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ORTEGA Y GASSET José

 

ORTEGA Y GASSET José

n. a Madrid nel 1883 - m. ivi nel 1955, saggista e filosofo spagnolo.

1. Conseguito, all’università Madrid, il dottorato in filosofia e lettere (1904), completò gli studi filosofici in Germania (Lipsia, Berlino, Marburgo), dove ricevette l’influsso della scuola neokantiana. Nel 1910 occupò la cattedra di metafisica all’Università di Madrid, dopo essere stato professore di filosofia presso la Escuela Superior del Magisterio.​​ Nel 1923 fu nominato membro della Real Academia de Ciencias Morales y Políticas.​​ Nello stesso anno fondò la «Revista de Occidente», attraverso cui diffuse l’opera dei pensatori tedeschi contemporanei. Nel 1931 è eletto deputato della seconda repubblica spagnola; ma l’anno seguente, «deluso dal settarismo» della costituzione repubblicana, abbandona l’attività politica. Dal 1936-39 vive in esilio a Parigi; poi in Argentina. Ritorna in Spagna nel 1946. Il pensiero filosofico di O. «potrebbe riassumersi e fissarsi nella frase che si legge già nelle​​ Meditaciones del Quijote​​ (1914): “Io sono io e la mia circostanza”. Il mondo è concepito come una “prospettiva” che rientra in modo essenziale nella esistenza umana» (Muñoz Alonso-Savignano, 2006, 8202).

2. I saggi su temi pedagogici rappresentano una parte modesta nell’insieme della vasta produzione di O. Tra i più significativi:​​ La pedagogía del paisaje​​ (1906),​​ Sobre los estudios clásicos​​ (1907), «Prólogo» a​​ Pedagogía general​​ di Herbart (1914),​​ Pedagogía y anacronismo​​ (1923),​​ Misión de la universidad​​ (1930),​​ El Quijote en la escuela​​ (1945). Questi saggi non costituiscono una trattazione completa e sistematica. Idee e suggestioni sull’educazione e la scuola si trovano pure in scritti non prettamente pedagogici, e si inseriscono nel quadro del pensiero filosofico di O. Per questi l’uomo, capace di una prospettiva che cambia, non può limitarsi a contemplare la realtà, ma deve modificarla e crearla nella sua propria​​ «circunstancia»,​​ dandole il senso e significato di cui è priva quando egli comincia il compito di costruire se stesso, aiutato dagli «artifici» e dai «reattivi» di un intervento «positivo» esterno. L’uomo è mosso dalle idee e dalle credenze, ma solo queste ultime, a cui è «inesorabilmente unito», lo spingono all’azione che diventa strada della propria autorealizzazione. La società, invece, come piattaforma di comunicazione, lo porta alla convinzione che in essa non può manifestarsi che come un essere anonimo e impersonale. Profondamente caratterizzato nella sua sfera individuale dalla​​ ​​ solitudine, l’uomo cerca di superarla entrando nella prospettiva e nell’essere degli altri mediante l’​​ ​​ amicizia. Insoddisfatto, perché essa non lo rende capace di uscire totalmente da se stesso, ricorre all’espressione più alta dell’amicizia, che è l’amore. Ma se questo si riduce ad uno «scambio di solitudini», se gli altri «non sono qualche cosa» per lui e non fa la scelta di vivere in comunità di vita con loro, con piena consapevolezza di quella scelta e accettando le responsabilità che nascono dalla medesima, neppure l’amore rende l’uomo capace di uscire da se stesso.

3. Nella prospettiva di​​ ​​ Natorp, O. concepisce la politica come una pedagogia sociale per la trasformazione della società, trasformazione impossibile da raggiungere per mezzo di una «pedagogia individuale», che sarebbe «un errore e un progetto sterile». Vicino, d’altra parte, alle tesi di​​ ​​ Herbart, afferma che la pedagogia poggia su due scienze filosofiche: l’etica e la psicologia. Cercando di superare l’«anacronismo» del pensiero pedagogico, propone una scuola – unica e laica – fondata su una «pedagogia perenne» che offra a tutti una educazione essenziale, che adatti l’ambiente all’uomo e non l’uomo all’ambiente. Il significato del contributo di O. alla storia dell’educazione va individuato soprattutto nell’influsso del suo pensiero, in particolare, sulla cultura spagnola e ispano-americana contemporanea. A gran parte degli scritti orteghiani di filosofia, sociologia e critica letteraria è infatti sottesa una vigorosa intenzione educativa.

Bibliografia

Escolano A.,​​ Los temas educativos en la obra de J.O.​​ y G., in «Revista Española de Pedagogía» 26 (1968) 211-230; Rukser U.,​​ Bibliografía de O.,​​ Madrid, Revista de Occidente, 1971; Escolano A., «J.O. y G.», in Á. Galino,​​ Textos pedagógicos hispanoamericanos,​​ Madrid, Narcea, 1974, 1539-1577; La Rubia Prado F.,​​ Una encrucijada española: ensayos sobre M. de Unamuno y J.O. y G., Madrid, Biblioteca Nueva, 2005; Muñoz Alonso A. - A. Savignano,​​ «O. y G., J.», in​​ Enciclopedia filosofica, vol. 8, Milano, Bompiani / Fondazione C. S. F. Gallarate, 2006, 8201-8204.

J. M. Prellezo




ORTOGRAFIA

 

ORTOGRAFIA

Agli effetti didattici, pare convenga accettare la distinzione tra​​ o. d’uso​​ e​​ o. grammaticale.​​ La prima rappresenta la riproduzione della parola in se stessa, come è data dal vocabolario, indipendentemente dalle alterazioni che il dinamismo grammaticale viene ad inserire. La seconda si connette appunto con queste alterazioni verbali.

1.​​ Fattori psicologici della scrittura ortografica.​​ Tanto nel primo quanto nel secondo caso la riproduzione ortografica non è legata esclusivamente a fattori d’ordine percettivo, sensoriale, ma anche a fattori linguistici o di articolazione fonetico-motoria, e non meno a fattori di carattere intellettuale. J. Simon aveva già criticato le teorie sensoriali, che facevano dipendere l’o. totalmente dalle immagini verbali localizzate nell’emisfero sinistro del cervello, poiché, come risultava dalle sue esperienze, la riproduzione ortografica della parola dipende anzitutto dalla memoria uditiva associata alla memoria visiva (segno fonico + segno grafico), e inoltre da operazioni mentali di connessione logica, analogica, etimologica. La psicologia dell’o. si è venuta definendo soprattutto attraverso gli studi delle cause della «disortografia». Ecco alcune delle conclusioni, a cui sono pervenuti gli sperimentatori: a) Lo scrivere male non dipende di per sé dal leggere male, ma entrambi i difetti emergono da una stessa causa più fondamentale: secondo Simon ed altri psicologi francesi, tale causa starebbe in un disordine o in una deficienza nella​​ percezione dello spazio e del tempo.​​ Vale a dire, il soggetto si dimostra incapace di orientarsi nello spazio, non riconoscendo la destra e la sinistra, l’alto e il basso, così che le lettere sarebbero conseguentemente collocate fuori posto o verrebbero confuse tra loro (es.:​​ p,​​ b,​​ d,​​ q,​​ e, d’altra parte,​​ n​​ e​​ u).​​ Parallelamente si è riscontrata una correlazione tra difficoltà ortografica e deficienza nella riproduzione di ritmi e cadenze. b) Affine a questa pare vi sia una seconda causa: la​​ dominanza​​ o​​ preferenza laterale,​​ particolarmente nella forma del mancinismo. Il disturbo più grave sarebbe la «scrittura speculare». Ma le cose si complicano molto quando intervenga una «preferenza laterale incrociata» (mano destra e occhio sinistro). c) Secondo altre ricerche, i difetti visivi non sarebbero legati tipicamente alla disortografia; vi sarebbe invece una correlazione tra conoscenza lessicale ed o. (più che non tra QI ed o.), e così pure un netto influsso sull’o. dei seguenti fattori: pronuncia, bilinguismo, articolazione fonatoria, e forse anche il cambio di scuola e di metodi didattici. d) Cause di difficoltà possono ancora essere il non applicare le regole fonetiche, una scarsa immaginazione visiva e una pronuncia difettosa. e) La buona o. ha un’alta correlazione positiva con l’abilità fonetica e la discriminazione visiva, non necessariamente invece con la discriminazione uditiva. f) Generalmente, chi legge correttamente, scrive anche bene. Pertanto, possiamo affermare sinteticamente che alla base dell’abilità ortografica stanno fattori​​ percezionali,​​ motori​​ (capacità normale di scrittura),​​ fonetici,​​ intellettuali​​ e​​ culturali.​​ Conseguentemente, un metodo didattico che voglia assicurare un effettivo possesso dell’o., deve prender le mosse da una considerazione psicologica multilaterale.

2.​​ Indicazioni psicologiche per una didattica dell’o.​​ I problemi fondamentali di una didattica dell’o. si possono racchiudere in due categorie: il contenuto lessicale e il metodo da usarsi. a) Parlando di contenuto, è necessario distinguere due aspetti di immediato valore metodologico: quali parole dovrebbero saper scrivere correttamente gli allievi di un dato livello scolastico? e quali sono gli errori più comuni a ciascuno stadio della scolarità? Sostanzialmente, dunque, se si vuole progettare un programma razionale di insegnamento ortografico, occorre risolvere il problema della quantità e gradualità del vocabolario ortografico, nonché il problema della correzione degli errori comuni. Ciò significa che occorrerà determinare sperimentalmente anzitutto il contenuto del «vocabolario di base» usato dagli adulti nello scrivere, e, in secondo luogo, il contenuto di un vocabolario scritto proprio dei fanciulli dei diversi stadi di evoluzione psichica. La ricerca e compilazione di un vocabolario di base comportano un lavoro di proporzioni colossali. Stabilito il contenuto, è necessario determinare per ciascun grado scolastico quali parole debbano essere insegnate. A tale proposito, i criteri finora usati per la compilazione di un vocabolario ortografico graduato si possono ridurre ai seguenti: 1) importanza della parola rispetto alla sua permanenza nell’uso; 2) difficoltà della parola nella sua composizione fonetica; ma questo criterio è oggi integrato da altre considerazioni: 3) considerazioni logiche, tra cui l’appartenenza delle parole ad un comune tema o ad una comune famiglia lessicale che viene man mano costruita; e 4) frequenza dell’uso di tali parole negli scritti dei fanciulli; poiché, pur ammettendo che una certa parola offra particolari difficoltà ortografiche, qualora essa venga usata frequentemente da fanciulli dell’epoca attuale, i quali la odono pronunciare alla radio o al cinema e la vedono scritta sui giornali, è evidente che la rispettiva o. dovrà essere curata fin dagli inizi. b) Al problema del contenuto fa immediatamente seguito quello del​​ metodo.​​ Oggi, le ricerche più severe hanno condotto anzitutto a precisare i settori didattici, che si offrono come terreno funzionale e vitale per un insegnamento occasionale dell’o. Così si è chiarita l’utilità di connettere tale insegnamento con la composizione scritta, con l’espressione orale (pronuncia), con la lettura, con la scrittura (corsiva o stampatello). Pertanto, si afferma che un certo apprendimento occasionale si ha di fatto e dovrebbe essere coltivato in tali settori dell’insegnamento. Tale insegnamento sistematico dovrebbe incominciare là ove vien meno quello occasionale o incidentale. Appropriati​​ test​​ diagnostici amministrati prima dello studio sistematico riveleranno agli allievi e all’insegnante quali parole non sono state ancora imparate occasionalmente, economizzando in tal modo e motivando il lavoro della lezione di o.

Bibliografia

Calonghi L.,​​ Errori ortografici nella scuola secondaria,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 7 (1960) 245-265; Titone R.,​​ L’insegnamento delle materie linguistiche e artistiche,​​ Roma, LAS, 1963; Frith U. (Ed.),​​ Cognitive processes in spelling,​​ London, Academic Press, 1980; Fresch M. J. - A. Wheaton,​​ Teaching and assessing spelling, New York (NY), Scholastic Books, 2002; Marten C.,​​ Word crafting: teaching spelling, Portsmouth (NH), Heinemann, 2003.

R. Titone




ORTOPEDAGOGIA

 

ORTOPEDAGOGIA

Il​​ Lessico universale​​ (vol. 15, 520) intende l’o. come: «L’insieme delle conoscenze e delle tecniche educative rivolte a influenzare le facoltà intellettuali di soggetti mentalmente ritardati o con anomalie del carattere al fine di migliorare le possibilità di una loro integrazione nel consorzio sociale. Tale programma trova pratica realizzazione nell’opera di tecnici specializzati (ortopedagogisti) in problemi particolari riguardanti la vita scolastica, il lavoro, l’attività ricreativa, ecc.». La​​ Nuova enciclopedia universale​​ (vol. 14, 515) scrive che si tratta di un «termine usato, soprattutto nei paesi di lingua anglosassone, per indicare quella pedagogia che si interessa, con metodologie e tecniche specializzate, dei problemi relativi all’educazione dei soggetti irregolari, ipodotati o disadattati». Date le sue finalità altamente umanitarie, l’o. dà la giusta misura degli sforzi che la scienza fa per mettersi al servizio di tutti compresi coloro che per ragioni indipendenti dalla loro volontà non potrebbero farcela da soli e hanno assoluto bisogno di essere assistiti. A seconda del tipo di sofferenza si distinguono le seguenti principali categorie di soggetti con ritardo congenito o acquisito dello sviluppo mentale, psichico, sensoriale (vista, udito e qualche volta anche tatto), motorio (paresi, paralisi, spasmo) o per malattie interne congenite. Finora, per la maggior parte, gli ortopedagogisti provenivano dalla classe medica e paramedica, adesso anche gli psicologi non medici portano il loro prezioso contributo. Una particolare sottolineatura va posta per i progressi attuati dalla tecnica per l’ortofonia, per le attrezzature a favore dei non vedenti e non udenti, per la riabilitazione motoria.

Bibliografia

Allen J. R.,​​ Human stress,​​ its nature and control,​​ New York, Macmillan, 1983; Ancona L. - M. Di Giannantonio,​​ Le radici della sofferenza mentale,​​ Roma, Borla, 1987; Aragona M. - L. Di Geronimo,​​ II training autogeno e lo stress,​​ Messina, EDAS, 1987; Garofolo G.,​​ Prevenzione psicosociale e salute,​​ Roma, Borla, 1989; Vico G.,​​ Disadattamento,​​ Brescia, La Scuola, 1991; Biondi M.,​​ La psicosomatica nella pratica clinica,​​ Roma, Il Pensiero Scientifico, 1992; McKay M. - P. Fanning,​​ Self-esteem,​​ Oakland, New Harbinger Publications, 1994; Minuto I.,​​ La patologia del linguaggio infantile,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1994.

V. Polizzi