di criteri che consentano una corretta lettura dell’atteggiamento religioso. Essi sono: il significato intenzionale che la persona attribuisce a ciò che fa; l’orizzonte di totalità e di integrità esistenziali in cui essa colloca ciò che fa; il rapporto tra il vissuto religioso e gli stadi del processo evolutivo in prospettiva sia cronologica che logica; le coordinate culturali del contesto storico in cui la persona vive.

2. Per una lettura realistica e globale dell’atteggiamento religioso, all’interno della complessità esistenziale, occorre tenere presenti cinque dimensioni. La prima è quella​​ emotiva​​ che comprende sensazioni, percezioni, uno stato di benessere legato a una ricompensa promessa, un senso di disagio in conseguenza di una punizione prospettata. La seconda dimensione è quella​​ ritualistica​​ che concerne le pratiche religiose riguardanti il culto, l’adorazione della divinità, la preghiera o la partecipazione ai sacramenti. La terza è quella​​ sociale​​ che riguarda il ruolo dell’ambiente in cui la persona vive e matura le sue scelte (famiglia, scuola, istituzioni religiose, associazioni, gruppo di amici). La quarta è quella​​ cognitiva​​ che si riferisce sia alle informazioni circa le credenze basilari della propria fede e dei propri riti, sia alla loro accoglienza e rielaborazione personale in conseguenza dei ritmi di sviluppo e di maturazione. La quinta dimensione è quella​​ motivazionale​​ che prospetta un ampio spettro di possibilità: ricerca di risposte rassicuranti dinanzi alle frustrazioni quotidiane; tentativo di difesa di un sistema di comportamenti e di scelte morali; pura curiosità intellettuale mai sufficientemente appagabile né appagata; rifugio dinanzi all’angoscia che scaturisce dal vivere situazioni di emarginazione, d’isolamento, di rifiuto familiare, di depressione; ricerca umile e costante del senso di tutto ciò che si fa attraverso un atteggiamento di apertura e di accoglienza, prendendo le distanze da una pura ricerca di soddisfazioni e di gratificazioni e assumendo con coraggio la responsabilità di un compito mai portato a termine in maniera perfetta o completa.

3. Un nucleo tematico che negli ultimi anni sta risultando di particolare interesse tra gli psicologi della religione è quello del «potenziale terapeutico» dell’atteggiamento religioso, ossia degli effetti positivi, a livello sia di salute psichica che di guarigione fisica, derivanti dall’incontro coinvolgente con una comunità in cui è visibile la carità nelle relazioni interpersonali, oppure da celebrazioni cariche di emotività al cui centro sono posti gesti impetratori, oppure ancora da interventi di presunti capi carismatici che, facendo leva sulla facile credulità e suggestionabilità, portano le masse ad aderire in forma passiva e acritica a comportamenti pseudoreligiosi dalle forme stravaganti. È appena da rilevare la valenza pedagogica di tali ricerche sia per ciò che riguarda l’​​ ​​ educazione religiosa in particolare, sia per ciò che riguarda l’identità e la ricerca del senso della vita, sia in rapporto all’opera di prevenzione e di ricupero, che spesso hanno nella loro eziologia disturbi, effettivi o possibili, dovuti a distorte forme di socializzazione religiosa e di​​ ​​ catechesi.

Bibliografia

Grom B.,​​ Religionspsychologie,​​ München-Göttingen, Kösel Verlag-Vandenhoeck & Ruprecht, 1992; Dunde S.R. (Ed.),​​ Wörterbuch der Religionspsychologie,​​ Gütersloh, Gütersloher Verlagshaus Gerd Mohn,​​ 1993; Fizzotti E. - M. Salustri,​​ P.d.r. con antologia dei testi fondamentali, Roma, Città Nuova, 2001; Hood R.W. et al.,​​ P.d.r. Prospettive psicosociali ed empiriche, Torino, Centro Scientifico Editore, 2001; Frankl V.E.,​​ Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione,​​ Brescia, Morcelliana,​​ 52002; Fizzotti E.,​​ Psicologia dell’atteggiamento religioso. Percorsi e prospettive,​​ Trento, Erickson, 2006; Frankl V. E. - P. Lapide,​​ Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo, Torino, Claudiana, 2006.

E. Fizzotti




PSICOLOGIA DIFFERENZIALE

 

PSICOLOGIA DIFFERENZIALE

1. Oggetto della p.d. è lo studio oggettivo e quantitativo delle differenze individuali nel comportamento e delle differenze tra gruppi dal punto di vista psicologico. Tralasciando le constatazioni di differenze tra individui e tra gruppi, da sempre esistite, i primi studi sistematici di approccio psicologico sulle differenze individuali e tra gruppi, anche con tentativi di misurazione di tali differenze, risalgono alla fine dell’ottocento. Al di là degli studi settoriali di​​ ​​ Galton sulla​​ ​​ ereditarietà del genio (1869) e di J. M. Cattell sui test mentali (1890), il primo lavoro che tenta un’impostazione globale dello studio delle differenze individuali è l’articolo di​​ ​​ Binet e V. Henri del 1895, seguito nel 1900 dall’opera di​​ ​​ Stern. Binet e Henri si sono soffermati particolarmente sullo studio della natura delle differenze individuali nei processi psicologici e delle interrelazioni tra processi mentali. Stern parlava, principalmente, di natura, problemi e metodi della p.d. Da queste due pubblicazioni nascono i nomi con cui è stato indicato lo studio delle differenze psicologiche tra individui e tra gruppi. Per evitare confusioni terminologiche ha prevalso, per questo ambito di studio, la denominazione di p.d. rispetto a quella di p. individuale.

2. L’attuale p.d. ha potuto progredire notevolmente grazie allo sviluppo di altre branche scientifiche direttamente o indirettamente collegate alla psicologia. La​​ ​​ statistica, la​​ ​​ biologia, lo studio tra ereditarietà e​​ ​​ ambiente, i​​ ​​ test psicologici, l’antropologia culturale, ecc. hanno permesso alla p.d. di fare notevoli passi avanti. Nonostante i progressi in un secolo di studi e ricerche sulle differenze psicologiche, possiamo tuttavia dire che il campo di studio della p.d. è limitato ai tre grossi settori già indicati da Stern: natura ed estensione delle differenze nella vita psicologica degli individui e dei gruppi; fattori che determinano e influenzano queste differenze; come si manifestano queste differenze. Sotto questi vari aspetti vengono studiate le differenze intellettive e di carattere, le differenze dovute a culture diverse, legate al sesso o alla razza, ecc.

3. La convenienza e l’utilità dello studio di queste differenze per l’educatore è evidente. Ad una p.d. devono corrispondere, in termini metodologici, una pedagogia differenziale ed una​​ ​​ didattica differenziale. Occorrerà dunque tener conto non solo delle differenze esistenti, ma anche dei fattori che le determinano: capire se le differenze ad un certo momento dello sviluppo sono dovute a fattori contingenti o a fattori strutturali, consiglierà modalità diverse di intervento e permetterà anche una previsione sui risultati che si potranno raggiungere con l’​​ ​​ azione educativa o l’azione didattica.

Bibliografia

Binet A. - V. Henri,​​ Psychologie individuelle,​​ in «Année Psychologique»​​ 2 (1895) 411-465;​​ Stern W.,​​ Über Psychologie der individuellen Differenzen,​​ Leipzig, Barth,​​ 1900; Anastasi A.,​​ P.d.,​​ Firenze, Editrice Universitaria, 1965; Reuchlin M.,​​ La p.d.,​​ Roma, Paoline, 1971; Bariatti A.,​​ Lezioni di p.d.,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1976; Shackleton V.,​​ Individual differences: theories and applications,​​ London, Methuen, 1984; Eysenck M. W.,​​ Individual differences: normal and abnormal,​​ Hove, Erlbaum, 1994; Lucio R.,​​ Storia della p., Bari / Roma, Laterza, 2000.

M. Gutiérrez




PSICOLOGIA EDUCATIVA / SCOLASTICA

 

PSICOLOGIA EDUCATIVA /​​ SCOLASTICA

È il ramo della p. che si occupa dei processi educativi e in particolare di quelli che si riferiscono: a) allo sviluppo intellettuale, emozionale, sociale e morale degli educandi; b) all’acquisizione di conoscenze e di abilità generali e specifiche; c) all’interiorizzazione di valori e alla formazione di atteggiamenti; d) alle interazioni e relazioni interpersonali tra gli educandi e gli educatori e tra gli educatori e gli educandi stessi. La p.s., in particolare, studia i processi psicologici che hanno luogo nel contesto scolastico. Talvolta viene denominata p.e. quella parte della p. che dovrebbe conoscere un educatore e, parallelamente, p.s. quella parte della p. che dovrebbe conoscere un insegnante. Può essere genericamente designata anche con altre denominazioni tra cui: psicopedagogia, p. pedagogica, p. dell’educazione. La p.s. viene spesso anche denominata p. dell’istruzione. In ingl.:​​ Educational psychology,​​ School psychology,​​ Instructional psychology.​​ In fr. è comune:​​ Psychopédagogie.​​ In sp.​​ Psicopedagogía.​​ In ted.​​ Erziehung Psychologie,​​ Unterricht Psychologie​​ e​​ Pädagogische Psychologie.

1.​​ Natura.​​ Si usa affermare che la p. dell’educazione è una scienza applicata. Tuttavia tale affermazione può prestarsi a qualche equivoco. Infatti, non si tratta tanto di applicare le leggi generali della p. all’educazione, anche se questo può e deve essere fatto per alcuni aspetti, quanto di studiare i processi educativi secondo apparati concettuali, metodologie di indagine e forme di discorso di natura psicologica. I suoi campi di interesse possono essere identificati secondo due grandi aree:​​ ​​ istruzione e interazione. Tuttavia sarebbe pericoloso designare la prima area come quella che interessa la scuola e la seconda come quella che interessa l’educazione. Processi istruttivi e rapporti interpersonali hanno luogo sia in seno alla famiglia, sia nella scuola, sia nelle varie comunità di appartenenza dei bambini e dei giovani.

2.​​ Storia.​​ Il primo volume di​​ Educational psychology​​ si deve a Thorndike (1903), anche se a​​ ​​ James si deve un volume precursore dal titolo​​ Talks to teachers​​ (1899). In Italia il primo volume pubblicato di​​ P. pedagogica​​ si deve a P. Romano (1906). Tuttavia a lungo si è trattato più di applicazioni di concetti e principi sviluppati nel contesto della p. sperimentale che di sviluppi propri di una scienza autonoma. Nei Paesi di lingua fr. questa disciplina ha concentrato la sua attenzione sui problemi dello sviluppo del bambino e del fanciullo (R. Zazzo,​​ ​​ Wallon) e dello scolaro (​​ Claparède,​​ ​​ Buyse). Negli anni quaranta e cinquanta negli Stati Uniti è prevalso un approccio comportamentale che ha portato a una p.e. e s. ispirata a tale approccio, che ha fatto da supporto allo sviluppo di un’impostazione psicotecnologica solo a poco a poco svincolatasi da riduttivismi comportamentisti (teorie degli​​ ​​ obiettivi educativi, teorie curricolari,​​ ​​ istruzione programmata,​​ Mastery learning).​​ In Europa prima, e negli Stati Uniti dopo, ha avuto un grande influsso la lezione piagetiana, soprattutto a partire dagli anni sessanta. Una sintesi magistrale delle principali ricerche a valenza educativa è stata offerta alla fine degli anni sessanta da D.P. Ausubel (1968) che ha centrato il discorso sul concetto di apprendimento significativo. Apporti di grande interesse sono stati dati da autori come​​ ​​ Bruner,​​ ​​ Rogers e in genere dalla p. umanista. Dagli anni settanta in poi si assiste a uno sviluppo di natura cognitivista che valorizza l’analisi dei processi cognitivi esplorati sotto la metafora dell’uomo elaboratore di informazioni (Gagné, 1989). Gli anni ottanta e novanta vedono una ripresa degli studi sulla p. della volontà di inizio secolo e, più in generale, sulla p. dell’azione. Oggetto di indagine diventano l’azione educativa considerata come azione sociale (Amerio, 1995), l’azione di apprendimento degli studenti considerata come costruzione di significati e l’interazione tra le due azioni. Gli anni del nuovo millennio sono segnati da una particolare attenzione alla affettività e alla dinamica emozionionale presente nei contesti educativi e scolastici.

3.​​ Contenuti.​​ Occorre distinguere tra quanto è contenuto nei manuali di p. dell’educazione e ciò che costituisce l’oggetto più specifico di studio e di ricerca di questa disciplina scientifica. Nel primo caso si nota spesso come sotto la dizione di p. dell’educazione entrino tutte le conoscenze psicologiche fondamentali necessarie a un educatore e, più specificatamente, a un insegnante per svolgere la propria azione: i processi di sviluppo degli allievi alle varie età, i processi cognitivi e affettivi implicati nell’attività di insegnamento e di apprendimento, le basi psicologiche dei vari metodi di insegnamento, le relazioni sociali attivate nella comunità scolastica o educativa, la valutazione dell’azione educativa e dei suoi risultati, ecc. Nel secondo caso si è in genere più precisi e puntuali e le tematiche affrontate riflettono lo stato di avanzamento delle discipline psicologiche e i diversi paradigmi di ricerca che via via si susseguono: dall’associazionismo, alla p. della​​ ​​ Gestalt, al comportamentismo, al cognitivismo, alla p. dell’azione e alla p. sociocognitiva. Temi di grande interesse sono: a) i processi di costruzione delle conoscenze e di sviluppo delle competenze di natura scolastica e professionale; b) le relazioni interpersonali e il loro influsso sulla crescita personale e sociale dei bambini e degli studenti; c) la natura e la dinamica dei processi motivazionali, emozionali e volitivi nei contesti scolastici, familiari e sociali; d) lo sviluppo dei processi di autodeterminazione e di autoregolazione nell’apprendimento. Un particolare settore di interesse è quello dedicato alla p. dell’apprendimento dei contenuti delle diverse discipline di insegnamento.

4.​​ Metodi.​​ Nella prima metà del sec. XX ha prevalso nettamente una metodologia di tipo sperimentale che valorizzava dati rilevati empiricamente ed elaborati statisticamente. In questi ultimi decenni si è accentuata la tendenza a privilegiare metodi di tipo qualitativo o interpretativista. Inoltre si è progressivamente passati da indagini svolte prevalentemente in laboratorio e in situazioni appositamente progettate a indagini svolte in contesti reali, come la classe, il gruppo associazionistico, la famiglia, favorendo l’uso di metodi idiografici. La centralità dello studio dell’azione sociale ha comportato un’attenzione specifica per l’intenzionalità educativa e quindi la valorizzazione di metodi basati sulla narrazione. Dagli studiosi più esperti e consapevoli si insiste sulla necessità di considerare i vari approcci metodologici come complementari.

Bibliografia

Pontecorvo C.,​​ P. dell’educazione,​​ Teramo, EIT, 1973; Ausubel D. P.,​​ Educazione e processi cognitivi,​​ Milano, Angeli, 1978; Lumbelli L.,​​ P. dell’educazione: comunicare a scuola,​​ Bologna, Il Mulino, 1982; Pontecorvo C. - M. Pontecorvo,​​ P. dell’educazione. Conoscere a scuola,​​ Bologna, Il Mulino, 1986; Glover J. A. - R. R. Ronning (Edd.),​​ Historical foundations of educational psychology,​​ New York, Plenum Press, 1987; Gagné E.,​​ P. cognitiva e apprendimento scolastico,​​ Torino, SEI, 1989; Lesgold A. - R. Glaser (Edd.),​​ Foundations for a psychology of education,​​ Hillsdale, Erlbaum, 1989; Petter G.,​​ La preparazione psicologica degli insegnanti,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1992; Amerio P.,​​ Fondamenti teorici di p. sociale,​​ Bologna, Il Mulino, 1995; M. Pressley - C. B. Mc-Cormick,​​ Advanced educational psychology,​​ New York, Harper Collins, 1995; Pontecorvo C. (Ed).,​​ Manuale di p. dell’educazione, Bologna, Il Mulino, 1999; Carugati F. - P. Selleri,​​ P. dell’educazione, Bologna, Il Mulino, 2005; Boscolo P.,​​ P. dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali,​​ Torino, UTET, 2006; Schutz P. A. - R. Pekrun,​​ Emotion in education, Amsterdam, Elsevier, 2007.

M. Pellerey




PSICOLOGIA EVOLUTIVA

 

PSICOLOGIA EVOLUTIVA

La p.e. è il settore della p. che si occupa dello studio delle continue modificazioni fisiche, emotive, cognitive e comportamentali che intervengono nella persona lungo l’intero arco vitale.

1. Tipicamente, l’arco vitale è suddiviso in stadi di sviluppo che fanno riferimento all’età cronologica (diversamente considerata): fase prenatale (dal concepimento fino alla nascita), infanzia (0-3 a. ca.), fanciullezza (3-6 a. ca.), preadolescenza (6-12 a. ca.), adolescenza (12-20 a. ca.), età adulta iniziale (20-40 a. ca.), età adulta intermedia (40-65 a. ca.), età adulta avanzata (oltre i 65 a. ca.), vecchiaia (oltre i 75 a.). Se la p.e. si occupa dei cambiamenti che coinvolgono tutte le sfere della persona, compiti delle teorie dello sviluppo saranno: descrivere le modificazioni che intervengono nel tempo in uno o più aspetti dell’attività umana; descrivere le modificazioni di un particolare periodo di sviluppo e in relazione a più periodi di sviluppo; definire principi e regole che spieghino influssi e modalità delle modificazioni descritte.

2. Pur nella loro estrema varietà in quanto a natura, contenuti e metodi, le teorie dello sviluppo si trovano accomunate dalla presa di posizione che assumono relativamente a quattro aspetti dai quali è impossibile prescindere se si vuole intraprendere uno studio evolutivo della persona. Ogni teoria dovrà indicare il concetto d’uomo da cui intende muovere (antropologia di base); dovrà specificare se lo sviluppo va inteso in termini di modificazioni di tipo qualitativo o quantitativo o di entrambi in interazione; dovrà, poi, indicare se queste modificazioni, qualitative o quantitative che siano, dipendono da fattori ereditari o da fattori ambientali o da entrambi in interazione; infine, ogni teoria dello sviluppo dovrà specificare quale aspetto essenziale del comportamento viene ritenuto più rilevante dalla propria prospettiva. Si avanza la proposta di considerare l’uomo come un essere molto ricco (che sfugge a qualsiasi etichettamento riduttivo), aperto (tendente verso un equilibrio sempre più maturo), competente (con capacità e abilità che vanno valutate relativamente al livello di sviluppo che attraversa) e attivo (capace di dare senso alle cose e alle proprie esperienze). Una tale ricchezza e complessità saranno meglio comprese ricorrendo ad una pluralità di prospettive teoriche che, debitamente integrate, consentiranno un avvicinamento il più completo possibile alla persona in sviluppo. Ogni scelta di studio comporta un’esclusione e, quindi, non consente una comprensione della totalità della persona; perciò si propone di prendere in considerazione i tre aspetti della persona che sembrano maggiormente significativi e le tre teorie che si occupano più direttamente di ognuno dei tre aspetti. La scelta cade sugli aspetti cognitivi, comportamentali e affettivo-motivazionali della persona e, parallelamente, sulle teorie cognitiva, dell’apprendimento sociale e del profondo.

3. Da un punto di vista educativo, la p.e., oltre a fornire elementi per una conoscenza della persona, offre un quadro di riferimento ed una adeguata mentalità per leggere tutta la realtà e per costruire uno stile di vita, che permetta di avvicinare l’ambiente circostante e l’ambiente macroscopico con una tipica sensibilità, che possiamo chiamare «evolutiva». Un atteggiamento evolutivo favorisce il modo di relazionarsi con gli altri in quanto rispetta il livello di sviluppo raggiunto, qualunque esso sia, comprende il diverso ritmo di sviluppo e il modo diverso di camminare verso le mete proprie di ogni persona.

Bibliografia

Berger K.S.,​​ Lo sviluppo della persona: periodo prenatale,​​ infanzia,​​ adolescenza,​​ maturità,​​ vecchiaia, Bologna, Zanichelli, 1996; Newcombe N.,​​ Lo sviluppo del bambino e la personalità, Ibid., 2000; Sugarman L.,​​ P. del ciclo della vita. Modelli teorici e strategie d’intervento, Milano, Cortina, 2003;​​ Santrock J.W.,​​ Psicología del desarrollo. El ciclo vital,​​ Madrid, McGraw-Hill, 2006.

A. Arto




PSICOLOGIA GENERALE

 

PSICOLOGIA GENERALE

Ambito della p. relativo alle questioni di fondo e di quadro orientativo ed epistemologico di tale disciplina. È pur vero che il termine ha indicato, nel corso degli ultimi decenni, due diverse realtà.

1. Fino agli anni ’60 del sec. scorso, seguendo la tendenza tedesca di offrire manuali definitivi, la p.g. indicava lo studio organico e completo di quelli che si ritenevano i processi psichici fondamentali, quali la​​ ​​ percezione, la​​ ​​ memoria, l’​​ ​​ apprendimento, il​​ ​​ pensiero e la​​ ​​ motivazione. L’Handbuch der Psychologie,​​ curato dal Thomae nel 1964-66, dedicava ben 2700 pagine a questi temi. In seguito all’esplosione delle ricerche, oggi è necessario seguire di giorno in giorno gli sviluppi nei singoli settori, e un manuale generale diviene presto obsoleto o almeno incompleto.

2. La p.g. si è perciò trasformata in una introduzione alla p., con il compito di offrire un quadro generale dei contenuti e dei problemi delle ricerche psicologiche, dei costrutti e delle principali teorie proposte per comprendere la condotta. Tale quadro dovrebbe permettere allo studioso di collocare problemi e ricerche singole nel contesto più generale, per dare loro il giusto significato. Nei testi attuali di p.g. o di introduzione alla p. si ritrova perciò lo studio preliminare dei processi psichici fondamentali, sopra indicati; spesso si incontrano pure altri temi, quali fondamenti epistemologici e di metodo, elementi di storia della p. e di fisiologia della condotta, e principi di​​ ​​ p. evolutiva e della​​ ​​ personalità.

Bibliografia

Thomae H. (Ed.),​​ Handbuch der Psychologie.​​ voll. 1-2.​​ Allgemeine Psychologie,​​ Göttingen, Hogrefe,​​ 1964-1966; Schoenpflug W. - E.​​ Schoenpflug,​​ Istituzioni di p.g.,​​ Roma, Città Nuova, 1993; Ronco A.,​​ Introduzione alla p.​​ I.​​ P. dinamica;​​ II.​​ Conoscenza e apprendimento,​​ Roma, LAS, 1991-1994; Bottone M.,​​ P.g., Napoli, Ellissi, 2000; Gambini P.,​​ Introduzione alla p., vol. I:​​ I processi cognitivi, Milano, Angeli, 2006.

A. Ronco